Loading…

Il trattamento dei crediti fiscali contestati nel concordato preventivo

Giulio Andreani, Dottore commercialista e consulente fiscale in Milano

12 Gennaio 2022

L’Autore si sofferma sugli aspetti operativi e problematici del trattamento crediti tributari nell’ambito delle procedure di concordato preventivo.
Riproduzione riservata
1 . Il trattamento dei crediti contestati nella legge fallimentare
Nel titolo III della legge fallimentare, dedicato alla disciplina del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, non si rinvengono disposizioni relative alla iscrizione nel piano concordatario di crediti fiscali contestati, fatto salvo quanto stabilito dall’art. 180 l.fall. e dall’art. 176 l. fall., a norma dei quali il giudice delegato può ammettere provvisoriamente, in tutto o in parte, i crediti contestati ai soli fini del voto e del calcolo delle maggioranze, senza che ciò pregiudichi le pronunce definitive sulla sussistenza dei crediti stessi. Tuttavia, anche qualora la proposta di concordato non preveda l’inserimento del credito contestato nell’elenco dei creditori ai fini del voto, il giudice delegato può disporre tale inserimento in via provvisoria. 
La natura “precaria” dei provvedimenti adottati dal giudice delegato ai fini dell’ammissione al voto è stata rimarcata dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 30456 del 21 novembre 2019, che ha testualmente affermato quanto segue: “Nell’ambito della procedura concordataria, a differenza di quanto avviene in altre procedure concorsuali, la verifica dei crediti non è funzionale alla selezione delle posizioni concorrenti ai fini della partecipazione al riparto dell’attivo, ma, ben diversamente, alla mera individuazione dei crediti aventi diritto al voto e da tenere in conto ai fini del calcolo delle maggioranze, come rende palese il disposto della L. Fall., art. 176”. I giudici di legittimità hanno perciò rilevato che le statuizioni adottate dal Tribunale al riguardo possono (anche) essere superate da una diversa decisione dello stesso in sede di omologa, dovendosi escludere che l’ammissione del credito contestato ai fini delle operazioni di voto segni il termine ultimo per ogni ulteriore statuizione in merito; ciò perché “l’assetto normativo dell’istituto caratterizza espressamente tale disposizione come provvisoria e chiama il Tribunale - al pari del giudice dell’impugnazione sulla decisione di quest’ultimo - a rinnovare la verifica ai fini del controllo del regolare sviluppo dell’iter procedurale. L’attività demandata al giudice delegato alla procedura rispetto all’ammissione al voto si risolve quindi in un mero accertamento ricognitivo, in senso favorevole o sfavorevole, privo di incidenza su diritti soggettivi, precario e prodromico all’ulteriore sviluppo della procedura, nel corso della quale la parte eventualmente pregiudicata (sia essa il creditore escluso o il debitore che abbia visto disattese le proprie contestazioni sull'ammissione al voto del creditore) potrà far valere le proprie doglianze in merito alla decisione che ha segnato in maniera rilevante le sorti del concordato (il primo tramite l’opposizione, se il suo voto ha assunto rilievo ai fini dell’omologa, il secondo tramite le impugnazioni esperibili avverso la statuizione assunta a conclusione del giudizio)”[1].
Il creditore che voglia far valere le proprie pretese per importi diversi da quelli (in tutto o in parte) riconosciuti dal debitore può dunque far accertare in via ordinaria, nei confronti di quest’ultimo, il proprio credito e il privilegio che lo assiste, indipendentemente dall’ammissione o meno al voto con riguardo al credito oggetto di contestazione. In particolare, ove il potere di determinare l’an ed il quantum del credito sia rimesso al giudice tributario, anche agli effetti del concordato preventivo assume rilevanza unicamente la determinazione devoluta a quella sede (cfr. Cass., 13 giugno 2018, n. 15414).
Posto che i “crediti contestati” non sono soltanto quelli la cui sussistenza, entità o rango siano stati messi in discussione dal creditore nella proposta, in corso dell’adunanza o in sede di omologazione, ma anche quelli - come nel caso che qui ci occupa - che sono oggetto di separati giudizi di cognizione, l’esito della procedura di concordato preventivo risulta inevitabilmente incerto in presenza di crediti contestati di importo potenzialmente “decisivo”, ovverosia di ammontare tale da condizionare, in caso di definitiva conferma della loro sussistenza, il soddisfacimento dei creditori chirografari e la stessa attuabilità della proposta concordataria.
Occorre inoltre considerare che il giudizio di accertamento di un credito tributario contestato richiede tempi di gran lunga più ampi di quelli corrispondenti alla procedura di concordato preventivo. Ne discende che, nella maggior parte dei casi, il concordato è destinato a essere omologato senza che, alla data della sua omologa, sia intervenuta una sentenza passata in giudicato che statuisca in modo incontrovertibile l’entità, la natura e il grado di privilegio del credito oggetto di contestazione: tale situazione non condiziona più di tanto l’esito della procedura se l’ammontare dei crediti contestati è modesto, ma lo rende assai più incerto nel caso opposto.
Per altro verso l’art. 180, comma 6, l. fall. stabilisce che “Le somme spettanti ai creditori contestati, condizionali o irreperibili sono depositate nei modi stabiliti dal tribunale, che fissa altresì le condizioni e le modalità per lo svincolo”, così imponendo al Tribunale una valutazione ulteriore (rispetto a quella concernente l’ammissione al voto) relativa alla fase di esecuzione della sentenza di omologa del concordato, al precipuo scopo di tutelare gli interessi dei creditori titolari dei crediti contestati. Le disposizioni di tale norma sono integrate, per quanto attiene ai debiti tributari, dall’art. 90, comma 2, del D.P.R. n. 602/1973, a norma del quale, “Se sulle somme iscritte a ruolo sorgono contestazioni, il credito è comunque inserito in via provvisoria nell’elenco ai fini previsti agli articoli 176, primo comma, e 181, terzo comma, primo periodo (ora art. 180, comma 6, N.d.A.) del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267”.
Così stando le cose, le decisioni da adottare in presenza di un contenzioso tributario pendente al momento della presentazione della proposta concordataria richiedono l’analisi di molteplici profili, quali:
a) la sussistenza o meno dell’obbligo di inserire il credito contestato nel piano concordatario e i criteri di stima del relativo ammontare;
b) l’attestazione del piano di concordato in presenza di un contenzioso pendente “rilevante”;
c) la valutazione di fattibilità del piano di concordato da parte del Tribunale in presenza di un contenzioso pendente il cui importo sia “rilevante”;
d) la funzione di “cauzione” dell’accantonamento imposto dall’art. 180, comma 6, l.fall.;
e) la disciplina dell’accantonamento per i crediti fiscali in contenzioso alla luce dell’articolo 90 del D. P.R. n. 602/1973.
2 . Sull’obbligo di inserire il credito contestato nel piano concordatario e sui criteri di stima del relativo ammontare
Nella disciplina del fallimento trovano largo spazio le disposizioni che indicano l’ammontare, le modalità o le regole applicative dell’accantonamento di somme contestate. Infatti, gli articoli 113 e 117 l. fall., rispettivamente in sede di riparto parziale e finale, prevedono obbligatoriamente un accantonamento generico pari ad almeno il 20% delle somme da ripartire, da destinarsi al pagamento di spese future, e un accantonamento specifico delle quote assegnate a ciascun creditore il cui titolo sia ancora incerto.
Diversamente è a dirsi per il concordato preventivo con riguardo al quale le testé citate disposizioni non si ritengono applicabili in via analogica, come statuito da recente giurisprudenza di merito[2], la quale ha rimarcato che “non esiste un obbligo di disporre un accantonamento ai sensi degli articoli 113 ultimo comma e 117 comma 3 l. fall. nel riparto finale di un concordato [omissis]”[3].
