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Il finanziamento alle imprese nel Codice della crisi: il caso della composizione negoziata*

Sandro Pettinato, Vice segretario generale Unioncamere

9 Gennaio 2024

*Scritto edito su “Il finanziamento alle imprese nel Codice della crisi e dell’insolvenza”, Quaderno della Commissione crisi, ristrutturazione e risanamento d’impresa presso l’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano, a cura di G. Rocca, con prefazione di S. Leuzzi.
L’A. svolge una riflessione mirata sulle operazioni di finanziamento nel recinto della neointrodotta composizione negoziata della crisi d’impresa.
Riproduzione riservata
Il contributo che vorrei offrire a questo lavoro, si focalizza in particolare sul finanziamento alle imprese che, all’interno delle norme previste dal Codice della crisi e dell’insolvenza, ricorrono al neoistituto della composizione negoziata.
Lo strumento, come si evince dalle pubblicazioni semestrali effettuate dal sistema delle Camere di commercio attraverso l’Unioncamere, dopo una partenza a rilento, ha fatto registrare negli ultimi mesi, risultati di tutto rilievo soprattutto per quanto riguarda i casi di successo ottenuti, ma anche per l’incremento graduale delle domande di accesso allo strumento e infine, per la durata complessiva dei provvedimenti, tutti segni – questi – di una fiducia e di una crescita generale di attenzione per il nuovo istituto.

Una breve premessa
Come già più volte sottolineato, a parere dello scrivente, sono tre gli aspetti che andrebbero maggiormente esaminati e dibattuti per favorire un miglior ricorso alla Composizione alle norme che si sono succedute – occorre l’avvio di un nuovo processo culturale e sociale che favorisca sempre di più l’adozione di strumenti di valutazione del rischio, a partire da quegli «adeguati assetti organizzativi amministrativi e contabili» previsti dal secondo comma dell’articolo 2086 del Codice civile, così come modificato dall’art. 3 del testo di legge in vigore; in secondo luogo, la possibilità di avvalersi, da parte dell’esperto incaricato, di nuovi strumenti di tipo finanziario e fiscale per meglio gestire il percorso di ristrutturazione previsto dal piano redatto dal debitore; terzo – e così introduciamo il tema in oggetto – la possibilità di rinegoziare le posizioni debitorie con l’erario, con gli enti previdenziali e con il creditore bancario: fattispecie, le prime due, che avrebbero bisogno di un’attenta e articolata analisi a parte.
Se parliamo di finanziamento alle imprese, il primo elemento da esaminare è quello relativo alla consapevolezza dell’imprenditore, del suo advisor o, comunque, di chi presenta un’istanza di composizione negoziata, circa la necessità di reperire risorse finanziarie tali da poter garantire che il piano di risanamento – o, meglio, il progetto di piano – redatto, venga correttamente onorato.
Al momento della presentazione dell’istanza di competizione negoziata, infatti, il debitore può indicare – tra le altre cose – se ricorre la necessità di accedere a nuove risorse finanziarie che rendano il progetto di risanamento credibile e duraturo.
Ebbene, dal periodico osservatorio che Unioncamere pubblica ogni sei mesi, emerge che solo un’azienda su cinque (il 21%) dichiara di aver necessità di attingere a nuove risorse finanziarie: un dato questo che, a parere di chi scrive, stupisce particolarmente, poiché è noto che nella stragrande maggioranza dei casi di risanamento aziendale, oltre a una serie di interventi correttivi, a un percorso di riorganizzazione aziendale, al taglio generale dei costi e a una nuova negoziazione dei debiti, quasi sempre sia necessario affiancare la richiesta di nuova finanza, in grado di apportare linfa vitale al progetto di risanamento aziendale.
