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Il ruolo del giudice delegato nell’iter formativo del programma di liquidazione

Giuseppe Bozza, già Presidente del Tribunale di Vicenza

30 Agosto 2023

L’iter per l’approvazione del programma di liquidazione è stato completamente modificato nel codice della crisi ed in questo scritto l’Autore, dopo la rappresentazione del sistema vigente nella legge fallimentare, esamina le numerose novità che convergono nel dare una lettura del comma settimo dell’art. 213 che consenta al giudice di svolgere uno scrutinio di merito preventivo sul programma di liquidazione.
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1 . La procedura per l’approvazione del programma di liquidazione nella legge fallimentare
Fin dalla introduzione del programma di liquidazione nel tessuto della legge fallimentare, effettuata con l’inserimento dell’art. 104 ter ad opera del D.Lgs.  9 gennaio 2006, n. 5[1], il ruolo del giudice delegato nella formazione del programma è stato oggetto di dubbi interpretativi e critiche, che hanno indotto lo stesso legislatore a ripetuti ripensamenti.
Nell’originaria formulazione dell’art. 104 ter, infatti, l’approvazione del programma era demandata al giudice delegato, previa acquisizione del parere favorevole del comitato dei creditori. In questo schema, il ruolo del giudice era abbastanza ambiguo in quanto l’approvazione che a lui spettava era condizionata dalla vincolatività del parere favorevole del comitato dei creditori che sembrava ridurre l’approvazione del g.d. ad un atto dovuto, come, del resto indirettamente avallato dalla Relazione accompagnatoria e dal fatto che soltanto il comitato dei creditori poteva “proporre al curatore modifiche al programma presentato”, giusto il disposto dell’art. 104 ter, comma 4. Di contro, il legislatore delegato aveva sostituito nel D.Lgs. n. 5/2006 il termine “autorizzazione”, utilizzato dal sesto comma dell’art. 1 della legge delega n. 80/2005, con quello di “approvazione” da parte del giudice delegato, attribuendo, così, a questi “un forte potere di condivisione, ulteriore rispetto a quello generale di controllo sulla regolarità della procedura, che importava una valutazione di opportunità e di convenienza, non solo di mera legittimità formale e sostanziale”.
In questo originario sistema si può dire che il programma di liquidazione fosse frutto della condivisa partecipazione del comitato dei creditori, il cui parere negativo bloccava l’iter di approvazione del piano, e del giudice che, esautorato dalla gestione della liquidazione e dal riparto, poteva attraverso l’approvazione esercitare in modo concreto e penetrante i suoi poteri di vigilanza sull’operato del curatore. Il quadro normativo si completava, infatti, con l’ulteriore previsione del comma quarto dell’art. 104 ter, secondo cui l’approvazione del programma di liquidazione  “tiene luogo delle singole autorizzazioni eventualmente necessarie ai sensi della legge per l’adozione di atti o l’effettuazione di operazioni incluse nel programma”, per cui, una volta approvato il programma dal giudice  a seguito del parere favorevole del comitato dei creditori,  la esecuzione dello stesso- ed in particolare l’attività liquidatoria- era sottratta a qualsiasi controllo da parte dell’organo giudiziario, essendo il curatore tenuto soltanto ad informare degli esiti della liquidazione il giudice delegato e il comitato dei creditori depositando in cancelleria la relativa documentazione[2].
Con il D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169 (c.d. decreto correttivo), l’approvazione del giudice delegato viene sostituita con quella del comitato dei creditori, senza più richiedere alcuna partecipazione dell’organo giudiziario nel procedimento formativo del programma di liquidazione, posto che il nuovo ultimo comma dell’art. 104 ter, precisa che il programma approvato va soltanto comunicato al giudice, il quale autorizza l’esecuzione degli atti ad esso conformi. Il programma, cioè, una volta approvato dal comitato dei creditori, non tiene più luogo, nella ultima versione della legge fallimentare, delle singole autorizzazioni eventualmente necessarie per l’attuazione, essendo stata abrogata la seconda parte del quarto comma che conteneva questa disposizione, sostituita con il nuovo ultimo comma, che introduce un controllo del giudice nella fase attuativa, avendo attribuito a questo organo il potere di autorizzare l’esecuzione degli atti a esso conformi. 
Con questo intervento è stata eliminata la semplificazione che il legislatore della riforma del 2006 aveva introdotto con l’abolizione di controlli sulla fase di attuazione del programma, che trovava il suo contrappeso nella partecipazione alla fase di formazione e approvazione dello stesso del comitato dei creditori e del giudice delegato[3]; nel momento in cui il legislatore del correttivo- probabilmente preoccupato della prevalenza che l’indirizzo favorevole alla espansione dei poteri del giudice andava prendendo- ha ridimensionato tali poteri all’atto dell’approvazione del programma, ha dovuto necessariamente introdurre un controllo sulla esecuzione dello stesso, onde evitare che l’organo giudiziario, al quale è rimasto un potere di vigilanza sulla regolarità della procedura, fosse completamente esautorato da ogni verifica sull’operato del curatore. E così, in ossequio alla privatizzazione della gestione della crisi, che porta alla rivalutazione del ruolo dei creditori attraverso il potenziamento del comitato, organo rappresentativo della categoria, viene a questo organo attribuito non più il potere di veto che aveva in precedenza quando si richiedeva un suo preventivo parere favorevole perché il programma fosse sottoposto all’approvazione del giudice, ma diviene l’organo  che approva il programma; ne segue la esclusione dal suo iter formativo del giudice, il quale, nell’assetto definitivo della legge fallimentare, può intervenire solo per autorizzare il curatore all’esecuzione degli atti conformi al programma e poi, in seconda battuta, per disporre,  in presenza delle condizioni indicate dal primo comma dell’art. 108, la sospensione delle operazioni di vendita o per impedire il perfezionamento  della vendita, nonché per ordinare la cancellazione delle trascrizioni e iscrizioni.
Sull’esautorazione del giudice delegato dall’iter di formazione del programma e la centralità assunta dal comitato dei creditori non possono sussistere dubbi. Il fatto che il legislatore del correttivo abbia eliminato la disposizione che attribuiva il potere di approvazione del programma al giudice delegato, trasferendolo al comitato dei creditori, sostituendo il precedente potere dell’organo giudiziario con altro di autorizzazione dei singoli atti conformi al programma, ed abbia disposto che il programma va comunicato al giudice delegato (non prima, ma) soltanto dopo l’approvazione del comitato dei creditori, sono sintomi inequivoci dell’intento di rimettere esclusivamente ai creditori le scelte operative di indirizzo della liquidazione (nel nuovo testo dell’art. 104 ter è precisato che “il programma costituisce l’atto di pianificazione e di indirizzo in ordine alle modalità e ai termini previsti per la realizzazione dell'attivo”) demandando al loro organo rappresentativo l’approvazione del programma e di togliere al giudice ogni forma di controllo sullo stesso. 