Sul tema si è altresì espressa (seppur in termini generali) la Corte di Cassazione con la sentenza 26 luglio 2012, n. 13284, ove l’ipotesi di escludere a priori dalla procedura “i creditori presunti” è stata giudicata “priva di qualunque consistenza, non solo perché pregiudica gli interessi di coloro che non dispongono ancora dell’accertamento definitivo dei loro diritti, ma perché falsa le previsioni del piano di soddisfo dei crediti certi e non consente agli ammessi al voto di esprimere, valutazioni prognostiche corrette, in difetto della conoscenza dell’area completa delle passività, comprese quelle sub iudice, in ordine alle quali, in luogo di essere ignorata, la classe avrebbe dovuto essere predisposta, con l’analisi e la prospettazione delle eventualità di successo delle contestazioni e la indicazione della misura del soddisfo e lasciata così al voto dell’adunanza dei creditori”.
Con la suddetta pronuncia, dunque, i giudici di legittimità non hanno imposto al debitore di prevedere necessariamente la soddisfazione dei crediti contestati, ma di tenerne conto nella domanda, al fine di fornire una corretta e preventiva informazione al ceto creditorio “certo” circa la complessiva esposizione debitoria e con riguardo alla possibile ricaduta dell’esito sfavorevole del contenzioso sul trattamento riservato ai crediti privilegiati e chirografari, nonché per consentirgli di esprimere valutazioni prognostiche corrette e di atteggiarsi in modo pienamente informato circa il proprio voto (si vedano anche Cass. 13 giugno 2018, n. 15414; Cass. 7 marzo 2017, n. 5689; Cass. 26 luglio 2012, n. 13284). I crediti in contenzioso, giudicati dal debitore come probabilmente dovuti nell’ambito di tale valutazione, devono necessariamente trovare copertura nell’attivo concordatario. 
Il debitore deve dunque innanzitutto informare il ceto creditorio della esistenza di crediti contestati, partendo dall’ammontare complessivo della pretesa creditoria, esprimendo il proprio giudizio circa la (totale o parziale) infondatezza della stessa e, infine, inserendo nel piano concordatario un apposito “fondo rischi” con riferimento alla quota di tale pretesa suscettibile di presumibile accoglimento da parte del giudice competente, con indicazione – in caso di suddivisione in classi – della classe omogenea rispetto al credito contestato oppure creandone una ad hoc (si veda in tal senso la citata sentenza n. 13284/2012). All’atto della definitiva conclusione del giudizio, “la quantificazione dell’importo originariamente dovuto, contenuto nella sentenza che lo conclude, costituisce la base su cui deve operarsi la c.d. falcidia concordataria” (così Cass. 22 dicembre 2006, n. 27489). 
L’eventuale decisione di inserire nel piano concordatario un apposito fondo rischi richiede dunque una stima relativa all’an e al quantum debeatur da parte del debitore, analoga a quella che questi è ordinariamente tenuto a effettuare in sede di redazione del bilancio d’esercizio[4], ovverosia in base ai criteri sanciti dall’OIC 31 con riferimento al trattamento delle passività potenziali, che - si rammenta - prescrivono l’obbligo di stanziare un fondo con riferimento ai rischi il cui concreto avverarsi sia giudicato probabile (e non solo possibile e tanto meno remoto) e a condizione che l’onere da essi discendente sia misurabile.
In virtù della sua peculiare finalità, la stima deve tenere altresì conto dei: 
(i) principi regolanti gli obblighi informativi in tema di concordato;
(ii) principi di attestazione a cui il professionista attestatore si deve uniformare e ai quali il debitore si deve conseguentemente attenere. 
Con riferimento al punto sub (i), in dottrina è stato infatti rilevato che la stima e la informativa concernente il fondo rischi deve riflettere le diverse finalità (rispetto al bilancio d’esercizio) della relazione ex articolo 161, comma 2, lett. a), l. fall., la quale ha la funzione di illustrare quali sono le possibilità di soddisfazione a prescindere dall’attuazione del piano. Pertanto, la stessa deve illustrare tutti gli elementi che possono incidere su tale soddisfacimento, con la conseguenza che, per quanto difficilmente determinabili, essa dovrà contenere anche la stima degli effetti economici di passività potenziali seppur remote.
Con riferimento al punto sub (ii), l’attestatore è tenuto alla verifica della quantificazione operata nel ricorso, con particolare riguardo anche alla stima degli interessi e delle sanzioni, nonché all’eventuale previsione circa l’esito dei contenziosi in essere. In particolare, i Principi di attestazione dei piani di risanamento approvati con delibera del CNDCEC del 16 dicembre 2020 statuiscono che “compito dell’attestatore sarà, pertanto, verificare che il debitore abbia dato evidenza nella proposta dell’esistenza di crediti oggetto di contestazione e che abbia previsto le modalità del relativo soddisfacimento nel caso e nella misura in cui gli stessi risultassero dovuti tramite la costituzione di adeguati fondi rischi (di importo pari alla percentuale di soddisfacimento del credito contestato offerta nella proposta di concordato), tenendo altresì conto dell’importo dell’eventuale quota privilegiata degradata a chirografaria”.
3 . L’attestazione di un piano concordatario in presenza di un contenzioso pendente “rilevante”
Facendo concreta applicazione del principio sopra riportato, l’attestatore deve invero verificare che il debitore abbia dato evidenza nella proposta dell’esistenza di crediti oggetto di contestazione e abbia previsto le modalità del relativo soddisfacimento nel caso e nella misura in cui gli stessi risultassero dovuti tramite la costituzione di adeguati fondi rischi.
Anche in questo contesto, dunque, si tratta di un complesso esercizio di valutazione della bontà delle pretese creditorie (anche sulla base di pareri rilasciati da esperti), finalizzato a verificare la correttezza dell’appostamento del fondo rischi da parte del debitore. Non si può ovviamente escludere che l’attestatore, qualora non ravvisi adeguate tutele per il creditore contestato, sollevi eccezioni a riguardo. 
4 . La valutazione di fattibilità del piano di concordato da parte del Tribunale in presenza di un contenzioso pendente “rilevante”
I criteri che guidano il giudizio di fattibilità del piano da parte del Tribunale, ai fini dell’ammissione o meno alla procedura, sono sostanzialmente i medesimi che governano la stima operata dal debitore e dall’attestatore, ancorché sviluppati nella prospettiva e secondo l’apprezzamento del Tribunale. Come correttamente rilevato in dottrina, in occasione della valutazione della capacità dell’attivo disponibile a soddisfare il passivo concordatario “la ‘fattibilità’ e lo scrutinio dell’incidenza dei contenziosi sulla stessa sono questioni che si pongono, infatti, in una fase anteriore a quella del decreto di omologazione del concordato che deve disporre in merito ai modi di deposito delle somme spettanti ai creditori contestati”; del resto, se si è giunti alla fase di omologazione, è proprio “perché il tribunale avrà scrutinato a monte, favorevolmente, l’esistenza di tutte le condizioni di regolarità della procedura, tra le quali quella dell’incidenza dei contenziosi pendenti sulla ‘fattibilità’ del piano, e ciò sulla base proprio di quel potere di valutazione sommaria incidentale di cui si parla nell’ordinanza; valutazione che ben potrà sovvertire, purché adeguatamente motivata, l’opinione dell’attestatore al riguardo”[5].
Ai crediti in contenzioso giudicati dal Tribunale come presumibilmente dovuti occorre necessariamente fornire copertura, attraverso lo stanziamento di un fondo rischi di ammontare congruo, indipendentemente dall’ammontare originario della pretesa creditoria. Il giudizio in ordine agli effetti generati - sul trattamento dei crediti – da un’eventuale conclusione sfavorevole del contenzioso, rispetto alle valutazioni operate dal debitore, attiene alla cosiddetta “fattibilità economica” del concordato preventivo, risolvendosi in una prognosi circa la possibilità di realizzazione della proposta nei termini ivi prospettati “rimessa alla valutazione dei creditori quali diretti interessati, una volta assicurata la corretta trasmissione dei dati ed acquisite le indicazioni del commissario giudiziale, nell’esercizio delle funzioni di controllo e di consulenza da lui svolte nella veste di ausiliario del giudice” (così Cass., SS.UU., 23 gennaio 2013, n. 1521). 
