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Commento

Il concordato preventivo, i criteri di identificazione della sua natura liquidatoria e il trasferimento di un ramo di azienda

Enrico Gragnoli, Ordinario di diritto del lavoro nell’Università di Parma

13 Luglio 2021

Visualizza: Trib. Bergamo, Sez. Lav., 19 gennaio 2017, Est. Bertoncini

Lo sguardo di un giuslavorista al contesto dei concordati preventivi liquidatori: la loro individuazione, la sorte dei rapporti di lavoro in ipotesi di trasferimento del ramo d’azienda, le implicazioni del diritto unionale.
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1 . I criteri di identificazione del concordato liquidatorio ai fini dell’applicazione della disciplina sul trasferimento di azienda
A ragione, la sentenza si interroga sulla natura liquidatoria della procedura di concordato preventivo, al fine di stabilire quale sia la disciplina del trasferimento di azienda alla stregua delle indicazioni comunitarie[1]. A fronte della valorizzazione della continuità del rapporto di lavoro subordinato, per le sue finalità il concordato ha sempre posto problemi rispetto all’applicazione dell’art. 2112 cod. civ.[2] ed è spesso sottovalutata la complessità del tema; per il concordato in continuità, l’art. 2112 cod. civ. non può essere invocato secondo gli stessi schemi propri di quello liquidatorio o, addirittura, del fallimento. Ciò dovrebbe condizionare la convenienza del trasferimento di azienda per il soddisfacimento dei creditori. 
Alla stregua del diritto comunitario, l’attribuzione al contratto collettivo del potere derogatorio sulla persistenza dei rapporti è possibile solo in presenza di una procedura dall’intrinseca natura liquidatoria[3]. Il tradizionale concordato in continuità non ha queste finalità e nasce con obbiettivi opposti. Pertanto, difetta un potere derogatorio dell’accordo sindacale sulla cessazione della collaborazione con alcuni dipendenti, per la necessaria coerenza fra il diritto interno e quello europeo. Spesso le imprese ammesse alla procedura sono in difficoltà nel trasferimento dell’azienda o dei suoi rami, qualora occorra diminuire gli addetti, per il recupero di una maggiore competitività. Se i contratti collettivi non possono intervenire, il dialogo si sposta sul versante individuale; ferma l’opportunità di un confronto sindacale, la transazione con i prestatori di opere è necessaria per l’affitto o la vendita in sicurezza e con un minore numero di dipendenti. Ciò rafforza il potere negoziale di ciascuno di loro, in grado di pretendere incentivi maggiori per il loro avallo alla riorganizzazione. 
La decisione si sofferma sui caratteri della procedura liquidatoria e, per un verso, attribuisce rilevanza al piano, sulla “cessione della totalità dei beni e diritti, il tutto per il pagamento delle spese e per il soddisfacimento dei creditori”[4], salvo rinviare alle dichiarazioni di un teste, per cui l’attività era stata proseguita solo nella fase antecedente all’omologazione, seppure sotto lo stretto controllo giudiziale e dei commissari, fermo il fatto che “la cessione non ha riguardato l’intera azienda, bensì un suo ramo”[5]. 
La nozione di concordato liquidatorio presenta oggettivi dubbi e ciò induce a una riflessione su questa decisione; non a caso, si è osservato in senso opposto, “sembrerebbe emergere la centralità della ‘continuazione dell’impresa’ – a prescindere dalla sua componente ‘oggettiva’ o ‘soggettiva’ – come componente del piano e al fine del soddisfacimento dei creditori, con conseguente esclusione dall’ambito considerato del ‘concordato meramente liquidatorio’, intendendosi indicare con tale locuzione una ipotesi di concordato nella quale è irrilevante la continuazione dell’attività di impresa per il ‘piano’ e conseguentemente per il soddisfacimento dei creditori”[6]. 
