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Saggio

La compensazione nella liquidazione giudiziale*

Antonio Rossi, Associato di diritto commerciale nell’Università di Bologna

6 Febbraio 2024

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
L’A. si sofferma analiticamente sull’istituto della compensazione di cui all’art. 155 CCII, riproduttivo nel rinnovato sistema dell’art. 56 L. fall. rispetto alle previsioni contenute in quest’ultima norma viene in apice, nella nuova, la correzione apportata in tema di compensazione c.d. triangolare, cui viene dedicata un’incisiva riflessione. 
Riproduzione riservata
1 . La ratio della disciplina
Anche nel CCII si conferma sostanzialmente la disciplina della compensazione endoconcorsuale già presente nell’art. 56 della previgente L. fall., pur con un’importante correzione in merito alla compensazione c.d. triangolare. 
Ancora, quindi, il legislatore offre ai creditori la possibilità di “opporre in compensazione ([1]) dei loro debiti verso il debitore il cui patrimonio è sottoposto alla liquidazione giudiziale (“L.G.”) i propri crediti verso quest’ultimo, ancorché non scaduti prima dell’apertura della procedura concorsuale”. 
Il creditore concorsuale, per effetto di questa disciplina, piuttosto che essere costretto all’esatto adempimento della propria obbligazione nei confronti del curatore “in cambio” del diritto di ammettere al passivo il proprio credito (spesso, con ben scarsa soddisfazione), realizza pienamente il proprio credito mediante l’estinzione del proprio debito nei confronti della massa (ovviamente, per identici importi contrapposti), di fatto beneficiando di una sostanziale prededuzione (e alle volte anche di più, quando le condizioni del patrimonio sottoposto a L.G. impongano il concorso anche fra i crediti prededucibili). 
La regola si pone dunque in evidente contrapposizione con principi fondamentali delle procedure concorsuali: il creditore che si avvale del diritto di compensare sfugge al concorso (v. infra al par. 5), riceve un trattamento impar rispetto a quello degli altri creditori che vantino crediti di identico rango (senza avere la “fortuna” di essere a loro volta debitori della procedura), addirittura trova soddisfazione a prescindere dal rispetto dell’ordine legale delle cause di prelazione, visto che la possibilità di estinguere un credito per compensazione con un controcredito della L.G. non viene meno se la procedura non è in grado di dare integrale soddisfazione a crediti antergati rispetto a quello estinto. Ciò porta ad affermare che la compensazione endoconcorsuale costituisca un’evidente eccezione ai principi fondanti il trattamento concorsuale dei crediti e da ciò dovrebbe derivare una stretta interpretazione dell’art. 155 CCII. Come ci si appresta ad evidenziare, tuttavia, l’applicazione giurisprudenziale della regola tende a largheggiare, anche ben oltre le condizioni di operatività dell’istituto della compensazione poste dal codice civile e relative a rapporti tra soggetti in bonis. 
Quali siano le ragioni di tale favor per la compensazione endoconcorsuale non è semplice dire ([2]): si è sostenuto che deporrebbero a pro della stessa esigenze di equità ([3]), che sconsiglierebbero di pretendere l’adempimento del debitore - creditore in bonis da parte di chi (la procedura) pari adempimento non può offrire, ma l’“equità” (a prescindere da quale significato possa assumere nel caso di specie) nelle procedure concorsuali non opera “verticalmente” (nel rapporto tra debitore insolvente e debitore in bonis) ma “orizzontalmente”, nel rapporto tra creditori concorsuali, e si traduce proprio nella regola della par condicio creditorum, calpestata dalla possibilità di compensare il credito “buono” (della L.G.) con il credito “cattivo” (del creditore in bonis). È pur vero che togliere a chi deve avere ha il sapore dell’ingiustizia ([4]), ma questo non può fornire, di per sé, una soddisfacente ratio della norma, specie se calata in un ambiente caratterizzato da regole che, se riferite alla fisiologia dei rapporti obbligatori, hanno spesso il sapore dell’ingiustizia (si pensi alla revocatoria fallimentare dei pagamenti di debiti scaduti o al trattamento dei contraenti in bonis, sia nella L.G., sia nel concordato preventivo). 
Probabilmente, oggi concorre ad accordare la compensazione endoconcorsuale con i principi della procedura di L.G. anche l’accentuata fase recessiva del principio di pari trattamento dei creditori ([5]), ormai costellato da tali eccezioni da consentire di dubitare della posizione della regola rispetto all’eccezione. 
Senz’altro, l’art. 155 CCII, come già l’art. 56 L. fall., dispiega i suoi effetti su un piano redistributivo, con un trasferimento di risorse dalla massa al singolo creditore – debitore, collocato su un’isola di soddisfacimento preferenziale ed extraconcorsuale del proprio credito che emerge dal mare della concorsualità ([6]). E’ pur vero che l’ampiezza dell’operatività della compensazione in ambito concorsuale può spiegarsi con l’effetto immediatamente estintivo ab origine dell’istituto, che determina l’estinzione dei reciproci crediti sin dalla loro coesistenza (v. art. 1242 c.c.) ([7]), ma, se se ne vuole rintracciare una giustificazione in termini di maggiore efficienza del sistema, probabilmente non può che valorizzarsi la doppia semplificazione della situazione patrimoniale del debitore sottoposto alla procedura di L.G., dal lato dell’attivo e del passivo, che – quanto meno – dimostra coerenza con le ragioni di efficienza e celerità alle quali è ampiamente ispirata (anche i sensi dell’art. 1, lett. “l”, della L. n. 155/2017) la riforma sfociata nel CCII.
