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Il credito della banca e la sua ammissione al passivo fallimentare*

Sergio Rossetti, Giudice delegato alle procedure concorsuali nel Tribunale di Milano

10 Gennaio 2022

*Relazione tenuta al corso "Questioni operative e fallimento: focus sugli aspetti controversi nell'accertamento del passivo e sugli effetti del fallimento sui rapporti giuridici pendenti” organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura l’11 e 12 marzo 2021.
L’Autore fornisce un utile e sistematico vademecum sull’accertamento dei crediti bancari in sede di verifica del passivo fallimentare.
Riproduzione riservata
1 . Introduzione
Il tema della ammissione al passivo fallimentare dei crediti delle banche è un tema molto ampio che, dal punto di vista sostanziale, riguarda l'intero settore del contenzioso bancario, quantomeno allorquando sia la banca ad agire per il riconoscimento di una propria pretesa.
Questo lavoro, peraltro, si inserisce in un corso che mira ad analizzare gli aspetti operativi dell'accertamento dei crediti, ragione per cui sembra opportuno procedere ad un'analisi delle più frequenti fattispecie che si pongono al giudice delegato in sede di accertamento al passivo, con specifico riferimento alle domande di insinuazione, statisticamente assai frequenti, che abbiano ad oggetto i saldi negativi dei contratti di conto corrente, spesso collegati ad altri contratti (quali aperture di credito, anticipazioni ecc.).
È del tutto normale, infatti, che in un sistema anche minimamente evoluto e per le limitazioni comunque sussistenti per i pagamenti in contanti[1], il conto corrente costituisca uno strumento ordinario per l’esercizio dell’impresa. 
Allorquando l’impresa entra in una situazione di tensione finanziaria e poi di crisi, è altrettanto normale che il conto corrente dell’imprenditore presenti un saldo negativo, nonostante le revoche degli affidamenti precedentemente concessi e le richieste di rientro e che, quindi, in sede di insinuazione al passivo la banca chieda l’ammissione delle proprie ragioni.
2 . L’inapplicabilità della disciplina della mediazione obbligatoria
È appena il caso di osservare, in primo luogo, che la domanda della banca volta alla partecipazione al concorso non è soggetta alla disciplina della mediazione obbligatoria di cui all'art. 5 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 ovvero al procedimento istituito in attuazione dell’art. 128 bis TUB e ciò per via della pacifica applicazione del disposto di cui all'art. 52 l.f. che, come noto, prevede quale condizione necessaria e sufficiente per la partecipazione al concorso l'accertamento delle ragioni del creditore secondo le disposizioni del Capo V della legge fallimentare.
Viceversa, qualora sia il fallimento ad agire in giudizio nei confronti della Banca non sembra che vi siano ragioni ostative all’applicazione della disciplina comune[2].
3 . Il requisito soggettivo dei contratti bancari
Ancora, deve osservarsi che i contratti bancari, contenuti sia nel codice civile che nel testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, sono tali solo a condizione che una delle parti sia una banca specificamente autorizzata a norma del combinato disposto degli artt. 10 e 14 TUB[3]. In caso contrario il contratto dedotto in sede di ammissione al passivo è nullo con conseguente rigetto della relativa pretesa, salva la facoltà del creditore di chiedere, anche per la prima volta in sede di opposizione allo stato passivo, la conversione del contratto ai sensi dell’art. 1424 c.c.[4].
4 . Il credito della banca portato da decreto ingiuntivo
Tanto premesso, deve ancora osservarsi che nella pratica giudiziaria, spesso l'insinuazione al passivo della banca è sorretta da un decreto ingiuntivo, generalmente concesso attraverso la produzione in sede monitoria dell’estratto conto certificato conforme alle scritture contabili da uno dei dirigenti della banca interessata, il quale deve altresì dichiarare che il credito è vero e liquido ai sensi dell’art. 50 TUB.
Se il decreto ingiuntivo è passato in giudicato, risulta superfluo interrogarsi sull’ambito di operatività dell’art. 50 TUB e, quindi, ad esempio, sulla possibilità dei cessionari dei crediti bancari di avvalersi di un tale strumento[5] o della sufficienza o meno della produzione dei saldaconti in sede monitoria[6]: il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo determina l’esistenza di un titolo giudiziale in capo alla Banca che non può più essere messo in discussione e il credito deve essere ammesso al passivo del fallimento come tale, con i relativi interessi, fino alla dichiarazione di fallimento.
È sempre utile, viceversa, ribadire – perché questioni in tal senso sono spesse volte sollevate dalle parti – che secondo la granitica giurisprudenza della Corte di Cassazione il decreto ingiuntivo passa in giudicato esclusivamente allorquando sia munito di esecutorietà ai sensi dell’art. 647 c.p.c., non rilevando né la concessione della provvisoria esecutorietà ex art. 642 c.p.c. né la mancata tempestiva opposizione alla data della dichiarazione di fallimento[7].
5 . La forma scritta nei contratti bancari
Se la Banca non ha ottenuto un decreto ingiuntivo, o se, comunque, il decreto ingiuntivo ottenuto non è munito di esecutorietà ex art. 647 c.p.c., incombe sull’istituto di credito l’onere di provare le proprie ragioni, secondo le regole ordinarie, non potendo avvalersi dell’art. 50 TUB che “ha esclusivo ambito di applicazione nel procedimento monitorio”[8].
Potrebbe, peraltro, avvenire che in presenza della produzione del solo saldaconto, la curatela proponga l’ammissione del credito della Banca: ciò potrebbe avvenire, ad esempio, perché il Curatore ha avuto accesso alle scritture contabili dell’impresa e agli estratti conto, su cui non ha contestazioni da proporre e il saldo banca si riconcilia con il saldo dell’impresa.
Il credito, allora, in una tale fattispecie potrebbe essere ammesso dal Giudice Delegato, previo però deposito dei documenti in possesso della Curatela, in modo tale che sia consentito agli altri creditori di esercitare il contraddittorio incrociato tipico della verifica di stato passivo[9]. 
Si deve ricordare in proposito che secondo un indirizzo della Suprema Corte “in sede di accertamento del passivo, il curatore, in quanto parte pubblica (al pari del PM), ha il dovere di non nascondere gli elementi di cui sia entrato in possesso per ragioni dell'ufficio esercitato (che è pur sempre quello di assicurare ai creditori la loro "par condicio", senza avvantaggiarne ma anche danneggiarne alcuni), specie quando questi siano il risultato del concreto atteggiarsi del principio di vicinanza della prova. Ne consegue che il suo parere favorevole all'ammissione di un credito allo stato passivo fallimentare non può essere disatteso dal giudice delegato in via astratta e generalizzata, in assenza di fatti che impongano di formulare eccezioni ufficiose agli elementi di prova che risultino già in possesso del curatore e senza che tali elementi siano specificamente verificati, eventualmente anche nel contraddittorio delle parti.”[10].
Il più delle volte, peraltro, il Curatore non ha a disposizione le scritture dell’imprenditore o queste non sono aggiornate, e, anzi, fatica non poco prima di riuscire ad entrare in possesso della documentazione bancaria sicuramente necessaria, non solo in sede di verifica dei crediti, quanto piuttosto per la ricostruzione del giro d’affari dell’imprenditore. 
La Banca[11], pertanto, generalmente dovrà, in primo luogo, produrre in giudizio il contratto o i contratti conclusi con il cliente[12].
Sotto questo profilo, deve osservarsi che a norma dell’art. 117 TUB “i contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti” (comma 1), mentre, in difetto, il contratto è nullo (comma 3), ma tale nullità, a norma dell’art. 127 TUB opera soltanto a vantaggio del cliente e può essere rilevata dal giudice d’ufficio[13] oltre che eccepita dalla curatela[14].
Come noto, il problema sorge perché le banche spesso concludono i contratti mediante un formale scambio di corrispondenza (per evitare la registrazione in termine fisso), di modo che la banca è in possesso solo della copia firmata dal cliente e questi ha la copia firmata dalla banca, che però non viene prodotta: ci si domanda, quindi, se rispetti la forma scritta il contratto prodotto dalla Banca che abbia la sola sottoscrizione del cliente.
Recentemente, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Sentenza 16 gennaio 2018, n. 898) sono intervenute in una fattispecie in cui rilevava l’art. 23 TUF, norma del tutto analoga all’art. 117 TUB, affermando che “In tema d'intermediazione finanziaria, il requisito della forma scritta del contratto-quadro, posto a pena di nullità (azionabile dal solo cliente) dall'art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998, va inteso non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell'investitore assunta dalla norma, sicché tale requisito deve ritenersi rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest'ultimo, e non anche quella dell'intermediario, il cui consenso ben può desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti.
La giurisprudenza successiva, con specifico riferimento ai contratti bancari, si è uniformata a tale decisione[15].
Vale la pena di osservare che l’indirizzo assunto dalla Corte di Cassazione, indipendentemente dalle questioni teoriche che solleva[16], pone oggi l’onere in capo al Curatore e al Giudice Delegato di verificare che oltre alla prova della sottoscrizione del contratto nei termini anzidetti, sia data anche la prova della consegna del documento contrattuale al cliente. 
Sul punto, peraltro, deve osservarsi che spesso nei contratti bancari risultano formule quali “un esemplare del presente contratto ci viene rilasciato debitamente sottoscritto per accettazione dai soggetti abilitati a rappresentarvi” o altre simili da cui si evince la dichiarazione confessoria del cliente di ricezione del contratto.
In mancanza della prova della conclusione scritta del contratto (e della sua consegna al cliente), il saldo del conto dovrà essere ricalcolato escludendo tutti gli oneri e le spese comunque denominate e applicando gli interessi solo nella misura legale. In tal caso, infatti, gli estratti conto costituiscono, salve le contestazioni dei singoli addebiti, la prova dell’indebito dell’istituto di credito.
6 . La data certa nei contratti bancari
Risolto il tema della sottoscrizione (e consegna) del documento contrattuale, si pone il tema della data certa anteriore al fallimento[17] di quel documento ai sensi dell’art. 2704 c.c., questione, al pari della precedente, rilevabile d’ufficio da Giudice Delegato[18].
