Loading…

Saggio

Il rapporto tra la liquidazione giudiziale e strumenti di regolazione della crisi nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza

Enrico Quaranta, Presidente di Sezione nel Tribunale di Santa Maria Capua Vetere

22 Settembre 2022

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
*Lo scritto è destinato, con eventuali variazioni, allo Speciale di Diritto della crisi, di prossima pubblicazione, dal titolo “Studi sull’avvio del Codice della crisi” a cura di Laura De Simone, Massimo Fabiani e Salvo Leuzzi.
L’Autore analizza i rapporti tra gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, partendo dalle modifiche introdotte al Codice della crisi in sede di recepimento della direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019. L'indagine si concentra sugli obiettivi della normativa comunitaria e indaga le relazioni sussistenti tra i vari strumenti, dalla composizione negoziata sino alla liquidazione giudiziale.
Riproduzione riservata
1 . Premessa
Il presente lavoro si prefigge l’obiettivo di illustrare e coordinare tra loro le diverse disposizioni contenute nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, rivolgendo l’attenzione ai rapporti tra il ‘nuovo’ istituto della liquidazione giudiziale e i diversi strumenti di regolazione della crisi che popolano il nuovo impianto normativo.
2 . Introduzione: il codice riformato in seguito al recepimento della direttiva 2019/1023
Il 15 luglio 2022 è entrato in vigore il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (nel seguito, anche il “codice della crisi” o “CCII”) che ha preso forma all’esito di un iter legislativo che annovera nel suo percorso tre principali provvedimenti: (i) il D.Lgs. n. 14/2019, (ii) il D.Lgs. n. 147/2021, e (iii) il D.Lgs. n. 83/2022, , intitolato “ Modifiche al codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, in attuazione della Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l'esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la Direttiva (UE) 2017/1132 (cd. Direttiva sulla ristrutturazione e sull'insolvenza).
Il legislatore, attraverso l’emanazione della L. n. 155/2017, (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 30 ottobre 2017), ha delineato in prima battuta i principi generali e i criteri direttivi per la riforma della crisi d’impresa e dell’insolvenza, introducendo – tra l’altro – l’istituto della liquidazione giudiziale, procedura che succede e sostituisce il fallimento, con il precipuo scopo di liquidare il patrimonio dell’imprenditore insolvente, ripartendo il ricavato in favore dei creditori sulla base della graduazione dei loro crediti. 
Il codice, che si estrinseca in un consistente corpus normativo, racchiude la riforma organica delle procedure concorsuali originariamente disciplinate dal R.D. n. 267/1942, (nel seguito, anche “legge fallimentare” o “L. fall.”), nonché la disciplina sulla composizione delle crisi da sovraindebitamento di cui alla L. n. 3/2012, oltre che diverse modifiche apportate alle disposizioni del Codice Civile. 
Il codice della crisi mira a promuovere una logica di prevenzione e di diagnosi tempestiva delle situazioni di crisi, per la salvaguardia della continuità aziendale, in particolare, attraverso la disciplina di sistemi di allerta interna, di segnalazione da parte di enti istituzionali e di strumenti negoziali di composizione della crisi.
Il perseguimento di tali obiettivi ha trovato conferma ulteriore nell’ultimo intervento normativo con cui si è disposta la definitiva entrata in vigore del codice. 
Ed invero il D.Lgs n. 83/2022, costituisce, come premesso, il recepimento della direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l'esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la direttiva (UE) 2017/1132 (cd. Direttiva sulla ristrutturazione e sull'insolvenza). 
La finalità della direttiva consisteva nell’esigenza di garantire il corretto funzionamento del mercato interno e il pieno esercizio delle libertà fondamentali di circolazione dei capitali e stabilimento, tramite l’armonizzazione delle legislazioni e procedure nazionali in materia di ristrutturazione preventiva, insolvenza, esdebitazione e interdizioni. 
Come è dato evincere dalla stessa Relazione Illustrativa al D.Lgs. n. 83/2022 , in base alla direttiva “la rimozione degli ostacoli esistenti rispetto al funzionamento del mercato ed alla fruizione delle libertà fondamentali da parte dei cittadini e delle realtà produttive è perseguita facendo salvi i diritti dei lavoratori e garantendo alle imprese e agli imprenditori che si trovano in difficoltà finanziaria la possibilità di accedere a misure nazionali efficaci in materia di ristrutturazione preventiva per la prosecuzione delle loro attività, laddove risanabili, e per essere esdebitati con procedimenti efficienti, tali cioè da garantire in un ragionevole lasso di tempo l’opportunità di rientrare nel ciclo produttivo”.
In altri termini, il raggiungimento di tali obiettivi doveva avvenire, nella logica del legislatore europeo, attraverso la predisposizione di “quadri di ristrutturazione” , ovvero di misure e procedure volte al rapido risanamento dell’impresa in funzione preventiva dell’insolvenza, attraverso la modifica della composizione, delle condizioni o della struttura delle sue attività e passività o del capitale, quali la vendita di attività o di parti dell'impresa e la vendita dell'impresa in regime di continuità aziendale o anche una combinazione di questi elementi.
Per altro verso, tali misure dovevano allo stesso tempo garantire la stabilità dei livelli occupazionali e di evitate la perdita di conoscenze e competenze acquisite dagli imprenditori, in funzione quindi sia del miglior soddisfacimento per i creditori – rispetto a quanto ottenibile con procedure di tipo esclusivamente liquidatorio – sia per i proprietari, sia per l'economia nel suo complesso. 
Il legislatore europeo al contempo caldeggiava, per le imprese non più risanabili, una loro tempestiva liquidazione, al fine di evitare che la ristrutturazione si presentasse inefficace e finisse per aggravare la situazione di difficoltà in cui si trovava il debitore, con accumulo di ulteriori perdite ai danni dei creditori, delle altre parti interessate dal processo di risanamento e del sistema economico in generale. 
Se questi erano gli scopi prefissati, d’altro canto la direttiva rinveniva la necessità dell’armonizzazione delle legislazioni partendo dalla consapevolezza delle differenze esistenti tra gli ordinamenti dei vari gli Stati membri, sintetizzate: a) nel numero, a volte troppo limitato, di procedure messe a disposizione dei debitori in difficoltà economico-finanziaria; b) nell’inefficacia e nella tardività di molte delle procedure previste, caratterizzate da intervenire in un momento in cui il risanamento non era più perseguibile; c) nella mancata valorizzazione o implementazione di strumenti stragiudiziali di regolazione delle crisi; d) nelle differenze normative in tema di ruoli e poteri affidati all’autorità giudiziaria o amministrativa ed ai professionisti da queste nominate; e) nell’eccessivo divario nella concessione dell’esdebitazione tra i diversi ordinamenti; f) nella durata eccessiva delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, “un fattore determinante dei bassi tassi di recupero e dissuade gli investitori dall'operare nelle giurisdizioni in cui le procedure rischiano di durare troppo e di essere indebitamente dispendiose” (così considerando 6).
Va da sé che l’armonizzazione perseguita dalla Direttiva (UE) 2019/1023 è rivolta comunque a rimuovere incertezze rispetti ai costi prevedibili degli investitori e così a garantire una effettiva libertà di circolazione e stabilimento all’interno del mercato interno, sul presupposto che questo si presenta sempre più caratterizzato da uno scambio sovranazionale di merci, servizi, capitali e lavoratori e fortemente influenzato dalle dinamiche digitali. 
D’altra parte, le caratteristiche d’interconnessione appena richiamate, importano il rischio di un effetto domino delle situazioni di insolvenza nazionali.
Da qui l’ulteriore necessità di rimuovere differenze normative che risulterebbero fuori dal tempo e ostacolo ad un’effettiva allocazione in tutto il mercato interno di investimenti e finanziamenti.
In virtù del recepimento della direttiva, il D.Lgs. n. 83/2022 ha quindi apportato una serie di modifiche al testo del codice della crisi, che nella stessa relazione illustrativa sono state raggruppate in tre categorie: a) interventi di recepimento[1]; b) interventi per la semplificazione e il riassetto della normativa vigente[2]; c) modifiche di coordinamento[3]. 
Va poi aggiunto che alcune disposizioni, collocate nei Capi 2, 3, 4 e 5 del Titolo I della direttiva – contenenti principi in materia di “Agevolazione delle trattative sul quadro di ristrutturazione preventiva”, di “Piano di ristrutturazione”, di “Tutela dei finanziamenti….e delle altre operazioni connesse alla ristrutturazione” e di “Obblighi dei dirigenti” – per scelta di compatibilità da parte del legislatore nazionale, hanno trovato posto soprattutto nell’ambito del concordato preventivo in continuità aziendale. 
La scelta è stata giustificata in ragione della stessa definizione di ristrutturazione, che nella direttiva si individua nell’insieme delle “misure che intendono ristrutturare le attività del debitore che includono la modifica della composizione, delle condizioni o della struttura delle attività e delle passività del debitore o di qualsiasi altra parte della struttura del capitale del debitore, quali la vendita di attività o parti dell'impresa, e, se previsto dal diritto nazionale, la vendita dell'impresa in regime di continuità aziendale, come pure eventuali cambiamenti 5 operativi necessari, o una combinazione di questi elementi” (articolo 2, paragrafo 1, n. 1), di per coincidente con quella dell’articolo 84, comma 2, del Codice della Crisi e tale da apparire estranea al concordato meramente liquidatorio.
Così delineato il quadro degli obiettivi della direttiva e gli effetti del suo conseguente recepimento, ai fini del presente lavoro – che mira ad individuare le relazioni intercorrenti tra i vari strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza - occorre quindi partire dalle definizioni che dello stato oggettivo delle imprese potenzialmente interessate e dei rimedi offerti loro (ai fini del risanamento ovvero, ove questo non sia perseguibile, onde procedere alla relativa liquidazione) offre il codice novellato.