2 . Le condizioni di applicazione della compensazione endoconcorsuale
 Al fine di verificare quali siano le condizioni per procedere all’estinzione per compensazione dei reciproci crediti consentita dall’art. 155 CCII, sembra utile ripercorrere succintamente le analoghe condizioni previste dal codice civile, al confronto con le quali comunque la regola concorsuale non può sottrarsi.
A mo’ di pro memoria, quindi (e limitatamente a quanto utile per il nostro esame):
- l’art. 1242, comma 1, c.c. prevede che “la compensazione estingue i due debiti dal giorno della loro coesistenza”;
- per l’art. 1243, comma 1, c.c., “la compensazione si verifica solo tra due debiti che hanno per oggetto una somma di danaro o una quantità di cose fungibili dello stesso genere e che sono ugualmente liquidi ed esigibili”;
- l’art. 1243, comma 2, c.c. pone le condizioni per la compensazione giudiziale del credito non liquido (ma “di facile e pronta liquidazione”);
- l’art. 1246 c.c. chiarisce che la compensazione “si verifica qualunque sia il titolo dell’uno o dell’altro debito”.
Si tratta di regole che, con gli adattamenti del caso (specie per quanto riguarda l’art. 1243 c.c.) trovano applicazione anche nell’ambito dell’operatività dell’art. 155 CCII.
In particolare, anche in ambito concorsuale, si ribadisce la necessità della reciproca autonomia delle posizioni creditorie, che (per conservare utilità allo scambio) non devono costituire le prestazioni corrispettive nascenti dal comune rapporto obbligatorio. Le contrapposte obbligazioni possono derivare quindi da rapporti distinti ed autonomi o anche da rapporti collegati o da un’unica fonte negoziale, a condizione che le obbligazioni presentino carattere di autonomia ([8]).
Quanto al requisito della omogeneità delle prestazioni, richiesto dal comma 1 dell’art. 1243 c.c., almeno nell’esperienza della previgente legge fallimentare (dalla quale non c’è ragione di scostarsi, considerata l’equivalenza di disciplina), proprio a conferma della tendenziale applicazione estensiva dell’istituto, si ammette la compensazione ex art. 155 CCII anche tra crediti non omogenei ([9]), anche se la conclusione è coadiuvata, dal lato del credito del soggetto in bonis, dall’applicazione dell’art. 158 CCII ([10]). Certo, la necessità di intervento di quest’ultima norma per consentire la compensazione ex art. 155 CCII determinerebbe l’estinzione dei reciproci crediti non dalla loro coesistenza, ma dall’apertura della L.G. ([11]).
Anche il requisito della liquidità dei crediti, poi, non è ritenuto necessario all’operare della compensazione ex art. 155 CCII, che si dimostra dunque ulteriormente più ampia di quella codicistica ([12]) e tutto sommato riconducibile ad una compensazione giudiziale, più che legale ([13]).
D’altra parte, non sono ignoti alla prassi dell’accertamento del passivo i casi di rigetto delle domande di ammissione dei compensi di sindaci di società fallite in forza di un’eccezione di compensazione con il controcredito della procedura derivante da un’azione di responsabilità alle volte neppure esercitata ([14]), e dunque ben lungi dal rappresentare un controcredito dotato dei caratteri della liquidità.
Più complesso, anche se sempre orientato ad un approccio espansivo della compensazione endoconcorsuale, il tema della esigibilità dei crediti da estinguere, sul quale l’art. 155 CCII, in assonanza con quanto previsto dall’art. 154, comma 3, CCII ([15]), prende posizione esplicita affermando la compensabilità dei crediti del soggetto in bonis “ancorché non scaduti prima dell’apertura della procedura concorsuale”, in deroga rispetto al precetto dell’art. 1243, comma 1, c.c. ([16]) ma del tutto in aderenza con le esigenze del concorso e, se si vuole, dell’anticipazione della scadenza imposta dallo stato d’insolvenza del debitore ex art. 1186 c.c.
L’art. 155 CCII, come scritto, pone una disciplina a favore del creditore in bonis, il quale sarà quindi il principale interessato ad opporre al curatore l’eccezione di compensazione. Non può escludersi, tuttavia, che analoga eccezione possa essere opposta dal curatore ([17]), specie in presenza di una prognosi negativa di recuperabilità del credito nei confronti del soggetto in bonis ovvero, di converso, di fausta prognosi di soddisfacimento dei creditori concorsuali e ammessi al passivo ([18]).
3 . A proposito della compensazione di crediti postergati ex art. 2467 c.c.
 Resta invece ostativa alla compensazione l’inesigibilità del credito causata dal mancato verificarsi dell’evento dedotto come condizione sospensiva ([19]). A tal proposito, costituisce un problema senz’altro rilevante nelle dinamiche del concorso aperto dalla L.G. (ma anche dal concordato preventivo, in forza del rinvio dell’art. 96 all’art. 155 CCII) quello della compensabilità di crediti postergati ex lege, specie a seguito dell’applicazione degli artt. 2467 c.c. e 292 CCII. Se, infatti, si sostenesse che il credito postergato del socio finanziatore fosse sottoposto ad una condizione di esigibilità che dipenda dall’integrale soddisfazione di tutti gli altri crediti antergati, condizione pressoché ontologicamente non verificata all’apertura della L.G., allora si dovrebbe ritenere che detti crediti non siano compensabili con un controcredito del soggetto sottoposto alla L.G.
Per inquadrare meglio il problema, giova precisare che, tra le condizioni di operatività della compensazione tra soggetti in bonis, e quindi nell’ambito di applicazione delle norme codicistiche, non si richiede la parità di rango dei crediti reciprocamente estinti, sì che un credito chirografario può tranquillamente estinguersi per compensazione con un reciproco credito privilegiato.
