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I criteri di accertamento del rischio di insolvenza al momento della concessione del finanziamento e del conseguente aggravamento del dissesto

Luciano M. Quattrocchio, Dottore commercialista e professore di diritto dell’economia presso l’Università di Torino

7 Febbraio 2025

L’A. si sofferma, anche attraverso una esemplificazione numerica, sul tema della valutazione del rischio di insolvenza nel frangente della concessione del finanziamento, illustrandone le correlazioni rispetto al possibile aggravamento del dissesto.
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1 . Premessa
Prima di affrontare, esclusivamente sul piano tecnico, gli effetti dell’illiceità del finanziamento assistito da garanzia statale ed erogato in un momento in cui si era già manifestato ed era noto lo stato di insolvenza, pare opportuno sgomberare il campo da errori metodologici. 
Una prima questione riguarda la verifica della coincidenza o meno delle situazioni di perdita del capitale sociale e di stato di insolvenza, che costituiscono – rispettivamente – i fondamentali presupposti per l’accertamento della ricorrenza delle ipotesi di responsabilità civilistica e penale, nei termini di cui si dirà più avanti. 
Purtroppo, nonostante – un po’ per semplicismo e un po’ per inerzia – le due situazioni vengano spesso fatte coincidere, si deve invece ritenere che la sovrapposizione non sia affatto scontata ed anzi si verifichi piuttosto di rado. 
Infatti, la perdita del capitale sociale – o, più correttamente, la riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale in conseguenza di perdite supe­riori ad un terzo – è un dato di carattere economico-patrimoniale, agevolmente accertabile attraverso l’esame del bilancio d’esercizio. Essa si verifica quando – per effetto delle perdite d’esercizio, che devono avere preventivamente ero­so tutte le riserve – il capitale sociale risulti inciso per più di un terzo e si ridu­ca, seppure solo virtualmente, al di sotto del minimo legale. Si tratta, quindi, di una situazione oggettiva e di agevole accertamento. 
Nella pratica professionale, la verifica viene condotta dopo avere apportato al bilancio d’esercizio le rettifiche necessarie per eliminare le conseguenze delle politiche di window dressing, in tal modo conferendo un margine di opi­nabilità al risultato raggiunto, che – tuttavia – per il resto rimane incontrover­tibile. 
Costituisce, tuttavia, un errore – anche piuttosto grave – ritenere che la perdita del capitale sociale rappresenti un indice certo – o, peggio ancora, l’unico indice – di manifestazione dello stato di insolvenza. 
Se così fosse, infatti, si dovrebbe concludere che gran parte delle disposi­zioni dettate dal legislatore civilistico per disciplinare la liquidazione sarebbero inutili, giacché la liquidazione non potrebbe mai concludersi in bonis. Non bi­sogna, d’altronde, dimenticare che la principale causa di scioglimento delle so­cietà di capitali è costituita – per l’appunto – dalla perdita del capitale sociale. 
Né, d’altro canto, si deve ritenere che lo stato di insolvenza presupponga necessariamente la perdita del capitale sociale, giacché – come ha avuto modo di precisare la Suprema Corte – esso può manifestarsi anche quando le attività siano superiori alle passività – e, quindi, il patrimonio netto non sia inciso dalle perdite –, ma le stesse non siano agevolmente liquidabili. 
Ma il problema può considerarsi superato già a far data dalla riforma della disciplina delle società di capitali, introdotta ormai da oltre vent’anni, che ha modificato l’art. 2423-bis c.c., il quale – al comma 1 – prevede che «Nella redazione del bilancio devono essere osservati i seguenti principi: … 1) la valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione dell'attività». 
Nelle azioni di responsabilità, l’attenzione – infatti – deve ora essere focalizzata non più sulla perdita del capitale sociale come causa di scioglimento della società, ma sulla perdita della continuità aziendale che – per effetto del cambiamento dei criteri di valutazione – determina la perdita del capitale sociale. 
Ma anche tale procedimento, nel tema che ci si propone di affrontare, non ha motivo di essere applicato, poiché l’eventuale illiceità del finanziamento erogato (o inefficacia della garanzia) muove dal presupposto che si sia già manifestato lo stato di insolvenza, circostanza che – come si è detto – non coincide con la perdita del capitale sociale, e – a stretto rigore – neppure con la perdita della continuità aziendale. Infatti, la perdita della continuità aziendale – almeno nella sua fase inziale – costituisce una situazione di precrisi o, tutt’al più, di crisi, ma certamente non ancora di insolvenza. 
2 . La (erronea o omessa) valutazione del merito creditizio
Fermo restando quanto sopra enunciato, nella valutazione dell’illiceità del finanziamento (o dell’inefficacia della garanzia), che presuppone l’erronea o omessa valutazione del merito creditizio, occorre – inoltre – tenere conto della base documentale di cui la banca finanziatrice poteva disporre all’epoca del finanziamento. 
