Saggio
Il (non)senso di una norma: l’art. 110, primo comma, L. fall. dopo la sua ultima riforma*
Giuseppe Bozza, già Presidente del Tribunale di Vicenza
18 Marzo 2021
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Sommario:
Immediatamente [1] sono emersi i problemi di comprendere il significato delle nuove norme, di valutare la compatibilità del loro innesto nel tessuto preesistente, di sondare il rapporto con l’art. 113 L. fall., e di controllare se lo scopo che il legislatore si prefiggeva è stato raggiunto, ed è quello che il presente scritto si propone di fare; tuttavia, una verifica del genere richiede una preliminare indagine circa il rapporto tra riparti e impugnazioni dello stato passivo antecedentemente all’entrata in vigore della modifica citata, per meglio capire il presente e anche il futuro, posto che le innovazioni del 2016 sono state riprese dall’art. 220 CCII.
Tale rapporto riguarda tutte le impugnazioni dello stato passivo di cui all’art. 98 (opposizione, impugnazione in senso stretto, revocazione) ma, anche per semplicità espositiva, si farà riferimento alle opposizioni, fermo restando che quanto viene detto va applicato, con i dovuti adattamenti, anche alle altre forme di impugnazione dello stato passivo.
Non contrastava con questa conclusione la previsione del secondo comma dell’art. 110 L. fall., per il quale la comunicazione del deposito del progetto di ripartizione in cancelleria e l’invio di copia del medesimo va fatta a tutti i creditori, “compresi quelli per i quali è in corso uno dei giudizi di cui all'articolo 98”. Benché la norma faccia riferimento a tutti i giudizi di cui all'articolo 98”, è chiaro che il tema della comunicazione e trasmissione del progetto di riparto riguarda prevalentemente, se non esclusivamente, le opposizioni allo stato passivo, sia perché questa è l’ipotesi di impugnazione dello stato passivo più ricorrente, sia perché è quella che, sotto il profilo in esame, presenta aspetti di criticità, giacché i creditori oggetto di impugnazione o di revocazione, in quanto inseriti nello stato passivo, hanno un interesse attuale a contestare il progetto di riparto ove lo ritengano lesivo della propria posizione, cui è finalizzata la comunicazione del deposito del progetto.
Gli opponenti, invece, sono esclusi (totalmente o parzialmente), dallo stato passivo e la comunicazione a costoro dell’avvenuto deposito del progetto di riparto, al quale non hanno diritto a partecipare (per la parte esclusa), si giustificava in quanto essi erano comunque interessati a proporre reclamo contro il progetto di riparto nell’ottica dell’accoglimento della loro opposizione[2]. In sostanza la comunicazione ai creditori opponenti di cui al secondo comma dell’art. 110 era funzionale alla presentazione di reclami al progetto stesso, cui erano e sono legittimati tutti i creditori che possono avervi interesse, e tra i quali sicuramente rientrano gli opponenti per la possibilità che la loro impugnazione sia accolta, anche se, al momento, quei creditori non partecipano o non possono partecipare al riparto reclamato.
Né la partecipazione ai riparti dei creditori opponenti poteva farsi discendere dalla previsione dell’art. 113 giacché questa norma, non toccata dalla mini riforma del 2016, prende sì in considerazione anche gli opponenti tra coloro che possono partecipare ai riparti seppur con accantonamenti, ma non prevede accantonamenti in favore di tutti coloro che abbiano proposto opposizione allo stato passivo, bensì solo in favore dei creditori opponenti che abbiano ottenuto misure cautelari e degli opponenti che abbiano ottenuto “sentenza”[3] favorevole non passata in giudicato.
In proposito, è appena il caso di ricordare che, a norma dell’art. 113 L. fall. - anche questo ripreso integralmente nel nuovo codice della crisi e dell’impresa, all’art. 227- le ripartizioni parziali non possono superare l’80% delle somme da ripartire, e tale percentuale indica, per differenza, l’accantonamento minimo, vincolante per gli organi del Fallimento, i quali nel fissare la somma da distribuire possono, quindi, prudentemente accantonare una quota superiore a quella minima del 20%, ma non possono scendere al di sotto della stessa; di contro, non è ravvisabile un diritto dei creditori ad ottenere la riduzione della somma ripartibile superiore al minimo o un incremento della correlativa somma minima da accantonare. Questo è il c.d. accantonamento generico che consiste, non in un deposito della somma a favore di determinati soggetti, ma nel divieto di ripartizione di una somma corrispondente alla percentuale minima indicata o a quella maggiore scelta dal curatore al fine di assicurare il pagamento delle spese future, intese nel senso più ampio.