In ordine al primo aspetto, l'art. 1 del D.Lgs. n. 83/2022 interviene sulla Parte Prima, Titolo 1, Capo 1, del Codice della crisi di impresa modificando l'art. 2, comma 1, al fine di adeguare le definizioni alle disposizioni e agli istituti introdotti in recepimento della direttiva UE 2019/1023. Pertanto, la definizione di “crisi” di cui alla lettera a), è identificata nel “lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi”.
L’insolvenza, invece, è descritta come “lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”.
La prima definizione tiene conto della modifica dell’art. 3 del codice[4] sugli assetti organizzativi e che ricomprende le situazioni di squilibrio economico-finanziario e patrimoniale e le inquadra in una prospettiva temporale più ampia di quella presente nella disciplina degli indicatori della crisi originariamente dettata dal Codice. 
Va rilevato, per quanto qui d’interesse, che il D.Lgs. n. 83/2022 non ha ritenuto di recepire sul punto il suggerimento formulato dal Consiglio di Stato sulla norma, diretto a prevedere l’inserimento, nella definizione, di diverso grado di intensità della crisi. Ciò, come si legge nella Relazione illustrativa all’articolato normativo, in considerazione del fatto che le situazioni di squilibrio qualificabili come “pre-crisi” sono gestibili con la sola composizione negoziata e non con le altre procedure. 
In altri termini, la nozione prospettata di crisi risulta quale presupposto di acceso a tutte le procedure disciplinate dal Codice, mentre, per l’accesso al percorso di composizione negoziata, la formulazione del comma 1 dell’art. 12 anticipa il momento rilevante, consentendo all’imprenditore di attivarsi precocemente, e dunque ancor prima che lo squilibrio patrimoniale o economico-finanziario sia degenerato in crisi. 
Nella stesura definitiva del codice della crisi, all’art. 2 lett. m bis) si è poi precisato, quanto agli “strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza", che essi consistono nel: “le misure, gli accordi e le procedure volti al risanamento dell'impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività o del capitale, oppure volti alla liquidazione del patrimonio o delle attività che, a richiesta del debitore, possono essere preceduti dalla composizione negoziata della crisi”.
La definizione consente inoltre di recepire la nozione di ristrutturazione contenuta nell'articolo 2, paragrafo 1, numero 1, della direttiva. 
L’espressione è stata modificata rispetto a quella dei “quadri di ristrutturazione preventiva” inserita nella versione dello schema di decreto approvato il 17.3.2022 in funzione del superamento dei problemi che sarebbero sorti da una definizione che non comprendeva le procedure di risoluzione concordata della crisi e dell’insolvenza puramente liquidatorie non funzionali alla prosecuzione dell’attività. 
Segnatamente, la originaria definizione avrebbe finito per non includere nella disciplina generale, compresa quella del procedimento unitario, il concordato con cessione dei beni. 
Viceversa, la nuova definizione - che comprende anche le misure e gli strumenti per la liquidazione, anche atomistica, del patrimonio e delle attività - recepisce il suggerimento formulato dal Consiglio di Stato sulla precedente definizione volto a precisare con maggiore chiarezza l’estraneità della composizione negoziata rispetto alle procedure regolate dal Codice. La composizione negoziata rappresenta una forma di negoziazione volontaria e stragiudiziale, all’esito della quale il debitore può perseguire il risanamento dell’attività facendo ricorso ad uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza disciplinati dal Codice (come previsto dall’art. 23, nel testo modificato dal presente schema di decreto legislativo).
3 . Breve panoramica della liquidazione giudiziale
Chiariti gli indirizzi e gli obiettivi del codice della crisi alla luce del recepimento della Direttiva UE 2019/1023, volti in primo luogo a favorire l’emersione tempestiva della crisi ed al risanamento delle imprese – con riflessi positivi per il mercato interno, per l’economia e per il benessere sociale (mediante la stabilizzazione dei livelli occupazionali -, il presente lavoro intende soffermarsi sui rapporti tra i vari strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza, soprattutto in relazione all’istituto che pare costituire in tema una cd. extrema ratio.
Invero, dal 1942 e almeno sino alle novelle alla legge fallimentare apportate nel biennio 2006/2007, il ruolo centrale nel settore delle procedure concorsuali è stato notoriamente ricoperto dal fallimento.
Si trattava di una procedura di tipo sostanzialmente sanzionatorio, volta all’eliminazione dal mercato delle imprese decotte in funzione dell’obiettivo di evitare che alla relativa insolvenza potesse conseguire, come effetto indebito, la crisi irreversibile degli altri operatori commerciali che con il soggetto fallito avessero intrattenuto rapporti economici.
La legge del ’42 aveva in sostanza dettato una disciplina di stampo essenzialmente liquidatorio, costruendo una esecuzione di tipo universale su tutto il patrimonio dell’imprenditore – oggetto di spossessamento a danno del fallito – per la soddisfazione dei creditori concorsuali e concorrenti.
Senza voler indugiare oltremodo sul punto e sulle modifiche all’impianto originario della legge fallimentare susseguitesi nel tempo, come visto il Codice della crisi si pone in un’ottica totalmente diversa da quella del 1942.
Per altro verso, il Codice nasce anche per realizzare una sistemazione della materia, proprio per la ragione delle continue riforme che nel tempo erano state introdotte per disciplinare crisi ed insolvenza dell’imprenditore fallibile, dell’insolvente civile e finanche delle grandi imprese.
Ebbene, il capo VIII del Titolo V del Codice della crisi è dedicato alla liquidazione giudiziale e al concordato nella liquidazione giudiziale della società. 
La novità, quantomeno dal punto di vista semantico, è caratterizzata dalla scomparsa del termine “fallimento” e della relativa aggettivazione; il titolo, così come le norme contenute nel capo, sostituisce le parole “fallimento” e “concordato fallimentare” con le formule “liquidazione giudiziale” e “concordato nella liquidazione giudiziale”.
L’eliminazione della terminologia è stata poi estesa a tutti i testi normativi ai sensi dell’art. 349 CCII per cui “nelle disposizioni normative vigenti i termini ‘fallimento’, ‘procedura fallimentare’, ‘fallito’, nonché le espressioni dagli stessi termini derivate devono intendersi sostituite, rispettivamente, con le espressioni ‘liquidazione giudiziale’, ‘procedura di liquidazione giudiziale’ e loro derivati, con salvezza di continuità della fattispecie”. 
Tuttavia, nonostante la procedura contemplata dal nuovo testo abbia mutato la propria nomenclatura, i presupposti oggettivi e soggettivi individuati dalla norma ai fini dell’apertura rimangono invariati rispetto a quelli previsti dal regio decreto.
Dalla lettura sinottica del nuovo testo normativo emerge, infatti, una sostanziale omogeneità di struttura; tuttavia, il legislatore ha introdotto due norme non presenti nella legge fallimentare: il riferimento è all’art. 259 CCII, relativo alla liquidazione giudiziale nei confronti di enti e imprenditori collettivi non societari e all’art. 264 CCII, concernente l’attribuzione al curatore dei poteri di assemblea.
Va osservato che nel nuovo impianto normativo la procedura di liquidazione giudiziale è stata collocata al seguito della disciplina relativa alle procedure finalizzate alla continuità aziendale, quali gli accordi di ristrutturazione dei debiti e il concordato preventivo, configurando la liquidazione giudiziale come “residuale” e “mera eventualità” rispetto alle procedure recuperatorie che, invece, acquistano maggior rilevanza. 
L’intento di preservare e salvaguardare lo stato di ‘salute’ dell’impresa è avallato dall’introduzione dalla prescrizione, per l’imprenditore individuale e per gli amministratori delle società, di adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi, nonché un assetto organizzativo adeguato in tal senso, di cui agli art. 3 e art. 375 CCII con il conseguente dovere, in capo agli organi di controllo, di segnalare tempestivamente gli indicatori della crisi.
4 . I presupposti della procedura liquidatoria
Quanto ai presupposti, il Codice della crisi, all’art. 121, conferma l’insolvenza quale presupposto oggettivo per l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale. 
In base, dunque, all’art. 2, comma 1, lett. b), CCII per insolvenza si intende “lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”.
La definizione appare sostanzialmente identica a quella dell’art. 5 L. fall., ampiamente esplorata dalla giurisprudenza e dalla dottrina. 
D’interesse appare la distinzione effettuata dal codice rispetto a quella di “crisi”, indicata all’art. 2, comma 1, lett. a), CCII quale “lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi””.
Lo stato di crisi, invero, non costituisce un genus che comprende la species insolvenza, essendo le due figure delineate come differenti e autonome ed entrambe rilevanti per l’ammissione a procedure di soluzione della crisi, quali il concordato preventivo, di cui all’art. 85, comma 1, CCII, gli accordi di ristrutturazione dei debiti, disciplinati dall’art. 57, comma 1, CCII o i piani di risanamento, di cui all’art. 56, comma 1, CCII, mentre per l’apertura della procedura di liquidazione, unico presupposto è quello dell’insolvenza, non potendosi ammettere alla procedura il debitore che si trovi ‘solo’ in stato di crisi.[5]
Parimenti, anche in relazione al presupposto soggettivo, non emergono rilevanti differenze rispetto al precedente impianto, prevedendo l’art. 121 CCII che le disposizioni sulla liquidazione trovino applicazione “agli imprenditori commerciali che non dimostrino il possesso congiunto dei requisiti di cui all’art. 2, comma 1, lettera d)”; mantenendo la locuzione “imprenditore commerciale” il legislatore ha dunque conservato la distinzione tra l’imprenditore commerciale e l’imprenditore agricolo, escludendo dall’alveo della liquidazione giudiziale il secondo, ferma restando la copiosa giurisprudenza in materia.[6]
Il sistema, ancora una volta, risulta dunque analogo alla precedente legge fallimentare; tuttavia, restano esclusi tutti gli enti pubblici qualificati come tali dalla medesima legge, oltre che le start-up innovative, per cui, invece, resta in essere l’assoggettamento alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, ad oggi regolate dall’art. 2, comma 1, lett. c), CCII.