Il concordato in continuità non consente qualunque deroga al generale modello di protezione dei prestatori di opere[7], per la carenza di una liquidazione affidata a un organo pubblico[8], a maggiore ragione con la prossima entrata in vigore dell’art. 84 del decreto n. 14 del 2019, per cui il citato concordato in continuità è contrapposto a quello liquidatorio, con una cesura rafforzata. La coerenza con il modello comunitario[9] è stata perseguita in modo deliberato dal legislatore del 2019 e, nonostante talune critiche[10], le indicazioni della giurisprudenza europea poggiano su una piana lettura dell’art. 5 della direttiva 2001 / 23 / Ce[11], con una esegesi inevitabile[12]. Il potere di deroga all’art. 2112 cod. civ., accordato dall’art. 5 della direttiva 2001 / 23 / Ce, nelle procedure non liquidatorie non riguarda la prosecuzione dei rapporti[13], ma solo gli istituti economici, in funzione del contenimento dei costi, per un recupero di efficienza[14]. Possono essere convenute modificazioni alle mere “condizioni di lavoro”[15], con trasformazioni sui soli profili patrimoniali[16]. 
2 . Le discutibili indicazioni della giurisprudenza di legittimità
A proposito della disciplina belga[17], si è confermata la contrarietà del sistema comunitario “a una legislazione nazionale la quale, in caso di trasferimento di una impresa intervenuto nell’ambito di una procedura di riorganizzazione con controllo giudiziario, applicata al fine di conservare in tutto o in parte l’impresa cedente o le sue attività, e che preveda per il cessionario il diritto di scegliere i lavoratori che intenda riassumere”[18], appunto per le finalità dell’istituto, non liquidatorie. Non è agevole stabilire sulla base di quali criteri, nel nostro ordinamento, si debba discriminare in ordine alle diverse ipotesi di concordato preventivo e, in un precedente di legittimità[19], si è fatto riferimento alla “impossibilità della continuazione dell’attività”, come ravvisato dal giudice di secondo grado. Al contrario, l’art. 5, paragrafo 1, della direttiva 2001 / 23 / Ce non rimanda a una valutazione di fatto sull’interesse (vero o preteso) del cessionario e sulle condizioni patrimoniali del compendio oggetto di trasferimento, ma al carattere della procedura[20]. 
Né si può obbiettare che “l’art. 47, comma quinto, della legge n. 428 del 1990 ha previsto ampia facoltà, per l’impresa subentrante, di concordare condizioni per l’assunzione ex novo dei lavoratori, in deroga a quanto dettato dall’art. 2112 cod. civ. nonché la possibilità di escludere parte del personale eccedentario dal passaggio, in quanto tale derogabilità, laddove prevista dall’accordo sindacale, anche se peggiorativa (…), si giustifica con lo scopo di conservare i livelli occupazionali”[21]. Se questo è il fine (insieme alla protezione dei creditori), non è configurata alcuna discrezionalità sull’identificazione dei percorsi derogatori e, quindi, quello sul persistere del rapporto presuppone una valutazione ex antea sulla struttura della procedura e sulla sua natura. A tale fattispecie non è da accomunare, ma da contrapporre quella dell’eventuale deroga alle condizioni negoziali, come ora sottolineato (per il futuro) in modo chiaro dall’art. 368 del decreto legislativo n. 14 del 2019[22]. Votato a fornire una lettura univoca e fedele delle indicazioni comunitarie, l’art. 368 chiarisce come non rilevi una libera valutazione dell’interesse dei creditori o dei lavoratori, a maggiore ragione compiuta nell’ambito della procedura, ma se ne debba stabilire il carattere alla stregua del paradigma normativo, secondo una impostazione risalente all’art. 5, paragrafo 1, della direttiva 2001 / 23 / Ce. 
Pertanto, nonostante vi possa essere la tentazione contraria, l’identificazione ex postea di un esito positivo dell’operazione di salvataggio non rileva ai fini dell’identificazione del potere di delimitazione concordata in sede sindacale del numero di lavoratori destinati alla prosecuzione della collaborazione, né ci si può chiedere se la salvaguardia di tutti fosse “possibile”[23] o utile o coerente con la giustizia sostanziale, a tacere della difficoltà di identificarla. Ci si deve solo domandare quali siano lo scopo tipico e la configurazione programmata della procedura[24], sulla base della sua impostazione ex antea, non di quanto emerso durante il suo svolgersi e, in particolare, della verifica sulla difficoltà di raggiungere altre soluzioni della crisi. Da questo punto di vista, la decisione qui in esame si discosta dalle indicazioni di questa pronuncia di legittimità[25] e, prima di tutto, richiama le impostazioni del piano e del decreto di omologazione[26]. 