Inoltre, come anticipato, la compensazione opera a prescindere dal livello di soddisfazione che i crediti concorsuali di rango superiore a quello estinto ai sensi dell’art. 155 CCII possano ottenere, con il rischio che la “soddisfazione” integrale di un credito chirografario estinto per compensazione con un controcredito del soggetto in procedura vada anche ad alterare, non solo la par condicio creditorum (che opera al livello “orizzontale” del concorso) ma anche l’ordine legale delle cause di prelazione (che opera al livello “verticale” del concorso) ([20]).
Si tratta, come detto, di rischio accettato dal legislatore, per le esigenze di semplificazione e celerità che stanno alla base dell’istituto della compensazione endoconcorsuale.
Stando così le cose, la possibilità di estinguere per compensazione ex art. 155 CCII crediti postergati dipende soltanto dalla valutazione di loro esigibilità in senso stretto: se ritenuti inesigibili, infatti, osterebbe alla loro compensabilità il (definitivo) mancato avveramento della condizione consistente nell’integrale soddisfazione di tutti i crediti antergati ([21]). Senza qui poter dare conto dell’ampio dibattito dottrinale che si è svolto attorno alla natura della postergazione, si ricorda soltanto che, per sommi capi, si confrontano due contrapposte tesi, l’una che afferma la natura “processuale” della postergazione, “qualità” del credito che opera solo ed esclusivamente nel concorso con altri creditori (attenga questo ad una procedura esecutiva individuale o ad una procedura concorsuale, specie oggi alla luce dell’art. 6, comma 2, CCII), in maniera non dissimile da un anti-privilegio ([22]), l’altra che, invece, ne afferma la natura “sostanziale”, tale da incidere sul rapporto obbligatorio e, dunque, sulla stessa esigibilità del credito, in maniera tale da legittimare la società debitrice a negare il pagamento del credito postergato sinché non si sia verificata la situazione, integrante la condizione sospensiva, dell’integrale pagamento di tutti i crediti antergati ([23]).
Nel dibattito in corso, è poi intervenuta in maniera gordiana la Suprema Corte, che ha di recente fatto propria la tesi “sostanzialistica”, affermando ex art. 384 c.p.c. il seguente principio di diritto: “La postergazione disposta dall'art. 2467c.c. opera già durante la vita della società e non solo nel momento in cui si apra un concorso formale con gli altri creditori sociali, integrando una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio alla restituzione del finanziamento, sino a quando non sia superata la situazione prevista dalla norma”. Da ciò, dovrebbe concludersi per la non compensabilità del credito postergato, pure nell’ampio ambito di applicazione dell’istituto previsto dall’art. 155 CCII. Si tratta, tuttavia, di conclusione non soddisfacente, che forse consente una “terza via”.
Sembra infatti dato acquisito dal pensiero giuridico il fatto che, allorché il patrimonio sociale si trovi in condizioni tali da non assicurare l’integrale e tempestivo soddisfacimento di tutti i creditori sociali, gli amministratori della società debbano tenere regole di gestione “para-concorsuali”, specie con riferimento al rispetto della par condicio creditorum. Si ritiene, infatti, che questa operi già durante la liquidazione in bonis, allorché il liquidatore non disponga di risorse sufficienti all’integrale e tempestivo adempimento di tutte le obbligazioni sociali ([24]), e la giurisprudenza della Suprema Corte ha già affermato la responsabilità (civile) degli organi sociali allorché dispongano pagamenti “preferenziali” in un contesto di ormai conclamata insolvenza della società ([25]).
Ebbene, un minimo di coerenza interna al sistema impone di ritenere che, in presenza di comportamenti che generino responsabilità degli organi sociali, questi siano tenuti a non attuarli. Così, ad esempio, il pagamento di un debito scaduto può non essere così doveroso se il pagamento assume i caratteri della preferenzialità. Si tratta di un impedimento all’adempimento (certo opponibile dalla società debitrice) che non attiene al rapporto obbligatorio, ma piuttosto alle regole di gestione del patrimonio sociale, che solo indirettamente si riflettono sulla esigibilità del credito ([26]).
Così, anche la postergazione ex art. 2467 c.c. non incide sulla “qualità” del credito ma sui doveri degli amministratori, tenuti a preferire i crediti non postergati e, quindi, a non pagare, in mancanza delle condizioni previste dalla legge, i crediti postergati. Il fatto che la sanzione dell’inefficacia del pagamento colpisca solo i rimborsi intervenuti nell’anno anteriore all’apertura della L.G. (cfr. art. 164, comma 2, CCII) non significa che gli amministratori della società pagante non siano responsabili anche per pagamenti eseguiti prima dell’anno, purché – ovviamente – la massa dei creditori rechi traccia del danno conseguente ([27]).
Ma se il dovere di non pagare crediti postergati, in presenza delle condizioni previste dall’art. 2467 c.c., così come il dovere di non effettuare pagamenti preferenziali, attiene alle regole di gestione del patrimonio sociale e non ad una qualità del credito, allora non può sostenersi l’esistenza di una condizione non verificata (né più verificabile) che incida sull’esigibilità in senso stretto del credito del finanziatore, e l’apertura della procedura concorsuale, con la sterilizzazione dei poteri degli organi sociali, restituirà al credito postergato, pur se collocato al fondo dello stato passivo (ma abbiamo visto che questo non è di ostacolo alla compensazione), la propria capacità di estinguersi per compensazione ex art. 155 CCII con un controcredito del debitore ammesso alla L.G.
Resta peraltro sempre salva la possibilità che la prestazione erogata a beneficio del socio finanziatore, dalla quale generi il controcredito della società finanziata destinato alla compensazione, sia in realtà riqualificata come datio in solutum sostitutiva del rimborso del credito postergato, ciò che rimetterebbe in gioco il suo recupero ex art. 164 CCII se effettuata alle condizioni previste dall’art. 2467 c.c.
