Saggio
Gli strumenti di ristrutturazione del debito nel riformato codice della crisi belga*
Francesco Grieco, Straordinario di diritto commerciale nell’Università LUM G. Degennaro
18 Luglio 2024
Cambia dimensione testo
Sommario:
2.1 . Le Camere delle Imprese in Difficoltà (CID)
2.2 . L’accordo stragiudiziale amichevole
3 . Le procedure di riorganizzazione giudiziaria
3.1 . La procedura di riorganizzazione giudiziaria pubblica mediante accordo amichevole
3.2 . La procedura di riorganizzazione giudiziaria pubblica mediante contratto collettivo
3.2.1 . La procedura applicabile alle piccole e medie imprese (PMI)
3.2.2 . La procedura applicabile alle grandi aziende
3.2.3 . Le classi, il voto e l’omologazione per le grandi aziende
3.2.4 . La procedura con classi e il miglior interesse dei creditori
3.2.5 . La nuova posizione degli azionisti
3.3 . La procedura di riorganizzazione giudiziaria privata
3.3.1 . La procedura di riorganizzazione giudiziaria privata mediante accordo amichevole
3.3.2 . La procedura di riorganizzazione giudiziaria privata mediante contratto collettivo
4 . La procedura di trasferimento sotto autorità giudiziaria
Questa Legge ha riformato il Libro XX del Code de Droit Èconomique (cd CDE) introducendo delle modifiche importanti, principalmente incentrate sulle procedure di ristrutturazione del debito destinate a modernizzare l’intero sistema belga ed a renderlo più efficiente.
Inoltre, lo spirito che ha animato il legislatore belga, nell’uniformare ed allineare l’intero quadro di insolvenza e ristrutturazione alla direttiva comunitaria, è stato quello di mirare a ottenere un impatto positivo sull’economia nazionale, aumentando il numero di imprese che sopravvivono alle difficoltà finanziarie, creando nuovi posti di lavoro e, conseguentemente, migliorando la fiducia degli investitori stranieri.
Il Belgio amplia la gamma delle procedure di risanamento e aggiorna i requisiti per l’uso di determinati strumenti già esistenti nel quadro legislativo precedente con l’obiettivo di rafforzarli.
La riforma belga persegue, quindi, l’obiettivo di i) facilitare l’accesso delle aziende in crisi a meccanismi di ristrutturazione preventiva, ii) incrementare l’efficienza dei processi e ridurre i tempi di attuazione garantendo agli imprenditori una vera opportunità di rilancio, iii) migliorare la flessibilità e l’efficacia delle procedure concorsuali, iv) promuovere la continuità aziendale attraverso la tutela occupazionale e aumentando la trasparenza e la protezione dei creditori.
Tra le novità più significative, apportate da siffatta Legge, si evidenziano:
- le funzioni delle Camere delle Imprese in Difficoltà (cd CID) i cui poteri, come vedremo di seguito, vengono ampliati.
- L’introduzione di un nuovo regime di pre-insolvenza mediante il quale si consente alle imprese in difficoltà di ottenere un periodo di moratoria al fine di realizzare una riorganizzazione giudiziaria e un trasferimento sotto l’egida dell’autorità giudiziaria. In precedenza, la durata della sospensione poteva estendersi fino a sei mesi, tuttavia, la legge di trasposizione della direttiva 2019/1023 ha ridotto questo termine a un massimo di 4 mesi (Art. XX.46. par. 2 CDE), in conformità con l’art. 6, comma 5, della direttiva 2019/1023, che stabilisce una moratoria su base individuale senza consentire un’interruzione collettiva delle pretese individuali superiore alla durata di quattro mesi, al fine di mantenere un equilibrio adeguato tra i diritti del debitore e quelli dei creditori[1].
- La modifica delle procedure giudiziali pubbliche e l’introduzione delle procedure giudiziali private di risanamento aziendale (c.d. PRJ mediante accordo amichevole, collettivo e privato).
- Il potenziamento dell’istituto del trasferimento aziendale sotto l’egida dell’autorità giudiziaria.
I primi cambiamenti apportati dalla riforma si ravvisano, già, dal punto di vista terminologico; è stato, infatti, introdotto l’art. XX.I.23 CDE che modifica i termini e le definizioni delle procedure[2]:
- l’espressione ‘’mandataire de justice’’ deve riferirsi anche al ‘’praticien de la liquidation’’ (termine che include il curatore del fallimento ed il liquidatore). Un ‘’mandataire de justice’’ è colui che verifica e ammette al passivo i crediti insinuati, rappresenta l’interesse collettivo dei creditori, amministra in tutto o in parte i beni di cui il debitore è spossessato, liquida il patrimonio, si occupa di ripartire il ricavato tra i creditori e di monitorare la gestione degli affari del debitore.
- L’organo responsabile del risanamento, denominato ‘’praticien de la reorganisation’’ (precedentemente conosciuto come ‘’mediateur de enterprise’’), non è altro che un ‘’mandataire de justice’’, nominato dal tribunale per assistere il debitore o i creditori nella formulazione o negoziazione di un piano di ristrutturazione. Tale figura ha il compito di sorvegliare l’operato del debitore durante le trattative relative al piano di ristrutturazione e di riferire all’autorità giudiziaria, oltre a poter assumere il controllo parziale dei beni o degli affari del debitore che mantiene la proprietà dei propri beni prima o durante le trattative per una riorganizzazione giudiziaria. È importante specificare che l’organo responsabile del risanamento non assume la gestione diretta dell’azienda, ma fornisce assistenza e svolge un ruolo di vigilanza.
- Un’altra denominazione è quella di ‘’probabilitè d’insolvabilitè’’ con cui si indica la situazione in cui è minacciata la continuità delle attività del debitore nel breve o nel medio termine.
Tra le principali novità introdotte, poi, nel contesto della fase precedente all’apertura della riorganizzazione giudiziaria si evidenzia l’obbligo imposto agli Stati membri di garantire che i debitori abbiano accesso a uno o più strumenti di allerta precoce chiari e trasparenti, in grado di rilevare le circostanze che potrebbero dare origine a una probabilità di insolvenza e di segnalare loro la necessità di agire senza indugio[3].
In Belgio, quindi, il tribunale della giurisdizione in cui il debitore ha il centro dei suoi interessi principali può raccogliere informazioni e dati che possono indicare l'imminente insolvenza e la necessità di agire senza indugio[4].
Antecedentemente all’entrata in vigore della nuova legge, il debitore non aveva accesso al proprio fascicolo, mentre - secondo la nuova legge sull'insolvenza - il debitore, su richiesta del tribunale, può accedere al proprio fascicolo “debitorio e sociale”. Il fascicolo contiene informazioni relative ad avvisi di pignoramento, sentenze di inadempimento, debiti previdenziali, tributari e contributivi, variazioni del numero di dipendenti, modifiche della sede legale, ecc.
La Legge 7 giugno 2023 ha ampliato il ruolo e le funzioni delle CID, che si trovano presso ogni tribunale delle imprese; il ruolo delle CID è quello di svolgere il compito di monitorare e analizzare la situazione delle imprese in difficoltà per cercare di individuare i segnali di pre-insolvenza e, conseguentemente, favorire il raggiungimento di un accordo tra il debitore ed i suoi creditori.
Le CID, pertanto, effettuano un’indagine sulla situazione del debitore al fine di ottenere informazioni e dati che indicano una probabilità d’insolvenza e la necessità di un’azione immediata[5].
Le informazioni ed i dati includono: i) avvisi di sequestro, ii) importi di somme dovute, iii) sentenze di condanna in contumacia o relative ad un debito non contestato, iv) l’indicatore della situazione finanziaria calcolato dalla Banca Nazionale del Belgio, v) le modifiche nel numero dei lavoratori, vi) il cambiamento della sede sociale (art. XX. 22/1 CDE).