Del resto, “la tutela dei lavoratori garantita dagli artt. 3 e 4” della direttiva “permane in una situazione (…) in cui una impresa sia trasferita in seguito a una dichiarazione di fallimento nell’ambito di un pre – pack, preparato prima di detta dichiarazione e realizzato subito dopo la pronuncia di fallimento, nell’ambito del quale, in particolare, un ‘curatore designato’, nominato da un giudice, esamini le possibilità di una eventuale prosecuzione delle attività dell’impresa a opera di un terzo e prepari azioni da svolgere subito dopo la pronuncia di fallimento per realizzare tale prosecuzione e, inoltre, non è rilevante (…) che l’obbiettivo perseguito miri anche a massimizzare gli introiti della cessione per l’insieme dei creditori”[27]. Per quanto il principio (esatto) sia stato affermato con riguardo a un altro ordinamento e i paragoni siano sempre problematici, per la sentenza la natura liquidatoria deve a ragione dipendere dagli scopi perseguiti in astratto dalla procedura, non dagli esiti delle determinazioni dei suoi organi. Quindi, non importa se il trasferimento di parte dei lavoratori sia “inevitabile” o “utile”, poiché ciò non incide sulla qualificazione del concordato. 
3 . Lo svolgimento di attività prima del decreto di omologazione e il carattere liquidatorio del concordato preventivo
La sentenza in esame è convincente perché, respingendo le indicazioni delle decisioni di legittimità[28], compie un esame ex antea e non ex postea, in quanto considera prima di tutto il piano e il decreto di omologazione; la difficoltà è data dalla prosecuzione dell’attività fino all’adozione dello stesso decreto, poiché, si è obbiettato, “si potrebbe forse fare rientrare nel ‘concordato in continuità aziendale’ (…) un concordato con cessione di azienda e liquidazione dei beni, ove sia prevista una continuazione provvisoria dell’impresa sino all’omologazione (anche mediante affitto di azienda), sostenendo che ciò sia comunque previsto dal piano e che sia funzionale (alla conservazione del valore aziendale e quindi) al migliore soddisfacimento dei creditori”[29]. Seppure espressa in termini dubitativi, l’osservazione merita attenzione, poiché, nell’ipotesi di ulteriore sviluppo delle funzioni economiche, questo ultimo aspetto assume rilievo ai fini del soddisfacimento dei creditori, non solo per l’eventuale creazione di risorse liquide, ma per la contestuale salvaguardia dell’idoneità produttiva dell’azienda e del suo valore. 
La sentenza in esame affronta la questione con il richiamo del decreto di omologazione e sminuendo il rilievo della prosecuzione dell’attività prima di tale fase[30], ma la soluzione non è scontata, proprio per la plausibile connessione con il successivo trasferimento di azienda; se mai, vi è da sottolineare come, nel caso di specie, la continuazione non abbia avuto luogo con un contratto di affitto[31], così che, prima del decreto, la vendita non è stata preceduta da una attività del cessionario. Non ha molto rilievo il coinvolgimento dei commissari in preparazione della presentazione del piano, a tacere della scarsa importanza delle dichiarazioni dei testi[32]. Se alcuni aspetti sfuggono[33], per l’ovvia sintesi della motivazione, la natura liquidatoria non dipende dall’iniziativa degli organi della procedura, ma dalle sue finalità. 
Due aspetti convincono dell’esattezza delle conclusioni e inducono a superare le obiezioni sollevate proprio in questi casi[34], vale a dire il fatto che la cessione di azienda sia stata valutata dopo l’ammissione alla procedura[35] e, per altro verso, la sua natura parziale[36], con riferimento a un solo ramo. Se si congiungono tali elementi, si può convenire con la decisione sul fatto che l’opportunità del trasferimento si è presentata nell’ambito dell’attività liquidatoria e, sebbene con ogni probabilità fosse stata contemplata, non era preordinata a tale esito l’intera iniziativa, a cominciare dallo svolgimento dell’attività produttiva prima del decreto di omologazione. Non a caso, il contratto di cessione è stato quasi di un anno posteriore al decreto stesso e, con esso, è venuta meno la continuazione dell’attività. Questi profili superano le osservazioni proposte sul carattere liquidatorio in ipotesi solo in apparenza paragonabili[37]. 
