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Gli accordi ad efficacia estesa alla prova del Covid-19*

Laura De Simone, Presidente di Sezione procedure concorsuali nel Tribunale di Bergamo

3 Maggio 2020

*Contributo estratto da Dalla Crisi all’emergenza: strumenti e proposte Anti-Covid al servizio della continuità d’impresa, 2020, ebook presente in versione integrale nella sezione La Rivista/Speciali
Lo scritto s'interroga su struttura e funzionalità di uno strumento di scarso impiego pratico, offrendosi di coglierne la gamma delle potenzialità inespresse. La riflessione guarda, in particolare, al contenimento dei "tempi" e dei "costi" che l'istituto assicura, mettendo in luce come la sua esperienza finora ridotta sia ascrivibile in larga parte alla farraginosità dei processi decisionali interni ai creditori bancari. Per questi ultimi, tuttavia, la gestione finanziaria del rilancio dell'economia depressa dal Covid-19 rappresenterà un inevitabile banco di prova, nel quale saranno chiamati ad assumere ex fide bona un ruolo proattivo. Il CCII, sollecita d’altronde una rimeditazione dell'approccio allo strumento, disegnando l'opportunità inedita di estensione degli effetti degli accordi di carattere non liquidatorio con banche e intermediari finanziari a creditori non aderenti e non appartenenti a tali categorie.
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1 . L’attualità degli ADR
Mentre la maggior parte delle imprese italiane è chiamata a trovare soluzioni per affrontare le incognite che seguiranno al periodo di shutdown totale di attività economiche, produttive e commerciali, imposto dalla pandemia in atto, può rivelarsi utile riesaminare gli istituti del nostro ordinamento
concorsuale che potrebbero fornire un supporto per superare, ove possibile, mediante soluzioni concordate, le situazioni di crisi.
Il contesto in cui gli imprenditori si ritrovano oggi era inimmaginabile solo qualche mese fa, e la gravità della crisi che sta per manifestarsi potrebbe imporre a breve di ritenere inadeguate misure di riorganizzazione interna dell’impresa o accordi stragiudiziali. Il Governo sicuramente sta adottando
provvedimenti significativi di sostegno alle imprese per contrastare gli effetti dell’epidemia da Covid-19, ma i tempi che saranno necessari per il recupero di un equilibrio economico-finanziario anche delle imprese oggi sane non sono prevedibili e risolvibili mediate decreto legge, per cui il ricorso
agli strumenti noti di ristrutturazione dell’indebitamento potrebbe essere vincente.
Merita in particolare rinnovata attenzione l’istituto degli accordi di ristrutturazione, che è tra le soluzioni conservative dell’impresa proposte dallalegge fallimentare forse la più duttile e meno utilizzata [1].
L’opzione operativa proposta dall’art. 182-bis L. fall. Lascia l’imprenditore libero di individuare una qualsiasi forma di accordo con i propri creditori per la ristrutturazione dell’indebitamento, purché si tratti di accordo lecito e stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti. L’istituto non è mai in concreto decollato dal 2005 ad oggi preferendo di regola i professionisti che assistono gli imprenditori in crisi accedere al binario regolamentato del concordato preventivo, quand’anche comporti un ineludibile controllo dell’autorità giudiziaria, soprattutto per le difficoltà che incontrano gli accordi di ristrutturazione nel raccogliere in tempi ragionevoli il consenso dei maggiori creditori. Paradossalmente nel sistema italiano si presenta più piana la strada concorsuale del concordato preventivo, scandita da una tempistica disciplinata dalle norme, anche se per nulla breve, rispetto alla scelta di una convenzione negoziale più libera nei contenuti ma che necessariamente sconta il consenso di gerarchie di dirigenti e consigli di amministrazioni di banche, enti e grandi imprese. È vero che i creditori negli ADR sono chiamati al non facile compito di vagliare il piano industriale e di ristrutturazione che l’imprenditore intende perseguire, o lo scenario liquidatorio che alternativamente