Diversi da questo generico accantonamento, sono quelli in favore delle quattro categorie di creditori elencate nello stesso articolo, perché questi sono accantonamenti specifici in favore di singoli creditori che sono compresi nel riparto ma hanno una posizione creditoria ancora non definitivamente acclarata; in attesa che ciò avvenga, costoro hanno diritto, non al pagamento della somma che loro spetterebbe, ma all’accantonamento per l’importo corrispondente, su cui, quindi, si crea un vincolo di destinazione in favore dei creditori beneficiari, che ne potranno ottenere il pagamento al momento del venir meno dell’impedimento che non ne aveva consentito il pagamento al momento del riparto[4]. Attraverso questa operazione- mediante la quale determinate somme, benché ripartibili, non vengono distribuite in quanto l’attribuzione è posticipata ad un momento successivo-, si garantisce, in attesa della definizione della posizione dei creditori interessati, quel pagamento cui il creditore avrebbe diritto in sede fallimentare, senza contestualmente bloccare il riparto in favore degli altri creditori aventi diritto, così attuando un giusto bilanciamento delle due opposte esigenze.
Le categorie di creditori aventi diritto all’accantonamento specifico sono quelle quattro indicate al primo comma dell’art. 113, tra cui sono compresi, come già accennato, non tutti i creditori che abbiano proposto opposizione allo stato passivo, bensì soltanto quelli a favore dei quali sono state disposte misure cautelari (n. 2) e quelli “la cui domanda è stata accolta quando la sentenza non è passata in giudicato” (n. 3). Non interessa in questa sede ricercare il significato di queste previsioni, quanto sottolineare che sono queste due situazioni- circoscritte alle ipotesi in cui il creditore opponente abbia già ottenuto un provvedimento positivo, sebbene non ancora definitivo, o comunque il suo credito sia stato valutato, seppur sotto il profilo del fumus - a giustificare la partecipazione di costoro ai riparti, seppur la somma ad essi spettante viene accantonata[5], per cui da tale previsione non poteva, né può, trarsi una regola generale valida per tutti gli opponenti
Secondo la normativa dell’epoca, quindi, non vi era coincidenza tra i creditori che potevano proporre reclamo avverso il progetto di riparto- e allo scopo, avevano diritto alla comunicazione del deposito del progetto e alla trasmissione dello stesso- e i creditori che avevano diritto a partecipare a questo.
In sostanza, pur dopo la riforma del 2006/2007 e fino all’intervento del 2016, poteva ritenersi ancora valido il precedente orientamento della S.C. secondo cui il creditore non ammesso al passivo, “pur potendo, come ogni altro interessato, presentare osservazioni al piano di riparto (facoltà all’epoca prevista) e potendo giovarsi dell'accantonamento generico e di quegli altri che il giudice delegato può disporre prudenzialmente nei casi previsti dall’art. 113, non ha tuttavia diritto ad un accantonamento specifico, né è consentita, per il carattere tassativo delle sue previsioni, un'applicazione dell'art. 113 L. Fall. che, in analogia, estenda la previsione di accantonamento ai crediti non ammessi”[6]. Ed è significativo in queste decisioni il riferimento alla possibilità per l’opponente di giovarsi dell’accantonamento generico, giacché richiama una prassi diffusa, secondo la quale i curatori utilizzavano la discrezionalità loro lasciata di determinare l’ammontare dell’accantonamento generico oltre il minimo per non bloccare le ripartizione delle liquidità disponibili e contestualmente garantire i creditori opponenti in caso di vittoria.