In tale prospettiva occorre dare corso ad un prima verifica consistente nell’applicazione degli indicatori volti ad accertare la sussistenza della continuità aziendale, attraverso l’analisi per indici secondo i criteri tradizionali suggeriti dalla dottrina aziendalistica e lo Z-Score, naturalmente sui bilanci pubblicati. 
Si deve, peraltro, richiamare l’attenzione sulla circostanza – ma lo si è già detto – che la perdita della continuità aziendale – il cui accertamento è necessario al fine di verificare l’applicabilità di criteri di liquidazione, in luogo di criteri di continuità aziendale – non coincide con la manifestazione dello stato di insolvenza: è necessario, dunque, svolgere ulteriori approfondimenti. 
Occorre, successivamente, operare una prova di resistenza, attraverso l’applicazione degli indicatori contenuti nel documento del CNDCEC (“Gli indici dell’allerta ex art. 13, co. 2 codice della crisi e dell’insolvenza - bozza del 19 ottobre 2019”). In tale documento, infatti, si dà atto che è stato adottato un «… approccio di selezione multivariato che ha combinato aspetti qualitativi ad aspetti quantitativi data-driven ha consentito di esplorare un numero estremamente elevato di combinazioni. In particolare, si sono prima definiti per i diversi settori dei modelli di benchmark basati sull’analisi esperta e sugli indici più rappresentativi derivati dalla fase di esplorazione univariata e delle correlazioni. Tali modelli, concettualmente robusti, sono stati comparati con migliaia di altri modelli alternativi definiti combinando fino a 5 indici di bilancio, secondo una logica supervisionata di combinazioni che massimizzasse l’eterogeneità dei segnali e la copertura delle aree di analisi. Questo test ha permesso di fare evolvere i modelli benchmark verso un nucleo solido di indici reputati efficaci, testando come il livello di efficacia varia a seconda dei settori. I modelli selezionati sono quindi il risultato di: i) un’esplorazione massiva di migliaia di modelli alternativi; ii) un’analisi sistematica degli indici più rappresentativi; iii) un’analisi qualitativa dei segnali più significativi; iv) una selezione logico-qualitativa supportata dalle evidenze numeriche». 
Tale verifica è essenziale, giacché consente di confermare con ragionevole certezza che l’impresa si trova quantomeno in situazione di crisi: il documento, nell’elencare gli indici, chiarisce che gli stessi «fanno ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di crisi». Al proposito è opportuno, infatti, rammentare che la crisi non coincide con l’insolvenza, ma la rende solo probabile prospetticamente: dunque, se l’applicazione degli indici esclude la sussistenza di uno stato di crisi, a maggior ragione deve escludersi lo stato di insolvenza. 
In particolare, è necessario accertare il momento a partire dal quale l’impresa non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, condizione che – anche a seguito della riforma – costituisce indice certo dello stato di insolvenza. 
Al fine dell’accertamento di tale condizione, i dati ricavabili dalla Centrale Rischi – da leggersi in correlazione con gli indici di bilancio e gli “indici dell’allerta” – possono fornire utili indicazioni. 
3 . L’aggravamento del dissesto
Una volta che si sia accertata la manifestazione dello stato di insolvenza in epoca antecedente all’erogazione del finanziamento e la conoscenza/ragionevole conoscibilità da parte della banca erogatrice, l’aggravamento del dissesto può essere calcolato assumendo a riferimento esclusivamente il differenziale fra patrimoni netti: non occorre – infatti – tenere conto degli oneri di liquidazione, giacché – in tale situazione – il dovere degli amministratori non si limita al divieto di porre in essere nuove operazioni, ma impone il ricorso a strumenti di risoluzione della crisi. 
Ci si potrebbe interrogare se sia opportuno esaminare le prospettive derivanti dal ricorso a strumenti di regolazione della crisi d’impresa alternativi al fallimento (ora liquidazione giudiziale), ma si dovrebbe concludere nel senso che tale esame possa essere omesso giacché trattasi di strumenti non obbligatori e rimessi alla discrezionalità del debitore. 
4 . Il concorso all’aggravamento del dissesto
Ipotizzando che sia stato possibile retrodatare la manifestazione dello stato di insolvenza ad epoca antecedente all’erogazione del finanziamento e la conoscenza/ragionevole conoscibilità da parte della banca erogatrice, occorre accertare il contribuito del finanziamento concesso abusivamente all’aggravamento del dissesto. 
In tale prospettiva si deve, necessariamente, tenere conto del fatto che esistono diverse fonti di finanziamento, alcune esplicite (come i finanziamenti bancari), altre implicite (ad esempio le normali dilazioni di pagamento delle forniture, i termini di versamento degli oneri fiscali). 
È, dunque, necessario attribuire un peso al contributo di ciascuna fonte di finanziamento, nella loro dimensione quantitativa a partire dalla data di manifestazione dello stato di insolvenza e sino al suo accertamento giudiziale, e isolare il contributo del finanziamento in oggetto. 
5 . Un esempio numerico
Al fine di dare concretezza al ragionamento sopra riportato, si ritiene utile fare ricorso ad un esempio numerico, basato sulle seguenti assunzioni. 
Le risultanze del bilancio d’esercizio al 31 dicembre 2019 depositato di una certa impresa sono le seguenti:

