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Saggio

La buona fede del credito bancario nello stato passivo delle misure di prevenzione: un approccio civilistico*

Angelina Augusta Baldissera, Giudice nel Tribunale di Brescia

29 Aprile 2024

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
La disciplina di accertamento dei crediti prevista nel codice antimafia (art. 52 D.Lgs. n. 159/2011) è stata dal legislatore progressivamente estesa anche ad altre fattispecie penali di confisca, assurgendo a modello normativo di riferimento. 
Gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità in ordine al requisito normativo della buona fede, da un lato si mostrano in linea con fondamentali principi del diritto civile in materia di obbligazioni, dall’altro concretizzano la ratio di giusto bilanciamento tra interessi pubblicistici e affidamento del creditore riconosciuta dalla Corte Costituzionale a questo requisito normativo. 
Rimangono invece perplessità sulla scelta operata dal legislatore di ridurre, ex art. 53 D.Lgs. n. 159/2011, la garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.) su cui il creditore, pur incolpevole, possa soddisfarsi. 
Una scelta criticabile rispetto sia alla posizione del singolo, comune creditore, sia nell’ottica delle possibili ricadute negative di sistema sulle politiche di erogazione del credito da parte delle banche. 
 
The credit assessment discipline provided for in the anti-mafia code (art. 52 Legislative Decree n. 159/2011) has been progressively extended by the legislator to other criminal cases of confiscation, becoming a reference regulatory model. 
The orientations of the jurisprudence of legitimacy relating to the regulatory requirement of good faith, on the one hand, are in line with the fundamental principles of civil law regarding obligations; on the other hand, as recognized by the Constitutional Court, they achieve a fair balance between public interests and the creditor's trust. 
However, doubts remain about the choice made by the legislator to reduce, pursuant to art. 53 Legislative Decree n. 159/2011, the generic patrimonial guarantee (art. 2740 c.c.) on which the creditor, even if innocent, can be satisfied. 
This choice, in fact, can be criticized both with respect to the position of the individual, common creditor, and from the perspective of the possible negative systemic repercussions on the credit granting policies of the banks. 
Riproduzione riservata
1 . Introduzione
Il D.Lgs. n. 159 del 6 settembre 2011, detto Codice antimafia, agli artt. 52 e ss., come modificati dai successivi interventi normativi e in particolare dalla legge n. 161 del 17 ottobre 2017, contiene una disciplina specifica per l’accertamento dei crediti nei confronti di un soggetto colpito da una confisca di prevenzione. 
In estrema sintesi, si può affermare che solo con detto codice si sia giunti a una tutela di sistema delle pretese creditorie, tanto chirografarie quanto prelatizie, maturate anteriormente alla confisca o sequestro (se adottato). 
Prima del codice antimafia, la salvaguardia dei crediti anteriori era stata affidata per lo più alla elaborazione di principi di matrice giurisprudenziale.[1] 
Va inoltre segnalato come, in virtù di plurime modifiche all’art. 104 bis disp. att. c.p.p. da ultimo quella introdotta dal D.Lgs. n. 14 del 12 gennaio 2019 (codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza) - il legislatore abbia progressivamente esteso il regime di tutela dei terzi in esame ad altre fattispecie penali di sequestri e confische, elevando in tal modo il codice antimafia a modello di riferimento anche in tali settori[2]. 
Nel presente contributo verranno analizzati da un lato gli snodi più qualificanti e caratterizzanti del corpo di norme in esame - che, solo in via di prima approssimazione, richiamano la disciplina di verifica dello stato passivo in sede fallimentare, ora liquidazione giudiziale; dall’altro, i profili più critici loro insiti nella concreta applicazione giurisprudenziale, come emerge dall’analisi delle pronunce adottate nell’ultimo decennio dalla Suprema Corte. 
Nell’ambito della generale categoria dei terzi creditori viene in rilievo la posizione delle banche, sovente munite di diritti reali di garanzia sui beni confiscati: un caso paradigmatico è rappresentato dall’istituto di credito che, avendo concesso un mutuo per l’acquisto di un immobile, ed avendo iscritto una garanzia ipotecaria su quest’ultimo a tutela del proprio credito, vede fortemente compromesse le prospettive di recupero, in ragione dell’avvio di un procedimento di prevenzione nei confronti del mutuatario. 