A due anni dalla partenza dell’istituto forse è ancora presto per dare un giudizio esatto su questo specifico aspetto, poiché probabilmente nel corso dei prossimi mesi tale indicatore potrebbe subire delle modifiche, ma certamente una maggior consapevolezza (e trasparenza) sull’esigenza di accedere a risorse finanziarie fresche, a beneficio del piano del debitore, sarebbe molto importante.
Sul tema del finanziamento alle imprese in composizione negoziata, mi soffermerei anzitutto sulla relazione tra impresa debitrice e sistema bancario: non possiamo, pertanto, non partire dalla disposizione specifica dell’articolo 16, al 5 comma, del Codice della crisi, in vigore dal luglio del 2022.
Il testo come è noto, recita espressamente che «Le banche e gli intermediari finanziari […] sono tenuti a partecipare alle trattative in modo attivo e informato. L’accesso alla composizione negoziata della crisi non costituisce di per sé causa di sospensione e di revoca degli affidamenti bancari concessi all’imprenditore. In ogni caso la sospensione o la revoca degli affidamenti possono essere disposti se richiesto dalla disciplina di vigilanza prudenziale con comunicazione che dà conto delle ragioni delle decisioni assunte».
A una lettura iniziale del testo sembrerebbe che il legislatore abbia voluto garantire una netta distinzione del comportamento che il sistema bancario adotta nei casi di posizioni debitorie interessate da «procedure concorsuali» tradizionali, rispetto al nuovo istituto della composizione che, com’è noto, non può essere classificato come procedura, essendo un istituto di tipo privatistico e con caratteristiche assolutamente stragiudiziali (a eccezione di alcuni casi specifici).
Da subito però, ha destato qualche sospetto quell’inciso che fa riferimento alla «disciplina di vigilanza prudenziale» cui le banche e gli intermediari finanziari sono sottoposti, poiché è ben noto che le normative disposte dall’Eba, oltre ai vari regolamenti emanati da Banca d’Italia – prevalentemente per strumenti diversi dalla composizione negoziata – stanno oggi inducendo gli intermediari bancari ad assumere un atteggiamento quantomeno «freddo», se non passivo, nei casi di imprese che abbiano fatto ricorso al nuovo istituto della Composizione.
Infatti, la lettura (semi automatica) che spesso viene data dal sistema bancario, è quella che vede passare i crediti di imprese che ricorrono alla composizione, a una posizione di «insolvenza probabile», non appena si sia registrato l’accesso allo strumento. In realtà il ragionamento, qui espresso in maniera molto semplicistica, ha bisogno di tempo per essere approfondito sia dal lato bancario che dalle istituzioni di vigilanza preposte.
Se ne evidenziano solo alcuni passaggi.
Il primo aspetto riguarda il contenuto del progetto di piano di risanamento presentato, tramite l’esperto, ai creditori: se questo non prevede di incidere sul valore dei crediti bancari pregressi, non sembrerebbe esserci alcuna ragione perché l’istituto bancario applichi il declassamento automatico del credito; così come dovrebbe accadere anche nel caso in cui non sia stata presentata alcuna richiesta di misure protettive (ex art. 18 e 19 del testo) da parte del debitore: segno questo che non si teme l’aggressione al patrimonio aziendale da parte di uno o più creditori.
A ogni modo, sarebbe auspicabile che – al più presto – venga favorita un’interpretazione corretta dei meccanismi di vigilanza prudenziale per gli specifici casi di composizione negoziata, poiché oggi essa è limitata ai soli casi di procedure concorsuali tradizionali, ai quali la composizione – come già detto – non appartiene.
Questo eviterebbe la prassi, come prima accennato, che vede il sistema creditizio «appiattito » su tali interpretazioni e, quindi, decisamente restio a valutare favorevolmenteil percorso di anticipazione della crisi che l’imprenditore – attraverso la composizione negoziata – ha voluto spontaneamente effettuare.