Sotto tale profilo, deve osservarsi che la data certa anteriore al fallimento del contratto bancario potrebbe risultare dalla circostanza che quel contratto sia stato prodotto in sede monitoria prima della dichiarazione di fallimento, ancorché poi il decreto ingiuntivo non sia stato ottenuto, munito di esecutorietà ex art. 647 c.p.c., in tempo utile[19].
Come più sopra detto, spesso i contratti bancari sono scambiati per corrispondenza e la Corte di Cassazione, con un indirizzo risalente e consolidato, ritiene che se la scrittura privata non autenticata forma un corpo unico con il foglio sul quale è impresso il timbro postale, la data risultante da quest'ultimo deve ritenersi data certa della scrittura[20], senza che sia necessario che l'inchiostro del timbro copra quello della scrittura o della sottoscrizione del documento[21].
Qualora siano poste dalla curatela questioni di nullità relative a specifiche clausole contrattuali o di ripetizione di indebito, la questione della data certa non si intende superata[22].
La mancanza della data certa non esclude che possa risultare provata la corresponsione di una o più somme da parte del creditore e, quindi, sia la sussistenza di un suo corrispondente credito di restituzione in linea capitale, sia la stessa natura contrattuale del credito, salva l’applicazione degli interessi nel limite del tasso legale[23], con esclusione di ogni ulteriore addebito in conto, con una soluzione analoga a quella più sopra vista per il caso di mancanza della forma scritta del contratto di conto corrente.
7 . L’onere della prova nei contratti bancari
Risolte le questioni di carattere formale, si pongono quelle sostanziali relative al rapporto contrattuale dedotto in giudizio e alla suddivisione dell’onere della prova tra Banca e fallimento.
Secondo la Corte di Cassazione[24] “qualora una banca intenda insinuarsi al passivo di un fallimento prospettando una ragione di credito derivante da un rapporto obbligatorio regolato in conto corrente, ha l'onere, nel giudizio di opposizione allo stato passivo, di dare piena prova del suo credito, secondo il disposto della norma generale dell'art. 2697 c.c., depositando la documentazione relativa allo svolgimento del conto, senza poter pretendere di opporre al curatore, stante la sua posizione di terzo, gli effetti che, ex art. 1832 c.c., derivano, tra le parti del contratto, dall'approvazione anche tacita del conto da parte del correntista, poi fallito, e dalla di lui decadenza dalle impugnazioni.
In termini ancora più espliciti è stato affermato che “in tema di ammissione al passivo fallimentare, nell'insinuare il credito derivante da saldo negativo di conto corrente, la banca ha l'onere di dare conto dell'intera evoluzione del rapporto tramite il deposito degli estratti conto integrali; il curatore, eseguite le verifiche di sua competenza, ha l'onere di sollevare specifiche contestazioni in relazione a determinate poste, in presenza delle quali la banca ha, a sua volta, l'onere ulteriore di integrare la documentazione, o comunque la prova, del credito avuto riguardo alle contestazioni in parola; il giudice delegato o, in sede di opposizione, il tribunale, in mancanza di contestazioni del curatore, è tenuto a prendere atto dell'evoluzione storica del rapporto come rappresentata negli estratti conto, pur conservando il potere di rilevare d'ufficio ogni eccezione non rimessa alle sole parti che si fondi sui fatti in tal modo acquisiti al giudizio”[25]. 
L’onere della Banca di dare conto dell’intera evoluzione del rapporto e della controparte di svolgere specifiche contestazioni, peraltro, costituisce principio comune nelle controversie che vedono la Banca agire per ottenere il riconoscimento delle proprie pretese regolate in conto corrente[26].
L’indirizzo espresso dalla Suprema Corte, assolutamente condivisibile, determina la soluzione del problema di fondo della ragione per cui gli estratti conto, documento di formazione unilaterale da parte della Banca, possano fare prova nei confronti del fallimento.
Tale soluzione[27], infatti, se pure accolta dalla maggior parte dei giudici di merito[28], risultava, almeno in passato, contestata da alcuni Tribunali proprio perché gli estratti conto costituiscono documenti di formazione unilaterale che indicano l’andamento di un rapporto a cui il curatore resta estraneo[29].
Per quanto adducere inconveniens non est solvere argumentum risulta evidente che se non si ammettesse la Banca a provare l’andamento del rapporto mediante la produzione degli estratti conto, essa sarebbe esposta ad una “prova diabolica”[30]: dovrebbe documentare tutte le operazioni che hanno movimentato il rapporto e quindi i sottostanti ordini impartiti dal cliente.
Sotto tale profilo, peraltro, sembra opportuno evidenziare che nei contratti bancari regolati in conto corrente, gli atti di accreditamento e di prelevamento non sono qualificabili alla stregua di autonomi negozi giuridici o di pagamenti, sicché la erroneità della relativa scritturazione può essere dimostrata senza i limiti previsti, per la prova per testi, per presunzioni ed in tema di confessione, rispettivamente, dagli artt. 2725, 2726, 2729, comma secondo, e 2732 cod. civ.[31]
Per dare una spiegazione al fenomeno, si è anche ipotizzato che la produzione degli estratti conto equivarrebbe a un’allegazione implicita per relationem di tutte le movimentazioni bancarie ponendo in capo al Curatore un onere di contestazione specifica, operando altrimenti la relevatio ab onere probandi di cui all’art. 115 c.p.c.[32] 
Tale soluzione è, però, controversa perché secondo alcune pronunce della Suprema Corte il principio di non contestazione “non appare in sintonia con la peculiarità del procedimento di verifica dei crediti e con la qualità di parte soltanto processuale attribuita al curatore”[33], mentre altra giurisprudenza della Corte di Cassazione[34], seguita da parte della giurisprudenza di merito[35], ha affermato l’opposto principio per cui “nel nuovo diritto fallimentare il curatore è principalmente una parte [...] che nel contraddittorio con il creditore istante s’imbatte - come tutte le parti - nell’operatività del principio di non contestazione, con riguardo alla formazione della prova delle pretese creditorie”. 
La Corte di Cassazione, superando tale problematica impostazione, con la sentenza n. 311195/2018 ha inaugurato un indirizzo giurisprudenziale[36] che assimilando il procedimento di insinuazione al passivo (e l’eventuale fase oppositiva) al procedimento di rendiconto, ha attribuito all’estratto conto che descriva l’evoluzione storica del rapporto un valore di prova delle ragioni dell’istituto di credito[37].
Come subito si dirà (v. par. 8) peraltro, il Curatore può sempre contestare, oltre che la conformità delle annotazioni in conto corrente alla regola contrattuale, anche le singole annotazioni in conto corrente, non essendo egli soggetto ai limiti derivanti dalla tacita approvazione del conto (artt. 1832 c.c. e 119, co. 3, TUB) che operano per i clienti della banca[38].
La Corte di Cassazione ha chiarito, peraltro, che se da una parte il Curatore deve svolgere specifiche contestazioni all’estratto di conto corrente, può limitarsi, come ogni cliente, a contestare genericamente la richiesta di ammissione al passivo svolta solo in base al saldaconto (v. nota n. 8).
8 . Il Curatore del fallimento non è il cliente della banca
Risulta pacifico che in sede di verifica del passivo, tanto nella sua fase necessaria quanto in quella eventuale, il Curatore non agisce quale successore dell’imprenditore fallito nel rapporto controverso, ma piuttosto quale terzo[39] gestore del suo patrimonio a beneficio della massa[40].
Si è già detto che la terzietà del Curatore rileva immediatamente ai fini della data certa del rapporto bancario (cfr. par. 6).
Deve ora aggiungersi che la terzietà del curatore determina che nell’ipotesi in cui il cliente si fosse impegnato a riconoscere che i libri e le scritture contabili della banca facciano piena prova nei suoi confronti, tale pattuizione sarebbe inopponibile al curatore[41].
I registri contabili della banca, più in generale, non possono fare prova nei confronti del curatore fallimentare ai sensi dell’art. 2710 c.c.[42].
Ciò che però più conta in questa sede è precisare che la terzietà del curatore rispetto al rapporto di conto corrente comporta che la banca non possa opporre nei suoi confronti gli effetti che sul piano probatorio gli artt. 1832 e 1857 c.c. e l’art. 119, comma 3, D.Lgs. n. 358/1993 ricollegano, ma soltanto inter partes, all’approvazione anche tacita dell’estratto conto da parte del correntista[43].
Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, infatti: qualora una banca intenda insinuarsi al passivo di un fallimento prospettando una ragione di credito derivante da un rapporto obbligatorio regolato in conto corrente, ha l'onere, nel giudizio di opposizione allo stato passivo, di dare piena prova del suo credito, secondo il disposto della norma generale dell'art. 2697 c.c., depositando la documentazione relativa allo svolgimento del conto, senza poter pretendere di opporre al curatore, stante la sua posizione di terzo, gli effetti che, ex art. 1832 c.c., derivano, tra le parti del contratto, dall'approvazione anche tacita del conto da parte del correntista, poi fallito, e dalla di lui decadenza dalle impugnazioni[44].
9 . Le lacune nella produzione degli estratti conto
Se tale è il riparto dell’onere della prova, deve osservarsi che la produzione degli estratti conto potrebbe non essere integrale: potrebbero essere prodotti, infatti, estratti non dall’inizio del rapporto, ma da un momento successivo; in tal caso, il saldo iniziale dell’estratto conto potrebbe essere negativo o positivo per il cliente; ancora, potrebbero non essere prodotti tutti gli estratti conto relativi ad un certo periodo, ma essere piuttosto presenti delle lacune.
In difetto della serie integrale degli estratti conto, dalla apertura alla chiusura del rapporto non è possibile accertare il saldo legale del conto. Ciò, tuttavia, non preclude la possibilità di svolgere la verifica della pretesa della banca, con l’avvertenza che il saldo così ricalcolato, sulla base dei dati processuali forniti, è strumentale alla domanda svolta e tiene conto della parte su cui grava l’onere della prova. 