A seconda dell’esito dell’indagine, le CID possono adottare le seguenti misure:
- chiudere l’indagine e archiviare il caso;
- richiedere ulteriori informazioni al fine di vagliare la situazione giuridica individuale;
- deferire il caso al pubblico ministero o direttamente al tribunale in vista del fallimento o dell’inizio del processo di riorganizzazione dell’impresa;
- proporre l’apertura di una procedura di riorganizzazione giudiziaria;
- designare un professionista nel campo della ristrutturazione.
Oltre alle funzioni di monitoraggio e analisi, le CID, se necessario, i) formulano un piano di risanamento, ii) assistono le imprese nella predisposizione e nell’attuazione dello stesso, iii) forniscono consulenza e informazioni alle imprese in difficoltà. Le Camere delle imprese in difficoltà sono composte da:
- un magistrato, che funge da presidente;
Il presidente della Camera delle imprese in difficoltà ha il diritto di richiedere, mediante un'apposita istanza specifica e motivata, qualsiasi informazione relativa al debitore, e può altresì richiedere un incontro con il medesimo per esaminare la sua situazione economica.
Durante il periodo di valutazione in capo alle CID, la riscossione dei debiti tributari o previdenziali può essere sospesa in tutto o in parte in determinate circostanze, previo consenso dell'ente pubblico (art. XX.29/1 CDE).
In base alla nuova legge è stata, poi, introdotta la possibilità per il debitore, se ritiene che vi sia una probabilità di insolvenza, di richiedere alla Camera per le imprese in difficoltà la convocazione di un creditore per negoziare un accordo (art. XX.29/1 CDE).
Nel caso in cui la trattativa abbia esito positivo, la Camera per le imprese in difficoltà registra l'accordo rilasciando la formula esecutiva. L'obiettivo è, dunque, quello di consentire al debitore di ottenere un accordo con i suoi principali creditori in modo informale. Anche l'amministrazione della previdenza sociale e l'amministrazione tributaria possono essere convocate davanti alla Camera per le imprese in difficoltà.
Inoltre, su richiesta del debitore, la Camera per le imprese in difficoltà può nominare un professionista nel campo della ristrutturazione delle imprese in difficoltà per facilitare il recupero dell'impresa (art. XX. 29/2 CDE). Tale esperto, agendo in modo indipendente, consente di facilitare un accordo con i creditori. Il professionista nel campo della ristrutturazione riprende il compito precedentemente assegnato al mediatore d'impresa[6].
La mediazione d'impresa fa ora parte dei compiti principali del professionista nel campo della ristrutturazione, non a caso una sezione specifica della legge riguarda proprio la "Mediazione aziendale". Il compito della mediazione avrà diverse sfaccettature sia in una fase iniziale, prima dell'avvio di qualsiasi procedura privata o pubblica sia in una fase successiva (ad esempio, l'assistenza nella composizione delle classi) e servirà come strumento utile per predisporre le formali procedure di riorganizzazione.
L’obiettivo perseguito è quello di incoraggiare il ricorso preventivo alla procedura innanzi alle Camere per le Imprese in difficoltà, non solo per aiutare maggiormente le imprese, ma anche per evitare procedure lunghe e costose che non avvantaggiano nè le imprese stesse né i creditori.
Ulteriori novità apportate dalla nuova Legge sono costituite dall’aumento del numero di magistrati e di esperti nelle CID, dal miglioramento della formazione del personale delle CID e dalle previsioni finalizzate a promuovere una collaborazione efficiente tra le CID e le altre istituzioni coinvolte nella gestione delle crisi aziendali.
La legge previgente stabiliva che l’accordo venisse concluso con almeno due creditori, mentre, la nuova normativa permette la conclusione dell’accordo anche con un solo creditore (conformemente all’articolo XX.37 CDE), in considerazione dell’ipotesi in cui un creditore detenga la maggior parte o addirittura l’integralità dei crediti nei confronti del debitore (ad esempio la banca, il franchisor o il proprietario commerciale il cui credito supera di gran lunga quello degli altri creditori e senza la cui collaborazione l’azienda non avrebbe alcuna possibilità di sopravvivenza).
Pertanto, il debitore o una delle parti interessate, può prendere l’iniziativa volta a far approvare l’accordo amichevole dal tribunale e, se necessario, a dargli carattere esecutivo (art. XX.38 CDE).
Il controllo del tribunale sulle transazioni amichevoli viene rafforzato, prevedendo la possibilità di rigettare l’omologazione se è evidente che il debitore non abbia valide prospettive economiche di risanamento o se l’accordo possa ledere i diritti dei terzi sui beni del debitore.
La transazione amichevole esenta le azioni revocatorie nella eventuale e successiva procedura di liquidazione solo se precedentemente omologata dal tribunale. Il presidente del tribunale può, se necessario, designare, su richiesta del debitore, un esperto di risanamento al fine di facilitare l’esecuzione dell’accordo amichevole[7].
La riforma si muove sempre nell’ottica di garantire una maggiore flessibilità e discrezionalità nell’affrontare le crisi aziendali, favorendo soluzioni rapide ed efficaci, vantaggiose sia per l’impresa che per i creditori. Gli accordi amichevoli consentono, dunque, all’impresa e ai creditori di negoziare termini specifici che rispondano alle esigenze di entrambe le parti. L’accordo può includere la ristrutturazione del debito, il rinvio dei pagamenti o anche l’apporto di nuovo capitale.
L’accordo può rimanere privato, ergo nella sfera dei contraenti, al fine di salvaguardare la reputazione dell’impresa e permettere una negoziazione più aperta e senza pregiudizi, a differenza delle procedure di riorganizzazione giudiziaria pubbliche.
Ulteriore aspetto positivo è costituito dal fatto che affrontare le difficoltà finanziarie attraverso un accordo amichevole implica una riduzione significativa dei costi legali e amministrativi associati alle procedure formali di risanamento giudiziario.
L’implementazione di un accordo amichevole richiede una comunicazione efficace e una negoziazione strategica. L’impresa deve valutare accuratamente la propria situazione finanziaria, identificare i creditori chiave e proporre un piano di risanamento convincente che offra buone prospettive di recupero.
È un’opzione preziosa per le imprese in Belgio in grado di fornire una soluzione efficace per mantenere la continuità dell’impresa e proteggere gli interessi dei creditori.
Una di queste, molto importante, è quella concernente i rapporti del giudice delegato. Tale modifica è evidente nell'articolo 11 del Codice di Diritto Economico, che riprende le disposizioni dell'articolo 3 della legge del 21 marzo 2021; quest’ultima norma aggiunge al libro XX la facoltà per il giudice delegato di presentare i suoi rapporti in forma scritta, a patto che vengano depositati almeno due giorni lavorativi prima della discussione. La possibilità di presentare rapporti scritti apporta, senza dubbio, un miglioramento positivo alla procedura, ma, tuttavia, occorre mantenere un preavviso di due giorni lavorativi, termine cruciale per garantire i diritti di difesa.
La legge dell'11 agosto 2017, che ha introdotto il libro XX nel Codice di Diritto Economico, includendo le norme relative e le definizioni specifiche del Codice, aveva già stabilito il principio del rispetto del termine di due giorni lavorativi per il deposito dei rapporti dal giudice delegato, basandosi sull'articolo 59 XX CDE.
Tale articolo stabilisce chiaramente che, per proteggere al meglio i diritti di difesa di tutte le parti coinvolte, il giudice delegato deve inserire personalmente i testi dei suoi rapporti nel registro due giorni lavorativi prima dell'udienza.
Tuttavia, può accadere che il giudice delegato non riesca a rispettare questo termine a causa del ritardo nella ricezione di documenti o informazioni dal debitore o, meno frequentemente, da terze parti. In tali situazioni, secondo autorevole dottrina, il deposito di un rapporto scritto dovrebbe essere permesso nonostante i ritardi[8].
Inoltre, si ritiene che la presenza fisica del giudice delegato alle udienze sia privilegiata, in quanto l’udienza costituisce un momento di scambio fondamentale per il tribunale, per le parti processuali e per il pubblico ministero e, al contempo, un’occasione in cui il giudice fornisce chiarimenti sui rapporti e, se necessario, li aggiorna[9].