Non vi è dubbio che, in questo sistema, i creditori opponenti- diversi da quelli aventi diritto all’accantonamento specifico- fossero fortemente penalizzati in quanto potevano sì proporre reclamo avverso il progetto di reclamo, ma di fatto, come è stato correttamente sottolineato[7], potevano fare esclusivamente affidamento sulla discrezionalità del curatore nella determinazione dell'accantonamento generico, senza alcuna possibilità di difesa ove il curatore non avesse tenuto conto delle loro pretese nella determinazione delle somme non distribuibili in mancanza di un diritto a pretendere un adeguato accantonamento a propria tutela, con conseguente inutilizzabilità del reclamo ex art. 36 L. Fall. proponibile solo per violazione di legge; sicché, in assenza di un adeguato accantonamento generico, il credito dell’opponente riconosciuto dal giudice dell’opposizione avrebbero potuto trovare capienza solo sull’attivo residuato dopo i riparti nel frattempo eseguiti, essendo intoccabili le attribuzioni già effettuate in favore degli altri creditori a norma dell’art. 114 L. fall.. Ed, infatti, si ammetteva la possibilità della chiusura del Fallimento in pendenza del giudizio di opposizione, con diversa interpretazione circa la sorte di quest’ultimo, se improcedibile[8] o riassumibile (dopo la interruzione) nei confronti del debitore tornato in bonis, o da lui proseguito, al fine di giungere all'accertamento giudiziale sull'esistenza[9].
Tra i destinatari della comunicazione e della trasmissione del progetto di riparto, l’art. 110 non considera i creditori tardivi, la domanda dei quali non sia stata ancora esaminata dal giudice delegato, con la relativa conseguenza della mancanza di legittimazione di costoro (a differenza degli opponenti) ad impugnare il progetto di riparto nel quale non sono inclusi; il creditore tardivo, la cui domanda sia stata, invece, esaminata e ammessa al passivo, rientra tra i destinatari di cui all’art. 110 e quello tardivo, la cui domanda sia stata esaminata e respinta, rientra tra i destinatari di cui all’art. 110 qualora abbia proposto opposizione allo stato passivo.
E’ stata sottolineata[10] la discrasia che si è creata non prevedendosi, da un lato, la comunicazione a chi ha presentato una domanda di insinuazione tardiva, sebbene non ancora esaminata, che non è tra i destinatari dell’avviso di cui al comma 2 dell’art. 110 e non è, quindi, legittimato al reclamo, e disponendosi, dall’altro, la comunicazione ai creditori opponenti, per i quali non solo manca una pronuncia che riconosca i loro diritti (come per i tardivi), ma vi è stato anzi un accertamento negativo. Tanto ha indotto alcuni Autori a ritenere che comunque la comunicazione dell’avvenuto deposito e la trasmissione di copia del progetto vadano fatte anche ai creditori tardivi facendo leva sul richiamo del comma 2 dell’art. 101 anche all’art. 98 L. fall.[11], o su ragioni di equità e coerenza sistematica[12].
Non è questa la sede per vagliare queste considerazioni intendendo, in questo momento, solo rappresentare la situazione preesistente alla mini riforma del 2016; mi limito, pertanto, a prendere atto che il legislatore ha limitato la legittimazione all’impugnazione dei progetti di riparto ai soli creditori sulle domande dei quali- sia essa presentata in via tempestiva che tardiva- il giudice abbia preso una decisione e che, ove il provvedimento del giudice sia stato negativo, i creditori abbiano proposto opposizione allo stato passivo, ritenendo, evidentemente, che soltanto chi è stato già ammesso al passivo o può conseguire, con l’accoglimento del gravame, una collocazione anteriormente negatagli o una collocazione migliore rispetto a quella precedentemente attribuitagli, possa essere considerato interessato alle risultanze del rimedio avverso il progetto di riparto, al punto da consentirgli di reclamare il progetto per lui lesivo, nel mentre il creditore tardivo, la cui domanda non sia stata ancora esaminata, è equiparabile al creditore non ancora insinuato.
La nuova norma contribuisce a rendere più coerente l’obbligo di comunicazione e trasmissione di cui al primo comma dell’art. 110 L. fall. anche ai creditori opponenti, posto che, come già accennato, in passato, la comunicazione anche a questa categoria di creditori dell’avvenuto deposito del progetto, era finalizzata alla sola presentazione di reclami nell’ottica dell’esito favorevole del giudizio di opposizione; la modifica dell’art. 110 L. Fall. nel 2016, consentendo la partecipazione dei creditori opponenti al riparto, seppur previo rilascio di fideiussione, riconosce tangibilmente l’interesse del creditore la cui posizione non è ancora definita.