Infatti, l’articolo 178 del Regolamento UE 575 del 2013, specifica che il debitore viene posto in posizione di default quando si verifichi «l’improbabilità che il debitore adempia alle sue obbligazioni senza ricorso», per esempio all’escussione delle garanzie, o quando il debitore sia in arretrato di oltre 90 giorni (180 per le garanzie immobiliari) su un’obbligazione creditizia rilevante verso l’ente. A ciò si aggiungano altri elementi quali, per esempio, l’inclusione del debito tra le sofferenze o gli incagli, la rettifica del valore del credito in relazione a uno scadimento del merito creditizio, la cessione del credito in caso di perdita economica, ecc.
Infine, va ricordato che secondo il cosiddetto «Calendar Provisioning» previsto dall’addendum della EBA al Regolamento n. 630 del 2019, il soggetto creditizio bancario dovrebbe svalutare i crediti deteriorati. È chiaro che non si tratta di norme vincolanti in modo assoluto, ma riuscendo a evitare il «dialogo» – non sempre gradito – tra la banca e la vigilanza, l’ente creditizio assumerà un atteggiamento certamente meno rigido nei confronti del debitore.
Ecco, allora, che il primo passaggio da compiere per favorire una corretta interpretazione della composizione negoziata nei confronti dell’ente creditizio, è quello di evitare che questo istituto venga assimilato alle altre procedure concorsuali tradizionali e, soprattutto, che si instauri la prassi di una «chiusura» del finanziamento bancario in essere causando il probabile diniego a nuove esigenze di liquidità che spesso un piano di risanamento prevede.
Altri due elementi vanno esaminati, a parere di chi scrive, per arricchire il dibattito sul finanziamento delle imprese nel Codice della crisi: il primo riguarda il tema della erogazione abusiva del credito, mentre il secondo riguarda il ricorso al concordato semplificato, previsto dall’articolo 25 sexies del Codice.
Il dibattito in corso, nei primi mesi di applicazione del decreto 118, ha fatto emergere tra le varie preoccupazioni espresse dal sistema creditizio la possibilità che, rinnovando le linee di finanziamento o addirittura, secondo quanto previsto dall’art. 16 comma del nuovo Codice, non sospendendo e non revocando gli affidamenti bancari concessi all’imprenditore, la banca possa incorrere nel reato di erogazione abusiva del credito, elemento questo che, ovviamente, rappresenta per l’impresa bancaria un forte deterrente all’erogazione di nuova finanza.
I numeri ci dicono, però, che tale fattispecie si sia concretizzata in pochissimi casi – anche prima dell’entrata in vigore del nuovo istituto della Composizione negoziata – e che, quindi, tale timore risulti abbastanza infondato.
Allo stesso tempo, risulta sostanzialmente priva di fondamento la possibilità che, a seguito di una chiusura negativa dell’istanza di composizione da parte dell’esperto, il debitore possa far ricorso al concordato semplificato e, quindi, la banca possa vedersi «obbligata» ad accettare un piano di liquidazione, senza poter esprimere alcun voto.
L’infondatezza deriva da tre fattori: i casi registrati di concordato semplificato, dopo quasi 24 mesi di applicazione dello strumento, sono realmente pochissimi (meno di una decina); inoltre, il piano di liquidazione presentato dal debitore dovrà rappresentare, sentito il parere (ben motivato) dell’esperto, la migliore tra le soluzioni possibili, rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale. Terzo, il piano può essere impugnato davanti al giudice, dimostrando l’esistenza di condizioni migliori rispetto alla proposta prospettata dal debitore.
Un rischio, quindi, quello paventato dal sistema bancario, probabilmente poco fondato o, comunque, molto residuale. Si è provato spesso a discutere quali elementi potrebbero oggi «convincere» in maniera più efficace il sistema creditizio a concedere nuova finanza anche ad aziende che, in possesso di concrete prospettive di risanamento, abbiano fatto ricorso alla composizione negoziata (così come agli altri strumenti di tipo stragiudiziale contemplati dal Codice della crisi: accordi di ristrutturazione, piani di ristrutturazione omologati, ecc.).