4 . La condizione della reciprocità
 L’analisi sinora svolta consente di affermare che la compensazione endoconcorsuale dimostra una notevole espansione applicativa, considerato che – fermi i divieti previsti dall’art 1246 c.c. ([28]) – opera relativamente a crediti non scaduti, non liquidi e non omogenei, in maniera addirittura esuberante rispetto alle condizioni codicistiche di operatività dell’istituto e per vero poco compatibile con una sua natura eccezionale.
Tuttavia, tra le condizioni di operatività della compensazione ex art. 155 CCII, oltre all’evidente necessità di una reciprocità soggettiva (identità dei soggetti portatori contestualmente di posizioni debitorie e creditorie) ([29]), la giurisprudenza è granitica nel richiedere una reciprocità temporale tra i crediti che vanno ad estinguersi, nel senso che entrambi devono collocarsi o prima o dopo l’apertura della procedura concorsuale. In particolare, le Sezioni Unite della Suprema Corte si sono da tempo pronunziate nel senso che:
- ciò che rileva al fine di poter procedere alla compensazione endoconcorsuale “è il fatto che le radici causali delle obbligazioni contrapposte si siano determinate prima della dichiarazione di fallimento mentre gli effetti della compensazione, cioè l’estinzione delle obbligazioni, si possono verificare dopo tale dichiarazione”;
- ne consegue che “anche in corso di procedura si possano accertare gli estremi della compensazione (comprese la liquidità e l’esigibilità del credito del fallito verificatesi dopo il fallimento, salva sempre l’anteriorità a questo della radice causale del credito)”;
- quanto alla regola espressa dall’art. 2917 c.c. ([30]), questa norma “si riferisce all’ipotesi in cui il controcredito omogeneo sorga dopo il pignoramento, e non anche all’ipotesi in cui credito e controcredito, esistenti a quell’epoca, acquistino dopo i caratteri per potersi fare luogo alla compensazione” ([31]).
Dunque, l’unico presupposto per l’operatività della compensazione nella L.G. ex art. 155 CCII è dato dall’anteriorità all’apertura della procedura del fatto genetico delle obbligazioni contrapposte, potendo non preesistere alla procedura gli altri requisiti previsti dall’art. 1243 c.c. ([32]), purché risulti in qualche modo una manifestazione di volontà del creditore in bonis affinché operi la compensazione ([33]), seppure ex tunc (dal giorno della coesistenza dei crediti: v. art. 1242, comma 1, c.c.).
A tal proposito, non si richiede che, assumendosi la collocazione del fatto genetico dei crediti reciprocamente opposti in compensazione in un momento anteriore all’apertura della L.G., la compensazione debba essere già stata eccepita prima dell’apertura della procedura; anzi, l’art. 155 CCII ha come presupposto proprio il mancato esercizio ante L.G. del diritto di avvalersi della compensazione e l’art. ult. cit. regola dunque il caso di una compensazione legale che, pur afferendo a debiti già coesistenti e quindi estinti [se scaduti n.d.r.], non è stata ancora esercitata prima della L.G. né in via di autotutela, né in sede processuale ([34]).
Tipicamente, dunque, la reciprocità viene negata qualora un credito verso il debitore sottoposto a L.G., sorto anteriormente all’apertura della procedura, si contrapponga ad un controcredito della massa, nato quindi con la L.G. o a seguito dell’esercizio di un diritto o di un’azione che nella stessa trova causa e fondamento, e non già insistente nel patrimonio del debitore prima dell’apertura della procedura ([35]).
Sussiste peraltro la condizione della reciprocità anche se la radice causale dei crediti reciprocamente contrapposti si colloca per entrambi dopo l’apertura della L.G., anche se in questo caso non troverà applicazione l’art. 155 CCII ma l’ordinaria disciplina codicistica ([36]).
Piuttosto, la nuova disciplina legittima dubbi circa la linea di demarcazione tra il prima e il dopo: se, infatti, il comma 2 dell’art. 56 L. fall. si riferiva alla dichiarazione di fallimento, ora invece il comma 2 dell’art. 155 CCII (in assonanza con l’art. 166 CCII) traccia questa linea al “deposito della domanda cui è seguita l’apertura della L.G.”. Vero che l’art 155 CCII si colloca nella Sezione dedicata agli “Effetti dell’apertura della L.G. per i creditori”, tuttavia resta la possibilità interpretativa di una retrodatazione dello spartiacque della concorsualità, ai soli fini della verifica di reciprocità, al momento del deposito della domanda di L.G., peraltro in assonanza con quanto previsto dall’art. 96 CCII (che richiama anche l’art. 155 CCII) con riferimento alla data di presentazione della domanda di accesso al concordato preventivo.
A prescindere dalla condizione della reciprocità, poi, resta sempre possibile una compensazione volontaria tra curatore e creditore in bonis, purché debitamente autorizzata – all’occorrenza – ai sensi dell’art. 132 CCII.
La nettezza del principio affermato dalla Suprema Corte, laddove attribuisce rilievo scriminante alla collocazione temporale della “radice causale” del credito, si traduce spesso in una non semplice applicazione operativa del principio stesso. In particolare, è stato osservato che si tratta di “misurazione temporale … infarcita di elementi valutativi assai soggettivi e non si conforma al bisogno di certezze” ([37]), che accompagna invece l’incedere degli operatori economici.
Basti pensare alla fattispecie del credito da regresso del fideiussore, che abbia rilasciato la fideiussione prima dell’apertura della L.G. ma sia stata escussa dopo, credito che sorge con il pagamento (ed è quindi successivo) ma viene tipicamente considerato concorsuale (quindi anteriore) ([38]). D’altronde, è normale l’esigenza dei curatori di cercare una retrodatazione dell’insorgenza del credito, anche solo ai fini di evitare l’aggravamento della prededuzione ([39]), sì che la “radice causale” tende ad essere collocata nel negozio giuridico che costituisce l’occasione per l’(eventuale) insorgere successivo del credito, piuttosto che nell’evento scatenante la maturazione (non dipendente in sé e soltanto dal negozio giuridico) del credito stesso.