Inoltre la nuova norma ben si concilia con le previsioni di cui ai nn. 2 e 3 dell’art. 113 L. fall. sugli accantonamenti, nel senso che, quando ricorrono le condizioni per gli accantonamenti, il curatore deve provvedere a farli, ma, in alternativa, potrebbe corrispondere immediatamente la somma dovuta, evitando l’accantonamento, ove il creditore rilasci la fideiussione. Egualmente si concilia con il n. 4 dell’art 113 L. fall. per il caso che il credito ammesso sia oggetto di impugnazione o revocazione, dato che anche in questo caso, l’accantonamento potrebbe essere sostituito dalla fideiussione[13].
In questo modo, a parte le carenze operative accennate, si potrebbe dire che la nuova norma, per la parte fin qui esaminata, avrebbe raggiunto il pregevole risultato:
a - di tutelare i creditori opponenti non aventi diritto all’accantonamento permettendo loro di partecipare al riparto, senza dover attendere i tempi del giudizio di opposizione e senza bisogno di affidarsi alla discrezionalità del curatore di garantirli attraverso l’ampliamento dell’accantonamento generico;
b - di ridurre le immobilizzazioni per accantonamenti specifici in favore dei creditori opponenti che ne hanno diritto ai sensi dei nn. 2 e 3 dell’art.113, potendo sostituire gli stessi con il rilascio di una fideiussione;
c - di liberare il curatore dall’imbarazzo di procedere al riparto in pendenza di una opposizione che potrebbe incidere pesantemente sulla distribuzione, in quanto, se il creditore rilascia la fideiussione, questa garantisce la restituzione nel caso di esisto negativo del giudizio di opposizione, e se il creditore non rilascia la fideiussione, non può lamentarsi se il curatore procede al riparto dovendo ascrivere a sé l’eventuale impossibilità di soddisfarsi in caso di esito favorevole dell’opposizione,
d - di venire incontro all’interesse degli altri creditori che hanno diritto di partecipare al riparto in quanto il curatore, liberato dal peso dell’esito del giudizio di opposizione, sia o non rilasciata da parte del creditore opponente la fideiussione richiesta, può procedere a predisporre i riparti parziali.
Per ovviare a questa disparità il Tribunale di Modena[16] ha ritenuto che il legislatore del 2016 abbia voluto introdurre un obbligo di accantonamento generico in favore di coloro che abbiano anche soltanto un giudizio di opposizione in corso in primo grado e ciò a prescindere da ogni delibazione circa la fondatezza o meno della loro pretesa. Secondo il Tribunale modenese, infatti, “il creditore opponente non è più titolare di un'aspettativa di mero fatto, ma di un vero e proprio diritto all'accantonamento, seppure nelle forme attenuate della capienza dell'accantonamento meramente contabile o generico (che, per inciso, diversamente da quello specifico di cui al n. 3) dell'art. 113 L. Fall. deve essere distribuito in caso di riparto finale - cfr. art. 117 commi 1 e 2 L. fall.)”.
L’equità di una tale lettura della norma si scontra, in primo luogo, con la chiara finalità della stessa, diretta a tutelare i creditori opponenti in attesa dell’esito dell’opposizione, per cui l’eccessività della ripartizione non può che essere collegata all’esito del gravame; come, del resto, chiaramente esplicitato, nel nuovo secondo periodo, ove si tratta della fideiussione dei creditori (non opponenti) che avrebbero diritto alla ripartizione delle somme in caso di insussistenza, in tutto o in parte, del credito oggetto di controversia a norma dell’art. 98, che riguarda appunto (anche) i creditori opponenti che possono rilasciare la fideiussione di cui al primo periodo. Inoltre una tale lettura si porrebbe in netto contrasto con il principio della immutabilità o della stabilità dei riparti affermato, in modo quanto mai inequivoco, nell’art. 114 L. Fall., che esclude la ripetizione dei pagamenti avvenuti in esecuzione dei riparti, con l’unica eccezione che il credito soddisfatto sia stato espunto dallo stato passivo a seguito dell'accoglimento di domanda di revocazione. Neanche questa norma è stata modificata dalla mini riforma del 2016 e, senza l’introduzione legislativa di altra eccezione al principio della stabilità, il curatore non può chiedere il rilascio di una fideiussione con le caratteristiche indicate a garanzia della restituzione di quanto ricevuto per il caso che il pagamento già effettuato determini una alterazione della par condicio con altri creditori.