4 . Il modello del decreto legislativo n. 14 del 2019
Qualche profilo di maggiore chiarezza potrebbe giungere a breve. Per l’art. 368 del decreto n. 14 del 2019 e le trasformazioni apportate all’art. 47, comma quarto bis, della legge n. 428 del 1990, per le imprese “per le quali vi sia stata la dichiarazione di apertura della procedura di concordato preventivo in regime di continuità indiretta” l’accordo collettivo a conclusione dell’esame congiunto dell’art. 47 della legge n. 428 del 1990 può derogare all’art. 2112 cod. civ. solo in tema di “condizioni di lavoro” e, dunque, non di prosecuzione di tutti i rapporti del personale addetto all’azienda o al ramo ceduti. Tali minori opportunità di revisione della struttura imprenditoriale creano un originario svantaggio del concordato in continuità indiretta rispetto alla nuova liquidazione giudiziale, con una incidenza sulle prospettive della riorganizzazione[38]. Queste ripercussioni sono volute dall’ordinamento europeo e, oggi, si basano sulla scontata esegesi dell’art. 5 della direttiva 2001 / 23 / Ce[39], con una indicazione ripresa dall’art. 368 del decreto n. 14 del 2019. Se mai, questo ultimo non menziona il concordato in continuità diretta senza l’originaria previsione di un trasferimento di azienda, estranea al progetto iniziale, ma con una successiva opportunità. 
Qualora il concordato abbia pieno carattere liquidatorio, viene meno l’ostacolo frapposto dal diritto comunitario al riconoscimento di un completo potere derogatorio[40], anche in ordine alla prosecuzione del rapporto, secondo tesi riprese dall’art. 368, in modo convincente. Con la modificazione dell’art. 47, quinto comma, della legge n. 428 del 1990, nel corso del confronto collettivo, si prevede la stipulazione di contratti “in deroga all’articolo 2112, commi primo, terzo e quarto, del Codice civile”, con una persuasiva applicazione dell’art. 5 della direttiva 2001 / 23 / Ce[41], proprio per le finalità complessive del concordato. In caso di cessione dei beni, l’art. 114, primo comma, del decreto n. 14 del 2019 prevede la nomina di uno o più liquidatori; inoltre, per il quarto comma, “alle cessioni e ai trasferimenti legalmente posti in essere dopo il deposito della domanda di concordato o in esecuzione di questo, si applicano le disposizioni sulle vendite nella liquidazione giudiziale, in quanto compatibili”. A maggiore ragione è giustificata l’attribuzione al concordato di quella natura liquidatoria voluta dal diritto europeo[42], per la deroga piena all’art. 2112 cod. civ.. 
Se il caso in esame fosse stato deciso sulla scorta del decreto n. 14 del 2019, questa disposizione avrebbe sorretto le conclusioni della sentenza e, con ogni probabilità, l’esito ultimo sarebbe stato analogo, seppure in un quadro regolativo più chiaro. Comunque, il nuovo art. 47, quinto comma, della legge n. 428 del 1990 comporta una piena equiparazione fra il concordato liquidatorio e la liquidazione giudiziale; pertanto, in ordine alla valutazione della rispettiva, maggiore convenienza, il trasferimento di azienda offre le stesse opportunità ai fini della ricollocazione parziale del personale, con l’indifferenza dell’una o dell’altra procedura, in coerenza con l’ordinamento europeo e con l’applicazione degli stessi principi. Tale soluzione supera qualunque discrasia fra l’ordinamento italiano e quello europeo e crea le medesime opportunità per le due procedure, accomunate dagli obbiettivi, seppure perseguiti in modo differente. La scelta dell’art. 368 del decreto n. 14 del 2019 è ineccepibile e introduce trasferimenti di azienda più ordinati e coerenti con le indicazioni comunitarie, senza che si debba discutere dell’efficacia delle direttive. 