La giurisprudenza, peraltro, nel momento applicativo non è del tutto esente da contraddizioni, poiché, ad esempio, nel caso dell’esclusione di socio fallito da società di persone in bonis, il diritto del fallito alla liquidazione della quota ex art. 2289 c.c. è stato considerato sorto successivamente (ovvero meglio: contestualmente) alla dichiarazione di fallimento e se n’è quindi esclusa la possibilità di compensazione con l’eventuale credito della società a titolo di conferimenti ancora non versati ([40]).
Come suggerito acutamente in dottrina, quindi, può tornare utile abbinare un criterio funzionale a quello cronologico, che da solo tante incertezze può generare, sì da ritenere che il riferimento al negozio giuridico originario si renda necessario se (e solo se) il rischio dell’insolvenza del debitore non costituisca l’accidente tipico di ogni rapporto obbligatorio ma integri la causa del negozio stesso, come tipicamente accade nel contratto di fideiussione ([41]).
5 . La compensazione “triangolare”
Una delle poche novità del CCII rispetto alla previgente legge fallimentare, a proposito degli effetti dell’apertura della L.G. per i creditori, riguarda la compensazione delle pretese della procedura mediante (contro)crediti acquistati dal soggetto in bonis successivamente al deposito della domanda cui è conseguita l’apertura della procedura (compensazione c.d. triangolare).
Va ricordato, infatti, che il previgente art. 56 L. fall., al comma 2, con regola dalla ratio sfuggente, escludeva la possibilità di una tale compensazione solo relativamente ai crediti non scaduti acquistati nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento o successivamente alla dichiarazione stessa ([42]). L’inequivocabile testo della norma apriva, ovviamente, alla deduzione a contrario per cui identica limitazione non avrebbe mai potuto operare relativamente all’acquisto di crediti già scaduti ([43]), che quindi avrebbero potuto essere opposti in compensazione al curatore fallimentare anche se acquistati nell’anno prima della dichiarazione di fallimento o addirittura a fallimento già dichiarato.
Restava il sapore dell’incongruenza rispetto alla logica del concorso ([44]), visto che cedente e cessionario del credito, fissando il prezzo di acquisto dello stesso sotto al nominale ma sopra alla verosimile percentuale di soddisfazione offerta dal fallimento, avrebbero trovato reciproca soddisfazione sulle spalle della massa dei creditori concorsuali: il cedente incassando più di quanto atteso dalla procedura, il cessionario pagando meno di quanto dovuto al curatore fallimentare in forza del suo debito estinto per compensazione ([45]).
La differenza di trattamento dei crediti a seconda della loro scadenza aveva certo fatto discutere e registrare opinioni dissenzienti, in dottrina ed in giurisprudenza, ed era intervenuta anche la Corte Costituzionale che, tuttavia, pur ritenendo “discutibile la distinzione fatta dal legislatore” fra crediti scaduti e crediti non scaduti, aveva concluso dichiarando non fondata la q.l.c., poiché “l’asserita incongruità della disposizione in esame sarebbe comunque da intendersi, non già come incoerenza logico-giuridica, bensì come semplice insufficienza a raggiungere il risultato finale di preservare in modo completo la par condicio creditorum dalle manovre fraudolente che sarebbero possibili in tutti i casi di reciprocità delle posizioni attive e passive” (Corte cost., 20 ottobre 2000, n. 431).
Per vero, la Suprema Corte aveva avuto poi occasione di affrontare nuovamente la questione in tempi relativamente recenti, muovendo dalla constatazione che il caso sottoposto alla Corte Costituzionale riguardava l’acquisto di un credito scaduto nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, per escludere la compensabilità dei crediti (pur) scaduti se acquistati dopo l’apertura della procedura concorsuale ([46]). A tale conclusione era giunta, con ampia motivazione, affermando, anche alla luce di quanto previsto dall’art. 2917 c.c. per il caso di pignoramento di crediti, la necessità che anche il requisito della reciprocità preesistesse alla dichiarazione di fallimento, circostanza evidentemente incompatibile con l’acquisto successivo del credito da opporre in compensazione.
I problemi interpretativi causati dall’ambigua formulazione del comma 2 dell’art. 56 L. fall. hanno quindi indotto il legislatore del Codice a rimeditare la disciplina, eliminando la disparità di trattamento fra crediti scaduti e crediti non scaduti, gli uni e gli altri destinati a non essere spendibili per una compensazione con le pretese del curatore se acquistati nell’anno anteriore al deposito della domanda di apertura della L.G. ([47]) o successivamente al deposito stesso. D’altra parte – si legge nella Relazione di accompagnamento del D.Lgs. n. 14/2019, “[l]a ratio dell’originaria disposizione, che è quella di evitare condotte abusive e opportunistiche a danno della massa, ricorre infatti nella stessa misura sia in caso di acquisto di crediti non scaduti che nell’ipotesi di cessioni successive all’apertura della liquidazione di crediti scaduti” ([48]).
La disciplina posta dal comma 2 dell’art. 155 CCII, inoltre (senza novità rispetto alla previgente legge fallimentare), limita il divieto di compensazione all’acquisto per atto inter vivos, consentendo così implicitamente la compensazione se l’acquisto di crediti nel periodo “sospetto” avvenga mortis causa.