Del resto, quand’anche all’organo giudiziario fosse attribuito un vaglio, seppur di sola legalità, al momento della comunicazione del programma, le eventuali carenze da lui riscontrate non potrebbero incidere sulla operatività dello stesso dal momento che questo è stato già approvato dall’organo cui questo compito è demandato e va portato ad esecuzione; ossia il giudice delegato non potrebbe in nessun modo intervenire sul programma comunicatogli dopo essere stato approvato dal comitato dei creditori per “disapprovarlo”, ma potrebbe soltanto- e in questo si estrinseca il potere di vigilanza in mancanza di specifiche disposizioni che consentano al giudice una decisione che si rifletta oggettivamente sull’atto, come ad es. disapplicare o non autorizzare-  dare inizio al procedimento di revoca del curatore, così come nel caso di ritardo nella presentazione del programma.
In sostanza, bisogna prendere atto che il legislatore del correttivo ha precluso al giudice qualsiasi potere di interferenza nel procedimento di approvazione del programma, sicchè il potere di generale vigilanza che la legge gli attribuisce si può estrinsecare soltanto sulla permanenza o revoca del curatore, ma non può incidere sull’atto programmatico, tant’è che nessuna conseguenza è prevista, sotto il profilo oggettivo, dell’eventuale riscontro di mancanza di legalità del piano in questione; l’unica sanzione che il giudice può comminare è non autorizzare un atto in esecuzione del programma già approvato, in quanto  il controllo giudiziario, eliminato dal procedimento di formazione del programma, è stato con il correttivo del 2007 spostato al momento della esecuzione dello stesso assoggettando il compimento delle singole attività inserite nel programma all’autorizzazione del giudice previo controllo di conformità.
Sui limiti dell’intervento del giudice nella fase autorizzativa degli atti conformi al programma, di cui né la norma né la Relazione accompagnatoria si occupano, il dibattito è stato più ampio, prevalendo l’idea che il controllo di conformità si estrinsechi in un controllo di legittimità che non si esaurisce nella verifica della rispondenza del singolo atto liquidatorio alle previsioni programmatiche, ma che investe la conformità dell’atto alla legge. Il giudice, si dice, esercita un “controllo di legalità attraverso l’esame del merito degli atti che autorizza”[4], nel senso non che egli possa sindacare nel merito le scelte del curatore, bensì che egli non ha il mero compito di certificazione che il singolo atto sottoposto alla sua autorizzazione sia conforme a quanto programmato dal curatore e approvato dal comitato dei creditori, attraverso questo controllo di conformità dell’atto al programma, il giudice può effettuare una valutazione di conformità dell’atto e dello stesso programma alla legge, rifiutando l’autorizzazione nel caso l’atto, pur previsto nel programma approvato, non sia conforme alla legge o non lo sia il programma.
Chi scrive si è a suo tempo opposto a questa lettura[5], ma è superfluo riprendere questi argomenti posto che la rappresentazione del sistema fallimentare ha la funzione soltanto storica di rappresentare il passato per raffrontarlo alla nuova disciplina introdotta dal codice della crisi, che, come si vedrà, ha reso obsoleto questo argomento che, comunque, ruotava intorno alla possibilità di una verifica di legalità dell’atto esecutivo.
Rimane fermo, nel sistema della legge fallimentare, che il giudice può recuperare un potere di partecipazione alla formazione del programma nel caso di inerzia del comitato dei creditori, di impossibilità di  costituzione per insufficienza di numero o indisponibilità dei creditori, o di funzionamento del comitato o di urgenza, ai sensi del  quarto comma dell’art. 41, dal momento che non vi è motivo per escludere che la norma trovi applicazione anche nella fattispecie in esame, di talchè è il giudice che, in mancanza (in senso generale) del comitato dei creditori, provvede all’approvazione del programma. Questo potere del giudice si estrinseca in un provvedimento che, seppur emesso in via surrogatoria in sostituzione di un organo amministrativo e avente natura non giurisdizionale, rimane un atto del giudice, come tale impugnabile ai sensi dell’art. 26 (che può investire anche il merito) e non dell’art. 36, come nel caso in cui il rifiuto provenga da un comitato dei creditori perfettamente operante.
2 . La procedura per l’approvazione del programma di liquidazione nel codice della crisi. Introduzione al tema da esaminare
Nel nuovo codice della crisi si assiste ad una ulteriore rivoluzione in quanto il comma settimo dell’art. 213 stabilisce che il programma di liquidazione predisposto dal curatore “è trasmesso al giudice delegato che ne autorizza la sottoposizione al comitato dei creditori per l'approvazione. Il giudice delegato autorizza i singoli atti liquidatori in quanto conformi al programma approvato”.
Questa è l’unica disposizione sopravvissuta alla rivisitazione della disciplina sulla liquidazione ad opera del D.Lgs. 17 giugno 2022 n. 83, che ha integralmente modificato i poteri del giudice nella fase liquidatoria- il cui primo atto si può far risalire alla formazione del programma di liquidazione- rispetto alla versione originaria del codice di cui al D.Lgs. 12 gennaio n. 14.
Invero in questa originaria versione: 
- il secondo comma dell’art. 216 prevedeva che “le vendite e gli altri atti di liquidazione posti in essere in esecuzione del programma di liquidazione sono effettuati dal curatore o dal delegato alle vendite tramite procedure competitive, anche avvalendosi di soggetti specializzati, “con le modalità stabilite con ordinanza dal giudice delegato”;
-il terzo comma dell’art. 2016 disponeva che era il giudice delegato che stabiliva se le vendite dovessero essere effettuate secondo le disposizioni del codice di rito;  
- il quinto comma dell’art. 216 assegnava al giudice delegato il compito di disporre la pubblicità sul portale delle vendite pubbliche o altre ulteriori forme di pubblicità idonee ad assicurare la massima informazione e partecipazione degli interessati;
- il comma settimo dell’art. 213 CCII stabiliva che il programma di liquidazione predisposto dal curatore “è trasmesso al giudice delegato che ne autorizza la sottoposizione al comitato dei creditori per l'approvazione”.