Una precisazione è, a tal fine, importante: l’accertamento dell’ammontare del saldo del conto corrente non può essere condizionato dalla circostanza per cui la Banca abbia un onere di conservazione della documentazione contabile limitata a dieci anni in quanto, non si può confondere tale onere di conservazione con quello della prova delle proprie ragioni di credito[45].
Avendo la Banca l’onere di provare l’intero svolgimento del rapporto contrattuale e la modalità di formazione della propria pretesa creditoria, nel caso in cui il primo estratto conto presenti un saldo negativo per il cliente, questo va azzerato[46].
Analogamente al principio dell’azzeramento del primo saldo noto se negativo, in caso di lacuna nella serie degli estratti conto si procederà all’azzeramento del differenziale generato nel periodo non documentato, con conseguente trascinamento dell’ultimo saldo all’inizio del successivo periodo noto[47].
Viceversa, se il saldo dell’estratto iniziale è positivo per il cliente questo resta fermo in quanto sarà onere del fallimento che rivendica un maggiore credito provarlo[48].
10 . Alcune considerazioni pratiche
A questo punto occorre svolgere alcune considerazioni di carattere eminentemente pratico.
(i) Siccome in sede di opposizione allo stato passivo la Banca potrebbe sempre essere in grado di produrre gli estratti conto in via integrale, risulta prudente, per evidenti ragioni di economia processuale, sollecitare l’istituto di credito a depositare tutti gli estratti conto di cui è in possesso, anche eventualmente disponendo un breve rinvio dell’udienza di verifica dei crediti.
(ii) L’azzeramento del conto corrente o l’elisione dei differenziali non documentati non si applica semplicemente sottraendo a quanto richiesto gli importi che non risultano provati in quanto qualunque intervento sul conto corrente determina la produzione di numeri diversi sui quali calcolare, ad esempio, gli interessi. Nel contenzioso bancario tali rideterminazioni del saldo vengono affidate generalmente ad una CTU contabile, mezzo istruttorio generalmente considerato incompatibile con le caratteristiche di snellezza della verifica dello stato passivo. Nella generalità dei casi, siccome le pretese relative ai rapporti di conto corrente sono chirografarie, la questione si risolve nella pratica giudiziaria con un abbattimento forfettario e concordato delle pretese dell’istituto di credito.
(iii) Solo in applicazione dei principi che governano l’onere della prova potrebbe accadere che, attraverso l’azzeramento del saldo iniziale o l’elisione del differenziale dei saldi, risulti un saldo a credito del fallimento e non a debito. Ciò potrebbe indurre il Curatore a chiedere, non solo, il rigetto della domanda, ma anche l’autorizzazione a promuovere un autonomo giudizio contro la Banca per l’accertamento e la condanna al pagamento del saldo positivo. In tal caso, l’azione deve essere proposta nei tempi corretti, se si considera la giurisprudenza in punto di onere della prova che si è sviluppata nell’ambito del contenzioso bancario, come subito si dirà.
Si deve qui ricordare, peraltro, che per agire in ripetizione di indebito la Corte di Cassazione[49] richiede che il conto corrente sia chiuso: ciò che è un effetto automatico della dichiarazione di fallimento ai sensi dell’art. 78 l.f.
11 . (segue) in particolare, le pretese del fallimento in ordine al rapporto dedotto in sede di verifica dello stato passivo dalla Banca
La Corte di Cassazione ha precisato che "il principio di prossimità o vicinanza della prova, in quanto eccezionale deroga al canonico regime della sua ripartizione, secondo il principio ancor oggi vigente che impone un onus probandi ei qui dicit non ei qui negat, deve trovare una pregnante legittimazione che non può semplicisticamente esaurirsi nella diversità di forza economica dei contendenti ma esige l'impossibilità della sua acquisizione simmetrica, che nella specie è negata proprio dall'obbligo richiamato dall'art. 117 TUB, secondo cui, in materia bancaria, «I contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti"[50].
Da ciò, ne consegue, ad esempio, che il cliente (e qui la curatela) che agisca nei confronti della Banca non potrà avvantaggiarsi dell’azzeramento del conto se il primo estratto disponibile è negativo, in quanto è suo onere produrre tutti gli estratti conto a partire da quello a saldo zero[51].
Se, allorquando agisca, è onere della curatela fallimentare produrre tutta la documentazione contabile necessaria a ricostruire il rapporto, si pone il tema della possibilità di richiedere un ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. atteso che, come ricordato, in questa materia non vale il principio di vicinanza della prova (cfr. Cass. 9201/2015).
Secondo il tradizionale insegnamento della Cassazione per pronunciare l’ordine di esibizione occorre il requisito della indispensabilità, nel senso che l’istanza non può essere accolta quando l’interessato sia in condizione di acquisire di propria iniziativa, e quindi di produrre in giudizio, il documento[52]. 
Naturalmente in materia bancaria viene in rilievo l’art, 119, comma 4, TUB, in forza del quale: «Il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell'amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni. Al cliente possono essere addebitati solo i costi di produzione di tale documentazione
In considerazione di ciò, in difetto di prova della tempestiva e vana richiesta ex art. 119 TUB, la giurisprudenza di merito ha generalmente rigettato l’istanza ex art. 210 c.p.c.
Sul punto, peraltro, è intervenuta la Suprema Corte che ha precisato che «il potere del correntista di chiedere alla banca di fornire la documentazione relativa al rapporto di conto corrente tra gli stessi intervenuto può essere esercitato, ai sensi del comma 4 dell’art. 119 del vigente testo unico bancario, anche in corso di causa e a mezzo di qualunque modo si mostri idoneo allo scopo»[53].
In ogni caso, il minimo esigibile da un Curatore prima dell’introduzione di una causa nei confronti di una Banca è che siano acquisiti (o almeno richiesti) tutti gli estratti conto e la regolamentazione contrattuale posta alla loro base. 
In caso di mancata produzione del conto dal saldo zero, si ritiene che il correntista (e quindi il fallimento) abbia rinunciato all’accertamento del saldo con riferimento al periodo temporale non oggetto di documentazione.
Siccome spesso e volentieri il Curatore fallimentare non ha a disposizione la documentazione della società, in concreto (e indipendentemente da ogni ragionamento sulla eventuale prescrizione dei diritti della società fallita) le pretese azionate dalla curatela non potranno andare oltre al limite di conservazione della documentazione bancaria e quindi, degli ultimi dieci anni. 
Attesi tali principi in punto di onere della prova, che sostanzialmente addossano su ciascuna parte la necessità di produrre tutti gli estratti conto utili per l’accertamento delle loro pretese - senza che la Banca possa avvantaggiarsi di un iniziale saldo negativo, che verrà azzerrato, ma senza che il cliente possa avvalersi degli effetti di tale azzeramento per sostenere la propria domanda – nei giudizi ordinari, la dialettica tra domanda principale promossa da una parte e domanda riconvenzionale proposta dalla controparte potrebbe risolversi nel senso del rigetto di entrambe le domande: di quella della banca, perché l’azzeramento del conto potrebbe non restituire un saldo finale negativo per il cliente; di quella del cliente, perché, in mancanza dell’azzeramento iniziale, il saldo potrebbe non risultare positivo a suo vantaggio.
Evidentemente, nei procedimenti di verifica dei crediti – e nel successivo giudizio di opposizione allo stato passivo – non può coesistere una domanda di partecipazione al concorso con una domanda riconvenzionale della curatela: le due questioni devono essere trattate, necessariamente, in due diversi giudizi.
Ci si deve chiedere, quindi, se i principi espressi valgono anche in caso di giudizi separati.
Se si ritiene, come sembra corretto, che l’onere della prova abbia una rilevanza solo processuale, cioè operi solo all’interno del giudizio, la risposta deve essere negativa.
Ne consegue che il giudicato eventualmente formatosi circa la rideterminazione di un saldo su domanda di una parte, può essere invocato in un diverso giudizio dalla controparte.
Tale aspetto è stato ben colto da una sentenza della Corte Appello Catania 942/2018 secondo cui “Se è vero, d’altra parte, che, conformemente all’unica domanda in esame, la statuizione del Tribunale di Siracusa si è limitata a disconoscere la pretesa creditoria dell’istituto bancario, non è meno vero però che tal decisione passa ineludibilmente, nelle stesse ragioni allegate a fondamento, dalla ricostruzione del saldo del dato rapporto di conto corrente, sì come operata alla stregua di criteri che, se solo lo avesse voluto, Intesa BCI Gestione Crediti spa avrebbe dovuto contrastare nel giudizio e non già allegare al fine di sostenere, in altro giudizio, la pretesa ad una rinnovata ricostruzione contabile, il cui esito giammai potrebbe porsi in contrasto con il pregresso accertamento.
Conclusivamente, nel caso in cui la Curatela ritenga, anche attraverso la tecnica dell’azzeramento del conto corrente, di avere ragioni di credito nei confronti della Banca, potrebbe proporre il rigetto della domanda in sede di verifica dei crediti e attendere l’esito del giudizio di opposizione allo stato passivo nel cui ambito potrà svolgersi una consulenza tecnica che, in base ai principi che governano l’onere della prova (in questo caso incombente sulla Banca che chiede di essere ammessa al passivo), stabilisca quale sia il saldo dei rapporti. In virtù di quell’accertamento, allora, il Curatore potrebbe promuovere un’azione nei confronti della Banca.
12 . La revocatoria incidentale o “in via breve” nei contratti di conto corrente
Da quanto sin qui detto, peraltro, dovrebbe risultare evidente come l’esatta ricostruzione dei rapporti bancari e, pertanto, della loro base contrattuale, nonché del loro sviluppo quale documentato dagli estratti conto sia indispensabile, non solo per delibare sulle domande di insinuazione al passivo proposte dalle Banche, ma anche sulle eventuali attività recuperatorie che la curatela potrebbe intraprendere nei confronti degli istituti di credito[54].
Ferme restando, quindi, le eccezioni che la curatela fallimentare potrebbe sollevare nei confronti degli istituti di credito e che rappresentano le ordinarie eccezioni che qualunque correntista potrebbe promuovere[55], anche eventualmente per sostenere l’esistenza di un credito del cliente anziché della Banca, in ambito fallimentare e di verifica dello stato passivo, ci si deve domandare se sia esperibile l’eccezione di revocatoria incidentale o in via breve.