Non è peraltro così scontato cosa s’intenda per “acquisto” di crediti. A fronte di un’interpretazione largheggiante, che vorrebbe intendere l’acquisto in maniera ampia, sì da comprendervi qualunque negozio ad efficacia reale, a titolo oneroso o a titolo gratuito ([49]), si registra un orientamento volto ad escludere l’applicazione del divieto previsto dal comma 2 dell’art. 155 CCII in quei casi di “trasferimento” (o, meglio, riallocazione) del credito che prescindano da un atto negoziale avente ad oggetto lo stesso e che si pongano come effetto di altri atti e negozi giuridici. Così, ad esempio, si dovrebbe consentire la compensazione endoconcorsuale del credito da surrogazione che maturerebbe il soggetto in bonis che paghi nel periodo “sospetto” il debito del soggetto in procedura ([50]), anche in quanto fideiussore ([51]), ovvero nel caso di accollo di un debito da parte del terzo creditore. Parimenti, accogliendosi la tesi per cui presupposto di applicazione del limite posto dal comma 2° alla compensazione è la stipulazione di un contratto che abbia ad oggetto il trasferimento del credito, dovrebbe escludersi l’applicazione della norma in esame al caso di incorporazione – nell’anno anteriore al deposito della domanda di apertura della L.G. o anche successivamente -  della società creditrice del debitore in procedura, che trasferisse all’incorporante il credito necessario all’estinzione per compensazione di un proprio debito.
Considerata, infine, la delimitazione temporale della fattispecie rilevante (dall’anno anteriore al deposito della domanda di apertura della L.G. in poi), al fine di verificare la data dell’acquisto del credito opposto in compensazione, occorrerà riferirsi al momento della opponibilità della cessione al debitore ceduto (poi) sottoposto a L.G. ([52]), quindi alla data di notificazione della cessione o alla data di sua accettazione (con data certa).

Note:

[1] 
In luogo del “diritto di compensare” di cui all’art. 56 L. fall.: non sembra che il mutamento lessicale incida sul contenuto della regola.
[2] 
Per M. Fabiani, Per la chiarezza delle idee su compensazione e postergazione, in Dir. banca mercati fin., 2019, I, p. 40, il principio della parità di trattamento e della regolazione concorsuale è sacrificato “sull’altare di una ragione non così evidente”. In Cass. civ., sez. unite, 16 novembre 1999, n. 775, si legge: “La ratio della norma […] è complessa. Certamente alla sua base vi sono esigenze di carattere equitativo, non apparendo conforme ad esigenze di giustizia ricevere il proprio credito in moneta fallimentare. Ma […] essa esercita altresì una funzione di garanzia, ribadendo che anche in ambito concorsuale vale il principio per cui, in presenza di contrapposte ragioni di debito e credito, si verifica l’effetto estintivo delle relative obbligazioni”.
[3] 
V. Cass. civ., sez. unite, 16 novembre 1999, n. 775, cit. alla nota precedente. 
[4] 
Ed è forse più l’“iniquità”, che l’“equità”, a spiegare la compensazione endoconcorsuale. 
[5] 
Per M. Fabiani, Per la chiarezza, cit., p. 39, nonché in Appunti sulla responsabilità patrimoniale “dinamica” e sulla de-concorsualizzazione del concordato preventivo, in S. Ambrosini (opera diretta da), Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria, Zanichelli, Bologna, 2017, pp. 52 s., il principio della par condicio avrebbe addirittura ormai natura “residuale”. 
[6] 
Per Cass. civ., sez. unite, 16 novembre 1999, n. 775, cit., va superato “l’argomento secondo cui la compensazione del credito verso il fallito […] si porrebbe come un’eccezione al sistema ordinario, onde non sarebbe possibile un’estensione della stessa ad ipotesi non contemplate. In realtà, la vera eccezione contenuta nella norma è la deroga, attraverso la previsione del meccanismo della compensazione, al principio del concorso”.
[7] 
Cfr. M. Fabiani, Per la chiarezza, cit., pp. 45 s. 
[8] 
Cfr. Cass. civ., sez. unite, 16 novembre 1999, n. 775, per cui l’art. 1246 c.c., alla stregua del quale la compensazione si verifica qualunque sia il titolo dell’uno e dell’altro debito, “sancisce la regola che ai fini della compensazione non è necessaria l’identità o l’affinità dei titoli dei reciproci rapporti obbligatori, affermando quindi la regola della compensabilità delle obbligazioni ancorché derivanti da fonti distinte; ma ciò non esclude che la compensazione possa operare fra obbligazioni scaturenti da un unico contratto o, più in generale, da un’unica fonte negoziale o da un unico evento”. V. anche Cass. civ., sez. I, 1° luglio 2008, n. 17954; F. Macario-G. Ivone, Gli effetti del fallimento per i creditori: creditori privilegiati e chirografari. Compensazione e obbligazioni solidali, in A. Jorio (a cura di), Fallimento e concordato fallimentare, UTET, Torino, t. I, 2016, p. 1357. 
[9] 
Il principio è chiaramente affermato da Cass. civ., sez. II, 16 agosto 1990, n. 8322. V. anche – tra gli altri - F. Lamanna, Commento all’art. 56, in A. Jorio-M. Fabiani (a cura di), Il nuovo diritto fallimentare, Zanichelli, Bologna, 2006, p. 813; F. Macario-G. Ivone, Gli effetti, cit., p. 1349; S. Sanzo, Gli effetti del fallimento per i creditori, in O. Cagnasso-L. Panzani (a cura di), Crisi d’impresa e procedure concorsuali, t. I, UTET, Torino, 2016, p. 1118.
[10] 
“I crediti non scaduti, aventi per oggetto una prestazione in danaro determinata con riferimento d altri valori o aventi per oggetto una prestazione diversa dal danaro, concorrono secondo il loro valore alla data di apertura della L.G.”. 