5 . Il rapporto con la composizione negoziata della crisi
Prima di occuparsi del rapporto tra liquidazione giudiziale e strumenti di regolazione delle crisi e dell’insolvenza, appare necessario guardare a quello che corre tra la liquidazione giudiziale e lo strumento negoziale che può precedere l’apertura di quegli strumenti: la composizione negoziata della crisi.
Tale istituto, come noto, inizialmente introdotto con il D.L. n. 118/2021, convertito, con modifiche, nella L. n. 147/2021, nasce dall’intento del legislatore di mettere a disposizione delle imprese in difficoltà un nuovo strumento deputato a “prevenire l’insorgenza di situazioni di crisi” e ad “affrontare e risolvere tutte quelle situazioni di squilibrio economico-patrimoniale che, pur rivelando l’esistenza di una crisi o di uno stato di insolvenza, appaiono reversibili”. 
Risulta fin da subito evidente che, mentre nella composizione negoziata (al pari di quanto accade rispetto agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza), il potere di iniziativa compete al medesimo soggetto – il debitore – che gode quindi di una legittimazione esclusiva, diverso il caso della procedura liquidativa ove la legittimazione ad agire è estesa anche ad altri soggetti. 
Ai sensi dell’art. 18, comma 3, CCII “con l’istanza di cui al comma 1, l’imprenditore può richiedere che l’applicazione delle misure protettive sia limitata a determinate iniziative intraprese dai creditori a tutela dei propri diritti o a determinati creditori o categorie di creditori. Sono esclusi dalle misure protettive i diritti di credito dei lavoratori.”
In particolare, l’istanza di cui al comma 1, richiamata dalla norma, assurge ad impedimento rispetto all’apertura delle procedure liquidatorie, ad eccezione delle ipotesi in cui esse non poggino sull’insolvenza, ma sopravvengono come risposta e sanzione della violazione di obblighi che attengono piuttosto alla governance dell’impresa. 
Invero, una volta avviata la procedura di liquidazione, le eventuali trattative che l’imprenditore voglia intraprendere con i propri creditori verrebbero svuotate del contenuto e private dello scopo, rendendo infatti impercorribile la via della composizione. 
Sulla possibilità di accedere alla composizione negoziata, l’art. 25 quinquies, comma 5, CCII ha poi previsto che “L’istanza di cui all'articolo 17, non può essere presentata dall'imprenditore in pendenza del procedimento introdotto con ricorso depositato ai sensi dell'articolo 40, anche nelle ipotesi di cui agli articoli 44, comma 1, lettera a), 54, comma 3, e 74. L’istanza non può essere altresì presentata nel caso in cui l'imprenditore, nei quattro mesi precedenti l’istanza medesima, abbia rinunciato alle domande indicate nel primo periodo” estendendo, quindi, alla domanda di accesso alla liquidazione giudiziale la stessa efficacia, quale causa di improponibilità dell’istanza di avvio della composizione negoziata, che la norma già espletava alle domande di ammissione al concordato preventivo e di omologa degli accordi di ristrutturazione.
L’art. 25 quinquies riproduce il comma 2 dell’art. 23 del D.L. n. 118/2021 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 147/2021, che non consente l’accesso alla composizione negoziata in pendenza del procedimento per l’accesso ad uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza ai sensi dell’art. 40, anche nelle ipotesi di cui agli art. 44, comma 1, lettera a) e 54, comma 3, o dell’art. 74. 
A tale disposizione è stata aggiunta la previsione del secondo periodo con la quale i medesimi limiti di accesso sussistono anche in caso di rinuncia dell’imprenditore alle domande indicate nel medesimo periodo, intervenuta nei quattro mesi precedenti la presentazione dell’istanza. 
Si tratta di un’integrazione con la quale si intende scoraggiare l’abbandono di una procedura di ristrutturazione giudiziale al solo fine di entrare nel percorso stragiudiziale della composizione per evitare eventuali abusi e possibili danni ai creditori. 
Quanto agli effetti, sul fronte della procedura liquidatoria, invece, il temporaneo divieto di pronunciare la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale o di accertamento dello stato di insolvenza, di cui all’art. 18, comma 4, CCII nei confronti dell’imprenditore che abbia promosso la composizione negoziata della crisi, risponde in pieno al modello delle misure protettive, descritte all’art. 2, lett. p), CCII che le definisce quali “le misure temporanee richieste dal debitore per evitare che determinate azioni dei creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza, anche prima dell’accesso a uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza”. 
Esse sono dunque poste a presidio del tentativo del debitore di addivenire ad una soluzione pattizia della crisi. 
Invero, come sancito dall’art. 18, comma 1, CCII per innalzare le mura del bastione rappresentato dalle misure protettive, volte a prevenire l’inondazione da azioni esecutive e cautelari, risulta sufficiente una richiesta dalla parte interessata, da formularsi congiuntamente all’istanza di nomina dell’esperto. 
In tale scenario ammettere la sentenza con cui si dichiara aperta la procedura liquidatoria comprometterebbe irreversibilmente lo scopo delle misure protettive, né le sorti possono essere lasciate alle scelte del giudice intorno all’operatività e alla durata di una determinata misura protettiva.
Per tali ragioni, il legislatore ha previsto che, una volta calate le mura preclusive, la protezione debba tassativamente protrarsi “fino alla conclusione delle trattative o all’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata”, apparentemente emancipando l’inibitoria della pronuncia di liquidazione giudiziale dai limiti di durata di cui all’art. 19, commi 4 e 5, lett. b), CCII, e sottraendo la stessa ai poteri giudiziali di revoca e abbreviazione della durata di cui al successivo comma.[7]
Il divieto di aprire una liquidazione giudiziale, contro un soggetto che abbia fatto istanza di accesso alla composizione negoziata, sembrerebbe pertanto risolversi nella sospensione del procedimento di apertura eventualmente pendente, che peraltro, qualora la composizione dovesse fallire, riprenderebbe il suo corso. 
Non a caso la norma preclude specificamente la “pronuncia della sentenza” e non il mero avvio ella procedura; in altri termini, è fatto divieto al giudice di accogliere il ricorso per l’apertura della liquidazione giudiziale, senza tuttavia impedirgli di rilevare l’assenza di altri presupposti sostanziali ai fini dell’accoglimento della relativa istanza.
5.1 . Misure protettive e misure cautelari
E’ in sostanza evidente che le misure protettive – unitamente a quelle cautelari – presentino una centrale importanza nel Codice della crisi, nell’ambito della procedura di composizione negoziata della crisi. 
Tuttavia, il corpus normativo non è scevro da problematiche processuali, che possono sorgere nelle distinte fasi del procedimento finalizzato alla conferma, revoca o modifica delle misure protettive, i cui effetti sono direttamente connessi all’attivazione delle procedure liquidatorie e sugli interessi dei creditori, rispetto ai quali permane l’operatività del principio dell’automatic stay.
Va innanzitutto premesso che, nel previgente impianto normativo, l’art. 15 L. fall. rivolgeva l’attenzione alle misure cautelari, disponendo che il tribunale potesse, ad istanza di parte, pronunciare provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell’impresa oggetto del provvedimento, con efficacia limitata alla durata del procedimento, confermati o revocati dalla sentenza dichiarativa del fallimento, ovvero revocati con il decreto che rigetta l’istanza.
La previsione in ordine alle misure protettive era invece disciplinata dall’art. 168 L. fall., il quale prevedeva che, “Dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore. Le prescrizioni che sarebbero state interrotte dagli atti predetti rimangono sospese, e le decadenze non si verificano.” Tale norma introduceva il c.d. automatic stay, esteso, poi, dall’art. 182 bis L. fall. agli accordi di ristrutturazione dei debiti. 
Con il codice della crisi, il legislatore ha lasciato, invece, trasparire un’esigenza di sistematizzazione per cui ha inteso esplicitare le ragioni sottese agli strumenti delle misure protettive e cautelari, offrendone una prima definizione all’art. 2, lett. p), CCII distinguendole dalle misure cautelari, descritte all’immediatamente successiva lett. q) del medesimo articolo come “i provvedimenti cautelari emessi dal giudice competente a tutela del patrimonio o dell'impresa del debitore, che appaiano secondo le circostanze più idonei ad assicurare provvisoriamente il buon esito delle trattative e gli effetti degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e delle procedure di insolvenza”.
Ferme restando le definizioni di cui all’art. 2 CCII, il tema delle misure protettive e cautelari viene ripreso all’art. 54 CCII ponendo le stesse a sostegno di esigenze opposte. 
Invero, da un lato, l’art. 54, comma 1, CCII ha previsto che “nel corso del procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale o della procedura di concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione e del piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, su istanza di parte, il tribunale può emettere i provvedimenti cautelari, inclusa la nomina di un custode dell’azienda o del patrimonio, che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente l’attuazione delle sentenze di omologazione di strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e di apertura delle procedure di insolvenza”. Dall’altro lato, all’opposto, ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, il debitore, al momento della presentazione della domanda di accesso ad una procedura di soluzione concordata della crisi, può dichiarare di volersi avvalere di misure protettive, che chiede contestualmente al giudice di confermare: nel dettaglio, dalla data della pubblicazione della domanda nel registro delle imprese, i creditori non potranno, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio e sui beni e i diritti sui quali il debitore esercita l’attività di impresa; dalla stessa data le prescrizioni rimangono sospese e le decadenze non si verificano (art. 54, comma 2, primo e secondo periodo CCII). 