Il consulente tecnico, con riferimento al 31/12/2019, accerta: 
· la perdita della continuità aziendale; 
· l'incapacità di adempiere regolarmente alle obbligazioni. 
Al proposito, il metodo tradizionale di retrodatazione della perdita del capitale sociale – come si è detto – non può essere applicato per le seguenti ragioni: 
· le banche hanno un bagaglio informativo limitato con riguardo alle poste normalmente alterate: crediti inesigibili, magazzino, partecipazioni; 
· le banche hanno informazioni, dirette e indirette (Centrale Rischi), per valutare la capacità di adempiere regolarmente alle obbligazioni. 
La perdita della continuità aziendale impone l’applicazione di criteri di liquidazione e determina una serie di svalutazioni che incidono sul bilancio, ad esempio nei termini di seguito rappresentati:

Come già riferito, lo stato di insolvenza fa venir meno la necessità di tenere conto degli oneri di liquidazione. 
In ipotesi, l’impresa – il 1° gennaio 2020 – contrae un finanziamento di 2.000,00, con durata pari a 5 anni, ed entra in procedura il 1/1/2025.

L'aggravamento del dissesto è pari alla differenza fra patrimoni netti (8.200,00 - 2.800,00), e cioè – 5.400,00.

La tabella sopra riportata, con colonne suddivise per mesi, si basa sulle seguenti assunzioni: 
· i fornitori applicano una dilazione media di 2 mesi; 
· esistono altri finanziamenti bancari, a rimborso rateale, di durata annuale: giacenza media di 6 mesi; 
· il finanziamento in oggetto ha durata di 5 anni, con una giacenza media di 2,5 anni (30 mesi); 
· gli enti (Fisco, Inps, ecc.) concedono implicitamente una dilazione media di 1 mese: si ipotizza una distribuzione lineare del debito IVA e del carico previdenziale. 
Naturalmente, occorre inserire la somma di tutti i finanziamenti (impliciti e espliciti) erogati dalla data di manifestazione dello stato di insolvenza, e cioè per una durata complessiva di cinque anni. 
Tenendo conto del peso del finanziamento assistito da garanzia statale, il concorso della banca all’aggravamento del dissesto può essere come di seguito quantificato.

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