[11] 
Ed infatti solleva critiche sulla possibilità di applicare l’art. 59 L. fall. per consentire la compensazione ex art. 56 L. fall. B. Inzitari, Effetti del fallimento per i creditori, in G. Ragusa Maggiore-C. Costa (Trattato diretto da), Le procedure concorsuali. il fallimento, UTET, Torino,1997, t. 2°, pp. 141 ss. 
[12] 
Cfr. Cass. civ., Sez. Unite, 16 novembre 1999, n. 775. 
[13] 
Cfr. Cass. civ., sez. I, 12 giugno 2007, n. 13769; Cass. civ., sez. lavoro, 27 aprile 2010, n. 10025. V. anche F. Macario-G. Ivone, Gli effetti, cit., p. 1350 s. La compensazione giudiziale, tuttavia, “ha efficacia costitutiva ex nunc e quindi, intervenendo dopo la sentenza dichiarativa di fallimento di una delle parti, attualizza il requisito della liquidità mediante un fatto successivo all’inizio del concorso, in apparente contrasto con la regola di anteriorità”: F. Lamanna, Commento all’art. 56, nel Nuovo diritto fallimentare, cit., p. 812. 
[14] 
V. anche Cass. civ., sez. I, 17 ottobre 2019, n. 26518. 
[15] 
In realtà, come ben evidenzia Cass. civ., sez. unite, 16 novembre 1999, n. 775, a proposito della previgente legge fallimentare, “l’art. 56 non può considerarsi un corollario dell’art. 55, comma secondo, della legge fallimentare […]. Come emerge dal dettato normativo, il precetto de quo è posto ‘agli effetti del concorso’, mentre […] l’effetto compensativo travalica la procedura ed è destinato a rifluire anche sul patrimonio del fallito, una volta chiuso il procedimento”.
[16] 
Cfr. F. Macario-G. Ivone, Gli effetti, cit., p. 1344.
[17] 
Cfr. B. Inzitari, Effetti, cit., p. 126. 
[18] 
Più dubbiosa, invece, Cass. civ., sez. I, 15 aprile 2019, n. 10528: “Altro profilo di riflessione riguarda l'opportunità per la curatela fallimentare di sollevare l’eccezione di compensazione nella sede della verifica dello stato passivo, anziché coltivare il credito risarcitorio sopra descritto nella competente sede giudiziaria per ‘arricchire’ la massa con ulteriori risorse discendenti dal positivo accoglimento della domanda giudiziale così proposta dalla curatela”. 
[19] 
Cfr. Cass. civ., sez. I, 2 agosto 1994, n. 7181.
[20] 
Cfr. S. Sanzo, Gli effetti, cit., p. 1115; M. Fabiani, Per la chiarezza, cit., p. 43 ss. 
[21] 
Si ritiene che venga meno la condizione della postergazione anche con il ripristino delle condizioni di equilibrio economico-finanziario la cui mancanza consente di ritenere integrata la fattispecie del comma 2 dell’art. 2467 c.c.: in tal senso, cfr. Trib. Milano, 10 dicembre 2020, in Società, 2021, pp. 626 s. (ove altri riferimenti), nonché Cass. civ., sez. I, 6 luglio 2022, n. 21422. 
[22] 
V., da ultimo, Lodo arbitrale 30 marzo 2018, A.U. I. Pagni, in Riv. dir. comm., 2019, II, p. 303 ss., con nota di A. Santoni, Il rapporto tra compensazione e postergazione nei finanziamenti infragruppo; M. Fabiani, Per la chiarezza, cit., pp. 73 ss.
[23] 
Cfr. A. Santoni, op. cit., p. 326. 
[24] 
Cfr. Cass. civ., sez. I (ord.), 15 gennaio 2020, n. 521; Cass. civ., sez III, 12 giugno 2020, n. 11304, nelle Società, 2021, pp. 523 ss., con nota di L. Di Brina, Par condicio creditorum e responsabilità “illimitata” del liquidatore nei confronti dei creditori sociali. 
[25] 
Cfr. Cass. civ., sez. unite, 23 gennaio 2017, n. 1641. 
[26] 
Questo può spiegare perché, pur in presenza di una regola di inefficacia del pagamento dei crediti non scaduti nei due anni anteriori al deposito della domanda di apertura della L.G. (cfr. art. 164, comma 1, CCII), abbia ancora un senso la prossima regola di inefficacia del pagamento dei crediti postergati ex art. 2467 c.c. (solo) nell’anno anteriore (nel vigore della previgente legge fallimentare, era argomento portato da M. Fabiani, Per la chiarezza, cit., p. 63, per affermare la natura “processuale” della postergazione). Per l’apertura della “terza via”, cfr. L. Pecorella, “Crisi qualificata”, “concorso virtuale” ed inesigibilità del credito nella concezione sostanziale della postergazione legale, in IlCaso.it, pubb. 4 novembre 2020, pp. 33 ss., ove trovansi anche ampi riferimenti al dibattito dottrinale sulla natura della postergazione. 
[27] 
E potrà ovviamente essere considerato un “pagamento” (se del caso in termini di datio in solutum) anche l’erogazione da parte della società di una prestazione a beneficio del socio che generi per la società un credito che il socio potrebbe portare in compensazione con il proprio credito postergato. 
[28] 
Cfr. Cass. civ., sez. lav., 11 maggio 2004, n. 8924. 
[29] 
Cfr. Cass. civ., sez. I, 16 marzo 2018, n. 6650, in Fallimento, 2018, p. 998, con nota di G. Fierro, Riflessioni sull’operatività della compensazione ex art. 56 l. fall.: l’incidenza del prerequisito della reciprocità, nonché in Giur. comm. 2020, II, pp. 1170, con nota di F. Provenzano, Compensazione in sede fallimentare: il presupposto della reciprocità dei controcrediti nei rapporti tra creditore in bonis, società fallita e socio illimitatamente responsabile.