Le misure protettive possono poi, ai sensi dell’art. 54, comma 3, CCII essere richieste dall’imprenditore anche nel corso delle trattative e prima del deposito della domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione, allegando la documentazione di supporto prevista in relazione a questi ultimi e la proposta di accordo corredata da una dichiarazione del professionista indipendente, il quale attesta che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti, e che la stessa, se accettata, è idonea ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare.
Appare dunque doveroso esaminare il rapporto delle misure di cui all’art. 54 CCII con la nozione delle misure protettive plasmata nel D.L. n. 118/2021 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 147/2021, il cui art. 6, la cui disciplina si trova riprodotta in quella dell’art. 18 CCII il quale prevede che l’imprenditore possa chiedere, con l’istanza di nomina dell’esperto o con successiva istanza presentata con le medesime modalità, l’applicazione di misure protettive del patrimonio. 
L’istanza è pubblicata nel registro delle imprese, e dal giorno della pubblicazione dell’accettazione dell’esperto i creditori non possono acquisire diritti di prelazione, se non concordati con l’imprenditore, né possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio o sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa. L’art. 19, comma 1, CCII (che riprende quasi pedissequamente l’art. 7 comma 1 del D.L.) chiarisce, poi, che le misure protettive sono soggette a conferma, revoca o modifica da parte del tribunale competente, dietro ricorso depositato il giorno successivo alla pubblicazione dell’accettazione dell’esperto, sì che l’effetto protettivo, pur producendosi immediatamente in forza di una espressione di volontà dell’imprenditore, ha natura provvisoria, essendo destinato a venir meno in mancanza di un intervento dell’autorità giurisdizionale. 
Dalla lettura dei due articoli emerge dunque che, mentre le misure protettive appena viste sono poste a presidio del tentativo del debitore di una composizione della crisi di presa e mirano a bloccare le azioni esecutive dei creditori, salvaguardando la ‘salute’ aziendale, nell’ottica di perseguire il risanamento aziendale e evitare il configurarsi di una situazione irreversibile che conduca all’apertura di una procedura liquidatoria, le misure cautelari di cui all’art. 54 sono finalizzate ad arginare il rischio di dispersione del patrimonio del debitore nella pendenza dell’iniziativa concorsuale attivata dal creditore. 
La conseguenza è che diverso risulta anche l’interesse ad agire, essendo distinti i soggetti legittimati a richiederle (da un lato, il debitore che ha fatto istanza di accesso alla composizione negoziata della crisi e, dall’altro lato, il creditore – ovvero il P.M. o le autorità di vigilanza e controllo – che abbiano proposto ricorso per l’apertura della liquidazione giudiziale). 
Tornando agli aspetti sostanziali, l’art. 18 CCII introduce alcune modifiche all’art. 6 del D.L. 118/2021, che prevede che l’imprenditore può richiedere al tribunale competente l’applicazione delle misure cautelari o delle misure protettive del patrimonio necessarie per non pregiudicare la ricerca di una soluzione che consenta il risanamento aziendale. 
Peculiare l’inserimento, all’art. 18, comma 4, CCII, del periodo che recita “salvo che il tribunale disponga la revoca delle misure protettive. Restano fermi i provvedimenti già concessi ai sensi dell’art. 54, comma 1, CCII”.
Da un lato, infatti, il legislatore introduce una nuova condizione limitativa dell’ambito di operabilità delle misure protettive, la cui revoca, da parte del giudice della composizione negoziata, fa venir meno la preclusione in virtù della quale la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale non possa essere pronunciata. Dall’altro lato, il rapporto con le misure cautelari di cui all’art. 54, comma 1, CCII non viene sancito in termini di alternatività, considerato che queste ultime, come visto, possono avere funzioni diverse da quelle delle misure richieste dall’imprenditore nell’ambito della composizione negoziata. 
Le prime – che in parte coincidono con quelle previste dall’attuale art. 15, comma 8, L. fall. – possono essere misure adottate nell’interesse dei creditori e non su richiesta dell’imprenditore, per cui dev’essere il giudice che le ha adottate, su specifica istanza in tal senso del debitore e tenendo conto delle misure richieste dall’imprenditore ai sensi dell’art. 19 CCII a doverne valutare l’utilità e l’opportunità in caso di attivazione della composizione negoziata. Con riferimento alle seconde, il giudice, adito ai sensi dell’art. 19 CCII, nel “procedimento relativo alle misure protettive e cautelari”, deve, a sua volta, decidere considerando il contenuto delle misure già concesse in sede di procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale, compiendo, caso per caso, opportune valutazioni, su impulso dello stesso debitore e sentite le altre parti interessate.
Tuttavia, ai sensi dell’art. 19, comma 6, CCII il giudice può sempre revocare le misure protettive quando esse non soddisfino l’obiettivo di assicurare il buon esito delle trattative o appaiano sproporzionate rispetto al pregiudizio arrecato ai creditori, con la conseguenza che il divieto di acquisire diritti di prelazione, se non concordati con l’imprenditore, viene meno (a far data dalla revoca o dalla cessazione delle misure protettive).
Soprattutto, per quanto qui interessa, la revoca di quelle misure nella nuova formulazione prevede che con essa vi sia il via libera all’eventuale sentenza di apertura della liquidazione giudiziale o di accertamento dello stato di insolvenza, laddove lo stato di difficoltà dell’impresa non sia reversibile.
Appaiono, dunque, sempre più evidenti le esigenze preventive, al fine di permettere interventi anticipatori prima che l’impresa versi in gravi difficoltà, assicurandone la conservazione del patrimonio produttivo e la tutela dell’organizzazione e delle articolazioni aziendali, nonché gli obiettivi di risanamento, nel tentativo di assicurare una rapida ristrutturazione, attraverso i flessibili meccanismi di composizione della crisi che permettano di ripristinare, anche in via pattizia, la regolare funzione aziendale. 
6.1 . Il procedimento unitario
Fatte le premesse in ordine alla liquidazione giudiziale, quanto alla natura, ai presupposti soggettivi ed oggettivi, di poi attenzionato il rapporto tra tale procedura e la composizione negoziata della crisi, rimane da verificare la relazione sussistente tra detta liquidazione e gli altri strumenti concorsuali apprestati dal Codice della Crisi.
Da un punto di vista procedimentale va detto l'art. 7, comma 1, CCII impone la trattazione unitaria di tutte le domande dirette alla regolazione della crisi o dell'insolvenza proposte dai soggetti legittimati. 
La legittimazione attiva per l'accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza è attribuita unicamente al debitore (art. 40, comma 3), mentre quella diretta all'apertura della liquidazione giudiziale compete altresì ai creditori, al P.M. e agli organi o alle autorità amministrative che svolgono funzioni di controllo sull'impresa (art. 40, comma 5).
L'unificazione processuale delle domande permette altresì di risolvere i possibili problemi di coordinamento tra le molteplici procedure esistenti ad oggi nel sistema.
Al comma 2 dell'art. 7 del Codice viene infatti affermato il principio di prevalenza, rispetto alla liquidazione giudiziale, degli strumenti di soluzione della crisi e dell'insolvenza diversi da quest'ultima, purché di non manifesta infondatezza o inammissibilità e di maggior convenienza per i creditori rispetto alla soluzione liquidatoria.
Più segnatamente viene previsto che nel caso di proposizione di più domande, il tribunale esamina in via prioritaria quella diretta a regolare la crisi o l’insolvenza con strumenti diversi dalla liquidazione giudiziale o dalla liquidazione controllata, a condizione che: la domanda medesima non sia manifestamente inammissibile; il piano non sia manifestamente inadeguato a raggiungere gli obiettivi prefissati; nella proposta siano espressamente indicate la convenienza per i creditori o, in caso di concordato in continuità aziendale, le ragioni della assenza di pregiudizio per i creditori. 
Per altro verso, il comma 3 dell'art. 7 CCII, poi, attribuisce al giudice competente il potere di convertire in liquidazione giudiziale, dietro apposita domanda di parte e persistendo l'insolvenza, l'eventuale procedimento apertosi a seguito di domanda alternativa di regolazione non accolta. in tutti i casi in cui la domanda diretta a regolare la crisi o l'insolvenza con strumenti diversi dalla liquidazione giudiziale non è accolta ed è accertato lo stato di insolvenza, il tribunale procede, su istanza dei soggetti legittimati, all'apertura della liquidazione giudiziale. Allo stesso modo il tribunale procede in tutti i casi in cui la domanda è inammissibile o improcedibile e nei casi previsti dall’art. 49, comma 2.
Il richiamato art. 7 consente di risolvere il dibattito che si era sviluppato in dottrina e in giurisprudenza, quanto al rapporto sussistente – in particolare – tra procedimento pre-fallimentare e procedimento relativo al concordato preventivo. 
Tra le possibili soluzioni esistenti per la regolamentazione di tale rapporto, si era fatto notoriamente rinvio ai vari istituti del codice di rito, ipotizzando la sospensione del procedimento pre-fallimentare ovvero la riunione del medesimo a quello riguardante la procedura minore.
Nel 2015 le Sezioni Unite si erano infine occupate della vicenda, finendo per affermare che: a) la pendenza di una domanda di concordato preventivo "impedisce temporaneamente la dichiarazione di fallimento sino al verificarsi degli eventi previsti dalla L. Fall., artt. 162, 173, 179 e 180 (...)" e b) in pendenza di una procedura concordataria, "il fallimento dell'imprenditore, su istanza di un creditore o su richiesta del P.M., può essere dichiarato soltanto quando ricorrono gli eventi previsti dalla L. Fall., artt. 162, 173, 179 e 180 e cioè, rispettivamente, quando la domanda di concordato sia stata dichiarata inammissibile, quando sia stata revocata l'ammissione alla procedura, quando la proposta di concordato non sia stata approvata e quando, all'esito del giudizio di omologazione, sia stato respinto il concordato (...)".
In altri termini, si era sostenuto che tra la procedura concordataria e quella fallimentare sussistesse un coordinamento asimmetrico volto ad attribuire preminenza allo scopo preventivo ed alternativo della prima, anche indipendentemente dalla priorità temporale di presentazione delle relative istanze (principio di prevenzione).