La riforma prevede due tipi di procedure di risanamento giudiziale: l’accordo amichevole e quello collettivo.
A differenza della normativa previgente, che prevedeva il carattere pubblico per tutte le procedure di riorganizzazione giudiziale, scoraggiando le imprese a ricorrere a tali strumenti, la riforma prevede anche l’introduzione di una procedura in forma privata caratterizzata da riservatezza e confidenzialità.
Persegue l’obiettivo di facilitare la negoziazione tra l’impresa e i suoi creditori, sotto la supervisione del tribunale che ha il compito di valutare la legalità dell’accordo e garantirne l’attuazione; con un livello di pubblicità che garantisca equità e trasparenza.
Le imprese, dunque, con questo meccanismo hanno la possibilità di negoziare con i creditori in modo strutturato, offrendo una via per la continuità aziendale e la tutela occupazionale.
Un’impresa in difficoltà può, quindi, avviare una procedura di riorganizzazione giudiziaria pubblica mediante accordo amichevole presentando una richiesta al tribunale dell’Impresa. La domanda deve includere la documentazione dettagliata che dimostri la situazione finanziaria dell’impresa e il piano per la sua riorganizzazione.
Il tribunale ha il compito di valutare la domanda per verificare che questa soddisfi tutti i requisiti legali e di approvare l’accordo raggiunto tra l’impresa e i creditori, conferendo allo stesso un carattere vincolante per tutte le parti coinvolte e, nel caso in cui vi siano creditori con i quali non è stato possibile raggiungere un accordo amichevole, può imporre ai sensi dell’art. XX.65 CDE un piano di pagamento (vincolante) a questi ultimi.
L’impresa, durante la procedura, negozia direttamente con i suoi creditori cercando di raggiungere un accordo che permetta la continuità dell’attività economica (l’accordo può includere, ad esempio, la ristrutturazione del debito, la vendita di alcuni asset o altre misure di risanamento).
La procedura prevede un elevato grado di pubblicità, con la registrazione dell’accordo e la possibilità per i creditori e le parti interessate di consultare i documenti pertinenti. Una volta avviata tale procedura, tutte le azioni esecutive contro l’impresa vengono sospese al fine di lasciare all’impresa in difficoltà lo spazio e il tempo necessario per negoziare e attuare l’accordo senza subire la pressione di ulteriori azioni legali. Al contempo, questa procedura potenzialmente garantisce ai creditori la sicurezza di avere un margine di negoziazione quando essi si confrontano con un debitore in buona fede.
Una volta raggiunto l’accordo, questo deve essere eseguito nei termini stabiliti, giungendo così alla conclusione della procedura di riorganizzazione.
I presupposti soggettivi di accesso per le PMI sono i seguenti: avere un massimo di i) 250 dipendenti (su base media annuale), ii) 40 milioni di euro di fatturato annuo (Iva esclusa), iii) 20 milioni di euro di totale di bilancio annuale (art. XX.83/1 CDE); superate queste soglie vengono considerate grandi imprese, anche quelle che agiscono in qualità di gruppo.
Questa distinzione risulta importante perché le PMI hanno accesso a procedure di riorganizzazione più leggere e flessibili rispetto alle grandi imprese, posto che il legislatore non voleva limitare l’accesso alle procedure di ristrutturazione complicando eccessivamente le regole.
Tuttavia, è possibile individuare delle novità introdotte dalla Legge 7 giugno 2023 comuni sia alle PMI che alle grandi imprese.
Il piano di riorganizzazione può essere depositato solo dopo che il giudice delegato abbia verificato e accertato il rispetto dei requisiti formali richiesti dalla legge. Il giudice delegato può esercitare un controllo limitato sul piano che permette di evitare contestazioni successive; questo controllo si limita a verificare se il debitore ha fornito tutte le informazioni richieste dalla legge[10]. In relazione a ciò, sorge il dubbio se questo controllo consenta al giudice di impedire il deposito del piano di riorganizzazione quando vi sia il sospetto che le norme non siano state rispettate[11].
Il vaglio pone due strade alternative: la prima più restrittiva, nel caso in cui non si ammetta tale possibilità, rappresenterebbe una novità di scarso rilievo, in quanto il giudice delegato anche prima della riforma ha sempre presentato rapporti al tribunale durante le udienze, segnalando eventuali violazioni di legge; la seconda più ampia, invece, consentirebbe al giudice delegato, non solo di segnalare al tribunale eventuali violazioni di legge, ma anche di impedire direttamente il deposito di un piano compromettendo potenzialmente la riorganizzazione giudiziaria, senza che vi sia la possibilità di impugnazione di tale provvedimento e senza che il tribunale possa avere la facoltà di rilevare eventuali irregolarità formali.
Per tale ragione, autorevole dottrina sostiene che il giudice delegato abbia esclusivamente il potere di segnalare al tribunale violazioni di regole formali, senza la possibilità di ‘’bloccare’’ il deposito del piano, anche se l’utilità pratica di questa modifica risulta così limitata[12].
Gli artt. XX.72 CDE e XX.83.6 CDE autorizzano il debitore a omettere dal piano di riorganizzazione i creditori che hanno crediti di importo nominalmente trascurabile. Questi creditori vengono esclusi dalla negoziazione del piano per prevenire costi amministrativi e finanziari non giustificabili, al fine di salvaguardare la continuità operativa dell’azienda.
Tuttavia, il debitore deve agire con cautela nella scelta dei creditori da escludere, perché un’esclusione inappropriata potrebbe avere ripercussioni negative sul risultato della votazione. È fondamentale considerare il rischio che l’esclusione di un volume rilevante di crediti dal piano possa alterare il processo di votazione, sottolineando che il piano debba chiarire come questa scelta possa favorire gli interessi dell’impresa.
Pertanto, qualora il debitore decida di escludere creditori meno significativi, deve includere nel piano un elenco di questi creditori e fornire motivazioni dettagliate su come l’esclusione sia più vantaggiosa per l’interesse collettivo dei medesimi, proponendo di gestire e saldare tali crediti fuori dal piano[13].
Infine, la Legge di recepimento della direttiva Insolvency ha perfezionato il sistema del voto permettendo il voto a distanza e delegando al tribunale la responsabilità di organizzare il meccanismo di votazione.
Nella fase della negoziazione del contratto si ha l’elaborazione del piano predisposto dall’imprenditore in difficoltà e, eventualmente, con l’ausilio del mediatore, che deve specificare le misure previste per la ristrutturazione del debito e la riorganizzazione dell’azienda; il piano deve, poi, essere presentato ai creditori, i quali avranno l’opportunità di votare su di esso.
La Legge del 7 giugno 2023 introduce gli articoli XX.70/1 CDE - XX.76, che definiscono le norme per la redazione di un piano di riorganizzazione.
La sezione descrittiva del piano deve offrire ai creditori tutte le informazioni necessarie per consentire loro di esprimere un voto informato, permettendogli di valutare le probabilità di successo del medesimo piano[14].
Questa parte del piano deve illustrare la situazione attuale dell'azienda, dettagliare le strategie che il debitore preveda per implementare e quindi ripristinare la redditività aziendale e includere un elenco dei creditori subordinati.
La legge impone una totale trasparenza da parte del debitore, il quale deve fornire ai creditori tutte le informazioni essenziali per prendere decisioni ponderate e consapevoli sulle proposte presentate sia per la votazione che per giustificare un eventuale rifiuto del piano da parte del tribunale[15].
In definitiva, il debitore è tenuto a rispettare l’obbligo di lealtà e trasparenza, organizzando la sezione informativa del suo piano in quattro parti principali: i) una descrizione dello stato economico dell'azienda, ii) le azioni pianificate per rilanciare la redditività, iii) un resoconto sulle contestazioni emerse nell'accertamento del passivo provvisorio e iv) un elenco dei creditori subordinati.