Come si legge nella relazione accompagnatoria del D.Lgs. n. 14 del 2019, “il giudice delegato, nella prospettiva della riforma, è destinato a riacquistare, dunque, un ruolo centrale …”, ma nella versione definitiva del codice  questa disciplina è stata modificata in quanto è stato ripristinato nel comma terzo dell’art. 216  il testo del secondo comma dell’art. 107 L. fall., per cui è ritornato ad essere il curatore (e non il giudice delegato)  l’organo legittimato a  prevedere nel programma di liquidazione che le vendite dei beni mobili, immobili e mobili registrati siano effettuate dal giudice delegato secondo le disposizioni del codice di rito, in quanto compatibili, ed egualmente è stato attribuito (nel comma quarto dell’art. 216)  al curatore il compito  di effettuare la pubblicità sul portale delle vendite e ricorrere ad ulteriori forme di pubblicità almeno trenta giorni prima della vendita, in cui il giudice può solo autorizzare la riduzione di tale termine in caso di urgenza; e, principalmente, è stato espunto dal secondo comma dell’art. 216 l’inciso che assegnava al giudice il potere di fissare le modalità della vendita, che richiedeva l’emissione di un’ordinanza di vendita da parte del giudice delegato anche nel caso di c.d. vendita competitiva.
E’ rimasto invece immutato- come si diceva- il settimo comma dell’art. 213, sicchè ora, il programma di liquidazione non è più sottoposto direttamente dal curatore al comitato per la sua approvazione e poi, a norma del nono comma dell’art. 104 ter L. fall., una volta approvato, comunicato al giudice delegato che autorizza l’esecuzione degli atti a esso conformi, ma è trasmesso preventivamente al giudice delegato, il quale può di disporre se sottoporlo al comitato dei creditori per l’approvazione o bloccare l’iter formativo dello stesso, negando il passaggio al comitato, che costituisce la novità più interessante rispetto al passato, tale da indurre ad un ripensamento del ruolo del giudice nell’intera fase della liquidazione dei beni.
Questo diritto di veto il giudice delegato può sicuramente esercitarlo quando il programma non supera un vaglio di conformità alla legge, anche  perché l'art. 123 attribuisce a tale organo funzioni di vigilanza e di controllo sulla regolarità della procedura, che comprendono uno scrutinio di legalità formale di rispetto delle leggi da parte del curatore; se neanche un tale controllo fosse ammissibile, non si spiegherebbe la preventiva trasmissione del programma al giudice delegato, che evidentemente ha lo scopo proprio di consentire un iniziale verifica da parte del giudice prima inesistente.
Il problema è capire fino a che punto possa spingersi il controllo del giudice, senza essere offuscati dal pregiudizio che la gestione del patrimonio del debitore e la sua liquidazione siano affidate in via esclusiva al curatore e al comitato dei creditori, con esclusione do ogni intervento del giudice sul merito delle scelte di questi organi,  dato che in tema di liquidazione dei ben sono stati completamente modificati i poteri e le interazioni tra i vari organi della procedura, come si cercherà di dimostrare, e, quindi,  i rapporti funzionali tra giudice delegato e curatore possono anche non essere coerenti con l’assetto ordinamentale generale che si pone in continuità con la legge fallimentare.
3 . La procedura per l’approvazione del programma di liquidazione nel codice della crisi. Il controllo preventivo del GD sul programma di liquidazione
Il dato da cui muovere è che la nuova norma dispone che il programma di liquidazione passa per l’esame del giudice, prima della sottoposizione dello stesso al comitato dei creditori per l’approvazione, e che, quindi, è il giudice delegato a dover decidere se trasmettere il programma al comitato, il quale, a sua volta, è chiamato a pronunciarsi sull’approvazione solo in subordine al giudizio positivo espresso dal giudice delegato. 
Orbene, l’attribuzione di un potere di veto, in precedenza inesistente, che condiziona l’intero procedimento di approvazione del programma, senza che  contestualmente siano fissati i criteri in base ai quali il giudice deve decidere se disporre o negare la trasmissione del programma al comitato dei creditori né, tanto meno, richiamare il concetto di ritualità dello scrutinio, è indice, a mio avviso, della volontà del legislatore di assegnare al giudice ampi margini di discrezionalità che gli permettono  anche una verifica sostanziale di conformità ai criteri di economicità (quale ottimizzazione dei risultati in relazione alla natura dei beni disponibili), di efficacia (quale idoneità delle proposte alla cura effettiva degli interessi da perseguire), di congruenza teleologia e funzionale (congruità della previsione sulle procedure competitive, adeguatezza della motivazione per preferire una vendita particellizzata a quella unitaria dell’azienda o di un ramo di essa; ragionevolezza dei tempi e modi della liquidazione, e così via), che sfocia inevitabilmente in un sindacato sul merito delle scelte fatte dal curatore[6].
Ed infatti, proprio a causa di questa nuova distribuzione di poteri tra organi, nell’art. 213 non è stato riprodotto il comma quinto dell’art. 104 ter L. fall. che attribuisce al comitato il potere di “proporre al curatore modifiche al programma presentato”; a dimostrazione, cioè, che il comitato può o non approvare il programma visionato dal giudice, ma non può evidentemente chiedere di modificarlo, altrimenti la valutazione preventiva perderebbe significato. Se, come correttamente si è detto[7],  la  ratio della anticipazione del sindacato giudiziale consiste “nell’opportunità, avvertita dal riformatore, di assicurare un controllo non parcellizzato e atomistico sui singoli atti programmati, ma globale e onnicomprensivo sulla pianificazione delle vendite”, una tale finalità verrebbe elusa se il controllo del giudice sul piano di liquidazione globalmente inteso- che, a salvaguardia della molteplicità degli interessi attraversati dal fenomeno dell’insolvenza, deve tener conto del risultato complessivo che le singole operazioni liquidatorie sono in grado di determinare in ragione del loro interagire- non implicasse una valutazione di opportunità e convenienza delle scelte del curatore.