La necessità del previo esame della domanda di concordato preventivo, oltre che espressione del favor per la procedura concordataria, era in linea con quanto richiesto dalla Commissione Europea con la Raccomandazione del 12 marzo 2014 circa l'opportunità che gli Stati membri prevedano, allo scopo di facilitare i negoziati sui piani di ristrutturazione, la sospensione delle domande di insolvenza presentate dopo la proposta di concordato, così da evitare che la possibilità di regolare l'insolvenza attraverso un accordo tra debitore e maggioranza dei creditori venga meno per la presentazione di una istanza di fallimento; sicché "non solo è necessario un coordinamento tra le procedure, ma è anche necessario che tale coordinamento avvenga assicurando il previo esaurimento della procedura di concordato preventivo".
Il problema venne allora affrontato dalle Sezioni Unite sotto il profilo del coordinamento prettamente processuale tra domanda di concordato ed istanza di fallimento, con richiamo alla litispendenza, alla continenza, alla riunione, all'abuso del processo (domanda di concordato presentata al solo fine di procrastinare la sentenza dichiarativa di fallimento), alla non necessità di diretta ed autonoma impugnazione, oltre che di quest'ultima sentenza, anche della dichiarazione di inammissibilità della domanda di concordato preventivo; vale a dire, con richiamo ad istituti ininfluenti ai presenti fini.
La questione venne risolta nel senso che: “La pendenza di una domanda di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, non rende improcedibile il procedimento prefallimentare iniziato su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, né ne consente la sospensione, ma impedisce temporaneamente soltanto la dichiarazione di fallimento sino al verificarsi degli eventi previsti dagli artt. 162, 173, 179 e 180 L. Fall.; il procedimento, pertanto, può essere istruito e può concludersi con un decreto di rigetto”. [8]
Nell’attuale disciplina l’applicazione del riferito criterio di cui all’art. 7, comma 2, si rinviene nell'art. 49, comma 1, il quale prevede l'apertura della liquidazione giudiziale una volta “definite le domande di accesso ad una procedura di regolazione concordata eventualmente proposte” ovvero nell’art. 49, comma 2, ove si prevede che il Tribunale decide “Allo stesso modo, su ricorso di uno dei soggetti legittimati, il tribunale provvede, osservate le disposizioni di cui all’articolo 44, comma 2, quando è decorso inutilmente o è stato revocato il termine di cui all’articolo 44, comma 1, lettera a), quando il debitore non ha depositato le spese di procedura di cui all’articolo 44, comma 1, lettera d), ovvero nei casi previsti dall’articolo 47, comma 4 e dall’articolo 106 o in caso di mancata approvazione del concordato preventivo o quando il concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione non sono stati omologati”. 
Si tratta, in altre parole, di un sistema concorsuale “a tutela crescente e a protezione progressiva della proposta procedura”[9].
Ciò premesso, il procedimento unitario di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza, si caratterizza per gli esiti differenziati che discendono dal tipo di provvedimento richiesto al giudice, e dalla conseguente sua peculiare articolazione.
Nello specifico, diverse sono le discipline che riguardano l'accesso al concordato preventivo ed al giudizio di omologazione degli accordi di ristrutturazione, l'apertura del concordato preventivo e la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale.
6.2 . La domanda di apertura della liquidazione giudiziale
In caso di presentazione del ricorso per l'apertura della liquidazione giudiziale, ai sensi dell'art. 41 il Tribunale convoca le parti con decreto non oltre quarantacinque giorni dall'avvenuto deposito, con la specifica previsione che tra la data della notifica e la data dell'udienza deve intercorrere un termine non inferiore a quindici giorni (comma 2), salva abbreviazione ad opera del Presidente del Tribunale o del Giudice delegato con decreto motivato, se ricorrono particolari ragioni di urgenza (comma 3); nel qual caso, peraltro, può essere disposta la pubblicità del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza “con ogni mezzo idoneo, omessa ogni formalità non indispensabile alla conoscibilità”.
Con il medesimo decreto il tribunale assegna un termine sino a sette giorni prima dell'udienza di comparizione delle parti per la presentazione di memorie, o un termine inferiore in caso dell'abbreviazione di cui al comma 3.
Il debitore, nel costituirsi, deve depositare i documenti di cui all'articolo 39, fermo restando che il giudice relatore può disporre la raccolta di informazioni da banche dati pubbliche e da pubblici registri (comma 6).
Infine, si dispone che i terzi dotati di legittimazione a proporre la domanda ed il pubblico ministero abbiano la possibilità di svolgere intervento sino a che la causa non viene rimessa al collegio per la decisione (comma 5).
Secondo la relazione illustrativa al CCII, la possibilità di intervento dei terzi e del P.M. rappresenta una profonda e rilevante innovazione.
Si tratta, nello specifico, della possibilità di un intervento in senso tecnico coerente, peraltro, con il meccanismo della trattazione unitaria delle molteplici proposte da o contro il medesimo debitore.
D’altro canto il Codice ha attribuito al pubblico ministero: (i) la legittimazione alla presentazione del solo ricorso per l’apertura della liquidazione giudiziale, tuttavia ammettendola per tutti i casi in cui abbia notizia dell’esistenza di uno stato di insolvenza, non solo, quindi, in ipotesi di segnalazione da parte di un’autorità giudiziaria che abbia colto il presupposto nel corso di un procedimento trattato; (ii) in ogni caso, la legittimazione all’intervento in tutti i procedimenti per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza o a una procedura di insolvenza.
Ai sensi dell'art. 49 CCII, il Tribunale, definita la domanda di accesso, accertati i presupposti dell'art. 121 del CCII (ovvero la qualifica di imprenditore commerciale, il difetto di almeno uno dei requisiti di cui all'art. 2 comma 1, lett. d) e lo stato di insolvenza) dichiara con sentenza l'apertura della liquidazione giudiziale.
6.3 . Apertura della liquidazione giudiziale come conseguenza di diverse domande
All'apertura di quest'ultima è possibile pervenire anche per le seguenti ragioni, sempre su istanza di parte o del P.M.:
a) mancato rispetto del termine per il deposito della proposta di concordato preventivo;
b) mancato deposito delle spese di procedura per l'apertura del concordato preventivo;
c) mancata approvazione del concordato preventivo;
d) accertamento degli atti di frode del debitore previsti dall'art. 106 del Codice;
e) mancata omologa del concordato preventivo o degli accordi di ristrutturazione.
Da quanto appena rilevato emerge, quindi, come la riforma abbia previsto la liquidazione giudiziale non solo come conseguenza alla domanda di apertura di tale procedura, ma anche per le ipotesi appena rassegnate, pur a fronte di un'iniziale domanda di accesso al concordato o ad un accordo di ristrutturazione.
6.4 . L'accesso al concordato preventivo ed al giudizio di omologazione degli accordi di ristrutturazione
Ove venga presentata da parte del debitore, una domanda di concordato preventivo o di omologazione di un accordo di ristrutturazione, il tribunale provvede a:
1. concedere, laddove richiesti, i termini di cui all'art. 44, comma 1, lett. a), entro i quali il debitore deposita la proposta di concordato preventivo con il piano, l'attestazione di veridicità dei dati e di fattibilità e la documentazione di cui all'art. 39, comma 1, oppure l'accordo di ristrutturazione dei debiti;
2. nominare un commissario giudiziale (nel caso di domanda di concordato preventivo e, nel caso di omologazione dell'accordo, in presenza di istanze di liquidazione giudiziale), disponendo che questi riferisca immediatamente al tribunale su ogni atto di frode ai creditori non dichiarato nella domanda ovvero su ogni circostanza o condotta tale da pregiudicare una soluzione efficace della crisi;
3. autorizzare il commissario giudiziale ad accedere alle banche dati pubbliche e ad acquisire dall'agenzia delle entrate l'elenco dei clienti e dei fornitori, nonché dagli istituti di credito ed altri intermediari finanziari la documentazione contabile;
4. ordinare il deposito delle spese per la procedura (soltanto nel caso di nomina del commissario giudiziale);
5. disporre gli obblighi informativi periodici.
L'apertura della procedura di concordato preventivo viene disciplinata dall'art. 47 del Codice per cui il Tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale, verifica l'ammissibilità giuridica della proposta e la fattibilità economica del piano, ed apre la procedura di concordato con decreto mediante il quale provvede a:
a) nominare il Giudice delegato;
b) stabilire la data iniziale e finale per l'espressione del voto da parte dei creditori
c) fissare il termine per la comunicazione ai creditori del provvedimento;
d) fissare il termine perentorio entro il quale il debitore deve depositare almeno il 50% delle spese che si presumono necessarie per l'intera procedura (o almeno la minor somma non inferiore al 20% di tali spese determinate dal tribunale).
In difetto delle condizioni di ammissibilità e fattibilità, invece, sentiti il debitore, i creditori che hanno proposto domanda di apertura della liquidazione giudiziale ed il P.M., con decreto motivato dichiara inammissibile la proposta e, su ricorso di uno dei soggetti legittimati, dichiara con sentenza l'apertura della liquidazione giudiziale.
6.5 . L'omologazione del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione
A tenore dell'art. 48 CCII, se il concordato è stato approvato dai creditori, il Tribunale fissa l'udienza in camera di consiglio per la comparizione delle parti e del commissario giudiziale e, verificata la regolarità della procedura, l'esito della votazione, l'ammissibilità giuridica della proposta e la fattibilità economica del piano, tenendo conto dei rilievi del commissario giudiziale (espressi all'interno di un parere depositato almeno cinque giorni prima dell'udienza), assume i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d'ufficio e provvede con sentenza sulla domanda di omologazione del concordato.
I creditori dissenzienti e gli interessati devono depositare la propria opposizione mediante memoria, almeno dieci giorni prima dell'udienza.