Con specifico riferimento al conto corrente bancario e al suo andamento – ed escluse quindi quelle operazioni che, ad esempio, determinano la trasformazione di un debito chirografario in un debito ipotecario[56] - deve osservarsi che, attualmente, sia difficilmente configurabile un’ipotesi di revocatoria incidentale sul mero rapporto di conto corrente. 
L’art. 67, co. 3 lett. b), in combinato disposto con l’art. 70, co. 3, l.f. (analogamente gli artt. 166, co. 3, lett. b e 171, co. 3, CCII), infatti, stabilisce che le rimesse in conto corrente sono revocabili se hanno ridotto in modo consistente e durevole l’esposizione del debitore nei confronti della banca, nel limite della differenza tra l’ammontare massimo raggiunto dalle pretese della banca, nel periodo per il quale è provata la conoscenza dello stato di insolvenza e l’ammontare residuo delle stesse alla data del concorso.
Da ciò ne discende che in sede di verifica dello stato passivo, l’ammontare residuo delle pretese della Banca debitrice deve essere ammesso al passivo nella sua consistenza, salva la possibilità per la curatela di promuovere un’azione revocatoria, sussistendone i requisiti, per ottenere il differenziale tra la massima esposizione della banca e quella risultante al tempo dell’apertura del concorso[57]. 
Altra questione, invece, attiene alla rideterminazione del saldo nel caso in cui vi siano contestazioni sul rapporto che potrebbe determinare, come detto, la riduzione o l’esclusione del credito nella verifica dello stato passivo o, addirittura, il sorgere di un credito restitutorio in capo alla curatela.
13 . Conclusioni
All’esito della disamina delle più ricorrenti questioni inerenti ai rapporti regolati in conto corrente e all’atteggiarsi dell’onere della prova, risulta utile, rimarcare alcune considerazioni utili nella pratica gestione delle domande di insinuazione al passivo proposte dagli istituti di credito: il saldo negativo di conto corrente costituisce una pretesa chirografaria della banca allorquando non vi sia un aggancio del conto ad una garanzia ipotecaria; molto frequentemente i creditori chirografari non hanno alcun soddisfacimento nell’ambito delle procedure fallimentari; laddove la curatela non intraveda la possibilità di ricavare qualche forma di attivo dai rapporti con gli istituti di credito, in caso di carenze documentali, risulta auspicabile individuare soluzioni transattive sull’ammissione al passivo, anziché moltiplicare il contenzioso ciò che determina, oltre ad una certa inefficienza complessiva del sistema, il rischio concreto di sostenere spese in prededuzione da parte della procedura.

Note:

[1] 
A norma dell’art. 49, comma 3 bis, del d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231, così come introdotto dal decreto fiscale 2020 (art. 18 d.l. 26 ottobre 2019, n. 124) a decorrere dal 1.7.2020 il limite all’uso del contante è passato ad euro 2.000.
[2] 
Sul punto v. G. Cabras, Mediazione e procedure concorsuali, in dircomm.it - il diritto commerciale d’oggi. Per un interessante caso in cui, pendente il termine dei quindici giorni per attivare il procedimento di mediazione obbligatoria, una delle parti fallisca v. Trib. di Trapani, sentenza del 06 febbraio 2018.
[3] 
Secondo Cass. (ord.) 28 Febbraio 2018, n. 4760 “è nullo per contrasto con norme imperative di legge, ai sensi dell'art. 1418, comma 1, c.c. (cd. nullità "virtuale"), il contratto di deposito a risparmio concluso con soggetto professionalmente dedito all'attività di raccolta del risparmio tra il pubblico, ma privo dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività bancaria prescritta dall'art. 14 del d.lgs. n. 385 del 1993, stante la rilevanza del requisito soggettivo nella struttura dei contratti bancari, nei quali una delle parti è individuata indefettibilmente in una banca, e degli interessi pubblici sottesi alla riserva dell'attività bancaria alle imprese autorizzate, la cui tutela non può restare affidata esclusivamente alle sanzioni penali di cui agli artt. 130 e 131 del citato decreto; tale nullità per carenza di un requisito della fattispecie legale non osta tuttavia, in linea di principio, alla conversione ex art. 1424 c.c. ove il negozio sia idoneo a produrre gli effetti di altra fattispecie e previo accertamento, riservato in via esclusiva al giudice di merito, della volontà delle parti. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di rigetto della domanda di restituzione delle somme depositate, quale automatica conseguenza della nullità del deposito bancario, rinviando alla corte di appello per l'esame dell'eventuale conversione in comune contratto di mutuo o deposito irregolare, avendo il depositante dedotto, in alternativa alla tesi della validità del contratto bancario, la sussistenza dei requisiti di sostanza e di forma del contratto comune).
[4] 
È questo il principio di diritto affermato da Cass. (ord.) 24 settembre 2018, n. 22466 secondo cui “In tema di nullità contrattuale, il potere del giudice di rilevarla d'ufficio non può estendersi fino alla conversione del contratto nullo, ostandovi la previsione di cui all'art. 1424 c.c.; è tuttavia ammissibile l'istanza di conversione avanzata dalla parte nella prima difesa utile successiva al rilievo della nullità del titolo posto a fondamento della domanda, essendo detta istanza strettamente consequenziale all'esercizio del potere officioso del giudice. (Nella specie la S.C. ha ritenuto ammissibile l'istanza di conversione in mutuo ipotecario, proposta da una banca per la prima volta in seno all'opposizione allo stato passivo, dopo che il giudice delegato aveva rilevato in sede di verifica la nullità del mutuo fondiario ex art. 38 del d.lgs. n. 385 del 1993).
[5] 
Cass. (ord.) 3 dicembre 2019, n. 31577 dà una risposta positiva al quesito: Il cessionario di crediti bancari per effetto delle operazioni di cartolarizzazione disciplinate dalla legge n. 130 del 1999, può avvalersi in sede monitoria dell'estratto del conto corrente di cui all'art. 50 del d.lgs. n. 385 del 1993, perché l'art. 4, comma 1, della legge n. 130 del 1999 dispone che alle cessioni di credito si applica l'art. 58, comma 3, del d.lgs. n. 385 del 1993, in forza del quale restano "applicabili le discipline speciali, anche di carattere processuale, previste per i crediti ceduti".
[6] 
Generalmente si osserva che non è sufficiente la produzione del mero saldaconto in quanto è stata modificata la norma in tal senso dettata dall’art. 102 legge bancaria 1938, essendo necessaria, piuttosto, la produzione dell’ultimo estratto conto. Dal punto di vista terminologico, peraltro, si parla spesso di “estratto di saldaconto” per indicare il documento (l’ultimo estratto conto) necessario alla concessione del decreto ingiuntivo e per distinguere tale documento dal vero e proprio estratto contenente l’intero svolgimento del rapporto, necessario, invece, ai fini probatori nell’ambito della cognizione ordinaria. Si veda ad es. tra le più recenti App. Roma, sez. II , 10 settembre 2020 , n. 4157 “In tema di prova del credito fornita da un istituto bancario, mentre il saldaconto riveste efficacia probatoria nel solo procedimento per decreto ingiuntivo eventualmente instaurato dall'istituto, l'estratto conto, trascorso il previsto periodo di tempo dalla sua comunicazione al correntista, assume carattere di incontestabilità ed è, conseguentemente, idoneo a fungere da prova anche nel successivo giudizio contenzioso instaurato dal cliente” ovvero Trib. Latina , sez. II , 17 marzo 2020 , n. 607 “In tema di prova del credito fornita da un istituto bancario, va distinto l'estratto di saldaconto (che consiste in una dichiarazione unilaterale di un funzionario della banca creditrice accompagnata dalla certificazione della sua conformità alle scritture contabili e da un'attestazione di verità e liquidità del credito), dall'ordinario estratto conto, che è funzionale a certificare le movimentazioni debitorie e creditorie intervenute dall'ultimo saldo, con le condizioni attive e passive praticate dalla banca. Mentre il saldaconto riveste efficacia probatoria nel solo procedimento per decreto ingiuntivo eventualmente instaurato dall'istituto, l'estratto conto, trascorso il debito periodo di tempo dalla sua comunicazione al correntista, assume carattere di incontestabilità ed è, conseguentemente, idoneo a fungere da prova anche nel successivo giudizio contenzioso instaurato dal cliente.
[7] 
Cfr. ex pluris Cass. (ord.) 3 settembre 2018, n. 21583 secondo cui “Non è opponibile alla procedura fallimentare il decreto ingiuntivo non munito, prima della dichiarazione di fallimento, di esecutorietà ex art. 647 c.p.c., poiché, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, solo in virtù della dichiarazione giudiziale di esecutorietà il decreto passa in giudicato, non rilevando l'avvenuta concessione della provvisoria esecutorietà ex art. 642 c.p.c. o la mancata tempestiva opposizione alla data della dichiarazione di fallimento; né ciò viola l'art. 1, protocollo n. 1, della CEDU (che tutela sia i "beni" che i valori patrimoniali, compresi i crediti) poiché l'aspettativa dell'ingiungente di tutela del diritto di credito in via privilegiata non ha base legale di diritto interno alla luce della suddetta consolidata giurisprudenza. (Nella specie, l'ingiungente aveva proposto opposizione all'ammissione del proprio credito in chirografo allegando l'aspettativa di tutela indotta dall'opponibilità al debitore del decreto ingiuntivo e dal riconoscimento della prelazione ipotecaria)”; Cass. (ord.) 24 ottobre 2017, n. 25191 “In assenza di opposizione, il decreto ingiuntivo acquista efficacia di giudicato formale e sostanziale solo nel momento in cui il giudice, dopo averne controllato la notificazione, lo dichiari esecutivo ai sensi dell'art. 647 c.p.c. Tale funzione si differenzia dalla verifica affidata al cancelliere dall'art. 124 o dall'art. 153 disp. att. c.p.c. e consiste in una vera e propria attività giurisdizionale di verifica del contraddittorio che si pone come ultimo atto del giudice all'interno del processo d'ingiunzione e a cui non può surrogarsi il giudice delegato in sede di accertamento del passivo. Ne consegue che il decreto ingiuntivo non munito, prima della dichiarazione di fallimento, del decreto di esecutorietà non è passato in cosa giudicata formale e sostanziale e non è opponibile al fallimento, neppure nell'ipotesi in cui il decreto ex art. 647 c.p.c. venga emesso successivamente, tenuto conto del fatto che, intervenuto il fallimento, ogni credito, deve essere accertato nel concorso dei creditori ai sensi dell'art. 52 l.fall.