Note:

[1] 
Si legge nella sentenza: “è rilevante (…) la natura liquidatoria del concordato, che esclude l’applicazione della direttiva Ce / 23 / 01”, ai sensi del suo art. 5, comma primo. 
[2] 
V.: F. Scarpelli, Il mantenimento dei diritti del lavoratore nel trasferimento d’azienda: problemi vecchi e nuovi, in Quad. dir. lav. rel. ind., 2004, n. 28, Il trasferimento di azienda, 99 ss.; De Luca Tamajo, La disciplina del trasferimento di ramo d’azienda dal Codice civile al decreto legislativo n. 276 del 10 settembre 2003, in Aa. Vv., Mercato del lavoro: riforma e vincoli di sistema, a cura di De Luca Tamajo – Rusciano – L. Zoppoli, Napoli, 2004, 577 ss.; Lambertucci, Modifica all’articolo 2112, comma 5, del Codice civile, in Aa. Vv., La riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali, a cura di Gragnoli – Perulli, Padova, 2004, 468 ss.. 
[3] 
V.: Corte di giustizia, sez. II, 11 giugno 2009, C. – 561 del 2007, in Lav. giur., 2009, 1125. 
[4] 
Così si esprime la sentenza in esame, citando il decreto di omologazione della procedura di concordato preventivo. 
[5] 
Così si esprime la sentenza in esame, citando le dichiarazioni di un teste relative alla natura del trasferimento di azienda e al suo oggetto, con la precisazione per cui non vi sarebbero state contrarie allegazioni sul punto.
[6] 
V.: Tombari,Alcune riflessioni sulla fattispecie del concordato in continuità aziendale, in Il fallimentarista, 19 luglio 2013, 2 ss.. 
[7] 
V.: Gaudio, Trasferimento di azienda e crisi di impresa: una eterogenesi dei fini da parte del legislatore italiano?, in Arg. dir. lav., 2018, 211 ss.. 
[8] 
V.: Lo Faro, Le direttive in materia di crisi e ristrutturazioni di impresa, in Aa. Vv., Il lavoro subordinato, a cura di Sciarra – Caruso, in Aa. Vv., Trattato di diritto privato dell’Unione europea, a cura di Ajani – Benacchio, Torino, 2009, 540 ss.. 
[9] 
V. Corte di giustizia 7 febbraio 1985, C. – n. 179 del 1983; Corte di giustizia 7 febbraio 1985, C. – n. 186 del 1983; Corte di giustizia 11 luglio 1985, C. – n. 105 del 1984; Corte di giustizia 25 luglio 1991, C. n. 362 del 1989; Corte di giustizia 7 dicembre 1995, C. – n. 472 del 1993; Corte di giustizia 12 marzo 1998, C. - n. 319 del 1994; Corte di giustizia 12 novembre 1998, C. – n. 399 del 1996. 
[10] 
V.: Cester, Due recenti pronunzie della Corte di giustizia europea in tema di trasferimento di azienda. Sulla nozione di ramo di azienda ai fini dell’applicazione della direttiva e dell’inadempimento alla stessa da parte dello Stato italiano nelle ipotesi di deroga per crisi aziendale, in Riv. it. dir. lav., 2010, II, 232 ss.. 
[11] 
V.: Lambertucci,Circolazione di impresa e rapporti di lavoro, in Arg. dir. lav., 2018, 45 ss.. 
[12] 
V.: Anniballi, Il trasferimento di “ramo di azienda” nel fallimento e nell’amministrazione straordinaria compatibilità della disciplina italiana con la normativa europea, in Riv. it. dir. lav., 2012, I, 369 ss.; Vallauri, Lavoratori e trasferimento di ramo nell’impresa in crisi, in Aa. Vv., Esternalizzazioni e tutela dei lavoratori, a cura di Aimo – Izzi, Diritto del lavoro, diretto da F. Carinci, Milano, 2014, 346 ss.. 
[13] 
V.: Lambertucci, Trasferimento di azienda e problemi occupazionali, in Dir. rel. ind., 2010, 403 ss.; Serrano, Il trasferimento dell’azienda in crisi tra ordinamento comunitario e ordinamento nazionale: ultimo atto?, in Riv. giur. lav., 2010, I, 340 ss.; Menghini, L’attenuazione delle tutele individuali dei lavoratori in caso di trasferimento di azienda di impresa in crisi o soggetta a procedura concorsuali dopo la direttiva 50 / 98 e il decreto legislativo n. 270 del 1999, ibid., 299 ss.. 
[14] 
V.: Menghini, L’attenuazione delle tutele individuali dei lavoratori in caso di trasferimento di azienda di impresa in crisi o soggetta a procedura concorsuali dopo la direttiva 50 / 98 e il decreto legislativo n. 270 del 1999, loc. cit., 299 ss.. 
[15] 
V. Corte di giustizia, sez. II, 11 giugno 2009, C. – 561 del 2007, in Lav. giur., 2009, 1125; Corte di giustizia, sez. III, 22 giugno 2017, C. – n. 126 del 2016, Federatie Nederlandse Vekvereninging e altri c. Smllsteps Bv, in Riv. it. dir. lav., 2018, II, 148 ss.. 