È evidente, infatti, che per quanto bravo possa essere l’esperto incaricato nel gestire la composizione negoziata, nel gestire e negoziare tutto il rapporto fra debitore e istituto di credito, sembrano mancare palesemente degli utensili, degli strumenti, degli elementi tali da poter convincere, ancora di più, la banca creditrice che il piano del debitore non solo è credibile e fondato, ma che è meritevole di nuove risorse, senza le quali non può essere garantita quella continuità aziendale che sta alla base di tutto il Codice della crisi, oltre che della ben nota direttiva Insolvency.
Da un lato, qui, sarebbe opportuno soffermarsi sulle caratteristiche dell’esperto che dovrebbe conoscere in maniera specifica tutta una serie di strumenti agevolativi di cui l’impresa debitrice potrebbe beneficiare; dall’altro servirebbe un percorso ad hoc – ovviamente variabile a seconda dei singoli casi aziendali – per poter incentivare l’azienda bancaria creditrice alla concessione di nuovo risorse finanziarie: penso, per esempio, a forme di garanzia pubblica per le sole imprese che, dietro un’attenta diligence svolta da Mediocredito centrale, potrebbero beneficiare dell’intervento del Fondo di garanzia nazionale. Penso ai numerosi interventi di incentivazione rivolti alle imprese export oriented dalle strutture del gruppo Cdp ( quali Simest o Sace), volte a una loro maggior capitalizzazione o a cofinanziare piani di interventi per nuovi insediamenti produttivi all’estero; penso, infine, agli interventi che generano contributi per la transizione digitale attraverso i piani di incentivazione previsti da Impresa 4.0, e così via.
Questo è il motivo per cui recentemente Unioncamere ha messo in piedi uno strumento di assistenza, rivolto alle Camere di commercio e, quindi, alle imprese del territorio, per poter beneficiare di finanziamenti e incentivi ad hoc (a prescindere che le imprese beneficiarie abbiano fatto ricorso a strumenti di regolazione della crisi).
Un ultimo tema penso sia necessario affrontare: negli ultimi anni il valore dei crediti deteriorati ceduti dal sistema bancario a gestori o acquirenti è arrivato a livelli mai raggiunti prima. Si parla di oltre 250 miliardi di euro di cartolarizzazioni gestite o acquistate da soggetti privati o, come recentemente è accaduto, da soggetti pubblici, spostando nettamente «l’asse del credito» dal sistema bancario a nuovi intermediari.
Sarebbe importante sapere, a oggi, «quanto» e soprattutto «come» questo cambierà il tavolo dell’interlocuzione nei processi di risanamento aziendali, anche se già in molti casi si sta notando il cambio di testimone nell’asset dei creditori.
Da un lato, ciò dovrebbe contribuire a portare molti vantaggi per il «lieto fine» della procedura, in quanto il nuovo creditore che ha acquistato la posizione dalla banca per un valore medio del 30-40% del suo valore, sarebbe ben interessato a chiudere la propria posizione – dopo la negoziazione – a un valore, comunque, ben al di sotto del 100%, ma superiore al valore di acquisto del credito, favorendo quindi uno stralcio complessivo del debito in capo all’azienda in questione. Al tempo stesso l’acquirente del credito è interessato a chiudere rapidamente la posizione, giocando molto di più sul fattore «liquidità», piuttosto che sul pieno soddisfacimento della propria posizione creditoria.
Ciò che è però importante in questo momento è (tornando così al tema della cultura del risanamento cui si accennava all’inizio) avviare un dialogo con questa nuova controparte che si profila all’orizzonte, in modo da arrivare preparati – debitori, esperti incaricati e creditori – alle nuove fasi di negoziazione e di mediazione che necessariamente seguono un piano di risanamento credibile e fattivo.

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