Quando viene depositata la domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione, i creditori ed ogni altro interessato possono proporre opposizione entro trenta giorni dall'iscrizione dell'accordo nel registro delle imprese. Il giudice decide sulle opposizioni in camera di consiglio e provvede all'omologazione con sentenza.
Se il tribunale non omologa il concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione, dichiara con sentenza, su ricorso di uno dei soggetti legittimati, l'apertura della liquidazione giudiziale.
6.6 . La rinuncia alla domanda
Viene esplicitamente previsto all'art. 43 CCII che la rinuncia alla domanda, di qualunque natura essa sia, comporta l'estinzione del procedimento senza necessità di accettazione, salva la legittimazione del P.M. intervenuto a chiedere la liquidazione giudiziale allo scopo di evitare un utilizzo strumentale del potere di rinuncia.
Il tribunale pronuncia l'estinzione con decreto e può condannare alla rifusione delle spese la parte che vi ha dato causa.
Il provvedimento viene comunicato al Pubblico Ministero, onde consentirgli l'esercizio del suo potere d'iniziativa, ed è soggetto all'iscrizione nel registro delle imprese ogniqualvolta lo era stata originariamente anche la domanda introduttiva.
7 . I mezzi d’impugnazione
Con riferimento ai mezzi di impugnazione, l’art. 50 CCII dispone che, il decreto con il quale il tribunale respinge la domanda di apertura della liquidazione, può essere reclamato innanzi alla corte d’appello, nel termine di trenta giorni, instaurando in tal modo il giudizio di gravame, soggetto alla disciplina del rito camerale di cui agli artt. 737 e 738 c.p.c.
L’esito, può risolversi in due ipotesi: (i) il rigetto del reclamo, non ricorribile per cassazione, (ii) l’accoglimento del reclamo, pronunciato con sentenza, attraverso la quale la corte dichiara aperta la liquidazione giudiziale, rimettendo gli atti al tribunale per i provvedimenti di cui all’art. 49, comma 3, CCII.
Il novum della procedura è dunque rappresentato dalla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale ad opera della corte d’appello che decide con sentenza, diversamente da quanto accadeva nella normativa previgente (che prevedeva la rimessione al tribunale con un provvedimento non definitivo ma ordinatorio, con effetti processuali interni), essendo quindi investita di un potere sostitutivo, che ha ad oggetto la verifica dei presupposti per l’apertura della procedura liquidatoria.
In tale assetto, il sistema duale previsto dal precedente art. 22 L. fall. viene capovolto, per cui la decisione della corte d’appello assume un innovativo carattere definitorio e, viceversa, il provvedimento del tribunale assume carattere meramente processuale, in funzione della futura gestione della liquidazione giudiziale, con la conseguenza che sarà preclusa a quest’ultimo ogni valutazione di merito [10]. 
Come visto in precedenza, l'art. 44, comma 2, prevede che il Tribunale, su segnalazione di un creditore, del commissario giudiziale o del pubblico ministero, con decreto non soggetto a reclamo, sentiti il debitore e i creditori che hanno proposto ricorso per l'apertura della liquidazione giudiziale e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, revoca il provvedimento di concessione dei termini quando accerta il compimento di atti in frode ai creditori o altre circostanze o condotte del debitore tali da pregiudicare una soluzione efficace della crisi. 
Il legislatore prevede espressamente che il decreto non sia reclamabile.
Come correttamente rilevato, il CCII ha inteso disciplinare la situazione con uno strumento diverso da quello previsto dalla legge fallimentare, che all’art. 161, comma 8, ha previsto la sanzione della improcedibilità della domanda. 
Tale scelta appare effettivamente coerente con le esigenze di celerità del procedimento e di economia processuale[11].
Pur se rimane il dubbio se quella domanda di concordato in bianco possa essere ripresentata, mancando una previsione, contenuta nell'articolo 47, comma 5, (che nello schema di decreto legislativo diventerà comma 6) secondo cui la domanda può essere riproposta, dopo la declaratoria di inammissibilità, quando si verificano mutamenti di circostanze.
8 . Risoluzione del concordato e apertura della liquidazione
L’art. 119 CCII prevede testualmente che: 
Ciascuno dei creditori e il commissario giudiziale, su istanza di uno o più creditori, possono richiedere la risoluzione del concordato per inadempimento. 
Al procedimento è chiamato a partecipare l’eventuale garante. 
Il concordato non si può risolvere se l'inadempimento ha scarsa importanza. 
Il ricorso per la risoluzione deve proporsi entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l'ultimo adempimento previsto dal concordato. 
Le disposizioni che precedono non si applicano quando gli obblighi derivanti dal concordato sono stati assunti da un terzo con liberazione immediata del debitore. 
Il procedimento è regolato ai sensi degli articoli 40 e 41. 
Il tribunale dichiara aperta la liquidazione giudiziale solo a seguito della risoluzione del concordato, salvo che lo stato di insolvenza consegua a debiti sorti successivamente al deposito della domanda di apertura del concordato preventivo. 
Con la riforma vengono introdotte novità rispetto alla legge fallimentare.
Quelle più rilevanti attengono alla legittimazione alla risoluzione, che viene estesa anche al commissario giudiziale.
Per altro verso, viene invece limitata la possibilità della pronunzia dell’apertura della liquidazione secondo lo schema previgente del cd. fallimento omisso medio.
Ed invero, è noto che secondo le Sezioni Unite “L'omologazione del concordato preventivo rende improcedibili le istanze di fallimento originariamente presentate, ma accade sovente che il debitore non è in grado di adempiere regolarmente le obbligazioni assunte con la proposta di concordato, con la conseguenza che lo stato di insolvenza può presentarsi nuovamente sotto diversa forma; ciò sia laddove il debitore non sia riuscito a realizzare ricavi sufficienti per eseguire il piano in continuità aziendale, sia qualora la liquidazione degli assets aziendali non abbia consentito il raggiungimento della percentuali di soddisfacimento assicurate. In tali ipotesi, l'inadempimento del patto concordatario è soggetto alle comuni regole in tema di responsabilità e, pertanto, legittima i creditori ad agire nei confronti del proprio debitore, potendo anche chiederne il fallimento omisso medio”[12]. 
Nella richiamata pronunzia la Suprema Corte ha ricordato come l'avvenuta omologazione determini la chiusura della procedura concordataria (art. 181 L. fall.) e l'accesso del debitore alla fase puramente esecutiva dell'accordo (anche se sotto sorveglianza ex art. 185 L. fall.), con la conseguenza che in tale fase trovano applicazione non già le regole di coordinamento tra procedure esecutive e procedure concorsuali, ma quelle dei principi generali di responsabilità compresa, se dall'inesecuzione dell'accordo si debbano trarre elementi di insolvenza, la dichiarazione di fallimento.
Ed infatti, nell’arresto hanno sostenuto i Supremi Giudici “la preclusione all'esperimento, da parte dei creditori anteriori, di azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore che abbia chiesto il concordato preventivo ha effetto, a pena di nullità, dalla presentazione del ricorso e "fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo" ( art. 168 L. Fall.), sicché dopo questo momento essi riacquistano piena legittimazione ad agire contro il debitore per ottenere l'esecuzione del patto. E non è dato comprendere perché non lo possano fare con tutti i mezzi consentiti dalla legge e, quindi, perché alla tutela esecutiva individuale - non necessariamente condizionata all'istanza di risoluzione non possa in questo caso associarsi, in presenza dei relativi presupposti ed anche al fine di tutelare la par condicio nella crucialità di questa fase, quella concorsuale”.
La Corte ha precisato che, pur restando il limite sostanziale derivante dall'esdebitazione e dall'obbligatorietà dell'accordo per tutti i creditori anteriori derivanti dall’omologa, detto limite sostanziale - suscettibile di venir meno con la risoluzione o l'annullamento del concordato - non è tale da impedire che l'azione satisfattiva venga proposta nei limiti della ristrutturazione né che, sempre in questi limiti, possa manifestarsi uno stato di insolvenza. A prescindere dall’utilità o meno dell’iniziativa fallimentare “a tacere di altre ottiche di legittimazione - svincolate da una valutazione di stretta convenienza economica - qual è quella del PM, oltre che dello stesso debitore che riconosca l'inattuabilità di quanto concordato”.
La Suprema Corte ha concluso che “Il fatto che la sola presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo precluda la dichiarazione di fallimento, mentre lo stesso effetto verrebbe negato a fronte di una proposta concordataria addirittura già omologata e non risolta, non costituisce affatto una paradossale incongruenza sistematica, dal momento che la fase ammissiva non può essere intesa come un minus procedurale rispetto a quella esecutiva; che esse hanno ruoli ed effetti del tutto diversi; che, soprattutto, il favor per il concordato e per la sua missione preventiva non può spingersi oltre l'evidenza dell'impossibilità di esecuzione della proposta concordataria omologata (questo sì darebbe luogo ad un'incongruenza paradossale). Né questa impossibilità di esecuzione si concreta in una "seconda" insolvenza, rimanendo l'insolvenza quella stessa che ha dato inizio alla procedura concordataria e che, all'esito di questa, si manifesta in forma addirittura aggravata dall'incapacità di soddisfare regolarmente le obbligazioni pur nelle più favorevoli modalità ed entità concordate. Ciò a maggior ragione in considerazione del fatto che l'omologazione non comporta di per sè novazione dell'obbligazione anteriore, quanto soltanto il diverso e più circoscritto effetto della parziale inesigibilità del credito (Cass. n. 12085/20 cit.; v. anche Cass. n. 13477/11).
Con la nuova formulazione dell’art. 119 CCII come visto l’omessa risoluzione del concordato preclude l’apertura della liquidazione, salvo nelle ipotesi in cui l’insolvenza riguardi i debiti assunti dopo la domanda concordataria.  
Sarà la pratica applicativa a chiarire se tale limite sarà compensato dall’ampliamento della pletora dei soggetti legittimati a chiedere la risoluzione, a fronte di un’esperienza nella quale l’inerzia nell’esecuzione e quella dei creditori legittimati a proporre il rimedio ha generato situazione di stallo nelle procedure concordatarie. 