Altro tentativo di limitazione del campo di applicazione della norma è stato fatto dal Tribunale di Civitavecchia[20], per il quale “La disposizione di cui al novellato art. 110 comma 1, penultimo periodo L. Fall. si applica unicamente ai crediti esclusi dal passivo fallimentare e oggetto di giudizio ex art. 98 L. Fall. di primo grado e non può “essere analogicamente estesa all'ipotesi di pendenza di giudizio in cassazione ex art. 99 L. Fall., posto il carattere eccezionale della norma (in rapporto al principio di tassatività delle ipotesi di accantonamento) e l'assenza di eadem ratio (in quanto nel caso del creditore ricorrente per cassazione, differentemente dal creditore opponente ex art. 98, l'esistenza del credito è già stata esclusa con pronuncia resa dal Tribunale all'esito di giudizio a cognizione piena) e constatato che nessuna altra norma impone un accantonamento in favore di coloro i quali, risultati soccombenti nel giudizio ex art. 98 L. Fall.., abbiano introdotto il giudizio di cassazione ai sensi dell'art. 99, comma 12, L. Fall.”.
Per la verità neanche questo tentativo mi sembra riuscito in quanto si basa su una lettura estremamente formalistica della norma lì dove attribuisce all’espressione “nel caso in cui siano in corso giudizi di cui all’art. 98” il significato di voler limitare l’applicazione della norma alla sola ipotesi della pendenza del giudizio di opposizione di primo grado. In realtà, anche quando è pendente il ricorso in cassazione avverso il decreto del tribunale che ha respinto l’opposizione è ancora in corso un giudizio di cui all’art. 98; il fatto che sia già intervenuta una decisione del tribunale che abbia rigettato l’opposizione è del tutto irrilevante, visto che la stessa, essendo stata impugnata in cassazione, non è passata in giudicato, così come è irrilevante il fatto che il ricorso in cassazione sia previsto dall’art. 99 e non dall’art. 98 cui fa riferimento la nuova norma, dato che l’art. 98 elenca e descrive gli strumenti di impugnazione dello stato passivo e l’art. 99 regola il procedimento degli stessi, disponendo, tra l’altro, che il tribunale provvede con decreto, che va comunicato dalla cancelleria alle parti che, nei successivi trenta giorni, possono proporre ricorso per cassazione.
Come è noto l’art. 99 L. fall. non chiarisce se il decreto del tribunale sia immediatamente esecutivo oppure no, ma considerato che si tratta di un provvedimento emesso in camera di consiglio, dovrebbe trovare applicazione l’art. 741 c.p.c. - che contiene una disposizione applicabile anche ai decreti camerali di secondo grado soggetti ad impugnazione- per cui essi producono effetto dalla data dell'inutile spirare del termine indicato dalla norma specifica di cui all’art. 99 per il ricorso in cassazione avverso di esso. Depone in tal senso anche la previsione dell’art.113, co. 1, n. 3, che dispone l’accantonamento, nei riparti parziali, in favore dei creditori opponenti la cui domanda sia stata accolta ma “la sentenza non è passata in giudicato” e che, evidentemente, sarebbe inutile ove la “sentenza”, rectius decreto, fosse immediatamente esecutiva dato che la norma è dettata a tutela del creditore il cui diritto a partecipare al riparto è stato già riconosciuto. In tal caso, poiché il provvedimento che accoglie l’opposizione non è definitivo, il creditore interessato non avrebbe diritto a partecipare al concorso e viene tutelato mediante l’accantonamento della somma che gli sarebbe assegna (e che può sostituire con la fideiussione); di contro, in applicazione dello stesso principio della non definitività del provvedimento del tribunale che rigetta l’opposizione, il creditore soccombente, fin quando il decreto del tribunale non è definitivo- e non lo è se propone ricorso in cassazione - è ancora creditore opponente essendo ancora in corso un giudizio di cui all’art. 98, con conseguente applicazione della nuova norma, senza necessità di dover ricorrere all’analogia.