Oltre ai creditori subordinati, se necessario, anche i detentori di capitale (gli azionisti del debitore) - i cui diritti sono influenzati dal piano - possono partecipare alla votazione ai sensi dell’art. XX.77 CDE. Conseguentemente, i detentori di capitale devono essere invitati a votare sul piano quando questo possa incidere sui loro diritti, come nel caso in cui il piano preveda la conversione del debito in capitale, con la potenziale diluizione dei diritti dei detentori di capitale esistenti.
Quanto al voto, la riforma aderisce in larga misura alle disposizioni pre-direttiva relative agli accordi collettivi, mantenendo il voto su un piano di riorganizzazione basato su una doppia maggioranza.
Il sistema senza classi si era già dimostrato efficace nel previgente sistema e il legislatore della riforma ha deciso di confermare siffatto presupposto.
Pertanto, si è ritenuto appropriato preservare tale sistema, apportando alcune modifiche in linea con la direttiva, indipendentemente dalle dimensioni dell'impresa.
Il legislatore belga ha riconosciuto, tuttavia, che questa scelta non preclude alle piccole e medie imprese (PMI) la possibilità di adottare il sistema più complesso usato dalle grandi imprese e che, in qualità di imprese collegate, esse possono essere soggette alle medesime regole previste per le grandi entità.
In altre parole, le PMI si trovano di fronte a un quadro molto simile a quello preesistente, a meno che non optino per un piano organizzato in classi e non si conformino a regolamentazioni più stringenti. Dunque, per le PMI il sistema attuale non subisce sostanzialmente grandi modifiche rispetto a quello precedente, poiché la procedura si basa sul voto collettivo di tutti i creditori, indipendentemente dalla natura e dall’entità dei loro crediti.
Si passa, poi, alla fase dell’approvazione giudiziaria. Se il piano riceve l’approvazione dei creditori, deve essere sottoposto al tribunale per l’omologazione. Il tribunale esaminerà il piano per assicurarsi che sia equo e conforme alla legge e, in caso di esito positivo, emetterà una decisione che confermi il piano di riorganizzazione. Questa conferma rende il piano legalmente vincolante per tutte le parti coinvolte, inclusi i creditori dissenzienti.
A riguardo, la legge di recepimento della direttiva Insolvency, all'art. XX.79 CDE, ha introdotto due nuovi casi in cui il tribunale può rifiutare l'omologazione del piano:
a) in caso di violazione irragionevole di diritti e interessi dei creditori. Si introduce, così, un criterio di valutazione già conosciuto dalla giurisprudenza per verificare l'adeguatezza delle decisioni del tribunale[16]. Il testo legislativo specifica, inoltre, che il principio di proporzionalità prevale sul principio di parità di trattamento[17]; nel contesto di un piano di riorganizzazione giudiziaria, tale principio di proporzionalità richiede che gli sforzi richiesti a ciascuna categoria di creditori siano proporzionati all'obiettivo di garantire la continuità dell'impresa o di sue parti in difficoltà
b) nel caso in cui il piano non presenti una prospettiva ragionevolmente valida per prevenire la liquidazione o il fallimento del debitore o per assicurare la sostenibilità dell'azienda, il tribunale può non omologare la domanda basandosi su un giudizio economico qualitativo (la cd assenza di fattibilità economica). Tale valutazione non può essere svolta d'ufficio o in modo discrezionale, in quanto il tribunale non può imporre al debitore garanzie di successo né può declinare l'omologazione del piano basandosi unicamente sul rischio di fallimento[18].
Questa nuova causa di rigetto offre, dunque, la possibilità di contestare l'omologazione a posteriori, affrontando piani chiaramente inattuabili; questi nuovi poteri di controllo conferiti al tribunale rappresentano una novità significativa nel contesto dell'accordo collettivo, poiché introducono una necessaria valutazione della fattibilità (economica) e un esame della sostenibilità del piano, elementi che non erano contemplati sotto il regime giuridico precedente[19]. Tuttavia, in pratica, il controllo del tribunale rimarrà limitato, poiché di solito avrà a disposizione poco tempo per omologare il piano; siffatta circostanza costringe i tribunali a mantenere un equilibrio tra l'offrire una seconda opportunità alle imprese in difficoltà e la necessità di proteggere gli interessi delle altre parti coinvolte nella riorganizzazione giudiziaria.
Dopo l’approvazione giudiziaria, l’impresa procede con l’esecuzione del piano di riorganizzazione sotto la vigilanza del mediatore, se nominato; tutte le azioni legali contro l’impresa, come detto, sono sospese per consentire la ristrutturazione senza ulteriori pressioni finanziarie.
La procedura è concepita per fornire alle grandi aziende in crisi la possibilità di ristrutturare i propri debiti attraverso un accordo collettivo con i creditori, garantendo al contempo la continuità operativa e la salvaguardia dei posti di lavoro.
La procedura, come quella applicabile alle PMI, si articola in tre fasi principali:
- una prima fase in cui le grandi aziende devono presentare una domanda al tribunale dell’impresa competente, contenente una dettagliata esposizione della situazione finanziaria dell’azienda e del piano di riorganizzazione proponente soluzioni concrete per il risanamento e la ristrutturazione dei debiti. Il tribunale può decidere di nominare un mediatore o un esperto, per facilitare le negoziazioni tra l’azienda e i suoi creditori, avente il compito di assisterli nella preparazione del piano di risanamento e nel raggiungimento di un accordo collettivo.
- La seconda fase riguarda, appunto, quella di negoziazione e approvazione del piano. Il piano di riorganizzazione deve essere negoziato con i creditori e richiede l’approvazione di una maggioranza qualificata di questi ultimi: il piano di riorganizzazione è considerato approvato a condizione che si ottenga una maggioranza in ogni classe; più precisamente, ai sensi dell’art. XX.83/14 CDE il piano si considera approvato se votano a favore i creditori o detentori di capitale che rappresentano almeno la metà dei creditori principali e degli interessi.
- La terza fase, infine, relativa alla conferma giudiziaria e la sua omologazione, subordinata alla garanzia di fattibilità e sostenibilità economica per assicurare la continuità aziendale.
Inoltre, la Legge attribuisce al giudice un nuovo ruolo, ossia quello di prendere decisioni rapide su questioni che tradizionalmente richiedevano un'analisi dettagliata attraverso perizie complesse e numerose prove.
Attualmente, il giudice è chiamato a valutare in tempi brevi il valore operativo di un'impresa, gli attivi disponibili per la liquidazione, a risolvere i conflitti di priorità tra i creditori e a valutare la fattibilità dei piani di ristrutturazione, tutto ciò senza la possibilità di un contraddittorio esteso.
Prima di procedere all'omologazione del piano di riorganizzazione, il Tribunale deve verificare diversi aspetti per assicurare la correttezza e l'equità del proprio giudizio prognostico ed in particolare:
d) Registrazione del deposito del piano: il piano di riorganizzazione deve essere formalmente depositato e registrato secondo le procedure legali vigenti.
e) Criterio del miglior interesse dei creditori: in presenza di creditori dissenzienti, il tribunale deve accertare che il piano soddisfi il criterio del miglior interesse dei creditori, assicurando che tali creditori dissenzienti abbiano un soddisfacimento migliore rispetto all’eventuale alternativa liquidatoria.
f) Sostenibilità del nuovo finanziamento: il piano deve garantire, in caso di nuovi finanziamenti, che i medesimi siano essenziali per la sua realizzazione e che non comportino un onere eccessivo per i creditori garantiti.
In assenza di questi requisiti, il tribunale ha la facoltà di rigettare l'omologazione del piano.
In aggiunta, può decidere di non omologare il piano qualora non presenti una prospettiva ragionevole di prevenire il fallimento del debitore o di garantire la sostenibilità dell'impresa o qualora vi siano violazioni delle norme di ordine pubblico (cd inammissibilità giuridica)[20]. Questi controlli sono essenziali per mantenere l'integrità del processo di riorganizzazione e proteggere gli interessi di tutte le parti coinvolte.