Note:

[1] 
Relativi agli: articoli 3, 4, 5, 5 bis, 40, 47, 48, 53, 54, 55, 64, 64 bis, 64 ter, 64 quater, 78, 84, 85, 87, 92, 94 bis, 104, 109, 112, 113, 114, 116, 120 bis, 120 ter, 120 quater, 120 quinquies, 135, 213, 216, 255, 278, 301, 302, 358 del Codice.
[2] 
Relativi agli artt. 7, 8, da 12 a 25 undecies (titolo II con abrogazione delle corrispondenti disposizioni contenute nel D.L. n. 118/2021, convertito con modificazioni, dalla L. n. 147/2021 e nel D.L. n. 152/2021, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 233/2021), 40, 43, 44, 45, 46, 48, 51, 54, 55, 63, 86, 88, 100, 114, 158, 213, comma 8 bis, 235, 268, 285 del Codice e articoli 8, 15, 19, 43 e 76 bis del D.Lgs. n. 270/1999.
[3] 
Relative agli articoli 2, 11, 26, 27, 28, 30, 37, 38, 39, 49, 51, 52, 57, 70, 78, 80, 90, 166, 279, 289, 303, 316, 345, 351, 352, 353, 354, 356, 368, 381 del Codice.
[4] 
Adeguatezza delle misure e degli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa. L'imprenditore individuale deve adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte. 
1. L'imprenditore collettivo deve istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato ai sensi dell'articolo 2086 del codice civile, ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell'assunzione di idonee iniziative. 
2. Al fine di prevedere tempestivamente l’emersione della crisi d’impresa, le misure di cui al comma 1 e gli assetti di cui al comma 2 devono consentire di: 
a) rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore; 
b) verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi e rilevare i segnali di cui al comma 4; 
c) ricavare le informazioni necessarie a utilizzare la lista di controllo particolareggiata e a effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento di cui all’articolo 13, comma 2. 
3. Costituiscono segnali per la previsione di cui al comma 3: 
a) l'esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno trenta giorni pari a oltre la metà dell'ammontare complessivo mensile delle retribuzioni; 
b) l'esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno novanta giorni di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti; 
c) l’esistenza di esposizioni nei confronti delle banche e degli altri intermediari finanziari che siano scadute da più di sessanta giorni o che abbiano superato da almeno sessanta giorni il limite degli affidamenti ottenuti in qualunque forma purché rappresentino complessivamente almeno il cinque per cento del totale delle esposizioni; 
d) l’esistenza di una o più delle esposizioni debitorie previste dall’articolo 25 novies, comma 1. 
[5] 
G. Bozza, Le condizioni soggettive ed oggettive del nuovo concordato, in Il Fall., 2005, p. 954; V. Lenoci, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Giuffrè, Milano, 2010, p. 71.
[6] 
Cass., 8 agosto 2016, n. 16614, in Giust. civ., mass., 2016, secondo la quale “l’esenzione dell’imprenditore agricolo dal fallimento viene meno ove non sussista, di fatto, il collegamento funzionale della sua attività con la terra, intesa come fattore produttivo, o quando le attività connesse di cui all’art. 2135, comma 3, c.c., assumano rilievo decisamente prevalente, sproporzionato rispetto a quelle di coltivazione, allevamento e silvicoltura, gravando su chi invochi l’esenzione, sotto il profilo della connessione tra la svolta attività di trasformazione e commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli e quella tipica di coltivazione ex art. 2135, comma 1, c.c., il corrispondente onere probatorio (nella specie, la S.C. ha confermato la decisione impugnata, che aveva negato la qualità di imprenditore agricolo alla odierna ricorrente, in mancanza di prova che le attività di conservazione e commercializzazione da lei esercitate riguardassero prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del proprio fondo)”.
[7] 
L’art. 8 CCI, intestato “Durata massima delle misure protettive” stabilisce comunque che “1. La durata complessiva delle misure protettive, fino alla omologazione dello strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza o alla apertura della procedura di insolvenza, non può superare il periodo, anche non continuativo, di dodici mesi, inclusi eventuali rinnovi o proroghe, tenuto conto delle misure protettive di cui all’articolo 18”.
[8] 
Cass., Sez. Unite, 15/05/2015, n. 9935.
[9] 
Cfr. Relazione Illustrativa al CCII, pag. 118.
[10] 
Ancora in tema R. D’Alonzo, La disciplina del procedimento unitario in sede di appello di R. D'Alonzo, in www.dirittodellacrisi.it, 23 giugno 2022.
[11] 
R. D’Alonzo, La disciplina del procedimento unitario in sede di appello, in www.dirittodellacrisi.it, cit.  
[12] 
Cass., Sez. Unite, 14/02/2022, n. 4696.