[16] 
V.: Bollini, Protezione del lavoratore nel trasferimento di azienda: il decreto – legge n. 135 del 2009 e il cosiddetto “caso Alitalia” alla luce della disciplina comunitaria, in Riv. it. dir. lav., 2010, II, 338 ss.; Vallauri, La Corte di giustizia torna sulle condizioni per la disapplicazione delle tutele in caso di trasferimento di impresa soggetta a procedura concorsuale, ibid., 2018, II, 148 ss.. 
[17] 
V. Corte di giustizia, sezione terza, 16 maggio 2019, C. – n. 509 del 2017, Signora Plessers c. Prefaco Nv e altri, in Variaz. temi dir. lav., sito, 2019.
[18] 
V. Corte di giustizia, sezione terza, 16 maggio 2019, C. – n. 509 del 2017, Signora Plessers c. Prefaco Nv e altri, cit.. 
[19] 
V. Cass. 6 dicembre 2019, n. 31946, in Variaz. temi dir. lav., sito, 2019. 
[20] 
V.: Lambertucci, Trasferimento di azienda e problemi occupazionali, loc. cit., 403 ss.. 
[21] 
V. Cass. 6 dicembre 2019, n. 31946, cit.. 
[22] 
V.: Lambertucci, La disciplina dei rapporti di lavoro nel trasferimento dell’impresa sottoposta a procedure concorsuali: prime note sul codice della crisi di impresa e dell’insolvenza del 2019, in Riv. it. dir. lav., 2019. I, 149 ss.. 
[23] 
Invece, v. Cass. 6 dicembre 2019, n. 31946, cit..
[24] 
V.: Gaudio, Trasferimento di azienda e crisi di impresa: una eterogenesi dei fini da parte del legislatore italiano?, loc. cit., 211 ss..
[25] 
V. Cass. 6 dicembre 2019, n. 31946, cit.. 
[26] 
Se mai, ci si può chiedere come mai si sia avvertita la necessità di una illustrazione o di una conferma delle indicazioni del piano concordatario da parte di un teste, sebbene le sue dichiarazioni siano presentate in via integrativa e accessoria: “la circostanza è stata confermata pure dal teste (…), secondo cui il concordato nacque subito come liquidatorio e già dalla prima ammissione la società era stata autorizzata a portare a termine tutte le commesse in portafoglio con il divieto di acquisire nuovi ordini”. 
[27] 
V. Corte di giustizia, sez. III, 22 giugno 2017, C. – n. 126 del 2016, Federatie Nederlandse Vekvereninging e altri c. Smllsteps Bv, cit.. 
[28] 
V. Cass. 6 dicembre 2019, n. 31946, cit.. 
[29] 
V.: Tombari,Alcune riflessioni sulla fattispecie del concordato in continuità aziendale, loc. cit., 2 ss.. 
[30] 
Si legge nella pronuncia in esame: “è ovvio che nel periodo antecedente all’omologazione la società abbia proseguito l’ordinaria attività, ma ciò non incide sulla natura del concordato, chiaramente liquidatoria, come risultante dal decreto”. 
[31] 
V.: Tombari,Alcune riflessioni sulla fattispecie del concordato in continuità aziendale, loc. cit., 2 ss., sul nesso fra tale elemento e la posteriore stipulazione di un negozio di cessione. 
[32] 
Si legge nella pronuncia in esame: “benché la complessità degli accertamenti emerga documentalmente, il teste (…) ha confermato che nella fase antecedente al decreto (…) i tre commissari furono coinvolti in tutte le indagini necessarie a verificare la tenuta del piano concorsuale”.
[33] 
Non è possibile valutare il rilievo di una operazione di fusione societaria, cui si accenna in modo sintetico. 
[34] 
V.: Tombari,Alcune riflessioni sulla fattispecie del concordato in continuità aziendale, loc. cit., 2 ss.. 
[35] 
Si legge nella pronuncia in esame un riferimento “ai complessi e molteplici accertamenti svolti medio tempore per vagliare le possibili soluzioni”. 
[36] 
Si legge nella pronuncia in esame una specifica conferma del fatto che il trasferimento abbia riguardato solo un ramo. 
[37] 
V.: Tombari,Alcune riflessioni sulla fattispecie del concordato in continuità aziendale, loc. cit., 2 ss.. 
[38] 
V.: Trib. Padova 27 marzo 2014, in Dir. fall., 2015, II, 487. 
[39] 
V.: Lambertucci, Trasferimento di azienda e problemi occupazionali, in Dir. rel. ind., 2010, 403 ss.. 
[40] 
V.: Anniballi, Il trasferimento di “ramo di azienda” nel fallimento e nell’amministrazione straordinaria compatibilità della disciplina italiana con la normativa europea, loc. cit., 369 ss.. 
[41] 
V.: Lambertucci, Trasferimento di azienda e problemi occupazionali, loc. cit., 403 ss.. 
[42] 
V.: Lambertucci, Trasferimento di azienda e problemi occupazionali, loc. cit., 403 ss.. 

