Il 15 luglio 2022 è entrato in vigore il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (nel seguito, anche il “codice della crisi” o “CCII”) che ha preso forma all’esito di un iter legislativo che annovera nel suo percorso tre principali provvedimenti: (i) il D.Lgs. n. 14/2019, (ii) il D.Lgs. n. 147/2021, e (iii) il D.Lgs. n. 83/2022, , intitolato “ Modifiche al codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, in attuazione della Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l'esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la Direttiva (UE) 2017/1132 (cd. Direttiva sulla ristrutturazione e sull'insolvenza).
Il legislatore, attraverso l’emanazione della L. n. 155/2017, (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 30 ottobre 2017), ha delineato in prima battuta i principi generali e i criteri direttivi per la riforma della crisi d’impresa e dell’insolvenza, introducendo – tra l’altro – l’istituto della liquidazione giudiziale, procedura che succede e sostituisce il fallimento, con il precipuo scopo di liquidare il patrimonio dell’imprenditore insolvente, ripartendo il ricavato in favore dei creditori sulla base della graduazione dei loro crediti.
Il codice, che si estrinseca in un consistente corpus normativo, racchiude la riforma organica delle procedure concorsuali originariamente disciplinate dal R.D. n. 267/1942, (nel seguito, anche “legge fallimentare” o “L. fall.”), nonché la disciplina sulla composizione delle crisi da sovraindebitamento di cui alla L. n. 3/2012, oltre che diverse modifiche apportate alle disposizioni del Codice Civile.
Il codice della crisi mira a promuovere una logica di prevenzione e di diagnosi tempestiva delle situazioni di crisi, per la salvaguardia della continuità aziendale, in particolare, attraverso la disciplina di sistemi di allerta interna, di segnalazione da parte di enti istituzionali e di strumenti negoziali di composizione della crisi.
Il perseguimento di tali obiettivi ha trovato conferma ulteriore nell’ultimo intervento normativo con cui si è disposta la definitiva entrata in vigore del codice.
Ed invero il D.Lgs n. 83/2022, costituisce, come premesso, il recepimento della direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l'esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la direttiva (UE) 2017/1132 (cd. Direttiva sulla ristrutturazione e sull'insolvenza).
La finalità della direttiva consisteva nell’esigenza di garantire il corretto funzionamento del mercato interno e il pieno esercizio delle libertà fondamentali di circolazione dei capitali e stabilimento, tramite l’armonizzazione delle legislazioni e procedure nazionali in materia di ristrutturazione preventiva, insolvenza, esdebitazione e interdizioni.
Come è dato evincere dalla stessa Relazione Illustrativa al D.Lgs. n. 83/2022 , in base alla direttiva “la rimozione degli ostacoli esistenti rispetto al funzionamento del mercato ed alla fruizione delle libertà fondamentali da parte dei cittadini e delle realtà produttive è perseguita facendo salvi i diritti dei lavoratori e garantendo alle imprese e agli imprenditori che si trovano in difficoltà finanziaria la possibilità di accedere a misure nazionali efficaci in materia di ristrutturazione preventiva per la prosecuzione delle loro attività, laddove risanabili, e per essere esdebitati con procedimenti efficienti, tali cioè da garantire in un ragionevole lasso di tempo l’opportunità di rientrare nel ciclo produttivo”.
In altri termini, il raggiungimento di tali obiettivi doveva avvenire, nella logica del legislatore europeo, attraverso la predisposizione di “quadri di ristrutturazione” , ovvero di misure e procedure volte al rapido risanamento dell’impresa in funzione preventiva dell’insolvenza, attraverso la modifica della composizione, delle condizioni o della struttura delle sue attività e passività o del capitale, quali la vendita di attività o di parti dell'impresa e la vendita dell'impresa in regime di continuità aziendale o anche una combinazione di questi elementi.
Per altro verso, tali misure dovevano allo stesso tempo garantire la stabilità dei livelli occupazionali e di evitate la perdita di conoscenze e competenze acquisite dagli imprenditori, in funzione quindi sia del miglior soddisfacimento per i creditori – rispetto a quanto ottenibile con procedure di tipo esclusivamente liquidatorio – sia per i proprietari, sia per l'economia nel suo complesso.