Certo, in questo modo il nuovo codice riafferma la centralità del giudice delegato benchè siano state eliminate dal tessuto normativo dell’art. 216 quelle disposizioni che gli consentivano addirittura di dettare le modalità delle vendite, ma, a ben vedere, il controllo penetrante di merito del giudice nella fase iniziale della presentazione del programma di liquidazione trova ulteriore conferma, per la sua coerenza sistematica, proprio nell’abolizione di quei poteri. Se, infatti,  in presenza della originaria versione dell’art. 216 diventava superfluo (o comunque eccessivo) un sindacato di merito preventivo del giudice, essendo questi l’organo che poi avrebbe deciso le modalità delle vendite, una volta  abolito questo potere originariamente previsto dall’art. 216,  si giustifica, non volendo lasciare il curatore e il comitato dei creditori arbitri assoluti della liquidazione dell’attivo,  l’attribuzione al giudice delegato di una valutazione preventiva di merito, che, come sembra convenire anche la relazione accompagnatoria a D.Lgs. n. 83 del 2022, è utile a soddisfare le esigenze di controllo e verifica dell’operato del curatore e idoneo a rendere più rapido ed efficiente il sistema delle vendite rispetto a quello previsto nella originaria versione del codice, potenzialmente foriero di lungaggini. Efficientismo che si giustifica proprio con il fatto che vi è a monte, al momento della formazione del programma di liquidazione, un penetrante controllo del giudice, che rende superflui interventi successivi dello stesso organo; sicchè la riscrittura dell’art. 216 va letta non come un ripensamento ad attribuire al giudice un ruolo centrale nella fase liquidatoria, ma come una conferma della riconquistata sua centralità, come peraltro riconosciuto nella Relazione al D.Lgs. n. 83/2022, quando si dice che “Le modifiche all’articolo 216 sono speculari all’impostazione dell’articolo 213 e tendono a chiarire le modalità di vendita e di informativa al giudice delegato per una più completa vigilanza”.  
A questo si aggiunge la ripristinata  (almeno in parte) procedimentalizzazione delle vendite competitive  come delineate nel secondo comma dell’art. 216, con la riproduzione di gran parte della disciplina dettata per le vendite secondo il codice di rito, di modo che una verifica legale del rispetto delle regole da parte del giudice è connaturato al  ruolo di vigilanza e di controllo da questi svolto e non sarebbe stato necessario prevedere un intervento a monte; l’attribuzione al giudice di una verifica preventiva, con correlativo diritto di veto al proseguimento dell’iter di approvazione del programma di liquidazione, si spiega col fatto che le vendite competitive, seppur parzialmente  procedimentalizzate, richiedono  scelte strategiche a monte determinanti, sulle quali il legislatore ha inteso rispristinare un controllo del giudice[8]. 
Ed allora si spiega anche  perché non è stata riprodotta nell’art. 213 la definizione che il programma di liquidazione presentato dal curatore  “costituisce l'atto di pianificazione e di indirizzo in ordine alle modalità e ai termini previsti per la realizzazione dell'attivo”, proprio a significare che il programma, seppur sempre rapportabile all’iniziativa del curatore, non è più un atto esclusivo dello stesso, ma frutto della collaborazione con il giudice, che sullo stesso può esercitare un controllo di merito e  operare un diritto di veto ove non d’accordo sulle scelte in esso contenute, che implica anche la possibilità di interlocuzione col curatore  per apportare  eventuali modifiche al programma.  
Si spiega, inoltre, la diversa terminologia utilizzata nel terzo comma dell’art. 216, per il quale “il curatore può proporre nel programma di liquidazione” che le vendite vengano effettuate dal giudice delegato, rispetto alla dizione dell’art. 107, comma 2, L. fall.,  per il quale il curatore “può prevedere nel programma di liquidazione ….”,  ove il verbo proporre, al posto di prevedere, sottolinea  che non  è il curatore che decide, ma avanza una proposta che va sottoposta al vaglio del giudice delegato, al quale viene indirizzato il programma e che è l’organo che stabilisce se tale programma possa essere rimesso al comitato dei creditori per l’approvazione.
Del resto, il comma quarto dell’art. 216, quando prevede che “Le vendite di cui ai commi 2 e 3 sono effettuate con modalità telematiche tramite il portale delle vendite pubbliche, salvo che tali modalità siano pregiudizievoli per gli interessi dei creditori o per il sollecito svolgimento della procedura”, implicitamente attribuisce proprio al giudice, sia nel caso delle vendite competitive informali di cui al comma 2 che delle vendite secondo il codice di rito di cui al comma 3 (riprendendo in tal caso la previsione di cui al comma 4 dell’art. 569 c.p.c.), una valutazione di merito circa la ricorrenza dei requisiti che consentono di non ricorrere alla vendita con modalità telematiche[9]. Egualmente il secondo comma dell’art. 213, quando fissa la presunzione di non convenienza a proseguire l’attività di liquidazione dopo sei infruttuosi esperimenti di vendita, lascia al giudice la libertà di valutare l’esistenza di giustificati motivi (che richiede uno vaglio nel merito) per continuare la liquidazione. 
È sempre il giudice delegato che, a norma del secondo comma dell’art. 216 dà l’ordine di liberazione dell’immobile oggetto di vendita o già aggiudicato, emana le disposizioni per attuarlo, cui il curatore deve attenersi, può avvalersi della forza pubblica e nominare ausiliari ai sensi dell’art. 68 c.p.c., a conferma della nuova centralità assunta dal giudice delegato, tanto da attribuirgli anche il compito di dettare le modalità di liberazione[10].
Ed ancora, l’art. 122, comma 1, lett. e), allorchè attribuisce al giudice il potere di autorizzare “ il curatore a stare in giudizio come attore o come convenuto quando è utile per il miglior soddisfacimento dei creditori”, consente al giudice di valutare l’opportunità delle proposte del curatore, essendo indubbio che il giudice possa, ad esempio, negare l’autorizzazione a promuovere un’azione che ritenga infondata e non sia pertanto utile per il miglior soddisfacimento dei creditori, come espressamente richiede l’attuale norma,  a differenza dell’art. 25 L. fall. che non conteneva questo ultimo inciso. E se una tale valutazione compete al giudice quando non è ancora approvato il programma di liquidazione o l’esercizio dell’azione non è inclusa nello stesso, diventa illogico escludere che lo stesso potere il giudice non abbia nel momento in cui è chiamato a decidere se far proseguire l’iter approvativo del programma nel quale tale intenzione del curatore è esplicitata, salvo ad ammettere che il giudice possa disporre la trasmissione al comitato di un programma che comprenda l’esercizio di una azione giudiziaria ritenuta inopportuna e poi non autorizzare la stessa, pur essendo conforme al programma. 