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Tempi di conservazione dei Suoi dati - I dati personali raccolti durante la navigazione saranno conservati per il tempo necessario a svolgere le attività precisate e non oltre 24 mesi.

Modalità del trattamento - Ai sensi e per gli effetti degli artt. 12 e ss. del GDPR, i dati personali degli interessati saranno registrati, trattati e conservati presso gli archivi elettronici delle Società, adottando misure tecniche e organizzative volte alla tutela dei dati stessi. Il trattamento dei dati personali degli interessati può consistere in qualunque operazione o complesso di operazioni tra quelle indicate all' art. 4, comma 1, punto 2 del GDPR.

Comunicazione e diffusione - I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati, intendendosi con tale termine il darne conoscenza ad uno o più soggetti determinati, dalla Società a terzi per dare attuazione a tutti i necessari adempimenti di legge. In particolare i dati personali dell’interessato potranno essere comunicati a Enti o Uffici Pubblici o autorità di controllo in funzione degli obblighi di legge.

I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati nei seguenti termini:

  • - a soggetti che possono accedere ai dati in forza di disposizione di legge, di regolamento o di normativa comunitaria, nei limiti previsti da tali norme;
  • - a soggetti che hanno necessità di accedere ai dati per finalità ausiliare al rapporto che intercorre tra l’interessato e la Società, nei limiti strettamente necessari per svolgere i compiti ausiliari.

Diritti dell’interessato - Ai sensi degli artt. 15 e ss GDPR, l’interessato potrà esercitare i seguenti diritti:

  • 1. accesso: conferma o meno che sia in corso un trattamento dei dati personali dell’interessato e diritto di accesso agli stessi; non è possibile rispondere a richieste manifestamente infondate, eccessive o ripetitive;
  • 2. rettifica: correggere/ottenere la correzione dei dati personali se errati o obsoleti e di completarli, se incompleti;
  • 3. cancellazione/oblio: ottenere, in alcuni casi, la cancellazione dei dati personali forniti; questo non è un diritto assoluto, in quanto le Società potrebbero avere motivi legittimi o legali per conservarli;
  • 4. limitazione: i dati saranno archiviati, ma non potranno essere né trattati, né elaborati ulteriormente, nei casi previsti dalla normativa;
  • 5. portabilità: spostare, copiare o trasferire i dati dai database delle Società a terzi. Questo vale solo per i dati forniti dall’interessato per l’esecuzione di un contratto o per i quali è stato fornito consenso e espresso e il trattamento viene eseguito con mezzi automatizzati;
  • 6. opposizione al marketing diretto;
  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

Dati di contatto - Società per lo studio del diritto della crisi con sede in via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN); email: ssdirittodellacrisi@gmail.com.

Responsabile della protezione dei dati - Il Responsabile della protezione dei dati non è stato nominato perché non ricorrono i presupposti di cui all’art 37 del Regolamento (UE) 2016/679.

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