Come si vede, la norma ripropone lo stesso meccanismo del pagamento previo rilascio di fideiussione, avente le descritte caratteristiche, anche in favore dei creditori (diversi dagli opponenti) che hanno diritto al riparto in base alla loro collocazione al passivo, ma la cui soddisfazione, in tutto o in parte, è condizionata dalla soluzione della controversia dell’opponente che non ha rilasciato la fideiussione; di conseguenza, il curatore, dopo l’interpello rimasto senza esito ai creditori opponenti, deve rivolgere lo stesso interpello agli altri creditori concorrenti in posizione paritetica o subordinata rispetto a quella dell’opponente (che non partecipa al riparto perché non ha rilasciato la richiesta fideiussione), sempre che, ovviamente, le somme da ripartire non siano sufficienti alla soddisfazione di tutti.
E’ probabile- come è stato detto[21]- che l’intento del legislatore fosse quello di “evitare quelle situazioni di impasse in cui il curatore, in presenza di un creditore privilegiato ma escluso con pendente opposizione, soprassedeva ai riparti in favore anche dei creditore con collocazione successiva rispetto all’opponente poiché non disponeva di somme tali da poter soddisfare quest’ultimo laddove vittorioso”, sottraendo contestualmente l’opponente al rischio di non essere soddisfatto per incapienza nei casi in cui non avesse rilasciato la fideiussione. E così, per evitare lo stallo e sopperire al pericolo che l'opponente in posizione prioritaria non sia soddisfatto per incapienza, è stata prevista la possibilità di procedere egualmente al riparto, previo rilascio di una fideiussione da parte dei creditori concorrenti che sarebbero postergati rispetto agli opponenti vittoriosi, in modo da garantire la restituzione di quanto ricevuto in caso di vittoria del creditore prioritario opponente; rilascio della fideiussione da parte di costoro che, quindi, diventa una condizione imprescindibile per partecipare al riparto ed ottenere il pagamento spettante.
Se questi erano gli scopi che il legislatore si prefiggeva, bisogna dire che questi non sono stati affatto realizzati, né potevano essere raggiunti perché il contorto meccanismo introdotto è di difficile o impossibile applicazione, è imprecisamente e genericamente delineato e implica disparità di trattamento.
In primo luogo, infatti, è di palmare evidenza che lo strumento in esame può essere utilizzato solo in quei limitati casi in cui siano pochi i creditori condizionati dalla partecipazione o meno al passivo del creditore opponente (es. le liquidità disponibili sono tali da consentire il pagamento o del creditore opponente, che ad esempio rivendica un privilegio negatogli, o di altro che segue nell’ordine), nel mentre, quando i creditori condizionati sono numerosi, diventa impossibile richiedere il rilascio di fideiussioni a tutti coloro che potrebbero essere coinvolti. Si pensi all’ipotesi in cui il credito in contestazione oggetto dell’opposizione sia di rilevante entità e si collochi in prededuzione o nelle prime posizioni dei privilegiati; in questo caso l’accoglimento della opposizione potrebbe escludere dal riparto tutti i creditori di grado successivo e i chirografari, o comunque permetterne il pagamento in misura inferiore, sicché la distribuzione nel frattempo della somma disponibile agli aventi diritto richiederebbe il rilascio di un numero notevole di fideiussioni. Ed anche un credito chirografario, escluso dal passivo, con conseguente opposizione, porterebbe le stesse conseguenze perché l’accoglimento dell’opposizione determinerebbe una riduzione della quota che potrebbe essere assegnata agli altri creditori, che dovrebbero, anche se l’importo restituibile è ridotto, rilasciare una fideiussione, e così via. E questo con riferimento ad un solo creditore opponente, perché, se si prende in considerazione l’ipotesi più comune in cui le opposizioni siano più di una, le possibilità di condizionare il pagamento dei creditori non opponenti che potrebbero partecipare ai riparti si moltiplicano[22].
