L’omologazione degli accordi agevolati è possibile solo se il debitore prevede il pagamento dei non aderenti senza alcuna “moratoria”, e non abbia richiesto e rinunci a richiedere le misure protettive e cautelari temporanee di cui all'art. 54.
Per quanto concerne la prima condizione si è enfatizzato il termine moratoria in quanto è sorto il dubbio se l’esclusione dell’accesso alla stessa comporti l’impossibilità di utilizzare l’istituto di cui all’art. 62 e quindi concludere con i creditori o, più, presumibilmente, una certa aliquota di questi, un accordo di dilazione dei crediti da estendere eventualmente alla minoranza non aderente all’accordo, salva la possibile opposizione avanti al tribunale.
Resterebbe invece possibile la dilazione prevista dalle lettere a) e b) del comma 3 dell’art. 57 e quindi il differimento dei pagamenti fino a centoventi giorni dall’omologazione per i debiti scaduti prima della stessa o dalla data di ordinaria scadenza se questa è posteriore all’omologazione.
La tesi non può essere condivisa, anche se il citato art. 57 non qualifica come moratoria la dilazione, essendo tale termine invece utilizzato appunto nell’art. 62.
Si è già rilevato che l’art. 60 è stato introdotto anticipatamente nell’ordinamento tramite la integrazione della legge fallimentare operata con il D.L. n. 118/2021, come convertito, che ha introdotto l’art. 182 novies; tale disposizione, per quanto qui interessa, pone come condizione per l’accesso agli accordi agevolati che il debitore “abbia rinunciato alla moratoria di cui all'articolo 182 bis, primo comma, lettere a) e b)” che è appunto quella massima di 120 gg. di cui sopra e non vi è alcuna ragione per ritenere che nella trasposizione si sia voluto prevedere qualcosa di diverso rispetto alla norma originale pur utilizzando un termine che non figura nella stessa e che è invece utilizzato nello stesso Codice ma per uno specifico istituto (la “Convenzione di moratoria” di cui al citato art. 62).
Ma se il termine moratoria non si riferisce a quella disciplinata nell’art. 62 allora l’utilizzo di tale istituto in previsione del ricorso agli accordi agevolati non dovrebbe condizionare negativamente l’accesso agli stessi.
Qui si pone un problema. Creditori non aderenti sono coloro che non hanno accettato una proposta di accordo o che non sono stati neppure interpellati e che quindi devono essere pagati regolarmente. Se tuttavia si ritiene possibile, come in seguito si dirà, che anche negli accordi agevolati si possa introdurre il meccanismo degli accordi ad efficacia estesa e quindi coinvolgere anche coloro che non hanno accettato la proposta, se rientranti in una categoria in cui i portatori di almeno il 75% del credito complessivo hanno aderito, comunque questi creditori, contrari all’accordo ma vincolati allo stesso, non possono essere ritenuti appunto aderenti. Ciò comporta che, dopo l’omologazione degli accordi, anche i non aderenti sono vincolati alla nuova conformazione del credito per quanto attiene all’eventuale falcidia, mentre non ne può essere modificata la naturale scadenza. Ne consegue che l’estensione ai non aderenti ha un senso solo se concerne crediti scadenti dopo l’omologazione in quanto quelli che scadono prima devono comunque essere pagati integralmente alla scadenza in quanto non assoggettabili a moratoria.
La seconda condizione e costituita dalla mancata richiesta e della rinuncia a richiedere misure protettive temporanee.
La disposizione è volta a tutelare i creditori non aderenti che quindi, anche in corso di procedura, potrebbero agire a tutela dei loro crediti.
Anche in relazione a questa seconda condizione è peculiare la situazione dei creditori non aderenti ma assoggettati all’accordo raggiunto del debitore con gli altri creditori, in quanto il rispetto della condizione de qua impone al debitore di non richiedere misure protettive nei loro confronti e questo conferma che, in concreto, un accordo che unifichi le due varianti possa coinvolgere coattivamente solo i portatori di crediti con scadenza posteriore all’omologazione.
Resta da vedere se la mancata richiesta di misure si riferisca solo alla fase posteriore al deposito della domanda o anche alla fase precedente.
Direi che non vi sono dubbi sul fatto che le misure non debbano essere state richieste nella fase delle trattative di cui a comma 3 dell’art. 54 e neppure, a maggior ragione, nella domanda di concessione del termine di cui all’art. 44, in quanto si determinerebbe l’insussistenza della condizione de qua, posto che attiene anche alle misure comunque connesse alla procedura.
Il dubbio invece attiene alla rilevanza ostativa delle eventuali misure richieste in corso di composizione negoziata, sfociata poi nell’accordo posto che, se è vero che quando l’art. 60 è stato scritto la composizione negoziata era in mente dei, è pur sempre vero che anche il procedimento di composizione assistita, antesignano del primo, prevedeva l’accesso a misure protettive.
Quello però che induce a non ritenere ostative le misure ottenute in fase di composizione è ancora una volta una sorta di interpretazione autentica che si ricava ancora dalla disciplina, che potremmo definire in senso lato transitoria in quanto destinata ad essere poco dopo sostituita da quella del Codice, dettata dal già evocato D.L. n. 118/2021 che, trattando della condizione in discorso, la individuava come la mancata presentazione di una domanda prenotativa ex art. 161, comma 6, e l’omessa richiesta della “sospensione prevista dall'articolo 182 bis, sesto comma” e quindi individuava la sospensione ostativa in quella specificatamente prevista per la fase delle trattative in vista degli accordi (cui equivale quella già citata, di cui al comma 3 dell’art. 54), senza invece menzionare il nuovo istituto della composizione negoziata che pure veniva contestualmente introdotto, peraltro con un’autonoma disciplina delle misura protettive. D’altra parte, la composizione negoziata è proprio volta ad esplorare il ventaglio di soluzioni alla crisi e sarebbe incongruo impedirne aprioristicamente una di quelle non solo possibili ma chiaramente favorita.
Resta il dubbio se, dopo l’omologazione e in conseguenza di una sopravvenuta difficoltà di adempimento si possa ottenere la sospensione delle azioni esecutive utilizzando lo strumento dell’art. 62 che prevede anche tale possibilità ma non pare che sussistano ragioni ostative, anche in considerazione del fatto che la rilevante maggioranza richiesta (75% di ogni categoria) comporta che presumibilmente debba essere acquisito il consenso anche da parte di creditori che in precedenza non avevano aderiti agli accordi.