Si chiarisce che l’impatto della riforma conseguente alla Direttiva Insolvency risulta maggiore per le grandi imprese, poiché la legge riformata sancisce la suddivisione obbligatoria in classi, con procedura di votazione separata.
La direttiva Insolvency traendo ispirazione dal diritto dell'insolvenza americano e tedesco[21] consolida, anche nel diritto belga, il principio di suddivisione dei crediti in "classi", termine che indica il raggruppamento di parti accomunate da omogeneità giuridica e medesimi interessi economici ai fini dell'approvazione di un piano di ristrutturazione.
L'adozione della nozione di classi di creditori persegue due obiettivi fondamentali:
a) Garantire Equità: la direttiva prevede che la suddivisione dei creditori in classi diverse assicuri un trattamento equo dei diritti similari, permettendo che i piani di ristrutturazione vengano adottati senza arrecare danni ingiusti alle parti interessate. Questo principio aveva già una certa rilevanza nell’ordinamento belga, tant’è che la Corte Costituzionale, con un’importante sentenza del 18 gennaio 2012 aveva già evidenziato il principio generale di diritto di eguaglianza e di non discriminazione stabilendo, altresì, il divieto alla previsione di differenze di trattamento non ragionevolmente giustificate. Attualmente, l'articolo XX.72 CDE consente che il piano di riorganizzazione possa prevedere un trattamento differenziato per alcune categorie di crediti, ma, si ribadisce, tale norma non può essere interpretata in modo tale da consentire che il piano preveda differenze di trattamento non giustificate. Il tribunale del commercio è tenuto a valutare se tali disparità siano ragionevolmente giustificate e, in caso contrario, ha il dovere di negare l'omologazione del piano[22].
Dunque, sulla base di quanto appena riferito, i creditori e i detentori di strumenti di capitale sono raggruppati in classi distinte; il criterio è quello di verificare se i diritti, risultanti in caso di liquidazione del patrimonio del debitore e quelli risultanti dall’accordo, differirebbero a tal punto da non poter parlare di posizioni comparabili.
I titolari di crediti speciali (garantiti e privilegiati speciali) e i titolari di crediti ordinari (non garantiti, subordinati e privilegiati generali) costituiscono classi separate.
L'interesse puramente economico non entra in gioco, ma il giudice deve verificare che la suddivisione delle classi sia corretto e che vi sia una sufficiente omogeneità di interessi economici e giuridici.
Il legislatore fornisce alcuni esempi di ripartizione, quali la distinzione dei creditori chirografari da quelli infragruppo, la ripartizione dei creditori chirografari sulla base della proposta di pagamento, la separazione dei creditori privilegiati speciali da quelli garantiti, ecc.
Il piano di risanamento deve essere approvato dalla maggioranza di ciascuna classe di creditori. Un piano di risanamento si considera approvato quando la maggioranza dei creditori o dei detentori di capitale appartenenti ad una classe vota a favore, rappresentando almeno la metà delle somme dovute per capitale oltre agli interessi (art. XX.83/14 CDE).
Le maggioranze sono calcolate unicamente tenendo conto dei creditori che hanno preso parte al voto all’interno di ogni classe.
Se vi sono creditori dissenzienti, il piano può comunque essere vincolante per essi se il tribunale ritiene che soddisfi il criterio del miglior interesse dei medesimi (art. XX.83/17 CDE), ovvero se nessun creditore dissenziente risulti manifestamente danneggiato rispetto a una procedura fallimentare ordinaria.
Se il piano non ottiene la maggioranza richiesta in ogni classe interessata, il piano può comunque essere omologato coattivamente attraverso il cd cross-class cram down[24](sistema dell’applicazione forzata interclasse), in base al quale il piano, per essere approvato, dovrebbe essere sostenuto da una maggioranza delle classi di parti interessate a votare; almeno una di queste classi dovrebbe rappresentare creditori garantiti o una classe di rango superiore a quello dei creditori ordinari non garantiti(art. XX.83/18 CDE) Questo sistema consente che un piano di riorganizzazione, anche se non approvato da tutte le classi di creditori, possa essere approvato a condizione che siano rispettati i seguenti criteri:
Il legislatore belga ha adottato con determinazione la regola della priorità assoluta, assicurando che l'ordine di priorità definito per le liquidazioni forzate venga preservato analogamente a quanto previsto dal criterio del miglior interesse dei creditori, poiché siffatto approccio può incrementare la flessibilità nella valorizzazione derivante dall'attuazione del piano.
La priorità assoluta può essere derogata nel caso del surplus derivante dalla continuità aziendale (il cd plusvalore); in quest’ultimo caso si applicherà il principio della priorità relativa.
Un ulteriore temperamento discende dall'articolo XX.83/18 parte 2 che introduce anche la pratica del c.d. “gifting” come eccezione alla regola della priorità assoluta[28]. Questo meccanismo consente di obbligare (coattivamente) una classe di creditori di rango superiore ad accettare che una porzione di quanto loro dovuto venga destinata a una classe di rango inferiore, quando il creditore di rango inferiore abbia apportato nuova finanza essenziale per la ristrutturazione aziendale[29].
Inoltre, si specifica che il pagamento integrale, nel piano, dei creditori di rango superiore non implica necessariamente che essi vengano pagati più rapidamente degli altri creditori. Infatti, la regola della priorità assoluta lascia ampia libertà quanto alla negoziazione dei tempi di pagamento proposti, nel caso in cui l'applicazione rigida di tale regola produca risultati non conformi alla logica economica. Viene evidenziato, così, il realismo del legislatore belga, che ammette come l'adozione stringente della priorità assoluta trasposta nel sistema possa, in alcuni casi, portare a esiti economicamente irrazionali.
Tradizionalmente, un piano doveva ottenere il supporto della maggioranza dei creditori sia in numero che in valore. La regola principale che permette di imporre un piano non è più la maggioranza numerica dei creditori, ma piuttosto un ‘’valore’’ iniziale da cui potrebbero derivare futuri pagamenti[30]; ciò permette una maggiore flessibilità e potenzialmente facilita il salvataggio delle aziende in difficoltà, ma solleva anche questioni di equità e di trattamento proporzionale dei creditori.
Le classi di creditori devono essere formate con attenzione per garantire che ogni classe abbia interessi sufficientemente omogenei.
Una volta formata, una singola classe, anche se rappresenta solo una minoranza, può determinare le condizioni del piano di riorganizzazione, purché dimostri che il piano rispetta l’ordine di priorità normale dei pagamenti. Questo sistema è progettato per riflettere una distribuzione equa in caso di liquidazione, ma la sua applicazione pratica può variare ampiamente a seconda delle circostanze specifiche di ciascun caso. La legge permette la creazione di numerose classi e ci sono casi in cui una classe può anche essere formata da un solo membro.
Questa estrema flessibilità ha lo scopo di permettere una personalizzazione del piano di riorganizzazione a seconda delle esigenze specifiche dei vari tipi di creditori coinvolti.
Tuttavia, ciò pone anche la questione di come le minoranze di creditori possano influenzare significativamente i risultati, potenzialmente a scapito della maggioranza. La sfida principale è stata, quindi, quella di bilanciare il potere tra diverse classi di creditori, assicurando che non ci siano abusi nella definizione delle classi o nell’imposizione dei piani.
La capacità di una classe di imporre un piano si basa sulla definizione di un ‘’valore’’ che consiste, per i soggetti interessati, nel quanto ragionevolmente aspettarsi di essere pagati se l’ordine di liquidazione venisse rispettato[31].
La nozione di ‘’valore d’impresa’’ è fondamentale nelle procedure di riorganizzazione e viene utilizzata per stabilire se i creditori possano aspettarsi di essere soddisfatti. Questo valore viene determinato attraverso vari metodi, tra cui multipli di mercato, valutazioni basate su scenari specifici e altri metodi probabilistici.