La norma tratta inequivocabilmente dei i creditori concorrenti che avrebbero diritto di partecipare al riparto, ma il loro pagamento è condizionato dall’esistenza di creditori di grado potiore, la cui posizione è ancora non definita per una ragione qualunque. La fattispecie assume contorni chiari quando l’incertezza del credito condizionante deriva dalla pendenza di una opposizione (o di altro giudizio di impugnazione dello stato passivo) nel senso che esiste una somma da distribuire che può servire a soddisfare o i creditori che ne hanno diritto in base alle risultanze dello stato passivo o il creditore opponente (che non ha rilasciato fideiussione), nel caso l’opposizione fosse accolta, per cui il legislatore, pensando di evitare lo stallo derivante da un eccessivo accantonamento generico che avrebbe sterilizzato le liquidità, ha spinto il curatore a predisporre egualmente il riparto in favore degli aventi diritto, previo rilascio della fideiussione per garantirne la restituzione nel caso dovesse essere soddisfatto primariamente il creditore che aveva promosso l’opposizione.
Il ricorso alla fideiussione richiede, quindi, che esista una somma da distribuire ai creditori e che questa sia insufficiente a soddisfare quelli che ne hanno diritto e quelli che potrebbero avervi diritto, essendo ovvio che, se entrambe le categorie possono essere pagate, il rilascio della fideiussione diventa superfluo[23].
Orbene, quando il diritto dei creditori concorrenti che possono partecipare al riparto è condizionato dalla insussistenza, in tutto o in parte, del credito avente diritto all’accantonamento, viene meno il presupposto di base che giustifica il rilascio della fideiussione, ossia la necessità di tutelare creditori in una situazione ancora incerta, dato che i creditori aventi diritto all’accantonamento sono già garantiti appunto dall’accantonamento (sia esso in favore dei creditori ammessi con riserva che degli altri elencati nel primo comma dell’art. 113), che limita le risorse disponibili per gli altri creditori che hanno diritto di partecipare al riparto[24].
La norma in esame si limita, altresì, ad indicare le condizioni in cui i creditori aventi diritto al riparto sono tenuti al rilascio della fideiussione per parteciparvi, nel caso cioè, in cui la loro soddisfazione dipenda dalla insussistenza, in tutto o in parte, del credito oggetto di opposizione da altri creditori proposta. E qui alla carenza procedurale già evidenziata, si aggiunge una carenza di regolamentazione degli effetti, sia nel caso che il diritto oggetto della controversia ex art. 98 venga riconosciuto sussistente che insussistente (per usare il lessico normativo).
Questo sbilanciamento ha determinato un conflitto interno alla norma. Se, infatti, i creditori ammessi al passivo, per partecipare al riparto nei casi in cui la loro soddisfazione è condizionata dalla soluzione di una o più cause di opposizione, devono rilasciare una adeguata fideiussione, è chiaro che i creditori opponenti non hanno alcun interesse a rilasciare essi una fideiussione per ottenere il pagamento, dato che sanno che, comunque, le somme disponibili, la cui distribuzione potrebbe pregiudicarli, non possono essere ripartite se non in favore dei creditori che rilascino una fideiussione, per cui saranno questi a sostenere le spese della fideiussione ed accollarsi il rischio dell’esito del giudizio di opposizione.
In sostanza, l’aver, nei casi di rischio, subordinato- come fa il secondo periodo della nuova norma- il pagamento di chi ne ha diritto (in base allo stato passivo) al rilascio della fideiussione, vanifica la portata innovativa della prima parte della norma, per cui la facoltà del rilascio della fideiussione o si attribuiva ai creditori opponenti o agli altri creditori aventi diritto in base allo stato passivo, ma non ad entrambi.
A mio avviso, volendo seguire la strada (impervia e che non porta lontano) del rilascio della fideiussione in funzione di sblocco dei riparti, il problema che avrebbe dovuto risolvere il legislatore non era tanto quello di consentire ai creditori opponenti di partecipare ai riparti, ma quello di garantire la loro partecipazione in caso di vittoria, per cui sarebbe stato più semplice e logico non forzare la partecipazione ai riparti di soggetti che non ne hanno ancora diritto (come previsto nella prima parte della innovazione) e consentire la partecipazione ai riparti dei creditori concorrenti aventi diritto, previo rilascio di una fideiussione, dalle caratteristiche descritte dalla legge, idonea a garantire la restituzione non solo nel caso di sussistenza del credito prioritario oggetto di controversia a norma dell’art. 98, ma anche, in parziale deroga dell’art. 114, nel caso di alterazione della parità di trattamento tra creditori.