[8] 
Così ad es. Cass (ord.) 6 giugno 2018, n. 14640. Poiché il semplice certificato di saldaconto, quantunque asseverato da un dirigente della banca, di per sé non consente alcun controllo in ordine alle poste considerate e ai conteggi compiuti, si ritiene che il correntista possa a sua volta limitarsi a negare valore probatorio all’atto mediante una contestazione generica; Cfr. Cass., SS.UU., 18 luglio 1994, n. 6707, con cui è stato definitivamente superato il precedente orientamento che attribuiva al certificato di saldaconto autonomo valore probatorio: cfr. Cass. 4 novembre 1992, n. 11948, in Foro it. Rep., 1992, voce Contratti bancari, n. 60; Cass. 1 agosto 1987, n. 6656, in Dir. fall., 1998, II, 229. Oggi si ritiene che tale documento possa assumere valore soltanto indiziario, con portata liberamente apprezzabile nel contesto di altri elementi egualmente significativi: Cass. 25 gennaio 2017, n. 1937; Cass. 19 gennaio 2017, n. 1341; Cass. 27 gennaio 2014, n. 1650, in Giur. it., 2014, 2463; Cass. 25 ottobre 2013, n. 24160; Cass. 2 dicembre 2011, n. 25857, in Giust. civ., 2012, I, 2365; Cass. 19 marzo 2009, n. 6705, in Obbl. e contr., 2009, 562; Cass. 12 aprile 2005, n. 7549, cit.; Cass. 10 agosto 1990, n. 8128, in Banca borsa tit. cred., 1991, II, 443, con nota di M.R. De Simone, A proposito dell’efficacia probatoria nel giudizio di cognizione del certificato di saldaconto.
[9] 
In questi termini Luca Andretto, Accertamento in sede fallimentare del credito per saldo passivo di conto corrente e onere probatorio della banca, in il Fallimento, 2017, 7, 803.
[10] 
Così Cass. (ord.) 14 gennaio 2016, n. 535.
[11] 
Si dà qui per scontato che chi rilascia la procura deve avere il potere di rappresentare la Banca. Della questione si è occupata, ad es. Cass. (ord.) 9 ottobre 2015, n. 20387 che ha così statuito: “In tema di capacità processuale, qualora la procura sia rilasciata dal direttore generale di una società che si assuma munito del potere rappresentativo della società, ossia da un soggetto diverso da quelli - come la persona fisica che ricopre la carica di amministratore - aventi per legge la rappresentanza sociale e per i quali soltanto, una volta adempiute le prescritte formalità, può presumersi la capacità processuale, occorre la prova della speciale "legitimatio ad processum", ossia della sussistenza dell'asserito potere rappresentativo, quale eccezione alla regola della esclusiva spettanza di questo agli amministratori. (In applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha confermato il giudizio di inammissibilità dell'opposizione allo stato passivo di un fallimento proposta da una banca per difetto di legittimazione processuale, poiché la procura era stata rilasciata dal direttore generale, cui, tra l'altro, neppure lo statuto attribuiva la rappresentanza in giudizio).
[12] 
In un precedente (Cass., 22 novembre 2017, n. 27836) la Suprema Corte la S.C. ha respinto il ricorso della banca che, sulla base della sola menzione di condizioni quadro contenute nel contratto di conto corrente, senza previsione di regole relative alla parte economica, chiedeva di considerare valido il contratto di apertura di credito, concluso per "facta concludentia" enunciando il seguente principio di diritto: In tema di disciplina della forma dei contratti bancari, l'art. 3, comma 3, della l. n. 154 del 1992 e successivamente l'art. 117, comma 2, del d.lgs. n. 385 del 1993, abilitano la Banca d'Italia, su conforma delibera del C.I.C.R. a stabilire che "particolari contratti" possano essere stipulati in forma diversa da quella scritta, sicché quanto da queste autorità stabilito circa la non necessità della forma scritta,"in esecuzione di previsioni contenute in contratti redatti per iscritto", va inteso nel senso che l'intento di agevolare particolari modalità della contrattazione non comporta una radicale soppressione della forma scritta ma solo una relativa attenuazione della stessa che, in particolare, salvaguardi l'indicazione nel "contratto madre" delle condizioni economiche cui andrà assoggettato il "contratto figlio". Tale orientamento non è difforme da quello indicato da Cass. 27 marzo 2017, n. 7763 secondo cui “in tema di disciplina della forma dei contratti bancari, l'art. 117, comma 2, del d.lgs. n. 385 del 1993 stabilisce che il C.I.C.R., mediante apposite norme di rango secondario, possa prevedere che particolari contratti, per motivate ragioni tecniche, siano stipulati in forma diversa da quella scritta. Ne discende che, in forza della delibera del C.I.C.R. del 4 marzo 2003, il contratto di apertura di credito, qualora risulti già previsto e disciplinato da un contratto di conto corrente stipulato per iscritto, non deve, a sua volta, essere stipulato per iscritto a pena di nullità. Nel caso di specie, infatti, la S.C. aveva respinto il ricorso incidentale formulato da una banca, avendo il giudice di merito rilevato la carenza sia di una stretta connessione funzionale ed operativa tra il contratto di apertura di credito e quello di conto corrente, sia di una sostanziale regolamentazione del contratto accessorio desumibile da quello formato per iscritto.
[13] 
V. ad es. Cass. (ord.) 6 settembre 2019, n. 22385: la previsione di cui all'art. 117, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 385 del 1993, secondo cui il contratto bancario è nullo se non redatto per iscritto, configura una nullità di protezione in favore del cliente che può essere rilevata d'ufficio dal giudice, stante l'inequivoco disposto dell'art. 127, comma 2, del d.lgs. citato.
[14] 
Con espresso riferimento alla posizione del curatore, v. Cass. Sez. 1, (ord.) n. 22385 del 06/09/2019 “Il curatore fallimentare è legittimato a far valere la nullità del contratto bancario non redatto per iscritto, in violazione dell'art. 117, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 385 del 1993, perché il curatore ha la gestione del patrimonio fallimentare e la sua posizione di terzietà rispetto al fallito è prevista per assicurare una maggiore protezione della massa dei creditori, come confermato dall'art. 119, comma 4, del d.lgs. citato, che riconosce al curatore, in quanto soggetto che subentra nell'amministrazione dei beni del fallito, il diritto ad ottenere la documentazione inerente i rapporti bancari intrattenuti dal fallito con l'istituto di credito.
[15] 
V. ad es., Cass., (ord.) 6 giugno 2018, n. 14646 “In tema di contratti bancari, la mancata sottoscrizione del documento contrattuale da parte della banca non determina la nullità per difetto della forma scritta prevista dall'art. 117, comma 3, del d.lgs. n. 385 del 1993, trattandosi di un requisito che va inteso non in senso strutturale, ma funzionale. Ne consegue che è sufficiente che il contratto sia redatto per iscritto, ne sia consegnata una copia al cliente e vi sia la sottoscrizione di quest'ultimo, potendo il consenso della banca desumersi alla stregua di comportamenti concludenti. Cass. Sez. 1, (ord.) 18 giugno 2018, n. 16070 “In materia di contratti bancari, la omessa sottoscrizione del documento da parte dell'istituto di credito non determina la nullità del contratto per difetto della forma scritta, prevista dall'art. 117, comma 3, del d. lgs. n. 385 del 1993. Il requisito formale, infatti, non deve essere inteso in senso strutturale, bensì funzionale, in quanto posto a garanzia della più ampia conoscenza, da parte del cliente, del contratto predisposto dalla banca, la cui mancata sottoscrizione è dunque priva di rilievo, in presenza di comportamenti concludenti dell'istituto di credito idonei a dimostrare la sua volontà di avvalersi di quel contratto. Cass. Sez. 1, (ord.) 4 giugno 2018, n. 14243 “I contratti bancari soggetti alla disciplina di cui all'art. 117 del d.lgs. n. 385 del 1993, così come i contratti di intermediazione finanziaria, non esigono ai fini della valida stipula del contratto la sottoscrizione del documento contrattuale da parte della banca, il cui consenso si può desumere alla stregua di atti o comportamenti alla stessa riconducibili, sicché la conclusione del negozio non deve necessariamente farsi risalire al momento in cui la scrittura privata che lo documenta, recante la sottoscrizione del solo cliente, sia prodotta in giudizio da parte della banca stessa, potendo la certezza della data desumersi da uno dei fatti espressamente previsti dall'art. 2704 c.c. o da altro fatto che il giudice reputi significativo a tale fine, nulla impedendo che il negozio venga validamente ad esistenza prima della produzione in giudizio della relativa scrittura ed indipendentemente da tale evenienza. Cass. Sez. 1, (ord.) 6 settembre 2019, n. 22385 “La previsione di cui all'art. 117, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 385 del 1993, secondo cui il contratto bancario è nullo se non redatto per iscritto, configura una nullità di protezione in favore del cliente che può essere rilevata d'ufficio dal giudice, stante l'inequivoco disposto dell'art. 127, comma 2, del d.lgs. citato.