informativa sul trattamento dei dati personali

Articoli 12 e ss. del Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR)

Premessa - In questa pagina vengono descritte le modalità di gestione del sito con riferimento al trattamento dei dati personali degli utenti che lo consultano.

Finalità del trattamento cui sono destinati i dati personali - Per tutti gli utenti del sito web i dati personali potranno essere utilizzati per:

  • - permettere la navigazione attraverso le pagine web pubbliche del sito web;
  • - controllare il corretto funzionamento del sito web.

COOKIES

Che cosa sono i cookies - I cookie sono piccoli file di testo che possono essere utilizzati dai siti web per rendere più efficiente l'esperienza per l'utente.

Tipologie di cookies - Si informa che navigando nel sito saranno scaricati cookie definiti tecnici, ossia:

- cookie di autenticazione utilizzati nella misura strettamente necessaria al fornitore a erogare un servizio esplicitamente richiesto dall'utente;

- cookie di terze parti, funzionali a:

PROTEZIONE SPAM

Google reCAPTCHA (Google Inc.)

Google reCAPTCHA è un servizio di protezione dallo SPAM fornito da Google Inc. Questo tipo di servizio analizza il traffico di questa Applicazione, potenzialmente contenente Dati Personali degli Utenti, al fine di filtrarlo da parti di traffico, messaggi e contenuti riconosciuti come SPAM.

Dati Personali raccolti: Cookie e Dati di Utilizzo secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio.

Privacy Policy

VISUALIZZAZIONE DI CONTENUTI DA PIATTAFORME ESTERNE

Questo tipo di servizi permette di visualizzare contenuti ospitati su piattaforme esterne direttamente dalle pagine di questa Applicazione e di interagire con essi.

Nel caso in cui sia installato un servizio di questo tipo, è possibile che, anche nel caso gli Utenti non utilizzino il servizio, lo stesso raccolga dati di traffico relativi alle pagine in cui è installato.

Widget Google Maps (Google Inc.)

Google Maps è un servizio di visualizzazione di mappe gestito da Google Inc. che permette a questa Applicazione di integrare tali contenuti all'interno delle proprie pagine.

Dati Personali raccolti: Cookie e Dati di Utilizzo.

Privacy Policy

Google Fonts (Google Inc.)

Google Fonts è un servizio di visualizzazione di stili di carattere gestito da Google Inc. che permette a questa Applicazione di integrare tali contenuti all'interno delle proprie pagine.

Dati Personali raccolti: Dati di Utilizzo e varie tipologie di Dati secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio.

Privacy Policy

Come disabilitare i cookies - Gli utenti hanno la possibilità di rimuovere i cookie in qualsiasi momento attraverso le impostazioni del browser.
I cookies memorizzati sul disco fisso del tuo dispositivo possono comunque essere cancellati ed è inoltre possibile disabilitare i cookies seguendo le indicazioni fornite dai principali browser, ai link seguenti:

Base giuridica del trattamento - Il presente sito internet tratta i dati in base al consenso. Con l'uso o la consultazione del presente sito internet l’interessato acconsente implicitamente alla possibilità di memorizzare solo i cookie strettamente necessari (di seguito “cookie tecnici”) per il funzionamento di questo sito.

Dati personali raccolti e natura obbligatoria o facoltativa del conferimento dei dati e conseguenze di un eventuale rifiuto - Come tutti i siti web anche il presente sito fa uso di log file, nei quali vengono conservate informazioni raccolte in maniera automatizzata durante le visite degli utenti. Le informazioni raccolte potrebbero essere le seguenti:

  • - indirizzo internet protocollo (IP);
  • - tipo di browser e parametri del dispositivo usato per connettersi al sito;
  • - nome dell'internet service provider (ISP);
  • - data e orario di visita;
  • - pagina web di provenienza del visitatore (referral) e di uscita;

Le suddette informazioni sono trattate in forma automatizzata e raccolte al fine di verificare il corretto funzionamento del sito e per motivi di sicurezza.

Ai fini di sicurezza (filtri antispam, firewall, rilevazione virus), i dati registrati automaticamente possono eventualmente comprendere anche dati personali come l'indirizzo IP, che potrebbe essere utilizzato, conformemente alle leggi vigenti in materia, al fine di bloccare tentativi di danneggiamento al sito medesimo o di recare danno ad altri utenti, o comunque attività dannose o costituenti reato. Tali dati non sono mai utilizzati per l'identificazione o la profilazione dell'utente, ma solo a fini di tutela del sito e dei suoi utenti.

I sistemi informatici e le procedure software preposte al funzionamento di questo sito web acquisiscono, nel corso del loro normale esercizio, alcuni dati personali la cui trasmissione è implicita nell'uso dei protocolli di comunicazione di Internet. In questa categoria di dati rientrano gli indirizzi IP, gli indirizzi in notazione URI (Uniform Resource Identifier) delle risorse richieste, l'orario della richiesta, il metodo utilizzato nel sottoporre la richiesta al server, la dimensione del file ottenuto in risposta, il codice numerico indicante lo stato della risposta data dal server (buon fine, errore, ecc.) ed altri parametri relativi al sistema operativo dell'utente.

Tempi di conservazione dei Suoi dati - I dati personali raccolti durante la navigazione saranno conservati per il tempo necessario a svolgere le attività precisate e non oltre 24 mesi.

Modalità del trattamento - Ai sensi e per gli effetti degli artt. 12 e ss. del GDPR, i dati personali degli interessati saranno registrati, trattati e conservati presso gli archivi elettronici delle Società, adottando misure tecniche e organizzative volte alla tutela dei dati stessi. Il trattamento dei dati personali degli interessati può consistere in qualunque operazione o complesso di operazioni tra quelle indicate all' art. 4, comma 1, punto 2 del GDPR.

Comunicazione e diffusione - I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati, intendendosi con tale termine il darne conoscenza ad uno o più soggetti determinati, dalla Società a terzi per dare attuazione a tutti i necessari adempimenti di legge. In particolare i dati personali dell’interessato potranno essere comunicati a Enti o Uffici Pubblici o autorità di controllo in funzione degli obblighi di legge.

I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati nei seguenti termini:

  • - a soggetti che possono accedere ai dati in forza di disposizione di legge, di regolamento o di normativa comunitaria, nei limiti previsti da tali norme;
  • - a soggetti che hanno necessità di accedere ai dati per finalità ausiliare al rapporto che intercorre tra l’interessato e la Società, nei limiti strettamente necessari per svolgere i compiti ausiliari.

Diritti dell’interessato - Ai sensi degli artt. 15 e ss GDPR, l’interessato potrà esercitare i seguenti diritti:

  • 1. accesso: conferma o meno che sia in corso un trattamento dei dati personali dell’interessato e diritto di accesso agli stessi; non è possibile rispondere a richieste manifestamente infondate, eccessive o ripetitive;
  • 2. rettifica: correggere/ottenere la correzione dei dati personali se errati o obsoleti e di completarli, se incompleti;
  • 3. cancellazione/oblio: ottenere, in alcuni casi, la cancellazione dei dati personali forniti; questo non è un diritto assoluto, in quanto le Società potrebbero avere motivi legittimi o legali per conservarli;
  • 4. limitazione: i dati saranno archiviati, ma non potranno essere né trattati, né elaborati ulteriormente, nei casi previsti dalla normativa;
  • 5. portabilità: spostare, copiare o trasferire i dati dai database delle Società a terzi. Questo vale solo per i dati forniti dall’interessato per l’esecuzione di un contratto o per i quali è stato fornito consenso e espresso e il trattamento viene eseguito con mezzi automatizzati;
  • 6. opposizione al marketing diretto;
  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

Dati di contatto - Società per lo studio del diritto della crisi con sede in via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN); email: ssdirittodellacrisi@gmail.com.

Responsabile della protezione dei dati - Il Responsabile della protezione dei dati non è stato nominato perché non ricorrono i presupposti di cui all’art 37 del Regolamento (UE) 2016/679.

Il TITOLARE

del trattamento dei dati personali

Società per lo studio del diritto della crisi

REV 02