[30] 
“Se oggetto del pignoramento è un credito, l’estinzione di esso per cause verificatesi in epoca successiva al pignoramento non ha effetto in pregiudizio del creditore pignorante”. 
[31] 
Tutti i brani riportati nel testo sono estratti da Cass. civ., Sez. un., 16 novembre 1999, n. 775.
[32] 
Cfr. B. Inzitari, Effetti, cit., p. 127 ss.; F. Lamanna, Commento all’art. 56, nel Nuovo diritto fallimentare, cit., p. 807 n. 3; M. Fabiani, Per la chiarezza, cit., p. 43. 
[33] 
Cfr. B. Inzitari, Effetti, cit., p. 136 s. 
[34] 
Cfr. F. Lamanna, Commento all’art. 56, nel Nuovo diritto fallimentare, cit., 807. 
[35] 
Cfr. Cass. civ., sez. I, 19 novembre 2008, n. 27518, e tutta la giurisprudenza sul debito restitutorio del terzo conseguente all’accoglimento dell’azione revocatoria. 
[36] 
F. Lamanna, Commento all’art. 56, nel Nuovo diritto fallimentare, cit., p. 808. 
[37] 
Cfr. M. Fabiani, Per la chiarezza, cit., p. 43. V. anche D. Galletti, Il concorso nel fallimento, in A. Jorio (a cura di), Fallimento e concordato fallimentare, Utet, Torino, 2016, t. I, p. 1285 ss. 
[38] 
Cfr. Cass. civ., sez. I, 17 gennaio 2008, n. 903. Si veda anche il caso delle obbligazioni restitutorie conseguenti allo scioglimento deciso dal curatore ex art. 72 L. fall. (oggi art. 172 CCII), caso trattato da Cass. civ., Sez. Un., 16 novembre 1999, n. 775, anch’esse ricondotte al momento dell’instaurazione del rapporto disciolto (ante) piuttosto che alla dichiarazione del curatore di avvalersi della facoltà di scioglimento (post). In senso opposto v invece Cass. civ., sez. I, 8 giugno 2020, n. 10869, in Fallimento, 2020, p. 1372, con nota di M. Costanza, Compensazione ex art. 56 l. fall.: ancora una interpretazione restrittiva, per la quale il credito da equo indennizzo ex art. 79 l. fall., anche se collegato a contratto di affitto di azienda stipulato prima della dichiarazione di fallimento del concedente, genererebbe un credito dell’affittuario non compensabile con un suo debito anteriore.
[39] 
Il criterio temporale per il riconoscimento della prededuzione, d’altra parte, alligna ancora oggi – pur se in maniera non così evidente com’era nell’art. 111, comma 2, L. fall. – nell’art. 6 CCII, ove il riferimento ai “crediti legalmente sorti durante le procedure concorsuali …”. 
[40] 
Cfr. Cass. civ., Sez. Un., 23 ottobre 2006, n. 22659; Cass civ., sez. I, 7 luglio 2008, n. 18599; Cass. civ., sez. I, 29 settembre 2011, n. 19955. 
[41] 
Cfr. D. Galletti, op. cit., p. 1287. 
[42] 
Cfr. M. Fabiani, Per la chiarezza, cit., p. 48, per cui la disciplina dell’art. 56, comma 2, L. fall. avrebbe dovuto evitare l’elusione dell’art. 65 L. fall. Resta che anche il pagamento di debiti scaduti è soggetto a revocatoria fallimentare ex art. 67, comma 2, L. fall. e dunque il divieto avrebbe dovuto operare anche per questi. 
[43] 
Cfr. App. Torino, 20 gennaio 2010, in Fallimento, 2010, p. 701, con nota di M. Costanza, Cessione del credito e compensazione. In dottrina, cfr. altresì B. Inzitari, Effetti, cit., pp. 134 s.: “improponibile una interpretazione che estende la eccezione anche ai crediti scaduti”; nello stesso senso S. Sanzo, Gli effetti, cit., p. 1114.
[44] 
M. Fabiani, Gli effetti della liquidazione giudiziale, cit., p. 1168, parla di un “sentimento di ‘ripulsa’”. 
[45] 
In tal senso, v. anche Cass. civ., sez. I, 4 aprile 2019, n. 9528. 
[46] 
Cfr. Cass. civ., sez. I, 4 aprile 2019, n. 9528, in Fallimento, 2019, p. 1505, con nota di M. Costanza, Integrazione o analogia per l’art. 56, comma 2, l. fall.
[47] 
A differenza dell’art. 56 L. fall., l’anno decorre dal deposito della domanda di apertura, non dall’apertura in sé, della procedura di L.G., in assonanza con quanto previsto dagli artt. 163 ss. CCII a proposito della decorrenza del periodo c.d. sospetto per l’esercizio delle azioni di inefficacia e revocatorie ivi previste. 
[48] 
La Relazione sembra quindi limitare la novità all’acquisto di crediti già scaduti successivamente al deposito della domanda di apertura della L.G., mentre la norma non fa distinzioni e si applica quindi anche all’ipotesi di acquisto di crediti scaduti nell’anno anteriore. 
[49] 
Cfr. F. Macario-G. Ivone, Gli effetti, cit., p. 1347 s. 
[50] 
Cfr. B. Inzitari, Effetti, cit., p. 135. 
[51] 
In tal caso, vista l’insorgenza del credito ex art. 1950 c.c. al momento del pagamento, il requisito della reciprocità impone probabilmente di limitare la possibilità di compensazione al pagamento del credito nell’anno anteriore all’apertura della L.G. Cfr., nel vigore dell’art. 56 L. fall., F. Lamanna, Commento all’art. 56, nel Nuovo diritto fallimentare, cit., p. 815. 
[52] 
Cfr. B. Inzitari, Effetti, cit., p. 135. 

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