In esecuzione dei principi di delega, l’art. 233 CCII ha confermato tutte le ipotesi “tradizionali” di chiusura dellaliquidazione giudizialepreviste dall’ancora vigente art. 118 L. fall., chiusura alla quale, come è noto, si perviene: i) se nel termine stabilito nella sentenza con cui è stata dichiarata aperta la procedura non sono state proposte domande di ammissione al passivo; ii)quando, anche prima che sia compiuta la ripartizione finale dell’attivo, le ripartizioni ai creditori raggiungono l’intero ammontare dei crediti ammessi, o questi sono in altro modo estinti, e sono pagati tutti i debiti e le spese da soddisfare in prededuzione; iii) quandoè compiuta la ripartizione finale dell’attivo; iv) quando, infine, nel corso della procedura, si accerta (con la relazione o con i successivi rapporti riepilogativi del curatore, resi a norma dell’art. 130 CCII) che la sua prosecuzione non consente di soddisfare, neppure in parte, i creditori concorsuali, né i crediti prededucibili e le spese di procedura.
Per finalità di chiarezza sistematica, e differentemente dall’art. 118 L. fall. (che declina tutti i casi di chiusura del fallimento), il successivo art. 234 CCII racchiude in un’autonoma norma le sole ipotesi di chiusura cd. “anticipata” (ovvero “facoltativa”) della liquidazione giudiziale, implementando il novero delle ipotesi già previste dallo stesso art. 118 a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 7, comma 1, lett. a-b), D.L. 17 giugno 2015, n. 83, conv., con modif., in L. 6 agosto 2015, n. 32 [2].
Ai sensi dell’ancora vigente art. 118 L. fall., una volta che è compiuta la ripartizione finale dell’attivo, la chiusura della procedura non è impedita dalla pendenza di giudizi, rispetto ai quali il curatore mantiene la legittimazione processuale, anche nei successive stati e gradi del giudizio, con possibilità (come più avanti si vedrà) di effettuare riparti supplementary all’esito dei detti giudizi.
L’art. 234 CCII, in esecuzione della norma di delega, ha introdotto in questo sistema alcune significative previsioni processuali, precisando, da un lato, che la chiusura della procedura non è impedita dalla pendenza di procedimenti esecutivi; e, dall’altro lato, che la legittimazione del curatore sussiste anche per i procedimenti, compresi quelli cautelari ed esecutivi, “strumentali” all’attuazione delle decisioni favorevoli alla liquidazione giudiziale, anche se instaurati dopo la chiusura della procedura [3].
La (lodevole) intentio legislatoris, perseguita sin dal 2015, è stata di alleggerire il carico delle procedure, destinate a restare aperte per il solo fatto della pendenza di giudizi (attivi o passivi), di cui è parte la curatela, consentendone una chiusura che può definirsi “anticipata”, in quanto svincolata dalla sua fine“naturale”, ossia il riparto finale dopo che tutte le liti pendenti si siano esaurite [4], nonché “facoltativa”, in quanto non si tratta di un passaggio obbligatorio per il curatore.
Il perseguimento di tale (in apparenza semplice)finalità [5] ha imposto l’introduzione di una disciplina piuttosto articolata, che, fin dal suo esordio, ha sollevato questioni processuali talora di non agevole soluzione, in specie nella pratica quotidiana della curatela, la quale (pur a seguito della chiusura anticipata del fallimento) deve continuare a farsi carico del peso “gestorio” riveniente da una sorta di perpetuatio della procedura, ancorché limitata agli sviluppi ed agli esiti delle liti pendenti.
La norma sembra, invero, rinvenire un precedente nell’art. 92, comma 7, D. Lgs. 1 settembre 1983, n. 385 (testo unico bancario, T.U.B.), in tema di chiusura della liquidazione coatta amministrativa delle ban- che, ove si prevede che “La pendenza di ricorsi e giudizi, ivi compreso quello di accertamento dello stato di insolvenza, non preclude l’effettuazione degli adempimenti finali previsti ai commi precedenti e la chiusura della procedura di liquidazione coatta amministrativa” [6].
Si tratta, tuttavia, di un modello “speciale” [7], atteso che, nell’esperienza applicativa degli anni più recenti, all’apertura della LCA bancaria si è quasi sempre accompagnata la cessione delle attività e passività dell’azienda bancaria, ai sensi dell’art. 90, comma 2, T.U.B., che di norma comprende il tra- sferimento alla parte cessionaria (solitamente una banca) delle liti (attive e passive) in corso [8]. Il modello della chiusura anticipata della LCA banca- ria [9] - pur importante sotto il profilo dell’approccio teorico - non può rappresentare, in termini stretta- mente “empirici” (ossia operativi), un precedente di particolare rilievo ai fini dell’applicazione dell’art. 118, ultimo comma, L. fall., ed ora dell’art. 234 CCII, norme vocate anche (ed io direi soprattutto) alla chiusura anticipata di procedure di liquidazione giu- diziale con attivo scarso o nullo, ma con numerose liti pendenti.
Prima di entrare in medias res del nostro argomento, ritengo opportune due precisazioni.
In primo luogo, la chiusura “anticipata” della liqui- dazione giudiziale rappresenta una importante chance di definizione della procedura concorsuale, senza dover attendere l’inutile (e sovente defatigante) decorso dei tempi processuali [10].
Essa, però, non rappresenta per la curatela un esito né scontato, né imposto [11]; verosimilmente, il curatore ne proporrà l’applicazione agli altri organi della procedura nelle ipotesi in cui la gestione “ultrattiva” delle liti pendenti (e dei possibili effetti concorsuali rivenienti dal loro esito) non sia tale da generare più problemi di quanti ne possa risolvere la cancellazione della procedura dal ruolo sezionale.
La seconda precisazione è che la chiusura anticipata della procedura non può andare a detrimento dei creditori della massa, iquali legittimamente confidino non solo sul termine per la presentazione delle domande “tempestive” di ammissione al passivo (di cui all’art. 201, comma 1, CCII), ma anche sul termine per il deposito di domande “tardive” (art. 208, comma 1, CCII), ben chiaro essendo che la ratio del sistema di chiusura della liquidazione giudiziale deve essere coordinata (oggi come in futuro) col regime dell’insinuazione tardiva, giacché la circostanza che sia stata compiuta la ripartizione finale dell’attivo, e che, quindi, ci siano state domande tempestive, “implica in ogni eventuale diverso creditore la possibilità di fare affidamento sull’utile prosecuzione della procedura ai fini dell’insinuazione anche tardiva” [12].
Dunque, la chiusura ex art. 234 CCII non è in ogni caso possibile prima che sia scaduto il termine per la presentazione delle domande tardive di ammissione al passivo.
Proverò qui di seguito a segnalare talune questioni problematiche, che rampollano dalle previsioni dell’art. 234 CCII, anche alla luce dell’ancor breve esperienza applicativa dell’art. 118 L. fall.