La fattibilità del concordato, dunque, risulta in astratto compatibile anche con lo stanziamento di un fondo rischi inferiore al petitum oggetto di contenzioso, laddove il Tribunale giudichi prudenti e ragionevoli i criteri adottati nella determinazione del relativo ammontare, in forza dei poteri istruttori attribuitigli dal citato articolo 176 l.fall..
5 . La funzione di “cauzione” dell’accantonamento
La proposta di concordato, una volta che sia stata votata favorevolmente dai creditori ed omologata, deve essere eseguita; ogni interesse soggettivo, anche quello a vedere eventualmente accertato un proprio diritto di credito, è sacrificato all’esigenza della speditezza del concordato e del pronto adempimento della proposta approvata dai creditori. Come sancito da puntuale giurisprudenza di merito[6] “nessuna norma, infatti, vincola gli organi della procedura concordataria a sospendere l’adempimento della proposta approvata e omologata in attesa di un’eventuale riconoscimento di un credito disconosciuto”. 
Si è tuttavia riferito che, ai sensi dell’art. 180, comma 6, l. fall., “Le somme spettanti ai creditori contestati, condizionali o irreperibili sono depositate nei modi stabiliti dal tribunale, che fissa altresì le condizioni e le modalità per lo svincolo”.
Attraverso la previsione contenuta nel citato art. 180 agli organi del concordato è assegnato il potere di assicurare che gli altri creditori abbiano piena ed adeguata informazione dell’esistenza del debito in contestazione e degli elementi che caratterizzano il contenzioso, affinché essi possano consapevolmente decidere se respingere la proposta avanzata dal debitore. Il rischio economico che il debitore resti soccombente nel giudizio, non può essere, come rilevato da attenta dottrina[7], per “prudenza” trasformato in un dovere di pagamento dal giudice del concordato. D’altro canto, però, il debitore non potrà “impiegare o destinare in modo imprudente somme della debitrice in concordato sino a che il predetto accertamento non abbia a consolidarsi (anche ove raggiunto in via convenzionale o transattiva)”[8]. 
L’accantonamento di cui all’articolo 180 l.fall., considerati i rilievi sopra esposti in tema di fattibilità, svolge così una funzione di “cauzione” rapportata all’ammontare oggetto di deposito. Infatti, una volta determinato l’importo da accantonare e da depositato secondo i dettami del Tribunale, lo stesso sarà oggetto di liberazione qualora si giunga ad una pronuncia definitiva in relazione ai contenziosi pendenti. 
Viceversa, qualora, in esito alla pronuncia definitiva, l’ammontare accantonato non si rivelasse sufficiente, ciò potrebbe dar luogo ad ipotesi, successive all’omologa, di risoluzione del concordato. Infatti, appostando una somma inferiore alle pretese creditorie, il debitore si espone al rischio, condiviso con i creditori nell’ambito della procedura, che, in caso di soccombenza nel giudizio di contestazione del credito, il creditore vittorioso possa agire anche per la risoluzione del concordato omologato o presentare istanza di fallimento.
Per quanto concerne i criteri da seguire, ai sensi dell’art. 180, comma 6, nella quantificazione degli accantonamenti da disporre in sede di omologazione, appare utile riportare quanto testualmente affermato dalla Cassazione con la più volte citata sentenza n. 15414/2018: “il tribunale, nell’omologare il concordato, ha il potere di disporre e di quantificare gli accantonamenti, ma anche di non prescriverli, ove reputi, all’esito di una valutazione di natura incidentale, che il credito o i crediti contestati non siano esistenti: e che, ove si reputasse, al contrario, la necessità di disporre sempre e comunque l’accantonamento, le conseguenze sarebbero inaccettabili, poiché qualunque pretesa di un qualsivoglia soggetto, anche la più sconclusionata, potrebbe paralizzare l’omologazione di un concordato. La teorica latenza di cause di prelazione o di crediti, tutt’altro che certi, ma anzi condizionati alla emissione di una sentenza di accertamento definitiva, non obbliga quindi - di regola - gli organi della procedura ad accantonare risorse nella previsione di un eventuale riconoscimento del credito disconosciuto”[9].
Nella medesima pronuncia si rileva tuttavia che, se “ciò è ordinariamente vero, non tiene però conto della norma speciale sopra richiamata e della giurisdizione tributaria, cui sono devolute le relative controversie (cfr., ex multis, Cass., sez. un., 7 maggio 2010, n. 11082; Cass., sez. un., 5 agosto 2009, n. 17943)”, per le ragioni esposte nel successivo paragrafo.
6 . L’articolo 90 D.P.R. 602/1973: crediti contestati fiscali e concordato preventivo
Fermo il quadro normativo dottrinale e giurisprudenziale sopra delineato, infatti, la circostanza che il credito contestato abbia natura fiscale comporta la necessità di prendere in considerazione il disposto dell’articolo 90 D.P.R. n. 602/1973, che costituisce una norma tributaria speciale, applicabile in caso di concordato. Tale norma, al comma 1, prevede che, se il debitore è ammesso al concordato preventivo, il concessionario compie, sulla base del ruolo[10], ogni attività necessaria ai fini dell’inserimento del credito nell’elenco dei crediti della procedura, e, al comma 2, che “se sulle somme iscritte a ruolo sorgono contestazioni, il credito è comunque inserito in via provvisoria nell’elenco ai fini previsti agli articoli 176, primo comma, e 181, terzo comma, primo periodo del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267”[11].
Al riguardo, sempre nella citata sentenza n. 15414/2018, la Corte di Cassazione ha affermato che la disposizione recata dal citato art. 90 deve essere interpretata nel senso che, in tema di omologazione della proposta di concordato preventivo ex art. 180, il tribunale esercita un sindacato incidentale circa la fondatezza dei crediti contestati, condizionali o irreperibili, ai fini di disporre i relativi accantonamenti; diversamente, “in presenza di crediti tributari oggetto di contestazione, per effetto della norma speciale di cui all’articolo 90 D.P.R. n. 602 del 1973 il suindicato accantonamento è obbligatorio essendo rimesso al Tribunale esclusivamente il potere di determinarne le relative modalità”.
Tale interpretazione parte dal presupposto che l’articolo 90 sia norma speciale rispetto alle norme fallimentari, e che la facoltà del Tribunale di quantificare l’accontamento o di escluderlo venga meno a fronte di crediti contestati di natura fiscale. Verosimilmente, dalla prescrizione di inserire nell’elenco dei creditori ai fini del voto (ex articolo 176 l. fall.) i crediti fiscali contestati “iscritti a ruolo”, la Corte di Cassazione fa discendere l’obbligatorio accantonamento dello stesso importo iscritto. 
Questi principi sono stati nuovamente affermati più recentemente dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 25 marzo 2021, n. 8504, e sono da considerare consolidati.
*         *          *
Dalla lettura combinata del citato art. 90 e delle disposizioni relative alla riscossione frazionata, le somme pretese in forza di atti di accertamento oggetto di impugnazione da parte del contribuente:
a) se sono iscritte a ruolo, devono essere accantonate nella misura in cui vengono inserite nell’elenco dei creditori ai fini del voto (ex articolo 176 l. fall.);
b) se non sono iscritte a ruolo, perché ad esse non è applicabile la disciplina sulla riscossione provvisoria o perché gli atti di accertamento dai quali tali somme discendono sono stati annullati, anche in via provvisoria, dal Giudice tributario, non trova applicazione il citato art. 90 e dunque devono essere applicati i principi previsti in via generale in relazione ai crediti contestati (di natura non tributaria). 
Il citato art. 90, come ha precisato l’Agenzia delle Entrate con la direttiva n. 66/2019, è da intendersi applicabile anche agli avvisi di accertamento c.d. esecutivi per effetto della previsione recata dall’art. 29, comma 1, lett. g) del D.L. 31 maggio 2010, n. 78.