Il legislatore europeo al contempo caldeggiava, per le imprese non più risanabili, una loro tempestiva liquidazione, al fine di evitare che la ristrutturazione si presentasse inefficace e finisse per aggravare la situazione di difficoltà in cui si trovava il debitore, con accumulo di ulteriori perdite ai danni dei creditori, delle altre parti interessate dal processo di risanamento e del sistema economico in generale.
Se questi erano gli scopi prefissati, d’altro canto la direttiva rinveniva la necessità dell’armonizzazione delle legislazioni partendo dalla consapevolezza delle differenze esistenti tra gli ordinamenti dei vari gli Stati membri, sintetizzate: a) nel numero, a volte troppo limitato, di procedure messe a disposizione dei debitori in difficoltà economico-finanziaria; b) nell’inefficacia e nella tardività di molte delle procedure previste, caratterizzate da intervenire in un momento in cui il risanamento non era più perseguibile; c) nella mancata valorizzazione o implementazione di strumenti stragiudiziali di regolazione delle crisi; d) nelle differenze normative in tema di ruoli e poteri affidati all’autorità giudiziaria o amministrativa ed ai professionisti da queste nominate; e) nell’eccessivo divario nella concessione dell’esdebitazione tra i diversi ordinamenti; f) nella durata eccessiva delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, “un fattore determinante dei bassi tassi di recupero e dissuade gli investitori dall'operare nelle giurisdizioni in cui le procedure rischiano di durare troppo e di essere indebitamente dispendiose” (così considerando 6).
Va da sé che l’armonizzazione perseguita dalla Direttiva (UE) 2019/1023 è rivolta comunque a rimuovere incertezze rispetti ai costi prevedibili degli investitori e così a garantire una effettiva libertà di circolazione e stabilimento all’interno del mercato interno, sul presupposto che questo si presenta sempre più caratterizzato da uno scambio sovranazionale di merci, servizi, capitali e lavoratori e fortemente influenzato dalle dinamiche digitali.
D’altra parte, le caratteristiche d’interconnessione appena richiamate, importano il rischio di un effetto domino delle situazioni di insolvenza nazionali.
Da qui l’ulteriore necessità di rimuovere differenze normative che risulterebbero fuori dal tempo e ostacolo ad un’effettiva allocazione in tutto il mercato interno di investimenti e finanziamenti.
In virtù del recepimento della direttiva, il D.Lgs. n. 83/2022 ha quindi apportato una serie di modifiche al testo del codice della crisi, che nella stessa relazione illustrativa sono state raggruppate in tre categorie: a) interventi di recepimento[1]; b) interventi per la semplificazione e il riassetto della normativa vigente[2]; c) modifiche di coordinamento[3].
Va poi aggiunto che alcune disposizioni, collocate nei Capi 2, 3, 4 e 5 del Titolo I della direttiva – contenenti principi in materia di “Agevolazione delle trattative sul quadro di ristrutturazione preventiva”, di “Piano di ristrutturazione”, di “Tutela dei finanziamenti….e delle altre operazioni connesse alla ristrutturazione” e di “Obblighi dei dirigenti” – per scelta di compatibilità da parte del legislatore nazionale, hanno trovato posto soprattutto nell’ambito del concordato preventivo in continuità aziendale.
La scelta è stata giustificata in ragione della stessa definizione di ristrutturazione, che nella direttiva si individua nell’insieme delle “misure che intendono ristrutturare le attività del debitore che includono la modifica della composizione, delle condizioni o della struttura delle attività e delle passività del debitore o di qualsiasi altra parte della struttura del capitale del debitore, quali la vendita di attività o parti dell'impresa, e, se previsto dal diritto nazionale, la vendita dell'impresa in regime di continuità aziendale, come pure eventuali cambiamenti 5 operativi necessari, o una combinazione di questi elementi” (articolo 2, paragrafo 1, n. 1), di per coincidente con quella dell’articolo 84, comma 2, del Codice della Crisi e tale da apparire estranea al concordato meramente liquidatorio.