Ciò è fondamentale per stabilire se il valore indicato nel piano di riorganizzazione sia equo e allineato agli interessi dei creditori.
È, inoltre, fondamentale che le classi di creditori negozino, basandosi su una stima precisa e condivisa della situazione economica dell'impresa. La trattativa tra le classi di creditori, riguardo a un piano di riorganizzazione, si basa proprio sulla corretta valutazione del valore aziendale.
I creditori privilegiati possono spesso resistere a piani che deprezzano eccessivamente il loro potenziale di recupero, mentre i creditori non garantiti possono favorire una valutazione più cautelativa. È essenziale, dunque, che il valore negoziato consenta a tutte le parti di mantenere aspettative realistiche sui ritorni finanziari.
L'adozione di un piano di riorganizzazione da parte di una singola classe potrebbe risultare eccessivamente autoritaria; di conseguenza, risulta essenziale regolare tale potere per limitarne gli effetti ingiusti.
La regola del miglior interesse facilita il trattamento di situazioni complesse o di contesti in cui il numero dei creditori, la loro natura o l'importo del credito renderebbero impraticabile la procedura di riorganizzazione giudiziaria (PRJ) senza la suddivisione in classi.
L'applicazione del principio del miglior interesse obbliga il giudice a controllare, su sollecitazione di qualsiasi creditore o parte interessata, che la proposta in valutazione non sia inferiore ad altre possibili soluzioni.
Queste includono la liquidazione e ciò che il creditore otterrebbe rispettando i suoi diritti di priorità tutelati dal liquidatore[32]; il valore derivante dalla liquidazione diventa così un punto di riferimento cruciale che ha impatti significativi per i creditori garantiti.
La distinzione tra l'analisi della fattibilità e della sostenibilità di un piano rispetto alla sua reale implementazione assume un ruolo molto importante. Infatti, è essenziale che un'azienda disponga di un piano che sia praticabile e duraturo nel contesto del settore e della propria struttura organizzativa.
Nelle fasi conclusive del processo, il giudice esamina la fattibilità del piano basandosi su discussioni e prove presentate[33].
Questo dimostra che l'analisi della fattibilità non può prescindere da quella della sostenibilità: un'azienda non può attuare efficacemente un piano se il settore generale o la sua specifica organizzazione non supportano un'attività economicamente vantaggiosa. È fondamentale, dunque, analizzare il settore di riferimento dell'azienda, la sua posizione all'interno di esso, e valutare se la struttura di governance e organizzativa, con i suoi punti di forza e debolezze, rendano fattibile il piano.
Il giudice, valutando approfondimenti ottenuti dopo il voto sul piano e le critiche dei creditori che si presentano volontariamente, decide sulla realizzabilità del piano stesso.
In alcuni casi, il dibattito sulla fattibilità e sostenibilità inizia solo dopo che è stata effettuata una valutazione del valore[34].
La sostenibilità di un piano di riorganizzazione è spesso influenzata dalla struttura di governance e dalla capacità di garantire finanziamenti adeguati, senza pregiudicare gli interessi dei creditori esistenti. È vitale che il piano offra garanzie paragonabili a quelle disponibili in caso di fallimento.
La valutazione e l'implementazione dei piani di riorganizzazione necessitano di un'analisi meticolosa e di un impegno attivo di tutte le parti coinvolte per assicurare che i piani siano non solo legalmente validi, ma anche praticamente eseguibili e sostenibili nel lungo termine[35].
Un altro aspetto significativo per i creditori è la capacità di presentare un piano di riorganizzazione alternativo o concorrente.
Un creditore o un gruppo di creditori può sottoporre al giudice un piano alternativo prima della fase di omologazione del piano principale. Questa opzione non offre soltanto un contrappeso alle proposte del debitore che potrebbero essere considerate oppressive, ma assicura anche un livello di equità competitiva tra tutti gli stakeholder coinvolti nel processo di riorganizzazione.
La capacità di presentare piani alternativi offre quindi una protezione significativa nei processi di riorganizzazione, permettendo ai creditori minoritari di influenzare attivamente il corso degli eventi e assicurando che le loro prospettive siano adeguatamente considerate. Questo non solo aumenta le possibilità di un esito positivo del processo di riorganizzazione, ma promuove anche un maggiore equilibrio tra le parti coinvolte, favorendo soluzioni innovative ed efficaci.
La protezione del creditore è, inoltre, garantita dalla possibilità che il suo trattamento prevalga su quello degli azionisti, così da poter essere soddisfatto sul valore primo delle attività. Ciò costituisce l'evoluzione più sorprendente. Il testo legislativo consente l'"affettazione" degli azionisti come creditori di ultima istanza. Il termine "affettazione" maschera di fatto lo "schiacciamento" subito dagli azionisti. Pertanto, è comprensibile il motivo per cui il valore usato nel cram-down sia il valore delle attività correnti: esso rappresenta ciò che i creditori, che schiacciano gli azionisti, preferiranno ricevere[36].
Se il valore attivo dell'azienda non supera l'ammontare totale del passivo, una circostanza piuttosto frequente, creditori e azionisti si confrontano sul valore effettivo. Se il valore di liquidazione di un credito è inferiore al suo valore prioritario e non raggiunge il totale del passivo, gli azionisti sono esclusi dal "gioco".
Allo stesso tempo, deve essere garantito che il piano rispetti la posizione gerarchica dell'azionista, trattandolo in modo subordinato (rectius, postergato) rispetto agli interessi dei creditori. Nell'attuale panorama economico, la maggioranza delle imprese sono società dotate di personalità giuridica che offrono agli azionisti il vantaggio della responsabilità limitata.
Nel caso di una procedura di riorganizzazione giudiziaria l’obiettivo è preservare l’impresa nonostante la sua incapacità di onorare i debiti. Questa è la concezione opposta a quella che predominava quando fu sviluppato il processo di fallimento, in cui il commerciante incapace di onorare i suoi impegni sarebbe stato semplicemente eliminato dal mercato.
Vi è, dunque, un chiaro cambiamento di paradigma[38], poiché prima della riforma, la Procedura di Riorganizzazione Giudiziaria (PRJ) mediante accordo collettivo produceva conseguenze notevolmente differenti[39].
In tale contesto, gli azionisti conservavano integri i loro diritti all'interno dell'azienda, mentre i diritti dei creditori venivano primariamente limitati[40].
Tale sistema collocava gli azionisti in una posizione di vantaggio, avendo l'azienda cancellato una porzione sostanziale dei suoi debiti; ciò permetteva loro di proseguire nell'attività economica e di aspirare a futuri dividendi, facilitati ulteriormente dalla certezza che, anche in un'ipotetica ripresa economica, l'azienda non sarebbe stata tenuta a ripagare i debiti eliminati dalla PRJ.
Tale approccio non solo offriva la possibilità di salvare l'impresa (seppur non sempre con successo), ma alterava l'ordine tradizionale delle priorità, facendo ricadere il peso principalmente sui creditori, a volte a scapito degli azionisti. Questa dinamica risultava ancora più marcata qualora gli azionisti avessero ricoperto il ruolo di amministratori dell’azienda, percependo compensi che rappresentavano il loro principale, se non unico, guadagno dall'azienda. La riforma è intervenuta per correggere tale situazione, in particolare per le grandi imprese, integrando ora i "detentori di capitale" nel piano di riorganizzazione.
Il termine "detentore di capitale" si riferisce a individui o entità che possiedono una partecipazione nel patrimonio di una persona giuridica, ma che non sono classificati come creditori. Questa definizione include gli azionisti, a condizione che non abbiano crediti verso la società.
La normativa belga ha adottato una definizione ampia di detentore di capitale che permette di includere azionisti e soci di società, sia con che senza capitale nominale.
Nel contesto dei piani di riorganizzazione aziendale, esistono differenze significative nel trattamento dei detentori di capitale a seconda che si tratti di piani per piccole e medie imprese (PMI) o per grandi imprese.