[16] 
Su cui vedi: A. Dalmartello, La forma dei contratti di investimento nel canone delle sezioni unite: oltre il contratto "monofirma", in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2018, 5, 658; G. La Rocca, "Interessi contrapposti" e "conseguenze opportunistiche" nella sentenza delle sezioni unite sulla sottoscrizione del contratto, in Il foro italiano, 2018, 4, 1, 1289; S. Guadagno, Le sezioni unite sui contratti cc.dd. monofirma: la forma dei contratti asimmetrici, in Il corriere giuridico , 2018,  7, 929; G. D'Amico, S. Pagliantini, R. Amagliani, Le sezioni unite sul c.d. contratto mono-firma, in I contratti: rivista di dottrina e giurisprudenza 2018, 2, 133; M. Mussutto, Contratto quadro monofirma: per le Sezioni Unite è sufficiente la sola sottoscrizione dell’investitore, in Diritto civile contemporaneo, 2018, 3; L. Modica, Il volto crudele, ma autentico, del formalismo "informativo", in Il foro italiano, 2018, 4, 1, 1283; P. Pirruccio, Ribadita la tendenza a non sanzionare inosservanze formali, in Guida al Diritto, 2018, 16, 34; R. Natoli Una decisione non formalistica sulla forma: per le Sezioni Unite il contratto quadro scritto, ma non sottoscritto da entrambe le parti, è valido in Le società, 2018, 4, 481; A. Majo, Contratto di investimento mobiliare: il "balletto" delle forme, C. Colombo, La forma dei contratti quadro di investimento: il responso delle Sezioni unite; M. Ticozzi Il contratto monofirma: forma del contratto e nullità di protezione, tutti in Giurisprudenza Italiana, 2018, 3, 568; C. Medici, Contratti di investimento monofirma: l'avallo delle Sezioni unite, in Il foro italiano, 2018, 3, 1, 937.
[17] 
Sulla necessità della data certa anteriore al fallimento ai fini dell’opponibilità alla massa del rapporto contrattuale dedotto in sede di verifica dei crediti, la giurisprudenza della Corte di Cassazione è assolutamente pacifica. V. ad es. Cass. (ord.) 12 novembre 2018, n. 28994; Cass. 21 giugno 2018, n. 16443; Cass. (ord.) 21 giugno 2018, n. 16404; Cass. 6 febbraio 2018, n. 2825; Cass. 10 maggio 2017, n. 11463; Cass. 30 settembre 2016, n. 19595; Cass., SS.UU., 20 febbraio 2013, n. 4213.
[18] 
Ex pluris Cass. 20 novembre 2017, n. 27504 “La mancanza di data certa nelle scritture prodotte dal creditore che proponga istanza di ammissione al passivo fallimentare si configura come fatto impeditivo all'accoglimento della domanda ed ha natura giuridica di eccezione in senso lato, in quanto tale rilevabile anche di ufficio dal giudice”.
[19] 
Questo il caso di Cass. Sez. 6 - 1, (ord.) 27 ottobre 2020, n. 23490 Nel giudizio di opposizione allo stato passivo, la parte che contesti la mancata ammissione del proprio credito al passivo fallimentare deve dimostrare la data certa anteriore del contratto ad esso relativo, ma il giudice non è vincolato dai fatti a tal fine allegati, ben potendo attribuire rilievo a fatti diversi, comunque risultanti dagli atti di causa, in applicazione del principio di acquisizione processuale, in forza del quale ogni emergenza istruttoria, una volta raccolta, è legittimamente utilizzata ai fini della decisione, indipendentemente dalla sua provenienza (Nella specie, la S.C. ha confermato il decreto impugnato che ammetteva al passivo il credito derivante da scoperto di conto corrente, ricavando la data certa del contratto dal documento depositato dalla banca in sede monitoria).
[20] 
In questi termini si è espressa Cass., Sez. 6 - 1, (ord.) 2 Marzo 2017, n. 5346 del 02/03/2017 In tema di efficacia della scrittura privata nei confronti dei terzi, se la scrittura privata non autenticata forma un corpo unico con il foglio sul quale è impresso il timbro, la data risultante da quest'ultimo deve ritenersi data certa della scrittura, perché la timbratura eseguita in un pubblico ufficio deve considerarsi equivalente ad un'attestazione autentica che il documento è stato inviato nel medesimo giorno in cui essa è stata eseguita. Grava sulla parte (nella specie, il curatore del fallimento) che contesti la certezza della data di provare la redazione del contenuto della scrittura in un momento diverso, bastando a tal fine la prova contraria e non occorrendo il ricorso alla querela di falso. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva negato che il timbro postale in spedizione a corso particolare a tergo dei contratti di apertura di credito in conto corrente e di finanziamento per anticipi all'esportazione, azionati dalla banca ricorrente, fosse idoneo a far ritenere certa la relativa data). In senso conforme ad es. Cass. 28 maggio 2012, n. 8438; Cass. 14 giugno 2007, n. 13912; Cass. 23 Aprile 2003, n. 6472; Cass. 1 ottobre 1999, n. 10873; Cass. 11 ottobre 2006, n. 21814.
[21] 
Cass. Sez. 1, (ord.) 6 luglio 2020, n. 13920.
[22] 
Così, se pure nel contesto di un’amministrazione straordinaria Cass. Sez. 1, 12 agosto 2016, n. 17080: L'insinuazione al passivo di una procedura di amministrazione straordinaria di un credito fondato su di un contratto di conto corrente bancario, per la validità del quale è prevista la forma scritta "ad substantiam", postula l'accertamento dell'anteriorità della data di quest'ultimo, ex art. 2704, comma 1, c.c., rispetto alla sentenza dichiarativa dell'insolvenza, in ragione della terzietà dell'organo gestore della procedura verso i creditori concorsuali ed il debitore, senza che la banca possa avvalersi, a fini probatori del credito invocato, degli estratti del conto stesso. Né la proposizione, in via subordinata, di domande riconvenzionali di nullità di specifiche clausole contrattuali e di ripetizione di indebito da parte del commissario è idonea a superarne la questione della data certa e, dunque, dell'opponibilità del contratto alla procedura, perché, quando la difesa della parte si articola in più domande subordinate, la verifica di compatibilità deve farsi nell'ambito di ciascuna di esse, implicandone la formulazione in via gradata il progressivo abbandono delle tesi già sostenute.
[23] 
In questi termini Cass. Sez. 1, (ord.) 12 aprile 2018, n. 9074 “In sede di accertamento dello stato passivo, la mancanza di data certa del contratto prodotto quale prova del credito comporta l'inopponibilità al fallimento delle clausole riportate sulla relativa documentazione, ma ciò non esclude che possa risultare provata la corresponsione di una o più somme da parte del creditore e, quindi, sia la sussistenza di un suo corrispondente credito di restituzione in linea capitale, sia la stessa natura contrattuale del credito; ne deriva che detta inopponibilità esclude soltanto che le clausole riportate nella documentazione priva di data certa possano essere considerate ai fini della effettiva regolamentazione del rapporto. (In applicazione del detto principio, la S.C. ha escluso che l'ammissione al passivo di un credito vantato da una banca in linea capitale e fondato su due linee di credito derivanti da scoperto di conto corrente e mutuo chirografario - entrambe documentate da contratti privi di data certa - implicasse l'implicito riconoscimento della piena opponibilità dei contratti stessi, ed ha quindi respinto il ricorso della banca opponente, che lamentava l'erroneità del decreto con cui il giudice delegato aveva escluso gli interessi ultralegali, ammettendoli invece al tasso legale).
[24] 
Così Cass, Sez. 6 - 1, (ord.) 4 giugno 2019, n. 15219; Cass. Sez. 1, 9 maggio 2001,n. 6465.
[25] 
Così Cass., Sez. 1, (ord.) n. 22208 e la gemella 22209 entrambe del 12 settembre 2018 e, successivamente, Cass. Sez. 1, (ord.) 23 ottobre 2019 n. 27201; nello stesso senso anche Cass. Sez. 1, (ord.) 3 dicembre 2018, n. 31195.
[26] 
Si vedano ad es. Cass. Sez. 1, 6 luglio 2000, n. 9008 e Cass. Sez. 1, (ord.) 23 dicembre 2020, n. 29415 secondo cui “In tema di contratti bancari in conto corrente, la presunzione di veridicità delle scritturazioni del conto, quando il cliente, ricevuto l'estratto o documento equipollente, non sollevi specifiche contestazioni, trova applicazione anche qualora l'estratto non sia stato trasmesso con raccomandata o secondo le altre modalità indicate nel contratto, ma venga portato comunque a conoscenza del correntista, a sostegno della pretesa di pagamento del saldo passivo, con la conseguenza che tale pretesa non può essere respinta in presenza di un generico diniego della posizione debitoria da parte del cliente, non accompagnato da specifiche contestazioni.
[27] 
Per un’ampia disamina della questione v. L. Andretto, l’efficacia probatoria degli estratti conto nell’accertamento del passivo, in il Fallimento e le altre procedure concorsuali, 2019, 2, 152 e ss., nonché, dello stesso autore, Accertamento in sede fallimentare del credito per saldo passivo e onere probatorio della banca, in il Fallimento e le altre procedure concorsuali, 2017, 7, 794 e ss.
[28] 
Tra le decisioni edite cfr. Trib. Pavia 12 maggio 2015, in www.ilcaso.it; Trib. Palermo 12 novembre 2014, in Fall. Rivista, 2015, 236; Trib. Napoli 22 gennaio 2013, decr., in Dir. fall., 2014, 400, con nota di F. De Vita, L’onere della prova dei fatti costitutivi del credito nella veridica del passivo fallimentare; Trib. Udine 7 dicembre 2012, in www.dirittobancario.it; Trib. Napoli 17 novembre 2010, decr., in il Fallimento e le altre procedure concorsuali, 2011, 249; Trib. Vicenza 30 ottobre 2009, decr., in www.ilcaso.it; Trib. Monza 9 aprile 2002, in il Fallimento e le altre procedure concorsuali, 2003, 199, con nota di A. Cesaroni, Efficacia probatoria dell’estratto conto bancario; App. Genova 5 febbraio 2002, in il Fallimento e le altre procedure concorsuali, 2003, 76, con nota di D. Finardi, Banca e fallimento: una verifica continua; Trib. Padova 18 maggio 2001, il Fallimento e le altre procedure concorsuali, 2002, 392, con nota di E. Staunovo Polacco, Sull’efficacia probatoria dell’estratto conto del fallito nel passivo fallimentare; Trib. Genova 20 novembre 1996, ivi, 1997, 733, con nota di R. Casucci, Efficacia probatoria degli estratti conto bancari; Trib. Genova 3 giugno 1996, il Fallimento e le altre procedure concorsuali, 1997, 208, con nota di C. Trentini, Efficacia probatoria dell’estratto conto bancario; Trib. Udine 19 ottobre 1994, il Fallimento e le altre procedure concorsuali, 1995, 956, con nota di C. Trentini, Efficacia delle scritture contabili nei confronti del curatore.
[29] 
Cfr. Trib. Pescara 18 aprile 2008, in www.ilcaso.it; Trib. Pescara 22 marzo 2007, in Rep. Foro it., 2007, voce Fallimento, n. 593; Trib. Palmi 20 febbraio 2006, in il Fallimento e le altre procedure concorsuali, 2006, 478; Trib. Roma 21 settembre 1999, in Dir. prat. soc., 2000, 75.
[30] 
In questi termini C. Trentini, Efficacia probatoria dell’estratto conto bancario, cit., 214.
[31] 
Cass. 3 maggio 2016, n. 8725; Cass. 6 agosto 2014, n. 17732, in 5240; Cass. 15 luglio 2009, n. 16538, in Giust. civ., 2010, 940.
[32] 
V. B. Quatraro - F. Dimundo, La verifica dei crediti nelle procedure concorsuali. Contratti bancari, parabancari e del mercato finanziario, Milano, 2011, 240.
[33] 
Cass., SS.UU., 20 febbraio 2013, n. 4213; cfr. altresì Cass. 10 febbraio 2017, n. 3660, Cass. 23 dicembre 2016, n. 26889; Cass. 10 aprile 2012, n. 5659, in Il Fallimento e le altre procedure concorsuali, 2013, 621. Più recentemente v. Cass. Sez. 6 - 1, (ord.) 17 luglio 2020 n. 15339; Cass. Sez. 6 - 1, (ord.) 8 agosto 2017, n. 19734.
[34] 
Cass. 14 gennaio 2016, n. 535; Cass. 6 agosto 2015, n. 16554.
[35] 
Trib. Bari 30 marzo 2015; Trib. Napoli 22 gennaio 2013; Trib. Monza 9 aprile 2002.
[36] 
Successivamente seguito dalle già ricordate sentenze gemelle Sez. 1, (ord.) n. 22208 e 22209 entrambe del 12 settembre 2018 e, successivamente, Cass. Sez. 1, (ord.) 23 ottobre 2019, n. 27201.
[37] 
Conviene qui riportare la parte motiva di Cass., Sez. I civ., 03 dicembre 2018 n. 31195 citata: È opinione di questo collegio che, sebbene non operino nei confronti del curatore gli effetti di cui all’art. 1832 c.c., lo stesso procedimento di insinuazione al passivo e di successiva opposizione fungano da procedimento di rendicontazione al fine dell’individuazione della esatta consistenza del credito vantato dalla banca e contribuiscano a fornire all’estratto conto che rappresenti l’intera evoluzione storica dello svolgimento del rapporto un valore di prova a suffragio delle ragioni dell’istituto di credito che abbia presentato insinuazione al passivo. In linea generale ogni qual volta sia necessario rendere un conto il sistema (si pensi al meccanismo previsto dall’art. 1832 c.c., art. 119 T.U.B. e, più in generale, art. 263 c.p.c. e ss.) prevede che la parte onerata proceda alla rendicontazione tramite la precisa indicazione dell’evoluzione storica del rapporto, mentre la controparte ha l’obbligo entro un determinato termine di sollevare contestazioni, specificando le partite che intende porre in contestazione. Un simile meccanismo vale, tramite lo sviluppo del procedimento di verifica delle insinuazioni al passivo, anche nei confronti della procedura fallimentare, a cui la banca, a prescindere dagli estratti inviati al fallito ed eventualmente approvati prima dell’apertura del concorso, è tenuta a dare conto dell’esistenza e dell’intera evoluzione del rapporto tramite il deposito degli estratti conto nella loro completa consistenza. A fronte di questa produzione non si può trascurare di considerare che sul curatore incombe il dovere di procedere a una verifica della documentazione prodotta dal creditore che si insinua al passivo e dunque di controllo delle emergenze dell’estratto conto secondo le risultanze in suo possesso. Ed è proprio la pregnanza di questo obbligo di verificazione che consente il parallelismo con il procedimento di rendimento del conto e la valorizzazione dell’estratto conto integrale prodotto, così analizzato, quale prova. A un simile, puntuale, controllo farà seguito un obbligo di specifica contestazione, in particolare, della verità storica delle singole operazioni oggetto di rilevazione contabile che non trovino adeguato riscontro. In presenza di siffatte confutazioni da parte del curatore l’istituto di credito ha l’onere, in sede di verifica dello stato passivo o quanto meno in sede di opposizione, di arricchire la documentazione prodotta con atti idonei ad attestare l’effettivo svolgimento delle operazioni oggetto di rilevazione contabile in contestazione. Per contro ove il curatore, costituendosi o meno in sede di opposizione, nulla abbia osservato in merito all’evoluzione del conto nel senso rappresentato negli estratti prodotti, il Tribunale non potrà che prendere atto dell’evoluzione storica del rapporto contrattuale nei termini rappresentati all’interno dell’estratto conto integrale depositato né potrà pretendere ulteriore documentazione a suffragio dei fatti storici in questo modo risultanti, pur mantenendo, come per regola generale, ogni più ampia possibilità di sollevare d’ufficio le eccezioni, non rilevabili ad esclusiva istanza di parte, giustificate in base ai fatti in tal modo acquisiti in causa.
[38] 
In questi termini, da ultimo Sez. 6 - 1, (ord.) 4 giugno 2019, n. 15219 del 04/06/2019; in senso conforme: Cass. 27 marzo 2018, n. 7546; Cass. 3 maggio 2017, n. 10724; Cass. 23 dicembre 2016, n. 26889; Cass. 26 agosto 2016, n. 17354; Cass. 27 gennaio 2014, n. 1650; Cass. 2 aprile 2012, n. 5261; Cass. 26 gennaio 2006, n. 1543, cit.; Cass. 9 maggio 2001, n. 6465.
[39] 
Tale opinione è risalente: v. Cass. 5 marzo 1994, n. 2188, in Banca, borsa, tit. cred., 1996, II, 168; Cass. 5 maggio 992, n. 5294, in questa Rivista, 1992, 1002; Cass., SS.UU., 28 agosto 1990, n. 8879, ivi, 1990, 1225: poiché nella verifica del passivo fallimentare possono trovare ingresso le questioni attinenti all’inefficacia o alla revocabilità degli atti del fallito (v. in tal senso anche l’attuale art. 95,comma1, l.fall.), al solo fine d’impedire l’ammissione di crediti fondati su atti inefficaci e/o revocabili, e poiché è pacifica la posizione di terzietà del curatore sotto questi profili agendo egli in sostituzione dei creditori per la reintegrazione del patrimonio originario del fallito, ne discende che anche in sede di verifica il curatore deve considerarsi terzo rispetto ai creditori cui oppone questo tipo di eccezioni; peraltro, non costituendo la natura delle eccezioni proposte elemento di qualificazione della legittimazione, ma al contrario derivando dalla legittimazione l’abilitazione a proporre le eccezioni stesse a seconda del tipo di rapporto fatto valere, se ne ricava che in sede di verifica del passivo al curatore va sempre riconosciuta la qualifica di terzo, indipendentemente dalla posizione che egli concretamente assuma, sia che faccia valere in via d’eccezione gli interessi della massa dei creditori, sia che svolga difese che già il fallito avrebbe potuto esercitare prima della dichiarazione di fallimento.
[40] 
Cfr. Cass. 23 dicembre 2016, n. 26889, ord., in www.italgiure.giustizia.it; Cass., SS.UU., 20 febbraio 2013, n. 4213, in il Fallimento, 2013, 925, con nota di P. Bosticco, Ammissione al passivo e prova del credito: le Sezioni Unite individuano la natura dell’eccezione di difetto di data certa; Cass. 19 dicembre 2012, n. 23478, ord., in www.italgiure.giustizia.it; Cass. 15 marzo 2005, n. 5582, in il Fallimento, 2005, 1243, con nota di F. Signorelli, Ancora in tema di efficacia probatoria delle scritture contabili dell’imprenditore nella procedura di verifica dei crediti.
[41] 
Cfr. Cass., sez. 1, 27/06/2017 n. 15947.
[42] 
In tal senso Cass. 29 agosto 2018, n. 21369; Cass. 8 giugno 2018, n. 15036; Cass. 18 agosto 2017, n. 20181; Cass. 20 aprile 2016, n. 7972; Cass. 7 ottobre 2015, n. 20114; Cass. 7 luglio 2015, n. 14054; Cass. 17 ottobre 2014, n. 22044; Cass., Sez. Un., 20 febbraio 2013, n. 4213, cit.; Cass. 2 aprile 2012, n. 5261; Cass.26 gennaio 2006, n. 1543; Cass.10 gennaio 2003, n. 142, in il Fallimento, 2003, 1169, con nota di G. Bettazzi, Efficacia probatoria delle scritture contabili nel fallimento.
[43] 
In questi termini, L. Andretto, cit., 2019, 156.
[44] 
In questi termini, da ultimo Sez. 6 - 1, (ord.) n. 15219 del 04/06/2019; in senso conforme: Cass. 27 marzo 2018, n. 7546; Cass. 3 maggio 2017, n. 10724; Cass. 23 dicembre 2016, n. 26889; Cass. 26 agosto 2016, n. 17354; Cass. 27 gennaio 2014, n. 1650; Cass. 2 aprile 2012, n. 5261; Cass. 26 gennaio 2006, n. 1543, cit.; Cass. 9 maggio 2001, n. 6465.
[45] 
Così Cass., 25 novembre 2010 n. 23974 secondo cui nei rapporti bancari in conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità, per mancanza dei requisiti di legge, della pattuizione di interessi ultralegali a carico del correntista, la banca non può dimostrare l'entità del proprio credito mediante la produzione, ai sensi dell'art. 2710 cod. civ., dell'estratto notarile delle sue scritture contabili dalle quali risulti il mero saldo del conto, ma ha l'onere di produrre gli estratti a partire dall'apertura del conto. Né la banca può sottrarsi all'assolvimento di tale onere invocando l'insussistenza dell'obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni, perché non si può confondere l'onere di conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito. In senso conforme Cass., 26 gennaio 2011, n. 1842; Cass., 18 settembre 2014, n. 19696; Cass., 20 Aprile 2016, n. 7972.