Così delineato il quadro degli obiettivi della direttiva e gli effetti del suo conseguente recepimento, ai fini del presente lavoro – che mira ad individuare le relazioni intercorrenti tra i vari strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza - occorre quindi partire dalle definizioni che dello stato oggettivo delle imprese potenzialmente interessate e dei rimedi offerti loro (ai fini del risanamento ovvero, ove questo non sia perseguibile, onde procedere alla relativa liquidazione) offre il codice novellato.
In ordine al primo aspetto, l'art. 1 del D.Lgs. n. 83/2022 interviene sulla Parte Prima, Titolo 1, Capo 1, del Codice della crisi di impresa modificando l'art. 2, comma 1, al fine di adeguare le definizioni alle disposizioni e agli istituti introdotti in recepimento della direttiva UE 2019/1023. Pertanto, la definizione di “crisi” di cui alla lettera a), è identificata nel “lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi”.
L’insolvenza, invece, è descritta come “lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”.
La prima definizione tiene conto della modifica dell’art. 3 del codice[4] sugli assetti organizzativi e che ricomprende le situazioni di squilibrio economico-finanziario e patrimoniale e le inquadra in una prospettiva temporale più ampia di quella presente nella disciplina degli indicatori della crisi originariamente dettata dal Codice.
Va rilevato, per quanto qui d’interesse, che il D.Lgs. n. 83/2022 non ha ritenuto di recepire sul punto il suggerimento formulato dal Consiglio di Stato sulla norma, diretto a prevedere l’inserimento, nella definizione, di diverso grado di intensità della crisi. Ciò, come si legge nella Relazione illustrativa all’articolato normativo, in considerazione del fatto che le situazioni di squilibrio qualificabili come “pre-crisi” sono gestibili con la sola composizione negoziata e non con le altre procedure.
In altri termini, la nozione prospettata di crisi risulta quale presupposto di acceso a tutte le procedure disciplinate dal Codice, mentre, per l’accesso al percorso di composizione negoziata, la formulazione del comma 1 dell’art. 12 anticipa il momento rilevante, consentendo all’imprenditore di attivarsi precocemente, e dunque ancor prima che lo squilibrio patrimoniale o economico-finanziario sia degenerato in crisi.
Nella stesura definitiva del codice della crisi, all’art. 2 lett. m bis) si è poi precisato, quanto agli “strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza", che essi consistono nel: “le misure, gli accordi e le procedure volti al risanamento dell'impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività o del capitale, oppure volti alla liquidazione del patrimonio o delle attività che, a richiesta del debitore, possono essere preceduti dalla composizione negoziata della crisi”.
La definizione consente inoltre di recepire la nozione di ristrutturazione contenuta nell'articolo 2, paragrafo 1, numero 1, della direttiva.
L’espressione è stata modificata rispetto a quella dei “quadri di ristrutturazione preventiva” inserita nella versione dello schema di decreto approvato il 17.3.2022 in funzione del superamento dei problemi che sarebbero sorti da una definizione che non comprendeva le procedure di risoluzione concordata della crisi e dell’insolvenza puramente liquidatorie non funzionali alla prosecuzione dell’attività.
Segnatamente, la originaria definizione avrebbe finito per non includere nella disciplina generale, compresa quella del procedimento unitario, il concordato con cessione dei beni.
Viceversa, la nuova definizione - che comprende anche le misure e gli strumenti per la liquidazione, anche atomistica, del patrimonio e delle attività - recepisce il suggerimento formulato dal Consiglio di Stato sulla precedente definizione volto a precisare con maggiore chiarezza l’estraneità della composizione negoziata rispetto alle procedure regolate dal Codice. La composizione negoziata rappresenta una forma di negoziazione volontaria e stragiudiziale, all’esito della quale il debitore può perseguire il risanamento dell’attività facendo ricorso ad uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza disciplinati dal Codice (come previsto dall’art. 23, nel testo modificato dal presente schema di decreto legislativo).