La legislazione permette una certa flessibilità nel coinvolgere i detentori di capitale nei piani di riorganizzazione delle PMI, non rendendo obbligatorio il loro coinvolgimento. Tuttavia, in caso di piani per grandi imprese, i detentori di capitale sono tipicamente coinvolti attivamente e hanno diritto di voto.
Esiste una discussione dottrinale sulla questione concernente l’esistenza o meno del diritto di voto in capo ai detentori di capitale nei piani di riorganizzazione delle PMI. Secondo alcuni autori, in considerazione della direttiva europea che consente agli Stati membri di privare l’azionista del diritto di voto sul piano[41], questo diritto non esiste; mentre altri ritengono che sia una mera omissione legislativa e che i detentori di capitale dovrebbero essere coinvolti nel processo decisionale, per analogia con la normativa concernente le grandi imprese[42].
In sintesi, il ruolo dei detentori di capitale nei processi di riorganizzazione aziendale varia in base alla dimensione dell'impresa e alla specifica configurazione del piano di riorganizzazione. La legge belga sembra lasciare spazio a interpretazioni diverse e ad una certa flessibilità nel coinvolgimento di questi attori nel processo decisionale.
Tuttavia, qualunque sia la scelta, è necessario essere coerenti nel trattamento riservato al detentore di capitale. Se il debitore ritiene che debba essere interessato dal piano "PMI", il detentore di capitale deve poter votare il piano. In questo caso, l'"interesse" dei detentori di capitale deve essere il criterio preso in considerazione per determinare il loro diritto di voto sui piani "PMI", con il principio della doppia maggioranza[43].
La natura pubblica delle procedure classiche di riorganizzazione giudiziaria spesso genera reazioni negative, come la sfiducia o una totale perdita di fiducia da parte dei partner finanziari o dei clienti e fornitori. In alcuni settori (ad esempio, il settore farmaceutico), questa pubblicità rappresentava un ostacolo insormontabile.
In relazione a ciò, la nuova legge offre ai debitori la possibilità di richiedere una procedura di riorganizzazione giudiziaria privata o riservata.
Dunque, questa nuova procedura risponde a un’esigenza fondamentale per le imprese, cioè quella di trovare un quadro giuridico adeguato a implementare discussioni confidenziali con i loro creditori per affrontare le difficoltà finanziarie.
La procedura privata si ispira a procedure in vigore all'estero, in particolare nei Paesi Bassi, e deve essere considerata come una versione più evoluta dell' "accordo preparatorio", che era stato istituito temporaneamente dalla legge del 21 marzo 2021 che modificava il libro XX del Codice di diritto economico e il Codice delle imposte sui redditi del 1992; mira a evitare la pubblicità negativa associata a una situazione di insolvenza e tende così a preservare al massimo le possibilità di sopravvivenza delle imprese in difficoltà[45].
La procedura privata di riorganizzazione giudiziaria, sia che si tratti di un accordo amichevole o collettivo, rimane strettamente confidenziale, in tutte le fasi della procedura, per evitare che il credito dell'impresa si deteriori e che la reputazione della medesima sia irrimediabilmente compromessa.
A differenza della vecchia procedura di accordo preparatorio, la cui prima fase era confidenziale e la seconda pubblica, la nuova procedura rimane quindi integralmente confidenziale.
La natura confidenziale ha l'effetto dell’assenza di sospensione dei diritti dei lavoratori e dei creditori nei confronti dell'impresa. Chi non è coinvolto nella procedura non può subirne un pregiudizio: si sottolinea, quindi, che l'unico scopo di questa procedura è quello di aumentare le possibilità di sopravvivenza dell'impresa sotto il controllo dell'autorità. Queste possibilità, chiaramente, sono nettamente più elevate se la procedura si svolge con la massima discrezionalità e con un numero limitato di creditori chiave.
Attualmente, la procedura di riorganizzazione giudiziaria privata è integrata nel capitolo 4 del titolo V/I del libro XX del CDE, che riguarda la riorganizzazione giudiziaria e integra quindi, accanto alle procedure pubbliche, un quadro legale per negoziare un accordo amichevole o collettivo in modo completamente confidenziale.
La procedura si svolge in due fasi.
La prima fase consiste nell'apertura della procedura e nella designazione di un esperto che ha il compito di curare la riorganizzazione e assistere il debitore nel condurre le negoziazioni per raggiungere uno o più accordi con i creditori. In caso di successo di questa prima fase, l’esperto incaricato di seguire la procedura di riorganizzazione e il debitore possono rivolgersi al tribunale dell’impresa per sollecitare l’omologazione degli accordi.
Proprio come nella procedura di riorganizzazione giudiziaria pubblica, anche nella procedura privata il debitore può avviare il processo tramite una richiesta unilaterale (art. XX.83/22 CDE).
Tuttavia, la legge introduce una novità significativa: ora anche un creditore o un detentore di capitale possono avviare la procedura presentando una richiesta (art. XX.83/22 CDE). La motivazione di questa innovazione, come spiegato nella relazione illustrativa alla riforma, è che l'apporto di alcuni creditori risulta fondamentale quando l'impresa debitrice non ritiene necessario negoziare accordi con i suoi creditori, pur in una situazione aziendale destinata al fallimento nel lungo termine.
Il legislatore, però, ha limitato la facoltà di avviare questa procedura ai soli creditori e ai detentori di capitale.
Non essendo stata stabilita una partecipazione minima nel patrimonio dell'azienda per qualificarsi come "detentore di capitale", si potrebbe ipotizzare che anche il proprietario di una singola azione possa teoricamente innescare l'apertura di una procedura di riorganizzazione giudiziaria privata.
Analogamente alla procedura pubblica, la richiesta deve essere inviata al presidente del tribunale dell'impresa competente per territorio e registrata nel registro centrale della solvibilità (noto come "RegSol").
La richiesta è esaminata in camera di consiglio entro otto giorni dal suo deposito e
al completamento della fase di negoziazione, se il debitore e il praticante della riorganizzazione hanno elaborato un piano di riorganizzazione con alcuni creditori o predisposto un accordo amichevole probabilmente destinato all'approvazione, procederanno a presentare la documentazione necessaria non più al presidente ma direttamente al tribunale.
Il tribunale esamina il piano o l’accordo per assicurarsi che rispetti gli interessi dei creditori e dei lavoratori e, inoltre, può richiedere ulteriori modifiche o chiarimenti, qualora alcune parti siano poco dettagliate, prima di procedere all’omologazione. L’esame del tribunale include, altresì, una valutazione dettagliata delle proposte finanziarie e operative contenute nel piano, nonché un’analisi delle implicazioni a lungo termine per la sostenibilità dell’impresa.
Una volta approvato, il piano di riorganizzazione o l'accordo amichevole diventa vincolante per tutte le parti coinvolte. Ciò significa che sia il debitore che i creditori devono rispettare rigorosamente i termini e le condizioni stabilite.
L'implementazione del piano è supervisionata dall’esperto (praticante della riorganizzazione), il quale monitora attentamente il progresso dell'impresa e assicura che il debitore segua tutte le misure e le tempistiche concordate. Queste misure possono includere il rimborso dei debiti in accordo con il piano, l'adozione di nuove pratiche aziendali per migliorare l'efficienza operativa o altre azioni necessarie per ristabilire il risanamento finanziario dell'impresa.
La procedura di riorganizzazione giudiziaria si conclude ufficialmente quando il piano di riorganizzazione è stato completato con successo, il che significa che tutte le condizioni del piano risultano soddisfatte e l'impresa è tornata a una condizione di stabilità finanziaria.
Tuttavia, se il debitore non riesce a implementare il piano come previsto o se emergono nuovi problemi finanziari, il tribunale può intervenire ordinando ulteriori azioni correttive, come ad esempio la modifica del piano di riorganizzazione, la nomina di nuovi amministratori, o, in casi estremi, la liquidazione dell'impresa per proteggere gli interessi dei creditori.