In linea più generale, ove non sia ancora approvato il programma di liquidazione, è il giudice che autorizza il curatore alla liquidazione dei beni sentito il comitato dei creditori se già nominato (art. 203, comma 6), o all’esercizio provvisorio (art. 211, comma 3) o all’affitto di azienda o di rami di essa (art. 212, comma 1) a dimostrazione che la legge non esclude la possibilità di ingerenze del giudice nel merito delle scelte gestionali del curatore quando manca un programma di liquidazione, giacchè, se questo è stato approvato vuol dire che ha già superato lo scrutinio di merito del giudice. 
Significativa è anche la correzione apportata dall’art.196 alla pari previsione dell’art. 87 bis L. fall.. Questo consente di restituire, su istanza della parte interessata e con decreto del giudice delegato i “beni mobili sui quali i terzi vantino diritti reali o personali chiaramente riconoscibili”, previo “consenso del curatore e del comitato dei creditori, anche provvisoriamente nominato”, omettendone la inventariazione; la nuova norma ha sostituito al consenso del curatore e del comitato dei creditori il parere espresso da tali organi, di modo che l’attuale formula, non solo libera il giudice dal vincolo del consenso  di tali organi- ristabilendo una coerenza tra l’attività svolta dal giudice in questo frangente e quella che avrebbe espletato in sede di verifica delle domande di rivendica e restituzione ai sensi dell’art. 210 di cui si esplicita la deroga- ma fa chiaramente capire che il parere del comitato è richiesto se tale organo  è già costituito, altrimenti se ne fa a meno[11] in quanto provvede il giudice.
Concetto che trova una puntuale applicazione nella liquidazione controllata, ove  il programma di liquidazione, che deve avere lo stesso contenuto indicato nei commi 3 e 4 dell’art. 213, è approvato dal giudice delegato (art. 272, comma 2), con tutti i relativi poteri di indagine  e verifica di merito. Nella procedura da sovraindebitamento non è prevista la figura del comitato dei creditori, ma, se si pone mente al fatto che la liquidazione controllata mutua l’impianto della liquidazione giudiziale, che  le vendite effettuate in entrambe le procedure hanno natura coattiva ed hanno in comune la predisposizione di un programma di liquidazione che indica le linee programmatiche da seguire, si vede come il legislatore,  nel prevedere nella liquidazione giudiziale, la trasmissione del programma di liquidazione al giudice, il quale  stabilisce se sottoporre poi il documento all’approvazione del comitato dei creditori, abbia inteso uniformare i poteri dell’organo giudiziario nelle due procedure, adattandoli, nella identità della natura e funzione delle vendite, alle diverse strutture organizzative: in quella da sovraindebitamento, in mancanza del comitato dei creditori, tali poteri si estrinsecano  direttamente nell’approvazione, per cui giustamente non è stato richiamato il comma settimo dell’art. 213,  in quella maggiore, ove è prevista la nomina del comitato dei creditori, si traducono in un vaglio preliminare che precede l’approvazione da parte del comitato, che, infatti, non può più proporre modifiche del piano.
Quello che si intende dire è che attribuire al giudice un intervento nel merito del programma non è eterodosso rispetto alle funzioni del giudice delegato in tema di   inventariazione, gestione e liquidazione dell’attivo.
Il fatto è che l’emarginazione dell’organo giudiziario conseguente alla riforma degli anni 2006/2007 per un verso, presentava aspetti di incostituzionalità per eccesso di delega, richiedendo la relativa legge che il curatore predisponesse “un programma di liquidazione da sottoporre, previa approvazione del comitato dei creditori, all’autorizzazione del giudice delegato”[12], e, per altro verso, l’intero meccanismo non ha avuto una proficua applicazione nella pianificazione e organizzazione della procedura, tant’è che il CSM, da ultimo con delibera 20 luglio 2022,  nel raccogliere le buone prassi in tema di liquidazione formatesi nel vigore della legge fallimentare, precisa che “si rivela particolarmente utile -specie per garantire uniformità di applicazione da parte dei curatori e facilitare le verifiche da parte del giudice delegato - che ciascuna sezione predisponga una circolare sulle modalità di liquidazione che contenga le condizioni generali e favorisca l’adozione da parte dei curatori di bandi omogenei per le singole tipologie di vendita” (pag. 56) e, più specificatamente quanto al programma di liquidazione, che “al fine di consentire un più attento e consapevole monitoraggio dell’operato del curatore, può raccomandarsi agli uffici l’adozione di indicazioni ai curatori circa le informazioni da rendere in sede di stesura del programma di liquidazione” (pag. 58).
Segnali inequivoci che già nel vigore della legge fallimentare era nella prassi avvertita l’esigenza di un cambiamento che investisse proprio i ruoli dei vari organi in modo da rendere più efficiente quello del giudice delegato. Questo fine è stato realizzato, più che positivizzando quelle prassi virtuose avallate e sponsorizzate dal CSM (destinate comunque a condizionare l’operato dei curatori), attribuendo al giudice, con una forma di nemesi storica, quello stesso potere di veto che nella versione originaria dell’art. 104 ter L. fall. spettava al comitato, che poteva, con il suo parere negativo che, ovviamente investiva il merito, bloccare l’autorizzazione del giudice. Esattamente come allora il comitato, ora il giudice dà un parere positivo a che possa proseguire l’iter della approvazione del programma o impedisce che ciò accada[13]; con conseguente possibilità, a tutela dei creditori, di impugnare il provvedimento ai sensi dell’art. 124, che consente al tribunale una valutazione di merito, nel mentre i provvedimenti del curatore e del comitato dei creditori sono impugnabili, ai sensi dell’art. 133 e dell’art. 141 esclusivamente per violazione di legge.
Questa lettura rende più coerente al sistema l’incipit del secondo comma dell’art. 216, per il quale “Le vendite …. sono effettuati dal curatore o dal delegato alle vendite …”; espressione tecnica precisa che richiama quella del “delegato alle operazioni di vendita” di cui tratta l’art. 591-bis. c.p.c. e che consente di superare l’opinione in precedenza formatasi, secondo cui il curatore non poteva servirsi del professionista delegato, fondata sulla ben diversa formula di cui al quarto comma dell’art. 104 ter L. fall.[14]. Nuovo potere attribuito al curatore, che si inserisce armonicamente nel nuovo sistema di approvazione del programma di liquidazione (nel quale il curatore deve indicare se intende affidare la vendita ad un delegato), su cui il giudice ha già esercito un controllo anche di merito. 
Di contro, per le attività che non vanno indicate nel programma di liquidazione, i poteri del curatore sono stati ristretti, come per la nomina dello stimatore. Dal combinato disposto degli artt. 87, comma 2 e 107, comma 1, L. fall. si deduce chiaramente che il curatore deve servirsi di un esperto per la stima dei beni che non siano di modesto valore e che lo stimatore è nominato dal curatore, il quale per tale nomina non ha bisogno di autorizzazione, né del giudice delegato né del comitato dei creditori; da qui la conseguenza che lo stimatore non è equiparabile ad un coadiutore (per la cui nomina è necessaria l’autorizzazione del comitato dei creditori a norma del secondo comma dell’art. 32 L. fall.), ma è un professionista al quale il curatore affida un incarico professionale. Il nuovo codice segue apparentemente la stessa linea ribadendo nell’art. 195 (che riprende l’art. 87 L. fall.) che è il curatore che nomina uno stimatore quando occorre[15], ma, il primo comma dell’art. 216, nel riaffermare ulteriormente che i beni acquisiti all’attivo della procedura sono “stimati da esperti  nominati dal curatore”, precisa “ai sensi dell’art. 129, comma 2, che riproduce il secondo comma dell’art. 32 L. fall., per cui ora è stabilito per legge che lo stimatore è un coadiutore, la cui nomina deve essere autorizzata dal comitato dei creditori, che, peraltro il più delle volte, si tradurrà in una autorizzazione sostitutiva del giudice delegato,  a norma del comma quarto dell’art. 140, essendo difficile che nella prima fase dell’inventariazione sia già costituito il comitato dei creditori; al di là della  bontà di questa scelta rimane il fatto, che qui interessa sottolineare, che per la indicazione e nomina dello stimatore, che non fa parte del contenuto del programma di liquidazione, è stata realizzata una restrizione della libertà del curatore che fa da pendant all’ampliamento dei poteri del comitato dei creditori direttamene e, indirettamente, del giudice delegato[16].
4 . La procedura per l’approvazione del programma di liquidazione nel codice della crisi. L’autorizzazione degli atti conformi
Egualmente diventa più coerente la previsione del settimo comma dell’art. 213 per la quale “il giudice delegato autorizza i singoli atti liquidatori in quanto conformi al programma approvato”. Invero, nella legge fallimentare, eliminato ogni controllo del giudice nel procedimento di formazione del programma, il controllo successivo di conformità alle previsioni programmatiche di cui al nono comma dell’art. 104 ter era stato, come si è accennato, ampliato fino a comprendere una verifica della conformità dell’atto e dello stesso programma alla legge, allo scopo di evitare ulteriormente la marginalità del ruolo del giudice. Questa forzatura del testo legislativo non è più necessaria nel nuovo codice,  in quanto il fatto che il giudice abbia il mero compito di appurare che l’atto sottoposto alla sua autorizzazione per l’esecuzione sia conforme a quanto programmato dal curatore e approvato dal comitato dei creditori, si spiega con il fatto che il giudice ha preventivamente espletato  un vaglio anche di merito sul programma di liquidazione nel suo complesso, per cui  attraverso il successivo controllo è sufficiente che egli verifichi che i singoli atti attuativi non siano estranei al programma ma siano ad esso conformi. 
Allo stesso criterio è ispirato il terzo comma dell’art. 132 che, nel sottrarre a qualsiasi previa autorizzazione del giudice gli atti indicati nel primo comma di detta norma (riassuntivamente classificabili, per semplicità espositiva, negli atti di straordinaria amministrazione), richiede, tuttavia, che se tali atti “sono di valore superiore a cinquantamila euro e in ogni caso per le transazioni,  il curatore ne informa previamente il giudice delegato, salvo che gli stessi siano già stati autorizzati dal medesimo ai sensi dell’art. 213, comma settimo”. Non interessa in questo momento approfondire la ragione della preventiva comunicazione di tali atti al giudice delegato; di sicuro essa non è finalizzata ad ottenere una autorizzazione al compimento degli stessi dato che la stessa norma  chiarisce che dette operazioni sono effettuate dal curatore “previa autorizzazione del comitato dei creditori”, ma è altrettanto sicuro che detti atti, benché attinenti alla gestione del patrimonio della liquidazione giudiziale, vanno inclusi nel programma di liquidazione dal momento che sono soggetti all’autorizzazione di conformità di cui all’art. 213, comma 7, al punto che il rilascio di tale autorizzazione rende superflua la comunicazione richiesta dall’art. 132, comma 3. Queste due norme- che riproducono le corrispondenti previsioni di cui agli art. 35, co. 3 e 104 ter, comma 8 L. fall., difficilmente armonizzabili nel sistema fallimentare che non prevede la partecipazione del giudice nella formazione del programma di liquidazione- diventano agevolmente conciliabili ove si ritenga che l’art. 213 consente al giudice delegato un controllo di merito preventivo sul programma e l’autorizzazione di cui al comma settimo dell’art. 213 presuppone soltanto un controllo di conformità dell’atto al programma stesso, giacchè, in tal modo, si spiega l’ultimo inciso dell’art. 132, comma, 3, essendo evidente che non è necessaria la comunicazione dell’atto quando il giudice delegato abbia già avuto conoscenza dello stesso per aver controllato che esso è compreso nel programma ed è ad esso conforme, il che presuppone che il programma abbia superato il vaglio di merito. 
A ben vedere, è lo stesso meccanismo che il nuovo legislatore ha attuato in sede di riparto, ove l’ulteriore ridimensionamento del ruolo del giudice[17] ben si spiega con il rapporto di vincolatività che lega il riparto alle risultanze dello stato passivo, ove il giudice ha esercitato i suoi pieni poteri decisionali; ed allora è evidente il parallelismo con la fase liquidatoria: come al momento del riparto il giudice controlla solo la legalità del progetto in quanto sui crediti in esso inclusi  si è già espresso in sede di accertamento del passivo, così nella fase della liquidazione il giudice controlla la conformità dei singoli atti esecutivi al programma, essendo questo già passato al suo vaglio di merito. Non si versa, quindi, in un caso di schizofrenia del legislatore che in materia di liquidazione accentua i poteri del giudice e li riduce nell’ambito del riparto, ma di coerenza logica apprezzabile. 
In questa ottica, ben si spiega anche la diversa formula  del comma 7 dell’art. 213, per il quale il giudice delegato autorizza “i singoli atti” conformi al programma  e non “l’esecuzione degli atti a esso conformi”, secondo l’espressione del comma 9 dell’art. 104 ter L. fall., che evoca la possibilità anche di una autorizzazione cumulativa, nel mentre il nuovo legislatore ha nettamente distinto i compiti del giudice nelle due fasi: quella iniziale preventiva di esame dell’intero programma per ottenere il lasciapassare per il successivo iter di approvazione e quella successiva dell’attuazione, che si esplica attraverso il controllo di conformità di ciascun singolo atto al programma approvato.
Si spiega, altresì, il nuovo rapporto instaurato tra giudice e curatore, il quale non deve più soltanto informare il primo dell’esito delle procedure di vendita, ma deve informare “il giudice delegato dell’andamento delle attività di liquidazione nelle relazioni di cui all’art.130, comma 9” (comma 2 secondo periodo art. 216); una tale comunicazione, eccentrica rispetto ad un sistema che presupponga soltanto un controllo di legalità (ed infatti non è prevista nella legge fallimentare), è del tutto coerente con il ruolo determinante del giudice nella formazione del programma di liquidazione, diventando in tal caso conseguenziale che egli debba seguire anche l’attuazione dello stesso mediante comunicazioni periodiche e non soltanto avendo notizia dell’esito delle operazioni di vendita. 
A sua volta la richiamata previsione del secondo comma dell’art. 216 si inserisce nella generale disciplina dei rapporti periodici dettata dal comma nono dell’art. 130; mentre, infatti, l’art. 33, comma 5 L. fall. parla di trasmissione del rapporto al comitato dei creditori, al registro delle imprese e ai creditori, ma non prevede alcun obbligo di relazione al giudice e solo in modo indiretto è desumibile che il rapporto debba arrivare anche alla cancelleria del tribunale, nel nuovo codice, per il disposto del comma nono dell’art. 130, il giudice diventa il principale destinatario  dei rapporti riepilogativi delle attività svolte e delle informazioni raccolte dopo le precedenti relazioni. In perfetta coerenza con i commi precedenti che prevedono che siano presentate al giudice delegato sia la relazione iniziale entro trenta giorni dall’apertura della liquidazione giudiziale (art. 130, comma 1), sia quella particolareggiata entro sessanta giorni dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo (art. 130, comma 4), con possibilità per il giudice anche di poter intervenire fattivamente autorizzando “il curatore a richiedere alle pubbliche amministrazioni le informazioni e i documenti in loro possesso” (art. 130, comma 3), la cui ratio- come si legge nella Relazione accompagnatoria al D.Lgs. n. 14 del 2019 (l’art. 130 è rimasto immutato rispetto alla originaria scrittura) è data dalla “esigenza di consentire un costante esercizio della vigilanza e del controllo da parte del giudice delegato e del comitato dei creditori, e (da) ragioni di trasparenza e informazione dei creditori e di qualunque interessato”.
Anche la sottrazione al curatore del potere di sospendere la vendita ove pervenga offerta irrevocabile d'acquisto migliorativa, riconosciutogli dal comma quarto dell’art. 107 L. fall., costituisce una ulteriore dimostrazione della nuova ridistribuzione di compiti in quanto ora solo il giudice può sospendere le operazioni di vendita o impedire  il perfezionarsi della stessa, in armonica corrispondenza con il suo iniziale potere di interferire nel programma di liquidazione, al quale, una volta approvato, il curatore deve dare esecuzione. Invero, il rimedio della sospensione che il sistema appronta per l’ipotesi in cui, nonostante il rispetto dei criteri di pubblicità, competizione e riferimento a valori di stima, l’aggiudicazione sia avvenuta a un prezzo “notevolmente inferiore a quello ritenuto congruo”, comporta la rinnovazione della vendita onde conseguire un risultato maggiormente in linea con lil mercato e le aspettative dei creditori, per cui questo potere del giudice diventa molto più coerente che in passato se si attribuisce allo stesso organo la possibilità di incidere preventivamente sulle regole attraverso cui la disciplina sulla liquidazione dell’attivo  intende ottenere il più consistente risultato dalla vendita al fine di soddisfare nel migliore dei modi l’interesse del ceto creditorio.
Così interpretato, il sistema sembra molto più equilibrato. Non vi è il ritorno alla concentrazione dell’attività liquidatoria nella persona del giudice, che comportava anche il rigoroso rispetto della disciplina organizzativa delle vendite contenuta nel codice di rito, ma neanche il completo esautoramento di tale organo dalla fase liquidatoria, che nella legge fallimentare riformata aveva visto ridotto il suo compito al giudizio di conformità dei singoli atti da porre in essere al programma di liquidazione. Il nuovo legislatore, muovendo dall’idea che il fenomeno dell’insolvenza non può essere relegato al rapporto creditore-debitore dal momento che si ripercuote su una collettività di soggetti, che giustifica la previsione di una procedura apposita, sistematicamente finalizzata alla soddisfazione, non di uno o più creditori, ma dell’intera massa dei creditori attraverso la liquidazione di tutti i beni del debitore, ha ritenuto che nella liquidazione, seppur non procedimentalizzata, sia ancora utile  e necessaria la presenza del giudice, che per un verso può ancora procedere alle vendite secondo le regole del codice di rito ove il curatore lo proponga nel programma di liquidazione, e, per altro verso, può incidere sul programma stesso, che, una volta superato questo vaglio iniziale, può consentire vendite competitive, prive della rigidità delle forme delle vendite giudiziali. 

Note:

[1] 
Di programma si parlava già nell’art. 54 del D.lgs. 270/1999, ma questo è un programma che deve tener conto della duplicità di indirizzi cui la procedura di amministrazione straordinaria può essere indirizzata (e le finalità di ristrutturazioni non era presente nel fallimento); ed anche quando è adottato l'indirizzo della cessione, il programma ha, principalmente la funzione di indicare le modalità della cessione dei complessi aziendali, segnalando le offerte pervenute o acquisite, nonché le previsioni in ordine alla soddisfazione dei creditori. Quello fallimentare aveva, invece, una funzione più ampia e più pianificatrice in quanto il curatore doveva predisporre, fin dall’inizio, un programma, teso a razionalizzare la fase di liquidazione dell’attivo, che definissse le modalità e i termini della liquidazione dell’attivo al quale poi attenersi.  
[2] 
Pertanto, quali che fossero stati i poteri del giudice, era evidente anche un certo tasso di contraddizione nella costruzione fatta dal legislatore del 2006, che, da una parte, chiedeva l’autorizzazione del giudice per determinati atti, che dovevano comunque essere inclusi nel programma, per poi dire che, approvato il programma, non era necessaria altra autorizzazione; sii pensi, ad esempio, ad un’azione giudiziaria, la cui l’inclusione nel programma sostituiva l’autorizzazione richiesta dall’art. 25 una volta che il programma era stato approvato. L’unica via per superare la contraddizione era ritenere che la singola autorizzazione del giudice di cui all’art. 25 era limitata al caso che l’azione in questione fosse esperita prima dell’approvazione del programma stesso o non fosse inclusa nel programma, anche se in tal caso sarebbe stato più corretto integrare preliminarmente il programma per ovviare all’omissione.
[3] 
Invero, essendo l’approvazione del programma frutto della partecipazione di tali organi, diventava superflua qualsiasi successiva ulteriore verifica che la legge prevedeva attraverso formule autorizzative articolate in vario modo, dato che l’approvazione del programma assumeva un effetto vincolante, nel senso che il curatore aveva l’obbligo, sancito espressamente dall’art. 38, di adempiere “ai doveri del proprio ufficio, imposti dalla legge o derivanti dal piano di liquidazione approvato…”.
[4] 
Cfr. per tutti, C. Esposito, Il programma di liquidazione nel decreto correttivo, in Il Fall. 2007, 1078; ID, I rapporti tra gli organi del fallimento al vaglio di costituzionalità, nota a Trib. Firenze, 13 dicembre.2007, ivi, 2008, 200 ss.
[5] 
Cfr. G. Bozza, L’approvazione del programma di liquidazione e l’autorizzazione all’esecuzione degli atti a esso conformi, in Il Fall., 2008, 1057.
[6] 
La smisurata dottrina, alimentata anche da chi scrive,  che si è interessata del programma di liquidazione nel vigore della legge fallimentare non è più attuale quanto all’aspetto in esame per le accennate sostanziali differenze intervenute, ma non è più attuale neanche la dottrina che ha esaminato il problema prima dell’intervento del D.Lgs. n. 83 del 2022 che ha riscritto l’art. 216, il cui originario contenuto condizionava, in un senso o nell’altro, l’interpretazione del settimo comma dell’art. 213. In questa fase si vedano le diverse conclusioni di A. Paluchowski, La liquidazione dell’attivo nella liquidazione giudiziale, in Il Fall., 2019, 1217 e R. Dalla Santina, Prime riflessioni sulla liquidazione giudiziale dei beni nel codice della crisi di impresa e dell’insolvenza: ritorno al passato? in Ilcaso,it, 2019. 
[7] 
Così R. D’Alonzo, Il procedimento di vendita nel codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza: quando la disciplina dell’esecuzione individuale diventa modello virtuoso, in in executivis, luglio 2022, il quale, tuttavia opta per il solo controllo di legalità, così come S. Leuzzi, L'esercizio dell’impresa e la liquidazione dell’attivo nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in Ilfallimentarista.it, febbraio 2019.
[8] 
Si pensi alla scelta di fondo del curatore di “delegare” al giudice la vendita secondo le norme del codice di rito (come, viceversa, quella per la vendita competitiva) che, in ragione della natura dei beni o di altre circostanza, potrebbe essere ritenuta meno opportuna della opzione alternativa.
[9] 
Così, se nel programma di liquidazione il curatore propone una vendita telematica, ad esempio per un “oggetto d’arte di un certo valore, non può che essere il giudice a valutare se tale modalità sia pregiudizievoli per gli interessi dei creditori o per il sollecito svolgimento della procedura potendo essere più opportuno affidarne la vendita ad una casa d’aste, che procederà col metodo tradizionale. Di contro, ove sia il curatore a proporre nel programma di liquidazione la vendita con modalità non telematiche, dovrà motivare le ragioni di tale scelta che, evidentemente formeranno oggetto di esame da parte del giudice.
[10] 
Conf. G. Caramia, La liquidazione dei beni…, cit., il quale ritiene che sarebbe stato più coerente riconoscere tale facoltà al soggetto incaricato di eseguire l’ordine, ossia proprio al curatore.
[11] 
La vecchia espressione dell’art. 87 bis L. fall. che parlava del consenso del comitato dei creditori “anche provvisoriamente nominato”, sembrava indice della volontà del legislatore di volere che, nel caso di specie, fosse comunque nominato un comitato dei creditori, seppur provvisorio per questo solo incombente.
[12] 
Al di là delle differenze tra approvazione e autorizzazione, era chiaro che il legislatore delegante voleva che il programma, approvato dal comitato dei creditori (ossia, ottenuto il parare favorevole di tale organo) fosse sottoposto al controllo del giudice delegato che avrebbe, da ultimo, dovuto esercitare, quanto meno, un controllo di legalità teso a rimuovere il limite all’esercizio del diritto/dovere del curatore di procedere alla liquidazione, che è il meccanismo in cui si sostanzia l’autorizzazione. 
[13] 
Né può trarre in inganno il fatto che il legislatore usi il verbo autorizza, quasi ad evocare il concetto di autorizzazione giuridica che  implica un controllo di legalità al fine di rimuovere un limite all’esercizio di un diritto o di un potere già attribuito dalla legge ad un soggetto, perché nella norma in esame il verbo autorizza è usato nel suo significato comune, nel senso, cioè, che il giudice autorizza, ossia consente, permette, concede che, a seguito della sua positiva valutazione, il programma di liquidazione sia trasmesso al comitato dei creditori.
[14] 
Per la quale “Il curatore, fermo restando quanto disposto dall'articolo 107, può essere autorizzato dal giudice delegato ad affidare ad altri professionisti o società specializzate alcune incombenze della procedura di liquidazione dell'attivo”.
[15] 
Ancora oggi la stima può essere omessa per i beni di modesto valore, come indicato dal penultimo periodo del primo comma dell’art. 216.
[16] 
Rimangono, peraltro, tutte le conseguenze, anche di carattere economico, sia per il professionista incaricato (il cui compenso va liquidato a norma del terzo comma dell’art. 161 disp. att. c.p.c., espressamente richiamato nell’ult. periodo del primo comma dell’art. 216), che per il curatore, nel liquidare il compenso del quale si deve tenere conto del disposto del secondo comma dell’art. 129, a causa della qualifica di coadiutore che va ora attribuita allo stimatore. Cfr, anche Corte Cost. 17 aprile 2019, n. 90, in Giur. Cost. 2019, 2, 1044.
[17] 
A norma dell’art. 220, il curatore non “presenta” più al giudice delegato un prospetto delle somme disponibili ed un progetto di ripartizione delle medesime, come previsto dal primo comma dell’art. 110 L. fall., ma “trasmette” detti atti direttamente ai creditori. 

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