Con il medesimo provvedimento l’Agenzia ha peraltro espressamente affermato che l’appostazione di un fondo a garanzia dei crediti tributari contestati costituisce un onere e non un obbligo e che, ai fini della sua costituzione rilevano il disposto dell’art. 2424 del codice civile e i principi contabili, secondo i quali devono essere iscritti in bilancio solo i rischi probabili e non anche quelli possibili e remoti (tale affermazione, pur essendo posteriore alla pronuncia della Corte di Cassazione n. 15414/2018, è peraltro anteriore a quella delle Sezioni Unite del 25 marzo 2021).
7 . Considerazioni circa l’eventuale prededucibiltà dell’onere derivante dall’accertamento con adesione e dalla conciliazione giudiziale
Ai sensi dell’art. 111, comma 2, della l.fall. “sono considerati crediti prededucibili quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge, e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge; tali crediti sono soddisfatti con preferenza ai sensi del primo comma n. 1)”[12]. 
Come rilevato dalla Corte di Cassazione nell’ambito della sentenza 14 marzo 2014, n. 6031, con tale disposizione, introdotta dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, “il legislatore, accostando ai casi nei quali la prededucibilità è attribuita a determinati crediti da specifiche disposizioni di legge la determinazione dei criteri generali in base ai quali essa può essere riconosciuta dal giudice della procedura fallimentare, ha a tal fine richiesto la verifica - da compiersi secondo le modalità delineate dalla L. Fall., art. 111 bis - che si tratti di crediti sorti ‘in occasione o in funzione’ delle procedure concorsuali previste dalla legge fallimentare. Risulta in tal modo esteso l’ambito della prededuzione nel fallimento, da un lato, ai crediti sorti non solo nell’ambito della stessa procedura fallimentare ma più in generale ‘in occasione’ delle altre procedure concorsuali - quindi anche del concordato preventivo cui sia seguito il fallimento, dall’altro ai crediti sorti ‘in funzione’ delle stesse. Ove i due criteri, quello cronologico (‘in occasione’) e quello teleologico (‘in funzione’), risultano chiaramente considerati dalla norma come autonomi ed alternativi, in tal senso dovendo interpretarsi la disgiuntiva ‘o’. Ne deriva che anche ai crediti sorti anteriormente all’inizio della procedura di concordato preventivo - quindi non occasionati dallo svolgimento della procedura stessa - può riconoscersi la prededucibilità ove sia applicabile il secondo criterio, quello cioè della funzionalità, o strumentalità, di tali crediti (cioè delle attività dalle quali essi originano) rispetto alla procedura concorsuale”
Con la sentenza 17 aprile 2014, n. 8958, la Corte di Cassazione (a mente della ratio della disposizione in commento) ha precisato il principio, affermando che “il collegamento occasionale ovvero funzionale posto dal dettato normativo deve intendersi riferito al nesso, non tanto cronologico né solo teleologico, tra l'insorgere del credito e gli scopi della procedura, strumentale in quanto tale a garantire la sola stabilità del rapporto tra il terzo e l’organo fallimentare, ma altresì nel senso che il pagamento di quel credito, ancorché avente natura concorsuale, rientra negli interessi della massa, e dunque risponde allo scopo della procedura, in quanto inerisce alla gestione fallimentare (cfr. Cass., Sez. 1^, 7 marzo 2013, n. 5705; 5 marzo 2012, n. 3402)”.
Il criterio cosiddetto “cronologico” porterebbe infatti a considerare come prededucibili i crediti sorti “in occasione” della procedura concorsuale (sebbene ad essa non funzionali) semplicemente in considerazione della loro genesi, avvenuta dopo la presentazione della domanda di concordato preventivo. Poiché ciò risulterebbe palesemente irragionevole, con la sentenza 24 gennaio 2014, n. 15013 la Cassazione ha affinato il principio, stabilendo che il criterio cronologico “deve essere integrato, per avere un senso compiuto, con un implicito elemento soggettivo e cioè quello della riferibilità del credito alle attività degli organi della procedura (…). In conclusione, in virtù del primo criterio l’attività degli organi della procedura dà luogo a crediti prededucibili indipendentemente dalla verifica in concreto della funzione rispetto alle esigenze della procedura, mentre, in virtù del secondo criterio, l’attività del debitore, ammesso alla procedura di concordato preventivo, dà luogo alla prededuzione quando sia funzionale allee predette esigenze” in relazione a crediti sorti anteriormente”.
Il quadro interpretativo risulta completato dall’ulteriore chiarimento fornito dai giudici di legittimità con l’articolata sentenza 29 maggio 2019, n. 14713, secondo cui, ai sensi dell’art. 161, comma 7, ultimo periodo, l. fall., tra i crediti prededucibili “così qualificati da specifica disposizione di legge” rientrano i “crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore” durante il periodo compreso tra la presentazione della domanda di concordato preventivo “con riserva” e la data del decreto di ammissione alla procedura ex art. 163 l. fall. Questi ultimi vanno rinvenuti (i) sia negli atti di ordinaria amministrazione che possono essere validamente compiuti dal debitore senza l’autorizzazione scritta del giudice delegato, (ii) sia negli atti urgenti di straordinaria amministrazione[13] autorizzati dal tribunale (il quale può assumere sommarie informazioni e deve acquisire il parere del commissario giudiziale, se nominato).
L’attuale formulazione del comma 2 dell’art. 111, in definitiva, postula tre tipologie di crediti caratterizzati dalla prededuzione:
a) quelli così classificati da una espressa previsione normativa, tra cui i crediti di terzi sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore ai sensi dell’art. 161, comma 7;
b) quelli sorti nel corso della procedura concorsuale in conseguenza dell’attività degli organi della procedura;
c) quelli sorti anteriormente all’apertura della procedura concordataria che presentano un nesso di funzionalità con la stessa.
7.1 . La natura giuridica dell’obbligazione tributaria, dell’accertamento con adesione e della conciliazione giudiziale
In merito al momento di insorgenza dell’obbligazione tributaria, che dipende dalla natura attribuita a tale obbligazione, sono stati espressi nel corso degli anni diversi orientamenti dottrinali, che possono essere così riassunti.
Secondo un primo orientamento (teoria dichiarativa) l’obbligazione tributaria sorge nel momento in cui si verifica il presupposto di fatto che ne determina l’insorgenza, stabilita dalla legge che dispone il prelievo in capo al contribuente; ne discende che l’accertamento ha una efficacia meramente dichiarativa in quanto non può ritenersi in ogni caso la fonte dell’obbligazione tributaria, essendo quest’ultima già sorta anteriormente alla sua emissione.
La teoria dichiarativa pertanto attribuisce all’accertamento, che rappresenta una condizione di esigibilità del tributo, solo la funzione di dichiarare, determinare nel quantum, sulla base di un’attività pubblicistica, un’obbligazione già sorta al verificarsi del suo presupposto[14].
La difficoltà di applicare all’obbligazione tributaria le regole civilistiche e l’osservazione che ciò deriva dall’ampia interferenza di regole pubblicistiche, condussero tuttavia parte della dottrina a privilegiare la fase e l’atto di accertamento rispetto alla pretesa nascita dell’obbligazione tributaria.
Da ciò nacque la contrapposta teoria costitutiva, secondo la quale l’obbligazione tributaria trae origine dall’accertamento; al verificarsi del presupposto di fatto, dunque prima dell’esercizio dell’attività accertativa, nasce una funzione vincolata di imposizione, o un potere per il fisco cui corrisponde una soggezione generica del contribuente, ma soltanto con l’emissione dell’atto di accertamento si costituirebbe l’obbligazione tributaria[15]. Pertanto, solo dal momento dell’atto di accertamento potrebbero essere applicate le regole civilistiche dell’obbligazione.
Oggi la contrapposizione tra teoria dichiarativa e teoria costitutiva deve ritenersi attenuata, in quanto la dottrina, seppur con tesi molteplici e disomogenee, sembra concorde nel ritenere la centralità dell’accertamento, pur riconoscendo che dal verificarsi del presupposto discende una situazione genericamente doverosa per chi la pone in essere, che non può però essere definita come “obbligazione”.
Queste sintetiche considerazioni circa la nascita dell’obbligazione tributaria sono necessarie per comprendere le tesi che si sono formate anche in merito alla natura dell’accertamento con adesione e della conciliazione giudiziale.