Il ceto bancario infatti, come emerge dalla casistica giurisprudenziale, è naturalmente quello che più di frequente si imbatte, per la sua funzione istituzionale di erogazione del credito, nelle maglie previste per dette misure ablative.
2 . Lo schema procedimentale (cenni)
Sulla falsariga della materia concorsuale (cfr. artt. 92 e ss. L. fall. e ora artt. 200 e ss. D.Lgs. n. 14/19), lo schema del procedimento (artt. 57 e ss. codice antimafia) si snoda essenzialmente attraverso le seguenti fasi: i) la proposta dell’amministratore giudiziario di ammissione o esclusione dei creditori istanti, indicati in un progetto di stato passivo; ii) la  decisione del giudice delegato all’esito dell’udienza di verifica dei crediti; iii) la possibile opposizione innanzi al tribunale della prevenzione in composizione collegiale; iv) la ricorribilità innanzi alla Corte di Cassazione avverso il decreto del tribunale. 
Le categorie normative di selezione dei crediti solo in parte ricalcano quelle proprie del procedimento di liquidazione giudiziale. 
In particolare, costituisce peculiare requisito della disciplina in esame la buona fede del creditore, la cui portata va peraltro correlata - per coglierne appieno il significato e il perimetro di concreta rilevanza - con l’ulteriore requisito normativo della non strumentalità del credito rispetto all’attività illecita del proposto. 
La specificità e la portata restrittiva di entrambi i requisiti di ammissione del credito denotano l’interesse pubblicistico sotteso alla disciplina in esame, volta ad agevolare l’apprensione al patrimonio dello Stato di beni accumulati illecitamente dal soggetto pericoloso, ed evidenziano, altresì, la prevalenza di tale interesse rispetto all’esigenza di tutela delle ragioni dei creditori che con detto soggetto siano entrati in rapporto. [3] 
Anticipando talune considerazioni conclusive, si ritiene peraltro opportuno osservare che la vera norma qualificante della menzionata prevalenza risieda non tanto nella disposizione del citato art. 52 lett. b) cod. antimafia, che, prevedendo il requisito della buona fede, pone espressamente a carico del creditore l’onere della relativa prova; dato normativo, questo, che, alla luce dell’analisi qui proposta, risulta forse eccessivamente enfatizzato in dottrina. Piuttosto, tale prevalenza si riscontra nella presenza di un limite positivizzato alla garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.) su cui il creditore, pur risultato in buona fede, possa in ultima analisi soddisfarsi. 
Secondo l’art. 53 del codice antimafia, infatti, i crediti ammessi potranno comunque essere soddisfatti solo nel limite del 60 per cento del valore dei beni sequestrati o confiscati e al netto delle spese del procedimento di confisca e di quelle di amministrazione. 
3 . La strumentalità del credito
L’art. 52 lett. b) del D.Lgs. n. 159/2011 esige che il credito non sia strumentale all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, sempre che il creditore dimostri la buona fede e l’inconsapevole affidamento.   
Come ribadito dalla Suprema Corte in numerose pronunce, la strumentalità opera come requisito autonomo e da un punto di vista logico precede l’accertamento della buona o mala fede del creditore.[4] 
Ne consegue che solo laddove sia stato in primis accertato il nesso di strumentalità del credito rispetto all'attività illecita del proposto incombe sul creditore l’onere di dimostrarne l’ignoranza in buona fede. In mancanza di tale nesso infatti una condotta pur negligente della banca non sarebbe ostativa all’ammissione del suo credito o al riconoscimento della garanzia che lo assiste.[5] 
Il nesso di strumentalità si ravvisa essenzialmente nell’operazione bancaria funzionale al finanziamento dell’attività illecita, spesso imprenditoriale ed esercitata mediante lo schermo societario, o al riciclaggio di capitali acquisiti illecitamente, impiegati per la restituzione del debito[6]. 