In definitiva, siffatta procedura può concludersi con la procedura di riorganizzazione giudiziaria privata mediante accordo amichevole ovvero la procedura di riorganizzazione giudiziaria privata mediante contratto collettivo.
A differenza delle procedure pubbliche, la domanda presentata al tribunale da parte dell’impresa in difficoltà non richiede la divulgazione dettagliata nel Registro delle imprese, permettendo così una maggiore discrezione.
L’obiettivo finale è sempre quello di consentire all’impresa di continuare le sue attività, salvaguardando l’occupazione e il valore aziendale. Pertanto, questa procedura rappresenta lo strumento ideale per le imprese belghe che cercano una soluzione alla crisi finanziaria mantenendo un basso profilo pubblico.
Quando l'intenzione è quella di finalizzare uno o più accordi amichevoli, il compito di presentare una richiesta su RegSol, allegando l'accordo che necessita di omologazione e una relazione sulle circostanze dell’accordo (art. XX.83/26, § 1°, CDE), spetta al praticante della riorganizzazione.
Dopo aver sentito il debitore, il tribunale designa un giudice delegato e stabilisce la data in cui avrà luogo l’esame della richiesta di omologazione. In questa fase, l'intervento del tribunale appare per lo più una formalità, con il dibattito vero e proprio rimandato all'udienza di omologazione.
Durante l'udienza di omologazione, in caso non vi sia un accordo consensuale da parte di uno o più creditori, il tribunale può, se sollecitato, estendere i termini per facilitare il raggiungimento di tale accordo.
Questo significa che l'intervento del tribunale mira a facilitare un accordo amichevole finale e la decisione di estendere i termini funge da temporanea risoluzione conciliativa fino al possibile raggiungimento di un accordo definitivo.
La procedura di riorganizzazione giudiziaria privata mediante contratto collettivo si svolge, come quella pubblica, con le PMI che devono presentare una richiesta al tribunale competente, in cui illustrano in maniera dettagliata la propria situazione finanziaria e un piano preliminare per la riorganizzazione che evidenzi come l’azienda intenda risolvere le sue difficoltà economiche.
Il tribunale può nominare un mediatore, che può rivelarsi molto utile per le PMI perchè possono non avere l’esperienza o le risorse necessarie per gestire complesse negoziazioni di debito in modo diretto.
La natura privata della procedura permette alle imprese di continuare le attività senza l’attenzione negativa che potrebbe derivare da un procedimento pubblico; tutte le azioni di riscossione vengono sospese temporaneamente offrendo all’impresa lo spazio necessario per implementare il piano di riorganizzazione.
Vi è, poi, la procedura di riorganizzazione giudiziaria privata mediante contratto collettivo applicabile alle grandi aziende che costituisce un importante strumento legale finalizzato a supportare le imprese di considerevoli dimensioni nel superare periodi di crisi finanziaria.
Permette alle imprese di negoziare e raggiungere un accordo con i creditori sotto la supervisione giudiziaria, pur mantenendo una certa discrezione e riservatezza nel processo.
Le aziende di dimensioni significative possono, pertanto, negoziare una via d’uscita dalla crisi sotto la supervisione del tribunale mantenendo un livello di privacy che può essere critico per la conservazione del valore aziendale e della fiducia degli stakeholder.
La chiave del successo, in tale procedura, risiede nella preparazione di un piano di riorganizzazione realistico, nell’ottenere l’approvazione dei creditori e nel successivo avallo del tribunale.
La liquidazione di un'impresa può essere ordinata dal tribunale per garantirne un efficace scioglimento ed è gestita da un “praticien de la liquidation” nominato dal tribunale delle imprese (art. XX.85 CDE).
Il debitore può richiedere questa cessione sia nella domanda iniziale sia in qualsiasi fase della procedura (art. XX.84 CDE)[46].
La richiesta può anche essere presentata al tribunale da parte dei creditori o di un amministratore nominato in precedenza e deve provare che la vendita sotto l’autorità giudiziaria sia espletata nel miglior interesse dei creditori e possa contribuire a preservare il valore dell’impresa.
La sentenza che autorizza il trasferimento determina se tutti i beni e le attività del debitore o solo una parte di essi sono soggetti alla cessione; nel secondo caso, il tribunale deve specificare lo scopo della cessione oppure lasciare che sia il praticien de la liquidation, a sua discrezione, a rappresentarlo (art. XX.84 CDE).
Il giudice esamina la motivazione dietro la scelta del cessionario in relazione alle diverse categorie di lavoratori e, in mancanza di una motivazione sufficiente, può respingere il trasferimento.
Il tribunale decide sull’assegnazione dell’impresa o dei beni al miglior offerente e tiene conto non solo degli aspetti finanziari, ma anche dell’impatto sociale e della tutela occupazionale derivante dalla vendita.
Al termine della procedura, può essere dichiarato il fallimento o avviata la liquidazione giudiziaria (art. XX.93.1 CDE)[47].
Questa procedura, dunque, offre un meccanismo per la vendita controllata di imprese o beni che, attraverso la supervisione giudiziaria, cerca di massimizzare il valore dell’impresa garantendo, così, il miglior ritorno possibile per i creditori.
La procedura enfatizza l’importanza di una gestione trasparente e giudiziaria nelle fasi critiche della vita aziendale, riconoscendo il ruolo centrale del tribunale nel garantire la correttezza e l’equità del processo.
La principale novità introdotta dalla riforma è la modifica della natura di questa procedura: non è più considerata una procedura di riorganizzazione, come lo era in precedenza, ma è ora inclusa tra le procedure di liquidazione. Anche nella sua denominazione è stato eliminato il termine "réorganisation".
Questo cambiamento è stato apportato dal legislatore belga sulla scorta della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea consolidatasi con il caso Plessers c. Prefaco NV, Belgische Staat[48].
Dunque, il legislatore della riforma ha sancito che nelle procedure di liquidazione non si applica l'obbligo specifico di tutelare e mantenere i diritti dei lavoratori sulla scorta della Direttiva 2001/23/CE[49].
La riforma ha introdotto modifiche significative al quadro normativo per le imprese in difficoltà finanziaria al fine di perseguire l’obiettivo di modernizzare e semplificare il sistema, rendendolo più efficiente e favorevole al salvataggio delle imprese.
È stato introdotto, come testè riferito, un nuovo procedimento preventivo di ristrutturazione che mira ad agevolare il riassetto delle imprese in difficoltà finanziaria, senza dover necessariamente ricorrere ad una procedura concorsuale e che offre una maggiore flessibilità ai debitori per negoziare un piano di ristrutturazione con i propri creditori.
Sono state introdotte, altresì, modifiche volte ad accelerare e semplificare le procedure concorsuali, riducendo i tempi e i costi; al contempo è stato rafforzato il ruolo del giudice nella supervisione delle procedure per garantire maggiore trasparenza ed equità.
Inoltre, la riforma si muove nell’ottica di garantire una maggiore tutela dei posti di lavoro, prevedendo nuove misure volte a garantire la tutela occupazionale nelle imprese in difficoltà finanziaria, conferendo al giudice il potere di ordinare al debitore di mantenere i posti di lavoro durante la procedura concorsuale e prevedendo incentivi per le imprese che assumono lavoratori provenienti da aziende in fallimento.
Un altro obiettivo fondamentale della riforma è quello di assicurare la continuità aziendale, consentendo alle imprese di ottenere finanziamenti indispensabili per il risanamento aziendale e prevedendo agevolazioni fiscali per le imprese che acquistano attività da aziende in fallimento.
Il nuovo sistema del diritto della crisi belga riflette, dunque, la comprensione del legislatore dell’importanza della flessibilità e dell’adattabilità in situazione di crisi aziendale e cerca di equilibrare gli interessi di tutte le parti, compresi gli stakeholder coinvolti, offrendo soluzioni che favoriscano la continuità delle attività economiche e la conservazione dell’occupazione.
Tuttavia, si ritiene opportuno precisare che la riforma è ancora in una fase iniziale e il suo impatto effettivo non risulta ancora chiaro.
Note: