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I contratti pendenti nella liquidazione coatta amministrativa delle imprese bancarie

Sido Bonfatti, Ordinario di diritto commerciale nell’Università di Modena e Reggio Emilia

15 Luglio 2022

L'Autore svolge un'articolata panoramica sulla complessa tematica dei contratti pendenti nella LCA delle banche.
Riproduzione riservata
1 . Premessa. La disciplina della crisi delle banche nell’ordinamento concorsuale italiano
Nell’ordinamento concorsuale italiano la disciplina della “crisi” dell’impresa è ospitata principalmente – da un punto di vista storico, sistematico, e anche con riguardo ai contenuti espressi – nella c.d. “legge fallimentare” (rappresentata dal r.d. 16 marzo 1942, n. 267), che prossimamente sarà sostituita dal Codice della Crisi d’Impresa dell’Insolvenza (“CCI”). L’una e l’altro disciplinano una pluralità di procedure di composizione delle situazioni di “crisi” dell’impresa, alcune delle quali sono caratterizzate da effetti giuridici sul patrimonio dell’imprenditore di tale natura e di tale portata, da sconvolgere le regole di disposizione da parte dell’imprenditore stesso dei propri beni e dei rapporti giuridici che a lui fanno capo. Tali procedure vengono definite “procedure concorsuali”, non soltanto per comodità descrittiva, ma anche in funzione della individuazione della disciplina ad esse applicabile o non applicabile (un esempio di grande importanza essendo offerto dalla disposizione dell’art. 111, co. 2, l. fall. – nonché dell’art. 6, co 1, lett. d), CCI –, secondo la quale «sono considerati crediti prededucibili» – quindi collocati al primo posto nell’ordine della distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione fallimentare: art. 111, co. 1, n. 1, l.fall. – i crediti «sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali»). Ferma la difficoltà di attribuire o negare a singole “procedure di crisi” la natura di “procedura concorsuale” [1], ad avviso di chi scrive le “procedure concorsuali” rintracciabili nella legge fallimentare, e per tale ragione applicabili alle imprese cc.dd. “di diritto comune”, devono essere circoscritte alle procedure di fallimento e di concordato preventivo [2].
Tali procedure risultano applicabili, in sostanza ed in estrema sintesi, alle sole imprese commerciali di medie dimensioni “di diritto comune”. Infatti le imprese aventi natura diversa da quella commerciale non sono ricomprese nell’ambito di applicazione del fallimento e del concordato preventivo (cfr. art. 1, co. 1, l.fall.); le imprese cc.dd. “sotto soglia” – per le limitate dimensioni dell’attivo, del passivo e del fatturato: cfr. art. 1, co. 1, l.fall. – ne sono parimenti escluse; le «grandi imprese», come quelle «di rilevanti dimensioni», sono soggette a procedure concorsuali di diritto speciale; e, infine, le imprese – quale che ne siano le dimensioni – che esercitano attività “speciali” – per tali intendendo essenzialmente le attività esercitabili solo subordinatamente alla concessione di autorizzazioni amministrative, ovverosia soggette a vigilanza amministrativa – sono soggette a “discipline delle crisi” di diritto speciale, tendenzialmente diverse secondo la natura dell’attività “speciale” esercitata.
Tale complesso assetto (reso anche più articolato dalla introduzione nell’ordinamento “concorsuale” della disciplina delle procedure cc.dd. di “insolvenza civile”: l. 27 gennaio 2012, n. 3, come integrata e modificata dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221 – che ad onta della denominazione convenzionalmente utilizzata per identificarla, non concerne soltanto le situazioni di crisi dei debitori cc.dd. “civili” (cioè non esercitanti una attività d’impresa), bensì anche le stesse imprese, ove sottratte alle procedure di fallimento e di concordato preventivo –, è un assetto che risulta già delineato in apertura della legge fallimentare. Infatti subito dopo aver precisato, all’art. 1, quali imprese sono soggette al fallimento (e al concordato preventivo, che insieme al fallimento definiremo procedure concorsuali di diritto comune), la legge fallimentare precisa, all’art. 2, che in realtà vi sono imprese che «non sono soggette a fallimento»; e fa capire che esse sono soggette «a liquidazione coatta amministrativa».
Contestualmente la norma in questione precisa che «i casi per i quali la [predetta] liquidazione coatta amministrativa può essere disposta e l’autorità competente a disporla» sono determinati dalla «legge»: e il pensiero deve anzitutto rivolgersi a quella parte della medesima legge fallimentare (Titolo V: artt. 194 ss.) nella quale si disciplina (proprio) la liquidazione coatta amministrativa, ribadendo che essa è disciplinata dalle «leggi speciali» che la prevedono, ed ove esse non dispongano, dalle disposizioni dettate dalla legge fallimentare.
Il richiamo a «leggi speciali», che postula l’esistenza di una pluralità di discipline (e conseguentemente di una pluralità di «procedure», in relazione alle diverse discipline rispettivamente contenute in ciascuna «legge speciale»), fa immediatamente comprendere che le disposizioni sulla procedura di l.c.a. dettate nel fallimento vogliono costituire il minimo comune denominatore delle discipline delle procedure di l.c.a. contenute nelle leggi diverse dal fallimento, in funzione o integrativa delle stesse, laddove esse presentino lacune; o sostitutiva delle stesse, limitatamente a quelle che risultino in contrasto con disposizioni introdotte per la l.c.a. dalla legge fallimentare, alle quali in tale occasione il legislatore ha ritenuto dovere attribuire carattere imperativo (infatti l’art. 194, co. 2, l.fall., dispone l’abrogazione delle disposizioni delle «leggi speciali» sulle procedure di l.c.a. che risultino «incompatibili con quelle degli articoli 195, 196, 200, 201, 202, 203, 209, 211 e 213» l.fall.).
Come si è già accennato, la legge fallimentare vigente è destinata ad essere sostituita dalla disciplina contenuta nel d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, con la quale è stato varato il nuovo «Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza», in attuazione della legge delega 19 ottobre 2017, n. 155. Poiché, da un lato, la riforma entrerà in vigore soltanto il 15 luglio 2022 (ed oltre a ciò sono previste ulteriori innovazioni, essendo già stati approvati, in prima lettura, in data 17 marzo 2022, interventi correttivi che tengono conto anche dell’obbligo di recepimento della direttiva (UE) 2019/1023 sui “Quadri di Ristrutturazione Preventiva”) [3]; da un altro lato, i fallimenti dichiarati prima di tale data proseguiranno secondo la disciplina già attuale; e infine, da un altro lato ancora, le disposizioni riguardanti la disciplina delle procedure di L.C.A. nella liquidazione giudiziale che prenderanno il posto di quelle contenute nella vigente legge sul fallimento non si discosteranno di molto da quelle di cui al r.d. n. 267/1942 [4]: nel prosieguo si continuerà per il momento a fare ancora riferimento alla legge fallimentare.
2 . Segue: la disciplina delle crisi delle banche a seguito del recepimento delle direttive dell’Unione Europea in materia di crisi bancarie
Le banche (e le società facenti parte dei «gruppi bancari»), in base alle disposizioni dettate dagli artt. 69-bis ss. t.u.b. non sono soggette, in linea di principio, alla «disciplina delle crisi» di diritto comune. In particolare, le banche non sono soggette al fallimento (lo si ricava implicitamente ma inequivocabilmente da quanto disposto dall’art. 82, co. 1, t.u.b., ed in particolare dal rinvio ivi di- sposto all’art. 195, co. 1, l.fall. – che riguarda l’impresa «soggetta a liquidazione coatta amministrativa con esclusione del fallimento» –; nonché da quanto dispone l’art. 80, co. 6, t.u.b., a mente del quale «le banche non sono soggette a procedure concorsuali diverse dalla liquidazione coatta prevista dalle norme della presente sezione»); non erano soggette all’amministrazione controllata, sino a quando tale procedura non è stata abrogata (v. art. 3, co. 2, l.fall. previgente; v. art. 70, co. 7, t.u.b. tuttora vigente); non sono soggette al concordato preventivo (cfr. art. 80, co. 6, t.u.b.); non sono soggette alla disciplina prevista dall’art. 2409 c.c., per l’ipotesi di denuncia da parte dei soci (o del Pubblico Ministero) di asserite irregolarità gestionali (v. art. 70, co. 7, t.u.b.).
Sino alle recenti modificazioni originate dal recepimento della direttiva n. 2014/59/UE (Bank Recovery and Resolution Directive – BRRD) – cfr. d.lgs. 16 novembre 2015, n. 180 –, in luogo delle procedure, concorsuali e non, predi- sposte dal diritto comune per la prevenzione, il regolamento o il superamento delle situazioni di «crisi», la corrispondente disciplina delle banche prevedeva diversi procedimenti, che in relazione alla intensità dell’intervento sulla gestione e sull’impresa erano identificabili – in sequenza progressiva – nei «provvedimenti straordinari»; nella «gestione provvisoria»; nella «amministrazione straordinaria»; e nella «liquidazione coatta amministrativa».
Ora il quadro di riferimento è significatamene mutato, perché la legislazione dell’Unione Europea in materia ha innovativamente introdotto (e fatto introdur- re negli ordinamenti nazionali) nuove misure e nuove procedure di prevenzione, superamento e composizione delle “situazioni di crisi” bancarie, che rendono l’ordinamento concorsuale degli istituti di credito, nel nostro sistema normativo, alquanto più complesso. Esso infatti ora comprende (per quanto ci interessa in questa sede) misure suddivisibili in tre possibili categorie, comportanti l’applicazione di disposizioni via via più incisive e più invasive, che possono descriversi come:
a) misure di prevenzione della “crisi”, rappresentate dai nuovi istituti del «piano di risanamento» (art. 69-ter); e del «piano di risoluzione» (art. 7 d.lgs. n. 180/2015);
b) misure di intervento precoce, che comprendono la adottabilità, come nel passato, di “provvedimenti straordinari” (art. 78 t.u.b.) e di “sospensione dei pa- gamenti” (art. 76 t.u.b.), ai quali si aggiungono i nuovi istituti rappresentati dai “Poteri di intervento” sugli esponenti aziendali (art. 53-bis t.u.b.) e dal c.d. “removal” (art. 69-octiesdecies t.u.b.);
c)     misure di superamento o composizione della crisi, che comprendono gli istituti già noti dell’amministrazione straordinaria (artt. 70 ss. t.u.b.) e della liquidazione coatta amministrativa (artt. 80 ss. t.u.b.), ai quali si aggiungono le nuove misure di risoluzione dell’impresa bancaria (art. 17 ss. d.lgs. n. 180/2015).
Al fenomeno descritto se ne affianca un altro, di minor rilievo pratico, ma non necessariamente di minor interesse scientifico: il corrispondente arricchimento dell’ordinamento concorsuale di diritto comune, che in tanto in quanto registri l’introduzione di istituti privi della natura giuridica di “procedura concorsuale” – che ne determinerebbe l’inapplicabilità alle banche in conseguenza del “divieto” disposto dal già menzionato art. 80, co. 6, t.u.b. –, ne consente l’adozione anche da parte degli istituti di credito, in aggiunta alla disponibilità delle (nuove) misure di diritto concorsuale bancario. Si vuole alludere agli istituti del «piano di risanamento attestato» (art. 67, co. 3, lett. d), l.fall.) e dell’«accordo di ristrutturazione» (art. 182-bis ss. l.fall.), la cui natura di “procedura concorsuale” deve, ad avviso di chi scrive, essere esclusa, con la conseguente (e giudizialmente sperimentata, sia pure in termini episodici) applicabilità anche agli intermediari bancari e finanziari [5].
In termini generali, pertanto, l’indagine sugli effetti prodotti da una situazione di “crisi” della banca sui contratti pendenti con i terzi deve essere condotta con riguardo alle singole misure ed ai singoli procedimenti di volta in volta attuabili, nell’ambito del diritto concorsuale speciale (bancario), ovvero del diritto concorsuale comune applicabile anche alle banche. In questa sede l’esame sarà circoscritto all’ipotesi di assoggettamento della banca alla procedura di L.C.A. (ovvero dell’alternativa procedura di “risoluzione”).
3 . Le misure di superamento e di composizione delle crisi bancarie
Sino alle recenti innovazioni normative conseguite all’attuazione della già ri- cordata Direttiva Comunitaria BRRD le misure di superamento ovvero di composizione delle crisi bancarie erano rappresentate dall’amministrazione straordinaria e dalla liquidazione coatta amministrativa.
La prima, non diversamente da quanto si poteva cogliere nell’istituto del- la amministrazione controllata di diritto comune (abrogata con la riforma della legge fallimentare del 2005, ma confluita nel concordato preventivo, venendo a costituirne la sotto-specie del concordato c.d. «in continuità aziendale»), era funzionale al “risanamento” dell’impresa bancaria.
La seconda, non diversamente dalla procedura di fallimento di diritto comune, postulava la cessazione dell’attività d’impresa (in conseguenza, se non altro, della contemporanea revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria), e svolgeva la funzione di soddisfacimento delle pretese dei creditori attraverso la ripartizione del ricavato dalla liquidazione degli attivi della banca in l.c.a. (ovvero attraverso la assunzione delle passività della stessa da parte di un’altra banca, di accertata solvibilità).
Le due procedure menzionate sono state confermate, pur registrando alcune innovazioni (in particolare, con riguardo ai presupposti della l.c.a. bancaria): ma la disciplina delle crisi degli istituti di credito è stata integrata dalla introduzione di inedite “procedure di gestione delle crisi” bancarie, che comprendono una vera e propria “procedura concorsuale”, denominata “procedura di risoluzione”, alternativa alla liquidazione coatta amministrativa bancaria. È con riguardo a tali procedimenti, pertanto, che deve essere esaminato il problema degli effetti prodotti dalla loro apertura sui contratti in essere con la banca in crisi, per poi focalizzarsi sulla disciplina particolare ad essi riservata nell’ipotesi di assoggettamento della banca alla L.C.A.
3.1 . Le procedure di gestione delle crisi bancarie
Quando una impresa bancaria venga a versare in una situazione di «dissesto» o di «rischio di dissesto», come definita dall’art. 17 d.lgs. n. 180/2015 (su cui torneremo in appresso), e «non si possano ragionevolmente prospettare misure alternative…», vengono disposte – alternativamente – le seguenti “procedure” (art. 20 d.lgs. cit.):
(i) la riduzione o conversione di azioni, o di altri strumenti di capitale; ovvero
(ii) la liquidazione coatta amministrativa; ovvero
(iii) la «risoluzione» della banca, «quando la Banca d’Italia ha accertato la sussistenza dell’interesse pubblico, che ricorre quando la risoluzione è necessaria e proporzionata per conseguire uno o più obiettivi indicati dall’articolo 21 continuità nelle funzioni essenziali…; stabilità finanziaria; contenimento degli oneri a carico delle finanze pubbliche; tutela dei depositanti e degli investitori… nonché dei fondi e delle altre attività della clientela»] e la sottoposizione della banca a liquidazione coatta amministrativa non consentirebbe di realizzare questi obiettivi nella stessa misura».
La “misura” della riduzione o conversione di azioni o di altri strumenti di capitale non interessa la disciplina dei contratti bancari pendenti alla data della sua adozione, riguardando fenomeni di “azzeramento” o di “trasformazione” di titoli azionari, obbligazionari o assimilati, detenuti dai sottoscrittori.
Le procedure di liquidazione coatta bancaria e di «risoluzione» della banca, invece, producono di per sé rilevanti effetti sui contratti in corso.
3.2 . Liquidazione coatta amministrativa bancaria
L’art. 80, co. 1, t.u.b. disciplina la revocabilità dell’autorizzazione all’attività bancaria e la sottoponibilità a liquidazione coatta amministrativa delle «banche».
Fino alla modificazione conseguente all’entrata in vigore dei decreti legislativi n. 180/2015 e n. 181/2015 di attuazione della dir. 2014/59/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 – relativa alla risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento (BankRecovery and Resolution Directive, in seguito BRRD) –, la disciplina dei presupposti oggettivi di assoggettabili- tà delle «banche» a liquidazione coatta amministrativa (contenuta nell’art. 80 t.u.b.) si rapportava all’art. 70 (disciplina dell’amministrazione straordinaria) negli stessi termini in cui l’art. 67 della legge bancaria previgente si rapportava all’art. 57 della stessa legge. I presupposti, cioè, erano essenzialmente gli stessi, se non che le irregolarità, gli inadempimenti, le perdite, eccetera, non si dovevano prospettare soltanto come «gravi» (nel qual caso si sarebbe dato corso all’assoggettamento della banca alla amministrazione straordinaria), bensì «di eccezionale gravità».
Il recepimento nell’ordinamento nazionale della BRRD, disposto con l’approvazione (per quanto ci interessa in questa sede) del d.lgs. 16 novembre 2015,
n. 180, ha peraltro portato al tema dei presupposti oggettivi di assoggettabilità dell’impresa bancaria alla procedura di liquidazione coatta amministrativa im- portanti innovazioni.
La disciplina in commento, prima della modifica conseguente al recepimento della direttiva dell’Unione Europea richiamata, prevedeva che l’assoggettamento a l.c.a. dell’impresa bancaria avrebbe potuto essere disposto «qualora le irregolarità nell’amministrazione o le violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie o le perdite previste dall’art. 70 T.U.» fossero «di eccezionale gravità».
A seguito dell’innovazione normativa apportata dal citato d.lgs. n. 180/2015 la disciplina in parola condiziona oggi l’assoggettabilità della banca alla l.c.a. alla ricorrenza dei «presupposti indicati nell’articolo 17» del medesimo d.lgs., «ma non [di] quelli indicati nell’articolo 20, comma 2, del medesimo decreto per dispor- re la risoluzione».
Pertanto oggi le fattispecie alla base dei presupposti di assoggettabilità della banca a l.c.a. non sono soltanto considerevolmente diverse (come vedremo), a prescindere dalla maggiore o minore intensità della “gravità”, dalle fattispecie che possono originare i presupposti di apertura della procedura di amministrazione straordinaria bancaria: ma, oltre a ciò, registrano anche l’introduzione di presupposti negativi, rappresentati dall’accertamento della insussistenza dei
«presupposti …per disporre la risoluzione».
Le ragioni di ciò sono da individuare in due fattori:
(I) il primo, rappresentato dalla circostanza che l’art. 17 d.lgs. n. 180/2015, al quale oggi l’art. 80, co. 1, t.u.b. fa riferimento, disciplina i «presupposti comuni… alle procedure di gestione delle crisi bancarie», che non sono più circoscritte alla sola l.c.a. bancaria, ma ricomprendono anche «la riduzione e con- versione di azioni, di altre partecipazioni e strumenti di capitale emessi dalla banca», nonché «la risoluzione della banca» (cfr. art. 20 d.lgs. cit.) – mentre non si fa menzione di misure equiparabili alla procedura di amministrazione straordinaria di cui all’art. 70 t.u.b.: ed a ragione, trattandosi di istituto che di per sé non comporta effetti economico-patrimoniali sulla impresa bancaria, ma soltanto un intervento sulla governance –;
(II) la l.c.a. bancaria è disposta «se la misura indicata alla lettera a)» del d.lgs. n. 180/2015, rappresentata dalla procedura di risoluzione, «non consente di ri- mediare allo stato di dissesto o di rischio di dissesto» della banca. Così che – co me detto – non è consentito disporre la l.c.a. bancaria se non è stata verificata preliminarmente la mancanza dei presupposti per l’apertura della procedura di risoluzione bancaria.
La nuova disciplina della procedura di gestione della crisi bancaria, derivante dal recepimento della BRRD, è caratterizzata dalla seguente impostazione:
A) omogeneità dei presupposti: secondo l’art. 17, co. 1, d.lgs. n. 180/2015, «una banca è sottoposta a una delle misure indicate dall’articolo 20 [individuazione della procedura di crisi] quando ricorrono congiuntamente» una serie di presupposti comuni (su cui infra);
B) alternatività funzionale: secondo l’art. 20 d.lgs. n. 180/2015, «quando risultano accertati i presupposti indicati dall’articolo 17», nei confronti della banca in crisi è disposta:
B.1.) la misura della riduzione o conversione di azioni, partecipazioni e strumenti di capitale della banca, «quando ciò consente di rimediare allo stato di dissesto o di rischio di dissesto»; in caso contrario
B.2.) la misura della risoluzione della banca, secondo quanto previsto dal Ca- po III del d.lgs. n. 180/2015, se detta misura «consente di rimediare allo stato di dissesto o di rischio di dissesto»; o infine
B.3.) la liquidazione coatta amministrativa, «se la misura indicate alla lettera a)  [risoluzione della banca] non consente di rimediare allo stato di dissesto o di rischio di dissesto».
Si può quindi concludere che, in linea di principio, la scelta della misura da adottare per la soluzione della crisi dell’impresa bancaria non dipende (più) dall’accertamento della intensità della gravità della stessa, nel momento in cui si manifesta, bensì dalla valutazione dell’attitudine a “rimediare” allo stato di crisi, a partire dalla misura caratterizzata da minore invasività per poi passare a quella progressivamente più incisiva.
I presupposti di assoggettabilità della banca alla l.c.a. (oggi: ad una delle procedure di gestione delle crisi bancarie, tra le quali la l.c.a.) riprendono, come vedremo, la dicotomia “crisi di legalità” versus “crisi economica”, che caratterizzava la disciplina previgente.
A seguito del recepimento della BRRD i nuovi presupposti di cui discutiamo – che devono sussistere congiuntamente – sono rappresentati da:
(i) la condizione di «dissesto» o di «rischio di dissesto» della banca; e
(ii) l’insussistenza di «misure alternative» che permettano di superare la condizione di dissesto o di rischio di dissesto «in tempi adeguati» (potendo essere costituite le misure alternative da «l’intervento di uno o più soggetti privati o di un sistema istituzionale, o di un’azione di vigilanza, che può includere misure di intervento precoce, o l’amministrazione straordinaria ai sensi del Testo Unico Bancario»).
Per condizione di «dissesto» o di «rischio di dissesto» si intende (art. 17, co. 2) una o più delle seguenti situazioni:
a) risultano irregolarità nell’amministrazione o violazioni di disposizioni legislative, regolamentarie o statutarie che regolano l’attività della banca di gravità tale che giustificherebbero la revoca dell’autorizzazione all’esercizio delle attività;
b) risultano perdite patrimoniali di eccezionale gravità, tali da privare la banca dell’intero patrimonio o di un importo significativo del patrimonio;
c) le sue attività sono inferiori alle passività;
d) essa non è in grado di pagare i propri debiti alla scadenza;
e) elementi oggettivi indicano che una o più delle situazioni indicate nelle lettere a) , b), c) e d) si realizzeranno nel prossimo futuro;
f) è prevista l’erogazione di un sostegno finanziario pubblico straordinario a suo favore, fatto salvo quanto previsto dall’art. 18.
I presupposti di assoggettamento della banca alla l.c.a. sono pertanto, oggi, significativamente diversi da quelli in vigore sino a poco tempo fa: e – soprattutto – non sono più riconducibili (soltanto) ai presupposti di assoggettabilità della banca ad amministrazione straordinaria, con la sola differenza della maggiore o minore intensità del profilo patologico.
3.3 . Gli effetti della l.c.a. bancaria
Con la disposizione della liquidazione coatta amministrativa si producono innanzitutto gli effetti dell’apertura dell’amministrazione straordinaria nelle situazioni più gravi (conseguenza logica della circostanza che, prima del recepimento della BRRD, la l.c.a. poteva essere disposta, come detto, quando ricorressero gli stessi presupposti che avrebbero comportato la disposizione della amministrazione straordinaria, solo contrassegnati da una gravità «eccezionale»): vale a dire (i) la sospensione del «pagamento delle passività di qualsiasi genere»; nonché delle (ii) «restituzioni di beni di terzi» (art. 83, co. 1, t.u.b.).
A questi effetti si aggiungono, per quel che interessa in questa sede, gli effetti previsti [dagli artt. 42, 44, 45 e 66 l.fall.; dagli artt. da 51 a 63 l.fall.; nonché] «dalle disposizioni del titolo II, capo III, sezione IV della legge fallimentare» (art. 83, co. 2, t.u.b.), ossia dagli artt. da 72 a 83 l.fall., concernenti gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti.
Si può dire pertanto che in linea di principio gli effetti della l.c.a. della banca sui contratti (bancari) in corso sono gli stessi effetti del fallimento di uno dei con- traenti (che rivesta la posizione che la banca riveste nel singolo contratto bancario: per es. mandatario piuttosto che mandante): ma l’affermazione richiede alcune importanti precisazioni.
In via preliminare occorre osservare che il rinvio alle disposizioni della legge fallimentare per la individuazione degli effetti della disposizione della l.c.a. della banca sui rapporti giuridici preesistenti è oggi assai più pertinente di quel che non fosse in passato, alla luce del recente allineamento dei principi del diritto fallimentare comune ai principi del diritto concorsuale bancario speciale, in materia di effetti dell’apertura della procedura concorsuale sull’impresa «in crisi», in considerazione dell’esigenza di salvaguardare per quanto possibile il valore economico dell’azienda come organismo produttivo ancora integro. Si è assistito infatti, con la riforma della legge fallimentare conseguente all’approvazione del d.l. n. 35/2005 (convertito nella l. n. 80/2005), del d.lgs. n. 5/2006 e del d.lgs. n. 169/2007, ad un sostanziale capovolgimento dell’approccio del legislatore al tema degli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti. Si è passati da una originaria tendenza a privilegiarne la interruzione tout court, ad un sistema che oggi privilegia invece il mantenimento degli effetti dei contratti in corso, salva la successiva valutazione, caso per caso, dell’opportunità o meno di disporne lo scioglimento: ciò che coincide, nella sostanza delle cose, con l’approccio riservato al problema degli effetti della l.c.a. della banca sui rapporti pendenti dalla disciplina del Testo unico bancario.
In secondo luogo è necessario notare che non v’è coincidenza tra fallimento dell’impresa di diritto comune e liquidazione coatta amministrativa della banca, per ciò che concerne il termine iniziale di produzione degli effetti dell’apertura della procedura concorsuale.
Secondo la disciplina fallimentare previgente, non v’era dubbio che tutti gli effetti del fallimento avessero decorrenza «immediata» (a far tempo cioè dal deposito della sentenza dichiarativa nella cancelleria del tribunale fallimentare che l’aveva pronunciata). Secondo il Testo unico bancario, invece (art. 83, co. 1 e 2), gli effetti (tra gli altri) degli artt. da 72 a 83 l.fall. (sui rapporti giuridici preesistenti), decorrevano (e decorrono) soltanto «dalla data di insediamento degli organi liquidatori … e comunque dal terzo giorno successivo alla data di adozione del provvedimento che dispone la liquidazione coatta» della banca.
Il differimento della produzione degli effetti della l.c.a (anche) sui contratti in corso al terzo giorno successivo all’apertura della procedura si spiegava con l’esigenza di consentire il regolamento delle operazioni di borsa (o equivalenti) scadenti nel giorno stesso o appena dopo la data di assoggettamento della banca a liquidazione coatta, a tutela della stabilità del sistema dei regolamenti inter-bancari; nonché con l’esigenza di favorire la continuità dei rapporti d’impresa in essere tra la banca ed i propri clienti (e i fornitori, i dipendenti, eccetera), per l’ipotesi (estremamente frequente nel panorama delle crisi delle imprese bancarie) di autorizzazione alla continuazione dell’esercizio (provvisorio) dell’impresa bancaria disposto entro il terzo giorno successivo all’insediamento degli organi liquidatori, in presenza della quale «lo scioglimento di diritto dei rapporti giuridici preesistenti previsto dalle norme [della legge fallimentare] richiamate dal comma 2 del (medesimo) articolo [83 t.u.b.]» è escluso.
La segnalata differenza di disciplina rimane tuttora, con la precisazione che:
(i) gli effetti del fallimento «nei riguardi dei terzi» si producono oggi non già dal deposito della sentenza dichiarativa in cancelleria, bensì «dalla data di iscrizione della sentenza nel registro delle imprese» (art. 16, co. 2, l.fall. riformato. Il successivo art. 17, co. 3, prevede che il cancelliere trasmetta, anche per via telematica, l’estratto della sentenza di fallimento all’ufficio del registro delle imprese entro il giorno successivo al deposito in cancelleria della sentenza stessa); e che (ii) lo «scioglimento di diritto» dei rapporti giuridici preesistenti previsto dagli artt. da 72 a 83 l.fall. si deve ritenere fenomeno complessivamente ridimensionato dalle modifiche apportate dalle ricordate riforme della legge fallimentare, che hanno perseguito – come detto – l’obiettivo di evitare che una interruzione traumatica ed indifferenziata dei rapporti giuridici in corso rappresenti un ostacolo supplementare alla conservazione del valore dell’impresa.
3.4 . Liquidazione coatta amministrativa della banca senza autorizzazione alla continuazione dell’esercizio dell’impresa (o di singoli rami di azienda)
Nell’ipotesi in cui alla disposizione della l.c.a. della banca non consegua l’autorizzazione alla continuazione dell’esercizio dell’attività di impresa (o comunque, per quei rami d’azienda esclusi dall’eventuale autorizzazione ad una continuazione dell’attività bancaria parziale), si renderà applicabile il ricordato art. 83, co. 2, t.u.b., che a far tempo dalla data di insediamento degli organi liquidatori, o comunque dal terzo giorno successivo alla disposizione della l.c.a., rende applicabili (tra gli altri) gli artt. da 72 a 83 l.fall.
Si produrranno dunque sui rapporti giuridici preesistenti gli stessi effetti che si sarebbero prodotti nell’ipotesi di fallimento dell’impresa bancaria, ove questa vi fosse soggetta.
Questo peraltro è il principio di carattere generale: da considerarsi necessariamente integrato, a parere di chi scrive, dalla inevitabile considerazione delle peculiarità della liquidazione coatta amministrativa bancaria, nonché dalla disciplina speciale dell’attività bancaria, sotto diversi profili.
In via preliminare occorre considerare che la disciplina dei rapporti giuridici preesistenti nel fallimento prevede una serie di interventi (per lo più autorizzatori) del giudice delegato al fallimento, del comitato dei creditori e del tribunale fallimentare, che non appaiono “esportabili” nella procedura di liquidazione coatta amministrativa bancaria, se non altro – a titolo di esempio – perché essa non prevede la nomina di un «giudice delegato per la procedura» (cfr. art. 16, co. 1, l.fall.), né quella del «comitato dei creditori» (cfr. art. 40 l.fall.).
In linea di principio il sistema autorizzatorio previsto dalla legge fallimentare in materia di effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti sarà sostituito dal sistema di controllo e di vigilanza previsto per l’ipotesi di liquidazione coatta amministrativa della banca (con le rispettive competenze del comitato di sorveglianza e della Banca d’Italia): ma non mancano casi nei quali le disposizioni della legge fallimentare sembrano dover essere considerate inapplicabili tout court – cioè insuscettibili di “adattamento” alle peculiarità della disciplina concorsuale speciale bancaria –, quali: (i) la previsione secondo la quale il contraente in bonis può chiedere al giudice delegato di assegnare un termine al curatore (non superiore a sessanta giorni) per decidere se subentrare nel contratto o se sciogliersene, pena – in caso di inutile decorrenza del termine – lo scioglimento di diritto del contratto (non giudicandosi tale attività inerente ai compiti istituzionalmente attribuiti all’autorità amministrativa competente – qui, la Banca d’Italia –); e (ii) la previsione secondo la quale il giudice delegato determina l’equo indennizzo dovuto al curatore che intenda recedere da un contratto di locazione immobiliare ultra quadriennale (dovendosi ritenere che l’autorità amministrativa in generale, e la Banca d’Italia in particolare, siano prive del potere di assumere una decisione con efficacia vincolante per il locatore, il quale potrà richiedere la determinazione dell’equo indennizzo, in caso di contrasto con il commissario liquidatore, all’autorità giudiziaria ordinaria).
In secondo luogo occorre considerare che in presenza dei presupposti di assoggettabilità della banca a l.c.a il Ministro dell’economia e delle finanze dispone «la revoca dell’autorizzazione all’attività bancaria (e la liquidazione coatta amministrativa)» della banca. Conseguentemente è da ritenere che per ciò che concerne i «contratti bancari» propriamente detti (quelli che postulano l’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria), essi debbano considerarsi sciolti di diritto all’atto (dell’assunzione di efficacia) della disposizione di l.c.a. della banca, senza eccezioni, in conseguenza della revoca dell’autorizzazione dell’esercizio dell’attività creditizia consustanziale alla disposizione della procedura di liquidazione coatta della banca.
Dovranno ritenersi sciolti di diritto, pertanto, tanto i contratti cc.dd. «di credito» (apertura di credito in c/c e semplici; “castelletti”; mutui; finanziamenti; ecc.); quanto i contratti cc.dd. «di raccolta» (conti correnti bancari; depositi a risparmio).
È da ritenere che faccia eccezione il contratto di locazione finanziaria, in considerazione della norma “speciale” (e sopravvenuta) dell’art. 72-quater l.fall., secondo la quale «in caso di fallimento delle società autorizzate alla concessione di finanziamenti sotto forma di locazione finanziaria, il contratto prosegue». La norma aspira evidentemente a consentire all’utilizzatore di proseguire il regolare “ammortamento” del contratto di locazione finanziaria, rendendo priva di conseguenze la perdita dell’autorizzazione ad esercitare la relativa attività da parte del concedente in conseguenza dell’assoggettamento a fallimento.
Non v’è ragione per escludere l’applicazione di tale disposizione, in via estensiva, anche al “fallimento” della banca, che assume le forme della procedura di liquidazione coatta amministrativa, allorché essa rivestisse la posizione di “concedente”.
Infine occorre tenere conto della disposizione speciale contenuta nell’art. 203, co. 1, t.u.f., secondo la quale «… l’articolo 76 della legge fallimentare si applica agli strumenti finanziari derivati, a quelli analoghi individuati ai sensi dell’arti- colo 18, comma 5, lettera a) – che autorizza il Ministro dell’economia a individuare nuove categorie di strumenti finanziari, al fine di tenere conto dell’evoluzione dei mercati finanziari e delle modificazioni normative relative –, alle operazioni a termine su valute nonché alle operazioni di prestito titoli, di pronti contro termine e di riporto. Ai fini del presente articolo sono ricompresi tutti i contratti conclusi, ancorché non ancora eseguiti in tutto o in parte, entro la data di dichiarazione del fallimento o di efficacia del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa». La riconosciuta applicabilità ai contratti de quibus – definiti dalla rubrica dell’art. 203 t.u.f., lato sensu, «contratti a termine» – dell’art. 76 l.fall. comporta il loro scioglimento, con il versamento alla procedura, da parte del contraente in bonis, della eventuale differenza a suo favore tra il prezzo degli strumenti finanziari contrattualmente pattuito ed il loro valore alla data dello scioglimento del contratto; oppure con l’insinuazione al passivo fallimentare dell’importo corrispondente alla differenza passiva tra i due valori in danno del cliente della banca assoggettata alla l.c.a.
A tale proposito l’art. 203, co. 2, t.u.f., precisa che «per l’applicazione dell’articolo 76 della legge fallimentare agli strumenti finanziari e alle operazioni indicate nel comma 1 può farsi riferimento anche al costo di sostituzione dei medesimi, calcolato secondo i valori di mercato alla data di dichiarazione di fallimento o di efficacia del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa».
Si ritiene che laddove il «contratto a termine» scioltosi per effetto dell’art. 76 l.fall. prevedesse un criterio per la determinazione del «costo di sostituzione» degli strumenti finanziari interessati, oppure un sistema alternativo di liquidazione anticipata delle obbligazioni a termine, tali criteri debbano essere osservati, sempre che facciano riferimento ai valori di mercato alla data di apertura della procedura concorsuale.
I debiti ed i crediti risultanti dallo scioglimento anticipato delle operazioni della specie sono compensabili ex art. 56 l.fall.
Ciò precisato per quel che riguarda il necessario adattamento dei principi dettati dagli artt. 72 ss. l.fall. alla natura della l.c.a. bancaria; alle conseguenze sui «contratti bancari» della revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria consustanziale alla disposizione della l.c.a della banca; ed alla disciplina speciale dei «contratti a termine»; per il resto troveranno applicazione, come detto, le disposizioni contenute nella sezione IV del capo III del titolo II della legge fallimentare, richiamate dall’art. 83 t.u.b.
Si è già fatto cenno alla disposizione particolare in materia di locazione finanziaria (art. 72-quater, ult. co.); alla disposizione dell’art. 76 l.fall. (“assorbita” dall’art. 203 t.u.f.); e si devono semplicemente richiamare all’attenzione l’art. 78 l.fall, nella parte in cui conferma lo scioglimento del contratto di conto corrente (anche) bancario; nonché nella parte in cui dispone lo scioglimento del contratto di mandato «per il fallimento del mandatario», da cui si deve ricavare che in caso di assoggettamento della banca a l.c.a devono considerarsi sciolti anche i contratti («bancari») riferibili al modello del contratto di mandato, come ad es. quelli aventi ad oggetto il conferimento dell’incarico di riscossione dei crediti del cliente della banca per mezzo dei servizi interbancari.
Nello stesso modo si dovrà considerare che risulti applicabile anche il principio dettato dall’art. 72, co. 3, l.fall., secondo il quale «in caso di scioglimento il contraente ha diritto di far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento, senza che gli sia dovuto risarcimento del danno».
3.5 . Liquidazione coatta amministrativa della banca e autorizzazione alla continuazione dell’esercizio dell’impresa (o di singoli rami d’azienda)
Secondo l’art. 90, co. 3, t.u.b. «la continuazione dell’esercizio dell’impresa disposta all’atto dell’insediamento degli organi liquidatori entro il termine indicato nell’articolo 83, comma 1 [il terzo giorno successivo alla data di adozione del provvedimento che dispone la l.c.a.] esclude lo scioglimento di diritto dei rapporti giuridici preesistenti previsto dalle norme richiamate dal comma 2 del medesimo articolo».
La disposizione segue quella – sulla quale ritorneremo – che prevede la possibilità per i commissari liquidatori, a determinate condizioni, di «continuare l’esercizio dell’impresa [bancaria] o di determinati rami di attività»: per cui è da ritenere che anche la continuazione dell’esercizio dell’attività di singoli rami d’azienda possa essere autorizzata «all’atto dell’insediamento … entro il termine» del terzo giorno successivo alla data di disposizione della l.c.a.
In tale ipotesi i rapporti giuridici (bancari e non) facenti capo all’azienda di credito (od ai rami d’azienda alla quale l’autorizzazione alla continuazione dell’attività si riferisse) non sono soggetti allo “scioglimento di diritto” previsto dagli artt. 72 ss. l.fall.
Ricordando quanto appena osservato al numero che precede, si dovrà dunque concludere – per ciò che interessa in questa sede – che per effetto dell’autorizzazione alla continuazione dell’esercizio (totale o parziale) dell’attività bancaria «all’atto dell’insediamento» dei commissari liquidatori (e quindi ad opera della Banca d’Italia, che in generale è legittimata a «emanare direttive per lo svolgimento della procedura»: art. 83, co. 4, t.u.b.) ed entro il termine del terzo giorno successivo alla disposizione della l.c.a.: (i) non si produca lo scioglimento dei contratti di borsa a termine (art. 76 l.fall.) e dei contratti menzionati dall’art. 203 t.u.f.; e (ii) non si produca lo scioglimento del contratto di conto corrente bancario; nonché (iii) non si produca lo scioglimento dei contratti di mandato, e tra essi – primi tra tutti – i contratti aventi ad oggetto il conferimento di incarichi di riscossione di crediti dei clienti verso terzi, attraverso i circuiti interbancari.
La disposizione è evidentemente tesa a favorire la continuazione dell’attività bancaria, che fosse stata per l’appunto autorizzata: ma il sostegno offerto al con- seguimento di tale obiettivo appare piuttosto limitato.
In via preliminare nessuna eccezione pare introdotta al divieto di «pagamento delle passività di qualsiasi genere» (e di procedere a restituzione di beni di terzi), disposto dall’art. 83 t.u.b. (che parla di «sospensione», ma senza prevedere un termine finale alla stessa).
In secondo luogo, nessuna disposizione esplicita prevede il subentro automatico dei commissari liquidatori nei contratti (bancari) pendenti, che rappresenterebbe ovviamente la misura più idonea a favorire la continuazione dell’attività: e può essere quantomeno dubbio che nel concetto di «continuazione dell’attività d’impresa» debba ritenersi compreso il subentro nei contratti pendenti, comportante oltretutto – per i «contratti ad esecuzione continuata o periodica» – l’obbligo del curatore (i.e. del commissario liquidatore) di «pagare integralmente il prezzo delle consegne già avvenute o dei servizi già erogati» – che qualora ritenuto applicabile ai contratti di conto corrente bancario pendenti alla data di apertura della l.c.a. comporterebbe l’obbligo del commissario liquidatore di pagare «integralmente» – cioè, in sostanza, in prededuzione – anche il rateo di interesse passivo (per la banca) formatosi sul conto di ciascun cliente nel periodo anteriore alla disposi- zione della l.c.a. –.
Lo «scioglimento di diritto» previsto da talune disposizioni della sezione II del capo III del titolo II della legge fallimentare non si produce: ma per il resto: (i) la «sospensione dei pagamenti» (e delle restituzioni) di cui all’art. 83, co. 1, t.u.b., parrebbe continuare a prodursi; e (ii) le altre norme della legge fallimentare richiamata dall’art. 83, co. 2, t.u.b., con eccezione di quelle (sole) che dispongono lo «scioglimento automatico» di taluni contratti (contratto di borsa a termine e assimilati; conto corrente bancario; mandato), parrebbero dover continuare a trovare applicazione.
Dovrebbe continuare ad applicarsi pure all’ipotesi di autorizzazione alla continuazione dell’esercizio dell’impresa bancaria, pertanto, anche il principio generale di sospensione del contratto in corso con facoltà del curatore (i.e. del commissario liquidatore) di subentrare nello stesso o di sciogliersene; nonché l’articolato sistema autorizzatorio previsto per taluni contratti (con i necessari adattamenti già segnalati per l’applicazione alla banca assoggettata alla l.c.a.).
Così ricostruita, la disciplina degli effetti dell’“esercizio provvisorio” – se così vogliamo chiamarlo – dell’impresa bancaria non coincideva prima della riforma della legge fallimentare, e non coincide neppure dopo la riforma, con quella dettata per l’esercizio provvisorio delle imprese di diritto comune assoggettate al fallimento.
L’art. 90 l.fall. previgente, disponendo «la continuazione temporanea dell’esercizio dell’impresa del fallito», non disciplinava la sorte dei rapporti giuridici preesistenti (in modo diverso da quanto facessero gli artt. 72 ss. l.fall. in generale). L’art. 104, co. 7, l.fall. riformato prevede oggi che «durante l’esercizio provvisorio [dell’impresa fallita] i contratti pendenti proseguono, salvo che il curatore non intenda sospendere l’esecuzione o scioglierli».
La norma viene intesa come esclusivamente produttiva di una deroga al principio (della sospensione automatica dell’esecuzione dei rapporti giuridici in corso) affermato dall’art. 72 l.fall. (riformato): quindi, in buona sostanza, come produttiva della semplice inversione tra regola (sospensione automatica) ed eccezione possibile (prosecuzione del rapporto) previsto dall’art. 72 l.fall., in luogo delle quali si afferma che la “regola” è la continuazione del rapporto, e la “eccezione” è la disposizione (ad opera del curatore fallimentare) della sospensione (con ripristino, parrebbe, dell’applicazione dell’art. 72 l.fall.), oppure dello scioglimento.
Per il resto, ed in particolare per quel che concerne la restante disciplina contenuta negli artt. 73 ss. l.fall., nulla cambierebbe nell’ipotesi di disposizione dell’esercizio provvisorio dell’impresa, rispetto ai casi nei quali esso non fosse stato disposto.
Si adduce, a sostegno di tale conclusione, che le disposizioni speciali de quibus non sempre si fondano sull’interruzione dell’attività dell’impresa; che esse talora prendono in considerazione anche la posizione del contraente in bonis; che la disposizione dell’art. 72-quater l.fall., in materia di locazione finanziaria – secondo la quale «se è disposto l’esercizio provvisorio dell’impresa il contratto continua ad avere esecuzione salvo che il curatore dichiari di volersi sciogliere del contratto» – dimostrerebbe come la continuazione derivante dall’esercizio provvisorio dell’impresa riguarderebbe solo i contratti che diversamente resterebbero sospesi ai sensi dell’art. 72 l.fall. riformato.
In tale contesto, si afferma altresì – ed è ciò che interessa a noi in questa sede – che l’art. 104, co. 7, l.fall., pur affermando che durante l’esercizio provvisorio dell’impresa i contratti pendenti proseguono, non impedirebbe l’operatività delle disposizioni della legge fallimentare che prevedono l’automatico scioglimento degli altri contratti specificamente disciplinati.
La conclusione appare assi discutibile, anche in termini generali: e certamente avrebbe effetti nefasti in caso di applicazione alla l.c.a della banca (a non dir d’altro, tutti i conti correnti bancari con la clientela si scioglierebbero!; tutti gli incarichi di riscossione di crediti dei clienti verso terzi, attraverso i circuiti inter- bancari, diverrebbero ineseguibili!; ecc.).
La richiamata previsione dell’art. 90, co. 3, t.u.b. rappresenta comunque, fuor di ogni possibile dubbio, una norma speciale, destinata a prevalere nel passato sulla disciplina previgente degli effetti dell’esercizio provvisorio dell’impresa sui rapporti giuridici in corso (quale che essa fosse); e destinata tuttora a prevalere sulla nuova disciplina degli effetti sui contratti pendenti della disposizione dell’esercizio provvisorio dell’impresa fallita (quale che essa sia), escludendo lo scioglimento di diritto dei rapporti di conto corrente bancario (e di mandato, e dei contratti di borsa a termine ed assimilati), ove pure si volesse ritenere che analogo risultato non si produca per l’impresa di diritto comune autorizzata all’esercizio provvisorio nell’ambito della procedura di fallimento “comune”.
Secondo l’art. 90, co. 3, t.u.b. «i commissari [liquidatori] possono, nei casi di necessità e per il miglior realizzo dell’attivo, previa autorizzazione della Banca d’Italia, continuare l’esercizio dell’impresa o di determinati rami di attività, secondo le cautela indicate dal comitato di sorveglianza».
Trattasi di quella che deve essere definita “ripresa” dell’esercizio dell’attività d’impresa, in contrapposizione con la vera e propria «continuazione» (la prosecuzione, cioè, senza soluzione di continuità), che deve ritenersi confinata alla diversa ipotesi – considerata al punto che precede – di un «esercizio provvisorio» della banca disposto (dalla Banca d’Italia) «all’atto dell’insediamento degli organi liquidatori, entro il termine indicato nell’articolo 83, comma 1».
La continuazione (rectius: “ripresa”) disposta dai commissari liquidatori dopo la scadenza del termine del terzo giorno successivo alla data di disposizione della l.c.a. – sulla base dei presupposti dell’esigenza di un «miglior realizzo» e «nei casi di necessità», con l’autorizzazione della Banca d’Italia e tenuto conto delle «cautele» indicate dal comitato di sorveglianza – non si collega direttamente all’esercizio dell’attività d’impresa in essere al momento dell’apertura della procedura, e non si può “saldare” con esso.
La scadenza del termine indicato dall’art. 83, co. 1, t.u.b. ha prodotto (e “cristallizzato”) gli effetti (degli artt. 42, 44, 45 e 66 l.fall. nonché) degli artt. da 51 a 63 l.fall., e con essi: (i) lo scioglimento di diritto dei contratti di borsa a termine e assimilati, dei contratti di conto corrente bancario, e dei contratti di mandato; nonché (ii) gli articolati effetti degli artt. 73 ss. l.fall.
È difficile inoltre escludere che si sia prodotto l’effetto generale di scioglimento di diritto dei «contratti bancari» propriamente detti, conseguente alla revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività creditizia, consustanziale alla disposizione della l.c.a e non “sospeso” – se così si può concepire il risultato dell’istituto – dalla autorizzazione alla continuazione dell’esercizio dell’attività d’impresa concessa all’atto dell’insediamento degli organi liquidatori.
Deve pertanto ritenersi che gli effetti, sopra ricordati, dell’assoggettamento della banca a l.c.a. senza contestuale autorizzazione alla continuazione dell’esercizio dell’attività d’impresa, non possano più essere posti nel nulla con la “ripresa” dell’esercizio dell’attività bancaria.
Se mai è da ritenere che per i rapporti giuridici pendenti rimasti “sospesi” in conseguenza dell’apertura della procedura, e la cui sorte dipende dall’esercizio di poteri autorizzatori attribuiti alle autorità creditizie, la circostanza della “ripresa” dell’attività bancaria comporterà prevedibilmente l’autorizzazione alla loro prosecuzione piuttosto che la disposizione del loro scioglimento.
Ciò del resto è quanto deve ritenersi accadere anche nel diritto fallimentare “comune”, laddove l’esercizio provvisorio dell’impresa fallita sia disposto non già (dal tribunale fallimentare e) «con la sentenza dichiarativa di fallimento» (art. 104, co. 1, l.fall.), bensì solo «successivamente», ad opera del giudice delegato, su proposta del curatore fallimentare e previo parere favorevole del comitato dei creditori – la cui partecipazione al procedimento autorizzatorio di questo “esercizio provvisorio” dimostra che esso potrà intervenire solo alquanto tempo dopo la sen- tenza dichiarativa (cfr. art. 40 l.fall. sulla nomina del comitato dei creditori) –.
Anche nel procedimento di fallimento gli effetti dell’esercizio provvisorio sui rapporti giuridici preesistenti (la prosecuzione dei contratti: art. 104, co. 7 l.fall.) potranno spiegarsi nell’ipotesi di continuazione dell’esercizio dell’impresa propriamente detta (cioè “saldata” all’attività precedente alla apertura del falli- mento per essere stata disposta «con la sentenza dichiarativa»: art. 104, co. 1); mentre saranno ostacolati, in tutto o in parte, nell’ipotesi di “ripresa” dell’esercizio dell’impresa disposta dal giudice delegato, «successivamente», in conseguenza della già intervenuta produzione – ad esempio – degli effetti dello scioglimento di diritto per i contratti che vi sono soggetti, o degli altri effetti derivanti dalle attività poste in essere, anche da parte dei contraenti in bonis, ai sensi degli artt. 72 ss. l.fall.
4 . La «risoluzione» dell’impresa bancaria
Come detto, la «risoluzione» dell’impresa bancaria viene disposta:
(i) quando sussistono i presupposti del «dissesto» o del «rischio di dissesto», declinati dall’art. 17 d.lgs. n. 180/2015; e
(ii) la Banca d’Italia abbia accertato «la sussistenza dell’interesse pubblico», ricorrente nei casi precisati dall’art. 21, co. 1, d.lgs. cit.; e ancora
(iii) «la sottoposizione della banca a liquidazione coatta amministrativa non con- sentirebbe di realizzare questi obiettivi nella stessa misura» (art. 20, co. 2, d.lgs. cit).
Disposta la procedura in commento, possono essere adottate le seguenti «misure di risoluzione» (art. 39 d.lgs. n. 180/2015):
a) la cessione di beni e rapporti giuridici a un soggetto terzo;
b) la cessione di beni e rapporti giuridici a un ente-ponte;
c) la cessione di beni e rapporti giuridici ad una società veicolo per la gestione delle attività (ma solo conseguentemente ad una delle altre “misure”);
d) il bail-in.
La “misura” del bail-in, costituita dalla «riduzione» o dalla «conversione» delle passività facenti capo alla banca in crisi, in linea di principio non investe i contratti bancari pendenti – salvo per quel che concerne le passività risultanti da “derivati”, che sono soggette ad una disciplina peculiare, dettata dall’art. 54 d.lgs. n. 180/2015 –.
Le altre “misure”, invece, costituite tutte da «cessione … di rapporti giuri- dici», in quanto volte a perseguire l’«interesse pubblico» della «continuità delle funzioni essenziali» della banca, investono a pieno titolo il fenomeno dei contratti in essere tra la banca ed i terzi.
4.1 . «Cessioni» di «rapporti giuridici» in funzione della «risoluzione» della crisi bancaria e contratti bancari
L’art. 47 d.lgs. n. 180/2015 detta delle «disposizioni comuni alle cessioni» che siano disposte in esecuzione di una procedura di «risoluzione» bancaria.
In via preliminare (e generale) si dispone che «le cessioni non richiedono il consenso di soggetti diversi dal cessionario» (e dalla Banca d’Italia che le dispone): dal ché è lecito desumere che qualora i rapporti giuridici ceduti costituiscano l’oggetto di un contratto bancario pendente, non sia richiesto il consenso del contraente (“in bonis”) ceduto.
Costui «può opporre al cessionario tutte le eccezioni derivanti dal contratto ceduto»: tuttavia non può opporre «quelle fondate su altri rapporti col cedente» (art. 47, co. 4, d.lgs. cit.).
Alla cessione dei contratti bancari disposta in esecuzione di una delle (tre) «misure di risoluzione» rappresentate dal trasferimento a terzi di «rapporti giuridici» facenti capo alla banca in crisi non sono applicabili «gli articoli 1407, comma 1, 1408, comma 2, e 2558, comma 2 del codice civile» (art. 47, co. 4, d.lgs. cit.): il ché comporta che:
– anche nell’ipotesi nella quale la parte contraente “in bonis” avesse consentito in via preventiva la cessione del contratto, la efficacia della sostituzione del cedente con il cessionario non dipende «dal momento in cui le è stata notificata o in cui essa l’ha accettata», bensì dal compimento della formalità pubblicitaria speciale rappresentata dalla pubblicazione dell’operazione di cessione sul sito internet della Banca d’Italia (art. 47, co. 6, d.lgs. n. 180/2015);
– non è consentito al contraente ceduto di agire contro il cedente in caso di inadempimento del cessionario, neppure facendone espressa “riserva”; e
– non è consentito al contraente ceduto di recedere dal contratto (entro tre me- si), nemmeno «se sussiste una giusta causa».
Con riguardo all’ultima delle previsioni citate – la esclusione dell’applicabilità della facoltà di recesso attribuita al contraente ceduto dall’art. 2558, co. 2, c.c.
– potrebbe essere sollevato il dubbio della perdurante applicabilità della disposizione dell’art. 58, co. 6, t.u.b., in quanto:
(i) specificamente applicabile alle operazioni di «cessione di rapporti giuridici» facenti capo ad imprese bancarie; e
(ii) non ricompreso tra le disposizioni dichiarate non applicabili alle «cessioni» poste in essere nell’ambito della procedura di «risoluzione» bancaria.
Se così fosse, il contraente ceduto “in bonis” conserverebbe il diritto di recedere dal contratto ceduto in esecuzione di una «misura di risoluzione», in presenza di una «giusta causa» – forse neppure troppo difficile da addurre, stante l’innegabile rapporto fiduciario postulato dalla presenza di un contratto bancario –, con la sola differenza, rispetto alla disciplina prevista dall’art. 2558, co. 2, c.c., di dovere esercitare il recesso «entro tre mesi dagli adempimenti pubblicitari» previ- sti dall’art. 47, co. 6, d.lgs. n. 180/2015, anziché entro tre mesi «dalla notizia del trasferimento» (come prevede invece l’art. 2558, co. 2, c.c.).
La conclusione tuttavia non convince, perché porterebbe ad attribuire alla deroga ad un principio di rilievo come quello affermato dall’art. 2558, co. 2, c.c. (il diritto del contraente ceduto di recedere dal contratto, in presenza di una
«giusta causa») una portata sostanzialmente irrilevante – per non dire che alla disposizione in commento potrebbe formularsi una accusa di inutilità, stante che l’operazione di cessione di rapporti giuridici facenti capo ad una banca è regola- ta, al postutto, dall’art. 58, co. 6, t.u.b. (che avrebbe se mai dovuto essere preso in considerazione, per confermarlo ovvero per derogarlo), piuttosto che dall’art. 2558, co. 2, c.c. –.
Pare pertanto preferibile intendere la disciplina in esame come impeditiva dell’esercizio del recesso da parte del contraente ceduto “in bonis”, pur in presenza – in ipotesi – di una «giusta causa», né invocando l’art. 2558, co. 2, c.c. (espressamente derogato dall’art. 47, co. 4, d.lgs. n. 180/2015), né invocando l’art. 58, co. 6, t.u.b. (invece ignorato).
Si noti, infine, come nell’operazione che ha investito le cc.dd. “due banche” (Venete) – cioè Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca –, la legge n. 121/2017, che ne ha disciplinato la cessione delle rispettive aziende bancarie (in favore di Banca Intesa), abbia previsto espressamente (art. 3, co. 1) la esclusione dell’applicabilità dell’art. 58, co. 6, t.u.b. (tra altre norme dichiarate inapplicabili). D’altro canto le cessioni in esame sono avvenute non già nel contesto di   una procedura di «risoluzione» bancaria, bensì nel contesto di due procedure di liquidazione coatta amministrativa bancaria (per quanto sui generis), per cui l’art. 47 d.lgs. n. 180/2015 non avrebbe comunque potuto trovare applicazione, ed il riferimento dell’art. 58 t.u.b. (pure al fine di dichiararlo quasi integralmente inapplicabile – con la sola eccezione del comma 3 –) si rivelava indispensabile.
Infine la cessione (dei contratti bancari) in questione può essere assoggettata a «ritrasferimento» alla banca sottoposta a «risoluzione», allorché, alternativa- mente (art. 47, co. 8, d.lgs. n. 180/2015): «a) la possibilità di ritrasferire è stata prevista espressamente nell’atto di cessione; b) le azioni, le altre partecipazioni, i diritti, le attività o le passività ceduti non rientrano fra quelli indicati nell’atto di cessione o comunque non rispettano le condizioni previste per la cessione nel suddetto atto».

Note:

[1] 
S. Bonfatti, Piani attestati, Accordi di ristrutturazione e crediti prededucibili, in Dir. banca, 2018, II, p. 166; ID., Estraneità degli Accordi di ristrutturazione alla “sfera della concorsualità”, in materia di prededuzione, in www.ilcaso.it, settembre 2018; ID., I “cerchi concentrici” della concorsualità e la prededuzione dei crediti (“o dentro o fuori”?), in www.ilcaso.it, giugno 2018; ID., Ancora sulla natura giuridica degli “Accordi di Ristrutturazione”, in www.ilcaso.it,febbraio 2018; ID., La natura giuridica dei “Piani di Risanamento Attestati” e degli “Accordi di Ristrutturazione”, in www.ilcaso.it, gennaio 2018; e in Diritto della banca e del mercato finanziario, 2018 (1), p. 175; ID., La natura giuridica degli accordi di ristrutturazione, in www.ilcaso.it, Gennaio 2018; ID., Prededuzione dei finanziamenti bancari tra “consecutio” e natura del procedimento, in Riv .dir. banc., 2017, p. ??.
[2] 
S. Bonfatti, opp. locc. ultt. citt. 
[3] 
“Schema di decreto legislativo recante modifiche al Codice della Crisi d’Impresa dell’Insolvenza... in attuazione della direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019...”.
[4] 
In argomento v. S. Bonfatti, La procedura di liquidazione coatta amministrativa nel fallimento enel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, Pisa, 2022. 
[5] 
In argomento v. S. Bonfatti, La disciplina delle situazioni di “ crisi “ degli intermediari finanziari, Milano, 2021.

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