Gli indici oggettivi più ricorrenti di detta strumentalità sono stati ravvisati dalla giurisprudenza: i) nei casi di corrispondenza temporale tra l'insorgenza del credito e l'accertata pericolosità sociale, ritenendosi che l'incrementata disponibilità di mezzi finanziari sia idonea ad agevolare, pur indirettamente, la realizzazione dell’attività illecita[7]; ii) nei casi in cui risulti che i redditi disponibili e dichiarati dal proposto nel periodo in esame non gli avrebbero consentito di restituire il finanziamento contratto con la banca, presumendosi dunque che verosimilmente stia riciclando capitali di provenienza criminosa[8]; iii) nei casi in cui risulti che l’erogazione di denaro stia sostenendo una iniziativa imprenditoriale in concreto inesistente e dissimulante attività illecita.[9]  
Quanto alla prova del requisito in esame, l’orientamento giurisprudenziale prevalente, e da preferirsi, attribuisce al giudice il compito di svolgere d’ufficio detta indagine, anziché far gravare sul creditore l’onere di dimostrare la non strumentalità dell’operazione di finanziamento all’attività illecita.[10] 
Questa soluzione, del resto, si mostra in linea anche con il c.d. principio di vicinanza della prova di matrice civilistica [11], esonerando il creditore dalla prova (gravosa, se non diabolica) di circostanze volte a negare l’impiego di denaro in un circuito criminoso, che, di regola, esulano dall’ambito della sua sfera di controllo e disponibilità, attenendo invece a quella del proposto[12].
4 . La buona fede (nozione)
In base al citato art. 52 lett. b) del Codice antimafia è il creditore che deve appunto dimostrare la propria “buona fede e l’inconsapevole affidamento”.[13] 
La dottrina ha evidenziato come possa ritenersi che il criterio della buona fede riceva una copertura costituzionale[14]. 
La Corte Costituzionale è infatti intervenuta più volte sul tema[15] per eliminare disparità di trattamento sulla previgente disciplina, o per risolvere problemi di diritto intertemporale, e ha affermato che i requisiti previsti dall’art. 52 del codice antimafia, e, in particolare, il criterio della buona fede, costituiscono un giusto bilanciamento tra a) le ragioni del creditore incolpevole a non veder improvvisamente svanire la garanzia patrimoniale su cui ha fatto affidamento nel concedere il credito e b) l’interesse pubblico ad assicurare la finalità diretta a privare il destinatario dei risultati economici dell’attività illecita. Secondo la Corte Costituzionale dunque la posizione del creditore in buona fede è da ritenere protetta dal principio di tutela dell’affidamento incolpevole che permea di sé ogni ambito dell’ordinamento giuridico.[16] 
Peraltro, la scelta legislativa di porre a carico del creditore l’onere di dimostrare la propria buona fede è stata criticata da vasta parte della dottrina che ha dubitato della effettività della tutela così apprestata ai creditori[17] e ha contrapposto a questa soluzione di matrice penalistica il principio civilistico, più favorevole per il creditore, secondo cui la buona fede si presume (ad es. art. 1147 c.c.). 
Le citate perplessità possono essere, peraltro, riconsiderate valorizzando le seguenti osservazioni. 
Anzitutto può rilevarsi che la buona fede del creditore, cui si riferisce l’art. 52 lett. b) del D.Lgs. n. 159/2011, attiene naturalmente all’ambito dei rapporti di credito che questi instaura con il proposto. 
Invero, nell’ambito della disciplina civilistica delle obbligazioni e dei contratti, la buona fede costituisce il contenuto di un vero e proprio obbligo del creditore (oltre che del debitore) che indirizza e riempie di contenuto il suo comportamento, tanto nel momento in cui si instaura il rapporto, quanto durante la sua esecuzione, ed anzi a monte, sin dalla fase delle trattative finalizzate alla stipulazione del contratto.[18] 
Con specifico riferimento al credito bancario, si pongono in questa prospettiva gli stessi parametri normativi di valutazione della buona fede, testualmente previsti dall’art. 52 terzo comma del D.Lgs. n. 159/2011, secondo cui nella valutazione della buona fede, il tribunale tiene conto delle condizioni delle parti, dei rapporti personali e patrimoniali tra le stesse e del tipo di attività  svolta dal creditore, anche con riferimento al ramo di attività, alla sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale, nonché, in caso di enti, alle dimensione degli stessi. 
Questa elencazione, da ritenersi comunque non esaustiva[19], denota infatti come lo stesso legislatore del codice antimafia si sia ispirato ad una nozione oggettiva della buona fede, come contenuto di un obbligo che va parametrato alle peculiarità concrete del rapporto tra le parti, evocando anche il paradigma della diligenza civilistica in relazione alla natura dell’attività esercitata (cfr. art. 1176, comma 2, c.c.), e richiamando testualmente anche la fase precontrattuale delle trattative. 
In linea con tale impostazione normativa, la stessa giurisprudenza, elaborata dalla Suprema Corte in sede penale, declina la buona fede come adempimento di obblighi della cui prova il creditore è onerato, e richiama la banca a un comportamento, in sede contrattuale, ispirato a un livello medio di diligenza, con ciò dimostrando sensibilità rispetto alle categorie proprie del diritto civile.[20]
5 . La buona fede del creditore bancario
La banca dovrà dimostrare di aver fatto applicazione, all’epoca dell’erogazione del credito, di un livello di diligenza media in rapporto alla propria veste di operatore qualificato.[21] 
Dall’analisi della giurisprudenza emergono in sintesi i tre seguenti ambiti normativi di riferimento. 
In primo luogo, le norme del codice civile e del testo unico bancario (D.Lgs. n. 385/1993) regolano, tra l’altro, la stipulazione dei contratti e la loro esecuzione, con particolare riferimento appunto ai principi di correttezza e buona fede, ai poteri di rappresentanza dei soggetti e alla forma dei contratti. 
In secondo luogo, le prassi bancarie, i protocolli e, più in generale, le regole di settore disciplinano l’operatività delle banche nella concessione del credito e in particolare nella valutazione del merito creditizio. 
Infine, la c.d. disciplina antiriciclaggio (D.Lgs. n. 231/2007) è diretta a far emergere il reimpiego di proventi illeciti. A tal fine, essa prevede obblighi stringenti in capo agli istituti di credito, che, correlativamente, si devono dotare di apposite strutture organizzative e di specifiche procedure di controllo, oggi per lo più automatizzate. 
La normativa antiriciclaggio, infatti,  traccia e individua precisi obblighi di adeguata verifica della clientela, disciplina il rilevamento di anomalie o la  segnalazione di operazioni sospette, dispone indagini pregnanti sull’effettiva intestazione dei rapporti, sull’oggetto dell’attività esercitata dal cliente e sulle risultanze di bilancio, secondo procedure interne dirette a rilevare il rischio di riciclaggio,  che impongono alle banche, in mancanza di adeguate informazioni,  anche di astenersi dal compiere l’operazione finanziaria[22]. 
Come sopra esposto, eventuali negligenze o inadeguatezze nei controlli non rileveranno di per se stesse, ma in quanto abbiano determinato la mancata verifica del nesso di strumentalità del credito concesso rispetto all'attività illecita. [23] 
Così delineati i principali tratti del requisito della buona fede, a parere di scrive, non sembra di potersi ravvisare, nel regime in esame, un ingiustificato appesantimento della posizione delle banche, essendo queste ultime già chiamate a rispettare, come sopra emerso, detta complessità di obblighi, sotto molteplici profili. 
Paradigmatica, in tal senso, anche la configurazione della responsabilità civile della banca per concessione abusiva del credito, come si va delineando nella recente giurisprudenza di legittimità.[24] 
La Suprema Corte, infatti, si sofferma sulle violazioni che possono generare responsabilità risarcitoria in capo alla banca, richiamando, in sintesi, il medesimo  complesso di norme sopra enucleate; precisa infatti  come i principi generali di buona fede e correttezza in sede contrattuale o precontrattuale e l’articolata disciplina primaria e secondaria di settore costituiscano fonti di specifici obblighi per le banche; insiste nel rimarcare l’obbligo della banca di indirizzare il proprio agire procedendo secondo standard di conoscenze e di capacità, alla stregua della diligenza esigibile da parte dell’operatore professionale qualificato e ciò sin dall’obbligo ex ante di dotarsi di metodi, procedure e competenze necessarie alla verifica del merito creditizio.[25] 
Ricostruita dunque la buona fede come contenuto di un obbligo che fa capo (anche) al creditore, pare altrettanto pertinente e lineare richiamare, quanto alla distribuzione dell’onere della relativa prova, il consolidato principio civilistico, consacrato anche dalla Suprema Corte a sezioni unite, secondo cui in materia di rapporti obbligatori è la parte gravata dall’obbligo a doverne dimostrare l’esatto esatto adempimento.[26] 
Può dunque concludersi che la previsione di cui all’art. 52 lett. b) del D.Lgs. n.159/2011 in commento non si ponga in contrasto, quanto piuttosto in conformità e in linea con i principi di diritto civile in materia di obbligazioni e contratti, mentre non verrebbe in rilievo il principio di cui all’art. 1147, comma 3, c.c. di presunzione della buona fede, operante nel diverso ambito della disciplina del possesso e dei diritti reali.
6 . Casistica giurisprudenziale
Un sintetico richiamo alle fattispecie più frequenti sottoposte al vaglio della Suprema Corte, nell’ambito del controllo di legittimità sui decreti adottati dai tribunali della prevenzione in materia, consente di riscontrare l’adesione della Cassazione penale ai principi civilistici, esaminati secondo le direttrici esposte nei paragrafi che precedono. 
In tema di nozione di buona fede, la Suprema Corte precisa la necessità di considerare la condotta della banca secondo uno standard valutato ex ante e parametrato in concreto alle circostanze della contrattazione[27], inteso come applicazione in sede contrattuale di un livello medio di diligenza[28] da apprezzarsi con riferimento al momento dell’affidamento ovvero a quello dell’eventuale rinnovo, ampliamento o rimodulazione delle linee di credito.[29] 
Inoltre, la Suprema Corte indugia sulla necessità, ai fini della prova della buona fede, che la banca dimostri di aver adempiuto agli obblighi di una corretta valutazione del merito creditizio, e a quelli imposti dalla normativa antiriciclaggio, con riferimento alla posizione tanto dell’obbligato principale, quanto del fideiussore[30]. 
 Precisa pertanto che la banca deve provare: 
a) di aver svolto una adeguata istruttoria secondo le prassi e i protocolli di settore[31]; 
 b) di aver seguito le procedure interne, producendo in giudizio, ora le delibere con cui i propri organi hanno deciso l’erogazione del credito,[32] ora le perizie di stima del bene su cui è stata iscritta ipoteca[33]; 
 c) di aver diligentemente esaminato la solvibilità del soggetto beneficiario, sia esso persona fisica o società, mediante una corretta analisi delle dichiarazioni dei redditi e dei bilanci,[34] ma sempreché eventuali anomalie siano già emerse all’epoca dell’apertura di credito;[35] 
d) di aver verificato, secondo gli obblighi imposti dalle politiche di prestito e di controllo dei relativi rischi, che l’importo erogato non sia manifestamente eccessivo rispetto alla base reddituale del beneficiario;[36] 
 e) di aver rispettato la disciplina di settore in materia di trasparenza delle operazioni e la rispondenza alla disciplina antiriciclaggio;[37] 
f) di aver svolto adeguata istruttoria sulla qualità e personalità del beneficiario, coinvolto in indagini penali per reati associativi e colpito da provvedimenti restrittivi della libertà personale.[38] 
Su quest’ultimo aspetto -  concernente la personalità del debitore -  la Suprema Corte ha peraltro calibrato la rilevanza degli elementi sub f) circoscrivendo l’indagine alle conoscenze esigibili dalla banca, precisando che non può porsi a carico all’istituto, che non dispone di banche dati della polizia giudiziaria, effettuare penetranti indagini quanto alle pendenze penali[39], o ancora che non può gravarsi la banca dell’onere di interpretare le motivazioni di atti giudiziari, soprattutto se costituiti da sentenze di assoluzione, al fine di estrapolarne ragioni di sospetto, o di dare rilevanza a notizie giornalistiche genericamente fondate su mere ipotesi investigative[40], o a condanne per qualunque reato o ad una risalente applicazione di una misura di prevenzione, dovendosi al contrario valorizzare, quale indice di buona fede della banca, l’esistenza risalente al momento dell’erogazione del finanziamento di un complesso di rapporti creditizi connotato dalla regolarità della condotta contrattuale della parte affidataria e dal costante ampliamento dell’affidamento in presenza di un effettivo progetto imprenditoriale.[41] 
In tal modo, la Suprema Corte, infatti, censura, sotto il profilo di un vizio del percorso motivazionale, provvedimenti del tribunale della prevenzione che rigettano l’istanza di ammissione di crediti, basandosi su un generico richiamo agli obblighi normativi di istruttoria e di informazione delle banche, sganciato dalla concreta conoscibilità di singole informazioni o dal grado di esigibilità dei controlli secondo i criteri di una buona tecnica bancaria; e  segnala altresì, espressamente, il rischio che dette soluzioni restrittive  possano pregiudicare la stessa funzione economico-sociale che istituzionalmente compete alle banche.[42]
7 . Conclusioni
Così ricondotta la buona fede all’alveo della disciplina del rapporto obbligatorio e, in chiave oggettiva, come contenuto di ulteriori specifici obblighi che dal medesimo ne scaturiscono di volta in volta e in concreto, e tenuto conto altresì delle prudenti ed equilibrate applicazioni che ne offre la Suprema Corte, non si condivide la censura svolta da alcuni interpreti[43], secondo cui la norma in esame graverebbe il creditore di una prova diabolica. 
Al contrario, detto requisito, nella sua nozione anche giurisprudenziale, concretizza il citato giusto bilanciamento tra gli interessi pubblicistici e le ragioni dei creditori. 
Con particolare riferimento al ceto bancario, pare inoltre congruo esigere che, in quanto operatore qualificato ed esperto, sia in grado di rappresentarsi preventivamente - e dunque di ponderare adeguatamente -  le conseguenze derivanti dalla violazione dei propri specifici obblighi, previsti a vario titolo dall’ordinamento, compreso il rischio di non ottenere la restituzione di finanziamenti erogati a soggetti colpiti da confisca penale di prevenzione, sempreché, beninteso, dette violazioni abbiano impedito la verifica del nesso di strumentalità del credito così concesso rispetto all’attività illecita del soggetto pericoloso. 
Maggiori perplessità suscita invece, senz’altro, la scelta legislativa di limitare, ex art.53 codice antimafia, il soddisfacimento del creditore di buona fede, sia esso chirografario o munito di garanzia reale, entro il 60% del valore di stima del bene confiscato o del minor valore del ricavato della vendita, al netto delle spese di gestione e amministrazione della procedura. 
Detta scelta[44], giuridicamente fondata sulla natura originaria dell’acquisto del bene -  libero da oneri e pesi - da parte dello Stato (art. 45 Cod. antimafia), rappresenta infatti una forte deroga al principio della garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c., su cui il creditore ha fatto legittimamente affidamento, e costituisce il vero indice di primazia dell’interesse pubblicistico a che le ricchezze accumulate illecitamente vengano apprese allo Stato a discapito delle ragioni del singolo creditore, attraverso  un meccanismo lato sensu espropriativo, mediante la citata decurtazione percentuale  dell’attivo. 
Ciò risulta tanto più iniquo, essendo risultato il creditore non solo estraneo al circuito criminale, ma anche adempiente ai propri obblighi contrattuali e istituzionali, e, ulteriormente, in grado di darne adeguata prova nel giudizio di accertamento. 
Si condivide dunque l’opinione di chi ha ravvisato[45], in questa scelta legislativa, un eccessivo sacrificio imposto al creditore; una sorta di costo economico cui egli viene esposto unicamente perché, pur adempiente e incolpevole, risulti aver contrattato con un soggetto poi destinatario di una misura ablatoria, e con l’ulteriore rischio di possibili ricadute negative o distorsive, anche di sistema, sulle politiche di erogazione del credito adottate dalle banche.

Note:

[1] 
Cfr.  A. Cardino, Sequestri, confische ed espropriazione forzata, in Processo di esecuzione. Profili sostanziali e processuali, a cura di A. Cardino e S. Romeo, Milano, 2018 p. 1508; E. Guardigli, Le misure preventive patrimoniali antimafia al cospetto dei diritti vantati dai terzi di buona fede, in Corriere Giuridico, 2016, 1, p.32;  S. M. Livi, La tutela dei terzi nel codice antimafia, in Lo statuto ancora incerto della confisca, a cura di Elvira Nadia La Rocca, Milano, 2022, p.237; S. Mazzamuto, La tutela dei terzi di buona fede nella confisca antimafia: le ultime novità legislative e giurisprudenziali, in Juscivile.it, 2013,7, p. 408; F. Menditto, La tutela dei terzi e i rapporti con le procedure concorsuali, in Commentario breve al codice antimafia e alle altre procedure di prevenzione, a cura di G. Spangher – A. Marandola, Padova, 2019, p. 296; M. Orlando, Provvedimenti ablativi di natura penale e processi esecutivi individuali o concorsuali: esigenze di tutela dei terzi, in Cass. pen., 2012, 12, p.4331B; A. Palazzolo, I contratti pendenti nel Codice Antimafia: il difficile equilibrio tra esigenze di continuità aziendale e tutela dei terzi, in Giurisprudenza commerciale, 2023, 4, p. 660; F. Tizi, Interrelazioni e criticità tra misure patrimoniali penali e processo esecutivo, in Esecuzione forzata, 2023, p.6. 
[2] 
Cfr., per l’analisi della stratificazione delle modifiche all’art. 104 bis disp. att. c.p.p. e dei diversi regimi normativi che ne sono derivati, G. Varraso, Esecuzione del sequestro preventivo, amministrazione giudiziaria dei beni e tutela dei terzi. Una riforma “senza fine” dell’art. 104 bis disp. att. c.p.p., in Diritto penale e processo, 2019, 10, p. 1350.
[3] 
Il carattere pubblicistico connota il procedimento di verifica dello stato passivo: l’art. 59 cod. antimafia prevede la partecipazione (facoltativa) del pubblico ministero, particolarmente utile per fornire al giudice elementi fattuali da cui desumere la strumentalità del credito o il difetto di buona fede del creditore, e attribuisce ampi poteri officiosi al giudice delegato, consentendo a quest’ultimo di assumere anche d’ufficio le opportune informazioni. Cfr., su questo punto, da ultimo, Cass. Pen. n. 56099/2023, che, in motivazione, si sofferma diffusamente sulle connotazioni pubblicistiche del procedimento, ribadendo la rilevabilità d’ufficio anche della prescrizione presuntiva del credito, tipica eccezione in senso stretto nel processo civile, rimessa all’esclusiva iniziativa di parte, e parallelamente al curatore in sede di liquidazione giudiziale (art. 203 CCII).
[4] 
Cfr., per tutte, Cass. Pen. n. 12772/2020; 46711/2016.  
[5] 
Cfr. Cass. Pen. n. 12510/2022; 36690/2015. 
[6] 
 Cfr. Cass. Pen. n.30563/2022.
[7] 
Così, Cass. Pen. n. 1869/2021 Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione del giudice di merito di escludere dallo stato passivo, formato nel corso del procedimento di prevenzione, l'istituto bancario che aveva erogato, nel periodo in cui si era già manifestata la pericolosità sociale del proposto, un mutuo ipotecario, ritenuto espediente utile per reimmettere nel circuito legale, attraverso il pagamento delle rate, il danaro di provenienza illecita e assicurare, al contempo, al mutuatario l'acquisto di beni apparentemente "puliti", in quanto formalmente pagati con denaro proveniente dalla banca.
[8] 
Cfr. Cass. pen. n. 7136/2015. 
[9] 
Cfr. Cass. pen. n. 25505/2017. 
[10] 
Cfr. per una disamina dell’evoluzione della giurisprudenza Cass. Pen. n. 30563/22; conforme Cass. Pen. n. 55715/2017, secondo cui in materia di misure di prevenzione patrimoniali, per escludere l'ammissione allo stato passivo di un credito sorto anteriormente al sequestro, il tribunale è tenuto a fornire analitica dimostrazione che il credito è strumentale all'attività illecita del soggetto pericoloso o a quelle che ne costituiscono il frutto o il reimpiego…(In applicazione di tale principio, la Corte ha annullato il provvedimento di rigetto dell'opposizione allo stato passivo che aveva negato l'iscrizione del credito derivante da un contratto di mutuo ipotecario vantato da un istituto bancario, ritenendone non provata la buona fede … senza alcuna valutazione in ordine al nesso di strumentalità del credito); negli stessi termini Cass. Pen. n. 31886/2017, Cass. Pen. n. 39157/17.  
[11] 
La vicinanza riguarda appunto la possibilità di conoscere in via diretta o indiretta il fatto, cfr. Cass. Civ. n. 12910/2022.
[12] 
Fermo restando che il creditore, caso per caso, potrà essere in grado di fornire elementi contrari rispetto alla ricostruzione offerta dal p.m. o desumibile dal fascicolo della misura di prevenzione in ordine alla sussistenza del nesso di strumentalità, e deve essere ammesso a alla prova contraria, cfr. sul punto Cass. Pen. n. 17968/2019 che ha annullato per carenza di motivazione il provvedimento di rigetto dell'opposizione, assunto dal tribunale senza valutare le allegazioni e le prove fornite dal terzo creditore per escludere il nesso in oggetto.
[13] 
Secondo un’interpretazione ormai consolidata della Suprema Corte la buona fede va intesa come affidamento incolpevole, dovendosi considerare i due termini come un’endiadi, così Cass. n.33582/2022; n. 7694/2016; n. 38821/2017.
[14] 
Cfr. M. Bontempelli, Confisca di prevenzione e tutela costituzionale dei terzi in buona fede, in Fallimento, 2019, 12, p. 1453.
[15] 
Cfr. Corte Cost. 28 maggio 2015 n. 94 e Corte Cost. 27 febbraio 2019 n. 26.
[16] 
Così Corte Cost. n. 26/2019 cit.
[17] 
Cfr. gli autori citati alla nota 1, nonché G. Mazza, La Corte Costituzionale dichiara illegittime le limitazioni alle categorie dei terzi che vantano crediti sui beni confiscati, in Dir. Pen. e Processo, 2020,1, p.77; L. Panzani e S. Carosso, La tutela dei creditori nella legislazione antimafia e nella disciplina del sequestro e confisca alla luce del codice della crisi e della riforma Cartabia, in DirittodellaCrisi.it, 6 febbraio 2023; S. Leuzzi, I rapporti fra misure ablatorie penali e liquidazione giudiziale nel CCII, in Il Fall., 2019, 12, p. 1440.
[18] 
Cfr. gli artt. 1337, 1175, 1375, 1358, 1366 c.c. 
[19] 
Cfr. Cass. Pen. n. 12772/2020: in materia di misure di prevenzione patrimoniale, ai fini dell'ammissione allo stato passivo del terzo creditore, i parametri previsti dall'art. 52, comma 3, d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, per l'accertamento della buona fede non sono né esclusivi né vincolanti ed il giudice può prenderne in considerazione altri non espressamente previsti dal legislatore e anche disattendere quelli indicati dalla norma, purché in tal caso fornisca adeguata motivazione.
[20] 
In una recentissima sentenza la Suprema Corte sancisce appunto che il terzo deve allegare elementi idonei a rappresentare la propria buona fede e l’affidamento incolpevole, inteso come applicazione, in sede contrattuale, di un livello di media diligenza (cfr. Cass. n. 7240/2023).
[21] 
Cfr. Cass. n. 23115/2019. 
[22] 
La rilevanza di detta disciplina si desume dallo stesso codice antimafia che al comma 3 bis dell’art. 52 prevede la comunicazione alla Banca d’Italia del decreto con cui sia stata rigettata definitivamente la domanda di ammissione del credito, in ragione del mancato riconoscimento della buona fede nella concessione del credito. 
[23] 
Cfr. Cass. Pen. n. 12772/2020. 
[24] 
Cfr. Cass. civ. n. 18610/2021. 
[25] 
Cfr. Cass. n.18610/21 cit. in motivaz. 
[26] 
Cfr. Cass. S.U. civ. n. 13533/2001 e successive conformi. 
[27] 
Cfr. Cass. Pen. n. 24670/2018. 
[28] 
Cfr. Cass. Pen. n. 7240/2023. 
[29] 
Cfr. Cass. Pen. n. 41016/2018. 
[30] 
Cfr. Cass. Pen. n.29111/2022. 
[31] 
Cfr. Cass. Pen. n. 36690/2016. 
[32] 
Cfr. Cass. Pen. n. 7879/2020. 
[33] 
Cfr. Cass. Pen. n., 2894/2015. 
[34] 
Cfr. Cass. Pen. n. 41016/2018. 
[35] 
Cfr. Cass. Pen. n. 51073/2015.
[36] 
Cfr. Cass. Pen. n. 50018/2015. 
[37] 
Cfr. Cass. Pen. n. 24670/2018. 
[38] 
Cfr. Cass. Pen. n. 44515/2012.
[39] 
Cfr. Cass. Pen. n.15076/2018. 
[40] 
Cfr. Cass. Pen. n. 31025/2018.
[41] 
Cfr. Cass. Pen. n. 26356/2016. 
[42] 
Cfr. Cass. Pen. 15706/2018. 
[43] 
Cfr. nota 17. 
[44] 
Per una ricostruzione dell’introduzione di questo regime e della sua ratio cfr. A. Aiello, Spunti di riflessione in ordine alla tutela dei terzi nel c.d. codice antimafia, cit. p.9.
[45] 
Cfr., per tutti, E. Guardigli, Le misure preventive patrimoniali antimafia al cospetto dei diritti vantati dai terzi di buona fede, S. Leuzzi, I rapporti fra misure ablatorie penali e liquidazione giudiziale nel CCII, cit.

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