[46] 
In questi termini Cass., 25 novembre 2010, n. 23974 che, in parte motiva, afferma “La banca non ha provato per le ragioni dianzi esposte che alla data dell'1.1.1993, cui si riferisce il primo estratto-conto riportato in giudizio, il credito riportato in detto estratto conto e conclusivo dell'andamento dei conti per gli anni pregressi fosse quello effettivo in ragione della più volte citata nullità delle clausole sugli interessi. Del tutto correttamente pertanto la Corte d'appello ha azzerato le dette risultanze in quanto non provate e disposto che il calcolo dei rapporti di dare ed avere venisse calcolato dal CTU a partire dalla detta data del 1993 partendo da zero.
[47] 
Un esempio vale meglio a chiarire il concetto: si ipotizzi una lacuna negli e/c dal 1/7 al 31/12, con saldo banca al 30/6 di -5.000 e al 1/1 successivo di -12.000; il differenziale è quindi di -7.000. Il saldo di -5000 sarà riportato uguale alla data del 1/1/ successivo, senza considerare il differenziale di -7.000 non documentato.
[48] 
In questi termini Cass., 11 aprile 2017, n. 13127 in parte motiva.
[49] 
Le Sezioni Unite, 23 novembre 2010, n. 24418 hanno infatti chiarito che una vera ripetizione di indebito si può avere solo in caso di rimesse solutorie in costanza di rapporto a partire dalla data delle singole operazioni, mentre la mera annotazione contabile e scritturale in costanza di rapporto non legittima la ripetizione. La sentenza è stata così massimata: L'azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all'ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell'ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti, nell'anzidetta ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell'esecuzione di una prestazione da parte del "solvens" con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell'"accipiens". Per la distinzione, nei giudizi ordinari, tra azione di ripetizione dell’indebito, non esperibile in costanza di rapporto e accertamento negativo sulla debenza di somme con conseguente rideterminazione del saldo v. Tribunale di Torino 2 luglio 2015 in www.ilcaso.it così massimata dal prof. A Dolmetta: Anche a conto corrente ancora aperto, il cliente ha titolo e interesse a proporre apposita azione di accertamento negativo volta a ottenere la dichiarazione di nullità delle clausole contrattuali, nonché l’accertamento delle somme addebitate dalla banca in base alla clausola nulla (o comunque in difetto di una conforme previsione contrattuale) e, dunque, lo storno dell’annotazione indebita, con il conseguente ricalcolo dei rapporti di dare-avere. Negli esiti pratici e negli elementi costitutivi, l’azione di accertamento negativo converge con l’azione ex art. 2033 c.c. Le due azioni, infatti, condividono un nucleo comune di fatti; la sola azione di indebito, tuttavia, esige la prova dell’indebito medesimo, non meno che del relativo spostamento patrimoniale. Per l’effetto, l’azione di accertamento negativo deve intendersi proposta ed è quindi decidibile nel merito, nonostante la mancata allegazione e prova di pagamenti, ogni qual volta il cliente, pur dichiarando di agire in ripetizione di indebito, abbia chiesto espressamente l’accertamento della nullità delle clausole e delle somme indebitamente annotate e il relativo storno, con ricalcolo del dare-avere.
[50] 
Cass., 4 Aprile 2016, n. 6511/2016; Cass., 12 settembre 2016, n. 17923.
[51] 
In tali termini Cass. 7 maggio 2015, n. 9201 che in parte motiva afferma: Dunque nel caso di specie il principio applicabile è che chi esperisce una azione di accertamento negativo deve fornire la prova della fondatezza della propria domanda. In tal senso del tutto corretta è l'affermazione della Corte d'appello secondo cui era onere degli allora appellanti fornire l'estratto conto zero tanto più ove si tenga conto che tale estratto conto era necessariamente stato inviato ex lege ai correntisti i quali ne avevano o ne avevano avuto la disponibilità avendone altresì l'onere di conservazione e sotto tale profilo gli stessi erano in posizione paritaria rispetto alla banca sotto il profilo della possibilità di produrre il documento.
[52] 
v. Cass., 11 giugno 2015, n. 19475; e Cass. 20 Marzo 2013, n. 14656.
[53] 
Cass., 11 maggio 2017, n. 11554; in senso conforme Cass., 8 Febbraio 2019, n. 3875 e Cass. 30 ottobre 2020, n. 24181; tali decisioni hanno suscitato perplessità in quanto il principio affermato (i) ignora il requisito dell’indispensabilità; (ii) sovrappone e fa coincidere un istituto contrattuale con uno processuale; (iii) incentiva cause esplorative.
[54] 
Ciò che evidentemente rende necessario per la curatela recuperare tutta la documentazione bancaria facente capo alla società, così come ad esempio, richiesto dal Tribunale di Milano nelle istruzioni fornite ai curatori per la c.d. relazione preliminare ex art. 33.
[55] 
Normalmente le doglianze del correntista relative al rapporto di conto corrente attengono: (i) la pretesa mancata forma scritta del contratto; (ii) la mancata pattuizione del tasso debitore; (iii) l’indebita applicazione di interessi anatocistici; (iv) le commissioni di massimo scoperto; (v) il corretto esercizio del c.d. ius variandi delle regole contrattuali; (vi) l’usurarietà delle condizioni applicate.
[56] 
Per un recente caso, ad esempio, Cass. Sez. 1, (ord.) 19 maggio 2020, n. 9136 secondo cui “In tema di accertamento del passivo fallimentare, l'art. 95, comma 1, l.fall., nel riferirsi all'eccezione revocatoria sollevata per le vie brevi dal curatore e alla relativa prescrizione dell'azione, richiama il doppio termine, di prescrizione e di decadenza, di cui all'art. 69 bis, comma 1, l.fall., nonostante l'espresso rimando nella rubrica di quest'ultima norma soltanto a quello di decadenza”, con nota di Vincenzo Papagni, Anche la revocatoria “in via breve” è soggetta al “doppio termine”?, in il Fallimentarista.
[57] 
V. da ultimo, ad esempio Cass. 9 gennaio 2019, n. 277 secondo cui “In tema di azione revocatoria fallimentare, l'art. 67, comma 2, lett. b), del r.d. n. 267 del 1942 (nel testo modificato dal d.l. n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, nella l. n. 80 del 2005), prescinde dalla natura solutoria o ripristinatoria della rimessa e quindi dal fatto che la stessa afferisca a un conto scoperto o solo passivo, ma impone al giudice del merito di verificare la revocabilità del pagamento avendo riguardo alla sua consistenza ed alla sua durevolezza. Pertanto, l'accertamento non può essere surrogato dalla sola quantificazione della differenza tra l'ammontare massimo raggiunto dalle pretese della banca nel periodo per il quale è provata la conoscenza dello stato di insolvenza e l'importo delle stesse alla data di apertura del concorso, come previsto dal successivo art. 70, comma 3 (nel testo novellato dal cit. d.l. n. 35 del 2005 e modificato, da ultimo, dalla l. n. 169 del 2008), giacché quest'ultima disposizione indica solo il limite massimo dell'importo che il convenuto in revocatoria può essere tenuto a restituire. A commento di tale sentenza si vedano M. Spiotta, Il de profundis della distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie, in Giurisprudenza Italiana, 2019, 3, 582 nonché G. Falcone, Sulla revocatoria delle rimesse in conto corrente secondo l'orientamento interpretativo della Suprema Corte, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, 2019, 6, 781. Sulle revocatorie di rimesse bancarie, si veda Rebecca-Sperotti, La nuova revocatoria delle rimesse bancarie, Milano, 2010; Bonfatti- Falcone, La riforma urgente del diritto fallimentare e le banche. Problemi risolti ed irrisolti, Milano, 2003; Arato, Operazioni bancarie in conto corrente e revocatoria fallimentare delle rimesse, Milano, 1995, passim. V. inoltre Bonfatti, La disciplina delle esenzioni dall’azione revocatoria fallimentare, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da Jorio e Sassani, II, Milano, 2014, 263-295 e Ronco, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli per i creditori, in Crisi d’impresa e procedure concorsuali, Trattato diretto da Cagnasso e Panzani, tomo I, Torino, 2016, 1194 e segg. Sull’ all’art. 67, 3º comma, lett. b), L. fall. v. Cavalli, in Il nuovo diritto fallimentare. Commentario diretto da Jorio e coordinato da Fabiani, Bologna, 2006, tomo I, 959 e segg. Sugli effetti di tale novella v. Patti, Le azioni di inefficacia, in Il nuovo diritto fallimentare. Novità ed esperienze applicative a cinque anni dalla riforma. Commentario sistematico diretto da Jorio e coordinato da Fabiani, Bologna, 2010, 270 e segg.; Arato, I primi orientamenti sulla revocatoria delle rimesse bancarie dopo la riforma della legge fallimentare, in Fallimento, 2008, 1221 e segg.

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  • 3. cancellazione/oblio: ottenere, in alcuni casi, la cancellazione dei dati personali forniti; questo non è un diritto assoluto, in quanto le Società potrebbero avere motivi legittimi o legali per conservarli;
  • 4. limitazione: i dati saranno archiviati, ma non potranno essere né trattati, né elaborati ulteriormente, nei casi previsti dalla normativa;
  • 5. portabilità: spostare, copiare o trasferire i dati dai database delle Società a terzi. Questo vale solo per i dati forniti dall’interessato per l’esecuzione di un contratto o per i quali è stato fornito consenso e espresso e il trattamento viene eseguito con mezzi automatizzati;
  • 6. opposizione al marketing diretto;
  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

Dati di contatto - Società per lo studio del diritto della crisi con sede in via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN); email: ssdirittodellacrisi@gmail.com.

Responsabile della protezione dei dati - Il Responsabile della protezione dei dati non è stato nominato perché non ricorrono i presupposti di cui all’art 37 del Regolamento (UE) 2016/679.

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