Non tutti i problemi sarebbero risolti, perché, rimane improbabile che qualcuno degli altri creditori concorrenti condizionati dall’esito del giudizio di opposizione sostenga un esborso per ottenere subito ciò che potrebbero dover restituire all’esito del o dei giudizi di opposizione che interessano, ma almeno si darebbe una qualche coerenza al tentativo di velocizzare i riparti, cercando di venire incontro a chi ha diritto a parteciparvi e non a chi non ne ha ancora il diritto, e si eviterebbero le disparito evidenziate. Rimarrebbe ancora il problema delle evidenziate difficoltà pratiche a reperire le fideiussioni, ma qui si potrebbe intervenire con una regolamentazione dei comportamenti del curatore, salvo prendere atto che, in alcuni casi, è impossibile seguire questa via.
Il fatto è che l’attuale legislazione non ha affatto realizzato lo scopo che si prefiggeva in quanto determina inevitabilmente la medesima pregressa situazione di stallo, come è dimostrato dalla scarsa presenza di provvedimenti noti in materia nonostante siano decorsi circa quattro anni e mezzo dall’entrata in vigore della mini riforma dell’art. 110 L. fall.[30]; anzi l’ha aggravata. E’ chiaro, infatti, ora come in passato, il curatore, in presenza di opposizioni condizionanti, non può fare altro che temporeggiare nel predisporre una ripartizione, in attesa di conoscere l’esito dei giudizi di opposizione, con l’effetto opposto all'intenzione del legislatore che voleva fosse ripartita quanta più liquidità possibile appena possibile; tuttavia, il meccanismo legalizzato delle doppie fideiussioni consente al curatore che non procede ad alcun riparto di essere in linea con la previsione dell’ultima parte del comma decimo dell’art. 104-ter L. Fall.- aggiunto dal D.L. 3 maggio 2016, n. 59, convertito nella l. 30 giugno 2016, n.119- che sanziona con la revoca del curatore la mancata distribuzione delle somme disponibili per la ripartizione nel quadrimestre da quando ha tale disponibilità, in quanto il curatore che ritarda a distribuire le somme disponibili può trincerarsi dietro il mancato rilascio delle fideiussioni.
Per questo motivo il titolo del presente scritto è incentrato sul “non senso” della innovazione introdotta nel 2016, che per insipiente eccesso di zelo si è autosterilizzata; e, purtroppo, l’operazione è stata ripetuta, esattamente negli stessi termini, nel nuovo codice della crisi, ove ai due periodi esaminati è stata data la dignità di un comma autonomo (il secondo dell’art. 220) ed è stato riprodotto nell’art. 227 il contenuto dell’attuale art. 113 L. fall.. Peccato, perché sarebbero bastati pochi correttivi- a cominciare da una più puntuale regolamentazione dei compiti del curatore in vista dei riparti parziali per finire a concentrare l’attenzione sui creditori aventi diritto al riparto, meglio e più compiutamente delineando il contenuto della garanzia- per rendere più efficiente un meccanismo destinato, così come è ora strutturato, a non funzionare, come non ha finora funzionato.
Note:
Problema che non ricorre qualora i creditori non abbiano la medesima collocazione, perché se A è un creditore di primo grado e B e C di secondo (il riferimento, qui come in seguito, ai numeri naturali ordinali è fatto al solo scopo di indicare le priorità e le successioni, indipendentemente dal contenuto dei privilegi ad essi corrispondenti) è chiaro che questi ultimi non ricevono alcun pregiudizio dalla vittoria di A e dal trattenimento definitivo della somma a questi attribuita con il riparto. L’ipotesi che siano B o C a rilasciare la fideiussione si vedrà in prosieguo, nell’esame del secondo periodo introdotto dalla modifica del 2016.