Anche sulla natura giuridica dell’accertamento con adesione la dottrina si sono sviluppate varie tesi che si possono, in sintesi, raggruppare in tre orientamenti.
Secondo una prima tesi, basata sull’indisponibilità dell’obbligazione tributaria, l’accertamento con adesione sarebbe un atto unilaterale dell’amministrazione finanziaria[16]. 
A tale indirizzo si contrappongono tuttavia le tesi di derivazione contrattualistica secondo le quali, in deroga al principio di indisponibilità, l’istituto in commento costituirebbe una transazione tra contribuente e Fisco, nell’ambito della quale le parti si scambiano reciproche concessioni sulla determinazione dell’obbligazione[17].
Ai menzionati orientamenti si aggiungono inoltre alcune tesi intermedie, tra le quali quella c.d. accertativa, secondo cui, valorizzando il ruolo attribuito alla partecipazione del privato all’accertamento tributario, l’atto di adesione avrebbe natura consensuale di determinazione del presupposto del tributo. Secondo questa tesi, come la dichiarazione, da un lato, e l’accertamento, dall’altro, forniscono le versioni rispettivamente del contribuente, da una parte, e dell’ufficio, dall’altra parte, sulla dimensione quantitativa e qualitativa del presupposto, così l’istituto in parola costituisce un atto di determinazione consensuale nel quale all’incontro delle volontà delle parti e al formarsi del consenso circa la determinazione del presupposto conseguono gli effetti disposti dalla legge, e non quelli disposti dalle parti che sottoscrivono l’atto [18].
Quanto alla conciliazione giudiziale, secondo un più datato orientamento essa costituisce un atto di accertamento partecipato alla cui formazione prende parte il contribuente. Questa tesi, muovendo dall’oggetto pubblicistico del processo tributario, distingue la transazione civilistica, che si realizza attraverso una composizione comportante reciproche concessioni (non necessariamente ancorate all’equa composizione della lite), dalla conciliazione di diritto pubblico, la quale invoca, per effetto dell’asserita indisponibilità dell’obbligazione tributaria, la giusta composizione della controversia e si caratterizza per l’assenza di una posizione paritetica tra le parti.
Dunque, mentre nella transazione civilistica le parti possono agire liberamente, nella conciliazione giudiziale l’amministrazione finanziaria non può prescindere dal principio di legalità; pertanto, nel riconsiderare la pretesa ai fini dell’accordo è tenuta a rispettare i medesimi vincoli ai quali è tenuta nell’emanare qualsiasi provvedimento. Ne discende che la riduzione della pretesa non costituisce uno sconto transattivo, ma un più efficiente esercizio dell’attività amministrativa.
L’accordo non incide sull’efficacia finale dell’atto, che è ancora declinabile nella forma legale dell’avviso di accertamento e come tale ha ad oggetto la determinazione dell’esistenza e della dimensione del debito tributario. Poiché l’accordo conciliativo, avendo la medesima natura dell’atto di accertamento, sostituirebbe il contenuto di tale atto, rideterminando la misura della pretesa, deve escludersi che la conciliazione giudiziale possa avere natura transattiva[19].
A tale orientamento si contrappone peraltro quello secondo il quale la conciliazione giudiziale avrebbe proprio natura negoziale, perché nella stipula dell’accordo il contribuente e l’ufficio hanno la medesima autonomia della quale dispongono le parti nella stipula di un contratto[20].
Oltre alle menzionate tesi, se ne sono formate altre intermedie, sulle quali non è peraltro necessario soffermarsi in considerazione dell’oggetto del presente parere, al cui riguardo è sufficiente aggiungere che oggi sembra prevalere in dottrina un approccio pragmatico che ammette un’attenuazione del principio d’indisponibilità dell’obbligazione tributaria e, riconoscendo natura transattiva alla conciliazione giudiziale, qualifica quest’ultima come un atto di rideterminazione del prelievo originario[21]. 
L’Agenzia delle Entrate non attribuisce tuttavia natura transattiva agli istituti deflattivi del contenzioso tributario, individuandone la finalità “nella rideterminazione dell’obbligazione tributaria alla luce, rispettivamente, dei principi di capacità contributiva e di buona amministrazione”, conseguente “ad un giudizio prognostico sull’esito del contenzioso in funzione della sostenibilità delle eccezioni sollevate dal contribuente” (così si è espressa l’Agenzia nella direttiva n. 66/2019). 
Occorre tuttavia evidenziare che, anche nell’ambito dell’orientamento dottrinale che propende per la natura transattiva, è stato precisato che la conciliazione giudiziale, pur avendo una connotazione negoziale, non può in alcun modo essere equiparata ad una transazione pura e semplice[22]. 
Che la conciliazione giudiziale sia un negozio giuridico “speciale” trova peraltro conferma nel fatto che essa non si perfeziona con l’adempimento dell’obbligazione, bensì con la sottoscrizione dell’accordo conciliativo (poi sottoposto al Giudice, cui compete dichiarare la cessazione della materia del contendere).
Tuttavia, non può sottacersi che, secondo un orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, la conciliazione giudiziale “ha carattere novativo delle precedenti opposte posizioni soggettive e comporta l’estinzione della pretesa fiscale originaria, unilaterale e contestata, e la sua sostituzione con una certa e concordata, tanto che il relativo processo verbale costituisce titolo per la riscossione dovuta. La natura negoziale e novativa comporta allora l’estinzione della pregressa obbligazione tributaria e la sua sostituzione con la nuova obbligazione.” Secondo tale indirizzo “l’attività accertativa, pur traendo origine dal processo verbale di constatazione […] confluisce […] nel verbale di conciliazione giudiziale; orbene la sopravvenuta conciliazione giudiziale sortisce effetto novativo del titolo di imposizione sostituendosi all’originario verbale di constatazione ed all’avviso di accertamento su di questo basato”[23].
7.2 . Sull’eventuale prededucibilità delle somme dovute in dipendenza dell’accertamento con adesione o della conciliazione giudiziale
Alla luce della natura giuridica e della funzione dell’accertamento con adesione e della conciliazione giudiziale, occorre dunque chiedersi se il credito tributario rideterminato mediante tali istituti possa considerarsi prededucibile ai sensi dell’art. 111, comma 2, l. fall. e, in particolare, se esso sia sorto “per effetto” di un atto legalmente compiuto dal debitore (quale è l’atto di accertamento con adesione o di conciliazione giudiziale sottoscritto con la previa approvazione del tribunale) ovvero sia da considerare “funzionale”.
A tal fine deve rilevarsi che la risposta al quesito di cui trattasi è certamente da ritenersi negativa, indipendentemente dalla natura giuridica dell’accertamento con adesione e della conciliazione giudiziale, nell’ipotesi in cui, tra gli orientamenti sopra richiamati circa l’obbligazione tributaria, si aderisca alla teoria dichiarativa. 
Come sopra esposto, infatti, secondo detta teoria l’obbligazione tributaria sorge con il presupposto impositivo, che è stabilito dalla legge, e dunque ben prima dell’emissione dell’atto di accertamento che costituisce, secondo l’orientamento in commento, solo un atto con il quale viene definito il quantum di un’obbligazione già sorta.
Perciò, se a far nascere l’obbligazione tributaria è il presupposto impositivo, e non l’accertamento che viene emesso successivamente, va da sé che tanto meno può essere fonte dell’obbligazione tributaria la definizione della pretesa discendente dal predetto accertamento, con la quale, in un momento ancora successivo, viene rideterminato il quantum di quest’ultimo. Conseguentemente dovrebbe escludersi la natura prededucibile del relativo credito, discendendo esso da un’obbligazione preesistente addirittura all’accertamento.
Ciò posto, il tema della potenziale prededucibilità del credito tributario di cui trattasi si pone, invece, se si aderisce alla seconda tesi sulla genesi dell’obbligazione tributaria sopra richiamata (teoria costitutiva), in ragione della quale l’obbligazione tributaria sorge con l’accertamento. In tale ipotesi, al fine di accertare se l’obbligazione possa ritenersi sorta con l’adesione o con la conciliazione giudiziale, occorre considerare quanto è stato rappresentato nel sub-paragrafo che precede circa la natura giuridica dell’accertamento con adesione e della conciliazione giudiziale.
Non pare infatti che la prededucibilità del credito tributario possa derivare dalla natura dell’accertamento con adesione o della conciliazione giudiziale, posto che di per sé non incide sull’origine del presupposto impositivo, ma, semmai, solo sulla determinazione dell’obbligazione.
Infatti, anche nell’ipotesi in cui si aderisse alla teoria secondo la quale tali istituti avrebbero natura di accertamento partecipato e conseguentemente l’accordo assumerebbe la stessa natura dell’accertamento che viene da esso sostituito, non potrebbe attribuirsi natura transattiva alle obbligazioni discendenti dai suddetti istituti; conseguentemente dovrebbe ritenersi che il credito oggetto degli stessi sorga con l’accertamento e non “per effetto” dell’adesione o della conciliazione. 
Occorre, tuttavia, chiedersi, in questo caso, se i crediti tributari, nascendo con l’accertamento ed essendo stati notificati i relativi atti nel corso della procedura, devono essere considerati solo per ciò stesso prededucibili. A questo interrogativo deve essere fornita risposta negativa.
Infatti, anche ove si ammettesse che dal punto di vista formale e procedimentale l’obbligazione tributaria pretesa con l’avviso di accertamento viene rimossa e sostituita in toto da quella convenuta nell’atto adesivo o conciliativo, non vi è dubbio che l’accordo raggiunto in tale sede (se e in quanto avente effettivamente natura transattiva) si sostanzia comunque nel riconoscimento, da parte del contribuente, della validità parziale dell’obbligazione tributaria originariamente contestata, venendone modificato e rideterminato concordemente solo l’ammontare: l’oggetto di questo tipo di accordo, in sostanza, è rappresentato dal quantum debeatur e non dalla “sostituzione integrale” del rapporto originario con un uno del tutto nuovo (se così non fosse, del resto, non si comprenderebbe la ragione della debenza degli interessi dovuti per il ritardato assolvimento dell’obbligazione tributaria). 
Infine, come osservato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 10 ottobre 2019, n. 25471, non pare seriamente discutibile che la locuzione “crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore” “sia stata impiegata in senso rafforzativo della piena rispondenza dell’atto alla finalità gestoria coerente con la situazione patrimoniale”, essendo quindi richiesto “al giudice pur sempre di verificare che il debitore non abbia abusato del concordato preventivo, aumentando la sfera della prededuzione e, quindi, anche alterando la par condicio creditorum, poiché è assolutamente ovvio il danno che i creditori anteriori possono subire per effetto del depauperamento dell’attivo (e della correlata riduzione della garanzia patrimoniale) che deriva da una gestione preconcordataria produttiva di debiti prededucibili”. Al riguardo, relativamente alla prededucibilità dei crediti di gestione maturati nel corso di pregressa procedura di amministrazione controllata ammessa - per consolidata interpretazione giurisprudenziale - dall’art. 111 l. fall., la Corte costituzionale, con l’ordinanza 27 maggio 1995, n. 32, ebbe già modo di statuire che il riconoscimento di tale connotato “va all’evidenza a riequilibrare la condizione di maggior rischio contrattuale in cui tali crediti sono concessi e ad incentivarne così l’erogazione in funzione del positivo esito della procedura, nell’interesse di tutti i creditori”. Pertanto, i “crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore”, cui è conferito il beneficio della prededuzione, devono presentare un aliquid novi rispetto alla situazione creditoria esistente al momento di apertura della procedura, ovverosia devono essere generati da un atto del debitore compiuto successivamente a tale momento in contropartita a una prestazione ricevuta con la finalità di preservare e salvaguardare il valore dell’attivo, Invece, con riguardo al caso di specie, non pare che (i) tale elemento di novità possa rinvenirsi nella sottoscrizione dell’atto adesivo o conciliativo in parte confermativo della pretesa tributaria discendente dall’avviso di accertamento, né (ii) la riduzione della pretesa impositiva accordata dall’Amministrazione finanziaria potrebbe legittimamente inquadrarsi come prestazione ricevuta (posto che l’unica “prestazione” resa dalle parti concretamente rinvenibile in sede di accertamento con adesione o di conciliazione giudiziale è data dalla reciproca rinuncia alla lite, di cui l’obbligazione tributaria ivi definita certamente non costituisce il corrispettivo). 
Per i motivi sopra esposti si deve ritenere che, nonostante l’effetto novativo dell’accertamento con adesione e della conciliazione giudiziale, il credito tributario acquisisce riconoscimento legale nel momento della sottoscrizione dell’atto di adesione o di conciliazione limitatamente all’ammontare ivi confermato, ma non sorge in tale momento e deve quindi mantenere come tale il rango di credito concorsuale, giacché sorto anteriormente all’apertura della procedura concordataria. Questa conclusione sembra trovare concorde l’Agenzia delle Entrate la quale, nell’ambito della direttiva n. 66/2019, ha affermato che, in pendenza di concordato preventivo, nell’istruttoria avente ad oggetto la definizione tramite accertamento con adesione o conciliazione giudiziale l’ufficio: 
1) deve tenere conto che il credito tributario così definito, “rientrando nel coacervo dei debiti concorsuali, potrebbe subire un’ulteriore falcidia in funzione della compromessa solvibilità del contribuente e potrebbe anche essere soddisfatto in un arco temporale più ampio rispetto a quello proprio dei suddetti istituti in funzione delle modalità di esecuzione del concordato”;
2) “ai fini della valutazione potrà rilevare anche che sia stato appostato un fondo rischi in bilancio o comunque sa stato disposto l’accantonamento delle somme necessarie a soddisfare nella misura proposta il credito che risulterà definitivamente determinato a conclusione del contenzioso”. 
Questa considerazione consente di escludere la natura prededucibile del credito tributario, di cui trattasi anche sulla base del disposto dell’art. 161, comma 7, l. fall., ai sensi del quale sono prededucibili i crediti di terzi eventualmente sorti per effetto di atti legalmente compiuti dal debitore dopo il deposito del ricorso di cui al precedente comma 6, posto che tale credito non sorge per effetto della conciliazione, che ne produce solo la rideterminazione, dalla quale per di più discende una riduzione della pretesa originaria.
In conclusione, all’onere discendente dall’eventuale sottoscrizione di un eventuale atto di accertamento con adesione o di conciliazione giudiziale non pare potersi attribuire natura prededucibile, per i seguenti motivi:
a) perché esso sorge, secondo l’orientamento preferibile, anteriormente all’apertura della procedura concordataria:
b) perché un debito tributario non può assumere natura diversa a seconda che il suo ammontare venga definito mediante l’accertamento con adesione o la conciliazione giudiziale ovvero mediante la proposta prevista dall’art. 182-ter l. fall. (nel qual caso è pacifico che si tratterebbe di un credito concorsuale e non prededucibile) ovvero, ancora, per effetto della pronuncia del Giudice tributario (nel qual caso si tratterebbe analogamente e pacificamente di un credito concorsuale e non prededucibile); 
c) perché, come ha affermato la Corte di Cassazione, ai fini dell’individuazione dei crediti di massa “il profilo determinante non è costituito dall’elemento temporale, ma da quello funzionale, e cioè dal loro riferimento a costi assunti nell’interesse dei creditori concorsuali per il conseguimento degli scopi dell’esecuzione collettiva, restando necessariamente esclusi da tale nozione i crediti, pur fatti valere nei confronti del fallimento, che non siano sorti in occasione e per le finalità della procedura, ma siano geneticamente riconducigli all’attività del fallito”[24].

Note:

[1] 
In senso del tutto analogo si veda inter alia Cass. Civ., sez. I, 5 marzo 2020 n. 6197; Cass. 8 gennaio 2019, n. 208; Cass. 21 dicembre 2018, n. 33345; Cass. 24 maggio 2018, n. 12965; Cass. 25 settembre 2014 n. 20298; Cass. 24 settembre 2012, n. 16187; Cass. 14 febbraio 2002 n. 2104; Cass 22 settembre 2000, n. 12545.
[2] 
Corte d’Appello Bologna 27 settembre 2017 e Tribunale Modena 20 settembre 2017.
[3] 
A favore dell’applicazione analogica di dette norme si esprime, invece, G. D’Attorre, Gli accantonamenti nei piani di riparto concordatari, in “Il Fallimento”, n. 11/2018, p. 1323 e ss.
[4] 
Cfr. L. Boggio, Opposizione all’omologazione dei creditori silenti e trattamento dei crediti contestato nel piano e nella relazione ex art. 161 l. fall., in “Il Fallimento”, n. 5/2013, p. 578.
[5] 
Così testualmente G. La Croce, Crediti contenziosi, accantonamenti e fattibilità del piano di concordato, in “Il Fallimento”, n. 1/2019, p. 58.
[6] 
Cfr. Tribunale di Bergamo, 12 febbraio 2015.
[7] 
Cfr. Boggio, op. cit.
[8] 
Così Tribunale di Ravenna, 7 novembre 2013.
[9] 
Viceversa, secondo G. La Croce, cit., pp. 60-62, in base all’attuale formulazione del comma 6 dell’art. 180 (che, a differenza del previgente comma 3 dell’art. 181, non contiene più il riferimento alla determinazione delle somme da vincolare) il tribunale non avrebbe alcun potere discrezionale con riguardo alla quantificazione dell’accantonamento, che quindi, a prescindere dalla fondatezza o meno della pretesa sottostante, dovrebbe essere obbligatoriamente stanziato in misura ad essa corrispondente. 
[10] 
Il ruolo è, ai sensi dell’art. 11 del D.P.R. n. 602/1973, l’elenco dei debitori e delle somme da essi dovute formato dall’ufficio ai fini della riscossione. L’iscrizione a ruolo, pertanto, costituisce il titolo in ragione del quale l’Amministrazione Finanziaria può pretendere dal contribuente le somme di cui è debitrice ed eseguire azioni finalizzate alla riscossione delle stesse, compresi gli atti esecutivi. A partire dagli atti notificati a partire dal 1° ottobre 2011, tuttavia, il titolo esecutivo ai fini della riscossione è costituito dall’avviso di accertamento, il quale, acquisisce i contenuti tipici del precetto una volta decorsi i termini, nello stesso indicati, entro i quali il pagamento, intimato con lo stesso avviso, deve essere adempiuto. L’iscrizione a ruolo può essere operata a titolo provvisorio o a titolo definitivo: quando le somme iscritte a ruolo discendono da atti di accertamento notificati dall’ufficio ma non ancora definitivi, il ruolo è a titolo provvisorio, ai sensi dell’art. 15 del D.P.R. n. 602/1973; ai sensi dell’art. 14 del citato D.P.R. n. 602/1973, invece, l’iscrizione a ruolo è a titolo definitivo, quando ha ad oggetto somme liquidate in base ad accertamenti definitivi (perché non impugnati o perché confermati da una sentenza passata in giudicato) o discendenti da omessi versamenti di imposte liquidate in base alla dichiarazione presentata dal contribuente. Nell’ipotesi in cui l’ufficio ritenga vi sia un fondato pericolo per la riscossione (tale rischio viene ravvisato in caso di fallimento e può essere ravvisato in pendenza di concordato), il successivo art. 15-bis consente l’iscrizione delle somme a ruolo straordinario in misura pari all’intera pretesa (imposte, interessi e sanzioni). Nelle more della definizione del giudizio tributario trova altresì applicazione l’art. 68 del D.Lgs. n. 546/1992 (“Pagamento del tributo in pendenza di giudizio”), a norma del quale, nel caso in cui sia prevista la riscossione frazionata dell’imposta, l’ufficio ha la possibilità di iscrivere a ruolo le maggiori imposte dovute in base all’atto di accertamento in misura diversa in considerazione dell’andamento del giudizio.
[11] 
Il previgente comma 3 dell’art. 181 attribuiva espressamente al Tribunale il potere di determinare l’accantonamento, mentre l’attuale comma 6 dell’art. 180, in cui come detto è stata trasfusa la relativa disposizione, non esclude i poteri istruttori del Tribunale in merito all’accantonamento.
[12] 
Il comma 1 dell’art. 111 l.fall. dispone che le somme ricavate dalla liquidazione dell’attivo sono erogate nel seguente ordine:
1) per il pagamento dei crediti prededucibili;
2) per il pagamento dei crediti ammessi con prelazione sulle cose vendute secondo l'ordine assegnato dalla legge;
3) per il pagamento dei creditori chirografari, in proporzione dell'ammontare del credito per cui ciascuno di essi fu ammesso, compresi i creditori indicati al n. 2, qualora non sia stata ancora realizzata la garanzia, ovvero per la parte per cui rimasero non soddisfatti da questa.
[13] 
Secondo consolidata giurisprudenza, gli atti di straordinaria amministrazione, tra cui ai sensi dell’art. 167, comma 2, l. fall., rientrano espressamente le transazioni, le rinunce alle liti e le ricognizioni di diritti di terzi, vanno identificati con ogni atto idoneo “ad incidere negativamente sul patrimonio del debitore, pregiudicandone la consistenza o compromettendone comunque la capacità di soddisfare le ragioni dei creditori, in quanto ne determina la riduzione, ovvero lo grava di vincoli e di pesi cui non corrisponde l’acquisizione di utilità reali prevalenti su quest’ultima” (così testualmente Cass. 16 maggio 2019, n. 13621).
[14] 
Cfr. E. Vanoni, Elementi di diritto tributario, Opere giuridiche, II, Milano, 1962.
[15] 
Cfr. C. Glendi, L’oggetto del processo tributario, Padova, 1984; E. Allorio, Diritto Processuale Tributario, Torino, 1942.
[16] 
Cfr. A. D. Giannini, Il rapporto giuridico d’imposta, Milano, 1937; S. La Rosa, Concordato, conciliazione e flessibilità dell’amministrazione finanziaria, Dir e Prat. Trib, 1995.
[17] 
Cfr. P. Russo, Manuale di Diritto Tributario, Milano, 2007; F. Batistoni Ferarra, Accertamento con adesione, in Enc. Dir, Milano, 1998.
[18] 
Cfr. A. Fantozzi, Diritto Tributario, Torino, 2013.
[19] 
Cfr. G. Falsitta, Manuale di Diritto Tributario, Padova, 2008; F. Tesauro, Manuale del Processo Tributario, Torino, 2002.
[20] 
Cfr. F. Batistoni Ferrara, Conciliazione Giudiziale, Milano, 1998.
[21] 
Cfr. R. Pravisano, Il Processo Tributario, Milano, 2020.
[22] 
Cfr. C. Gobbi, Il processo tributario, Milano, 2017.
[23] 
Cfr. ex multis Cass. n. 10981/2020; Cass. n. 9019/2019; Cass. n. 4807/2017.
[24] 
Così Cass., 11 aprile 2011, n. 8222. La conclusione cui sono pervenuti i giudici di legittimità non ha vacillato nemmeno alla luce della locuzione “in occasione” presente nel citato art. 111, comma 2, l. fall., in quanto il criterio cosiddetto “cronologico” (riferito unicamente al momento della nascita del credito) porterebbe infatti a considerare come prededucibili i crediti sorti “in occasione” della procedura concorsuale (sebbene ad essa non funzionali) semplicemente in considerazione della loro genesi, ma ciò risulterebbe palesemente irragionevole. Come rilevato dalla stessa Corte con la sentenza 17 aprile 2014, n. 8958, invece, “il collegamento occasionale ovvero funzionale posto dal dettato normativo deve intendersi riferito al nesso, non tanto cronologico né solo teleologico, tra l’insorgere del credito e gli scopi della procedura, strumentale in quanto tale a garantire la sola stabilità del rapporto tra il terzo e l’organo fallimentare, ma altresì nel senso che il pagamento di quel credito, ancorché avente natura concorsuale, rientra negli interessi della massa, e dunque risponde allo scopo della procedura, in quanto inerisce alla gestione fallimentare (cfr. Cass., Sez. 1^, 7 marzo 2013, n. 5705; 5 marzo 2012, n. 3402)”. Con la sentenza 24 gennaio 2014, n. 15013, come si è già rilevato, la Cassazione ha stabilito che il criterio cronologico “deve essere integrato, per avere un senso compiuto, con un implicito elemento soggettivo e cioè quello della riferibilità del credito alle attività degli organi della procedura”.

informativa sul trattamento dei dati personali

Articoli 12 e ss. del Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR)

Premessa - In questa pagina vengono descritte le modalità di gestione del sito con riferimento al trattamento dei dati personali degli utenti che lo consultano.

Finalità del trattamento cui sono destinati i dati personali - Per tutti gli utenti del sito web i dati personali potranno essere utilizzati per:

  • - permettere la navigazione attraverso le pagine web pubbliche del sito web;
  • - controllare il corretto funzionamento del sito web.

COOKIES

Che cosa sono i cookies - I cookie sono piccoli file di testo che possono essere utilizzati dai siti web per rendere più efficiente l'esperienza per l'utente.

Tipologie di cookies - Si informa che navigando nel sito saranno scaricati cookie definiti tecnici, ossia:

- cookie di autenticazione utilizzati nella misura strettamente necessaria al fornitore a erogare un servizio esplicitamente richiesto dall'utente;

- cookie di terze parti, funzionali a:

PROTEZIONE SPAM

Google reCAPTCHA (Google Inc.)

Google reCAPTCHA è un servizio di protezione dallo SPAM fornito da Google Inc. Questo tipo di servizio analizza il traffico di questa Applicazione, potenzialmente contenente Dati Personali degli Utenti, al fine di filtrarlo da parti di traffico, messaggi e contenuti riconosciuti come SPAM.

Dati Personali raccolti: Cookie e Dati di Utilizzo secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio.

Privacy Policy

VISUALIZZAZIONE DI CONTENUTI DA PIATTAFORME ESTERNE

Questo tipo di servizi permette di visualizzare contenuti ospitati su piattaforme esterne direttamente dalle pagine di questa Applicazione e di interagire con essi.

Nel caso in cui sia installato un servizio di questo tipo, è possibile che, anche nel caso gli Utenti non utilizzino il servizio, lo stesso raccolga dati di traffico relativi alle pagine in cui è installato.

Widget Google Maps (Google Inc.)

Google Maps è un servizio di visualizzazione di mappe gestito da Google Inc. che permette a questa Applicazione di integrare tali contenuti all'interno delle proprie pagine.

Dati Personali raccolti: Cookie e Dati di Utilizzo.

Privacy Policy

Google Fonts (Google Inc.)

Google Fonts è un servizio di visualizzazione di stili di carattere gestito da Google Inc. che permette a questa Applicazione di integrare tali contenuti all'interno delle proprie pagine.

Dati Personali raccolti: Dati di Utilizzo e varie tipologie di Dati secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio.

Privacy Policy

Come disabilitare i cookies - Gli utenti hanno la possibilità di rimuovere i cookie in qualsiasi momento attraverso le impostazioni del browser.
I cookies memorizzati sul disco fisso del tuo dispositivo possono comunque essere cancellati ed è inoltre possibile disabilitare i cookies seguendo le indicazioni fornite dai principali browser, ai link seguenti:

Base giuridica del trattamento - Il presente sito internet tratta i dati in base al consenso. Con l'uso o la consultazione del presente sito internet l’interessato acconsente implicitamente alla possibilità di memorizzare solo i cookie strettamente necessari (di seguito “cookie tecnici”) per il funzionamento di questo sito.

Dati personali raccolti e natura obbligatoria o facoltativa del conferimento dei dati e conseguenze di un eventuale rifiuto - Come tutti i siti web anche il presente sito fa uso di log file, nei quali vengono conservate informazioni raccolte in maniera automatizzata durante le visite degli utenti. Le informazioni raccolte potrebbero essere le seguenti:

  • - indirizzo internet protocollo (IP);
  • - tipo di browser e parametri del dispositivo usato per connettersi al sito;
  • - nome dell'internet service provider (ISP);
  • - data e orario di visita;
  • - pagina web di provenienza del visitatore (referral) e di uscita;

Le suddette informazioni sono trattate in forma automatizzata e raccolte al fine di verificare il corretto funzionamento del sito e per motivi di sicurezza.

Ai fini di sicurezza (filtri antispam, firewall, rilevazione virus), i dati registrati automaticamente possono eventualmente comprendere anche dati personali come l'indirizzo IP, che potrebbe essere utilizzato, conformemente alle leggi vigenti in materia, al fine di bloccare tentativi di danneggiamento al sito medesimo o di recare danno ad altri utenti, o comunque attività dannose o costituenti reato. Tali dati non sono mai utilizzati per l'identificazione o la profilazione dell'utente, ma solo a fini di tutela del sito e dei suoi utenti.

I sistemi informatici e le procedure software preposte al funzionamento di questo sito web acquisiscono, nel corso del loro normale esercizio, alcuni dati personali la cui trasmissione è implicita nell'uso dei protocolli di comunicazione di Internet. In questa categoria di dati rientrano gli indirizzi IP, gli indirizzi in notazione URI (Uniform Resource Identifier) delle risorse richieste, l'orario della richiesta, il metodo utilizzato nel sottoporre la richiesta al server, la dimensione del file ottenuto in risposta, il codice numerico indicante lo stato della risposta data dal server (buon fine, errore, ecc.) ed altri parametri relativi al sistema operativo dell'utente.

Tempi di conservazione dei Suoi dati - I dati personali raccolti durante la navigazione saranno conservati per il tempo necessario a svolgere le attività precisate e non oltre 24 mesi.

Modalità del trattamento - Ai sensi e per gli effetti degli artt. 12 e ss. del GDPR, i dati personali degli interessati saranno registrati, trattati e conservati presso gli archivi elettronici delle Società, adottando misure tecniche e organizzative volte alla tutela dei dati stessi. Il trattamento dei dati personali degli interessati può consistere in qualunque operazione o complesso di operazioni tra quelle indicate all' art. 4, comma 1, punto 2 del GDPR.

Comunicazione e diffusione - I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati, intendendosi con tale termine il darne conoscenza ad uno o più soggetti determinati, dalla Società a terzi per dare attuazione a tutti i necessari adempimenti di legge. In particolare i dati personali dell’interessato potranno essere comunicati a Enti o Uffici Pubblici o autorità di controllo in funzione degli obblighi di legge.

I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati nei seguenti termini:

  • - a soggetti che possono accedere ai dati in forza di disposizione di legge, di regolamento o di normativa comunitaria, nei limiti previsti da tali norme;
  • - a soggetti che hanno necessità di accedere ai dati per finalità ausiliare al rapporto che intercorre tra l’interessato e la Società, nei limiti strettamente necessari per svolgere i compiti ausiliari.

Diritti dell’interessato - Ai sensi degli artt. 15 e ss GDPR, l’interessato potrà esercitare i seguenti diritti:

  • 1. accesso: conferma o meno che sia in corso un trattamento dei dati personali dell’interessato e diritto di accesso agli stessi; non è possibile rispondere a richieste manifestamente infondate, eccessive o ripetitive;
  • 2. rettifica: correggere/ottenere la correzione dei dati personali se errati o obsoleti e di completarli, se incompleti;
  • 3. cancellazione/oblio: ottenere, in alcuni casi, la cancellazione dei dati personali forniti; questo non è un diritto assoluto, in quanto le Società potrebbero avere motivi legittimi o legali per conservarli;
  • 4. limitazione: i dati saranno archiviati, ma non potranno essere né trattati, né elaborati ulteriormente, nei casi previsti dalla normativa;
  • 5. portabilità: spostare, copiare o trasferire i dati dai database delle Società a terzi. Questo vale solo per i dati forniti dall’interessato per l’esecuzione di un contratto o per i quali è stato fornito consenso e espresso e il trattamento viene eseguito con mezzi automatizzati;
  • 6. opposizione al marketing diretto;
  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

Dati di contatto - Società per lo studio del diritto della crisi con sede in via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN); email: ssdirittodellacrisi@gmail.com.

Responsabile della protezione dei dati - Il Responsabile della protezione dei dati non è stato nominato perché non ricorrono i presupposti di cui all’art 37 del Regolamento (UE) 2016/679.

Il TITOLARE

del trattamento dei dati personali

Società per lo studio del diritto della crisi

REV 02