viene prospettato, ma i tempi troppo lunghi dei processi decisionali per l’assunzione del rischio impediscono di fatto il raggiungimento dell’obiettivo e riducono enormemente il ricorso allo strumento.
Si consideri che l’impresa in difficoltà che opta per un accordo di ristrutturazione per lo più non è un’impresa che vuole regolare la liquidazione delle proprie attività ma un’impresa che intende ristrutturarsi, tuttavia è evidente che nel tempo in cui contratta l’accordo non può porre in essere operazioni funzionali ad un piano di risanamento, mentre per la stessa sopravvivenza dell’impresa l’orizzonte temporale di risoluzione deve essere brevissimo per essere efficace, snodarsi non già in mesi ma in settimane.
In particolar modo in questo momento, in cui le imprese si trovano d’improvviso a vivere uno scenario di guerra per evitare l’evoluzione negativa della crisi e l’insanabilità del dissesto, è necessario che in maniera veloce e innovativa vengano apprestate soluzioni di efficienza coraggiose che consentano di impostare una ripartenza in una prospettiva di medio e lungo periodo.
2 . La complessità dell’interlocuzione con il creditore bancario e finanziario
In tema di crisi di impresa, quella di creditore è venuta ormai a costituire una qualificazione quasi generica, perché articolata in troppe sfaccettature. I creditori faticano “a fare gruppo” e si smembrano in sottoinsiemi; la prassi indotta dal mercato amplifica il fenomeno nella misura in cui crea quotidianamente una platea di creditori innervata di prerogative accessorie che gli altri non hanno. Vi sono in particolare creditori che per attività esercitata e per congiuntura sono più tutelati e nell'ipotesi in cui il patrimonio sociale dell'impresa non appare più sufficiente al soddisfacimento di tutte le pretese, lo percepiscono anticipatamente ed agiscono in “autoprotezione” e “autoconservazione”: sono essenzialmente, in un contesto di sottocapitalizzazione delle società, i creditori coessenziali al finanziamento del ciclo produttivo, ossia proprio gli istituti di credito.
Questi ultimi hanno poco da rimettere dal naufragio del tavolo delle trattative di componimento avviato dall’imprenditore in difficoltà, posto che alle prime avvisaglie di crisi sono gli unici abilitati a condizionare il sistema, azionando la leva dei tassi di interesse, oppure incrementando la soglia delle garanzie, o altresì ponendo limiti alla distribuzione degli utili, o finanche pretendendo la concessione di diritti di controllo sull'andamento dell'impresa. L'ingegneria finanziaria ha brevettato pure la pratica dei c.d. covenants, che sostanziano uno strumento di ingerenza più o meno penetrante sulla libertà gestoria della società, di cui possono servirsi i finanziatori per tutelarsi da scelte rischiose degli amministratori.
Per favorire il superamento del problema, non nuovo, dell’approvazione in tempi spediti di un accordo con i creditori finanziari delle imprese in crisi, il legislatore del 2015 ha introdotto nel nostro ordinamento la previsione dell’art. 182-septies L. fall. [2] L’innesto di una disposizione ah hoc in deroga parziale alla disciplina generale degli accordi di ristrutturazione dei debiti sembra rispondere all’esigenza riscontrata di scongiurare che banche e intermediari per le ragioni varie, che saranno qui di seguito analizzate, finiscano per far valere una sorta di veto sull’esito proficuo delle trattative finalizzate all’accordo, con grave pregiudizio per l’impresa oltre che per i suoi creditori.
Nella consapevolezza del ruolo fondamentale nell'assetto degli accordi di ristrutturazione dei creditori bancari e finanziari, essendo le aziende italiane notoriamente sottocapitalizzate, la norma disciplina la possibilità per le imprese di ristrutturarsi o di intraprendere la liquidazione a fronte di accordi consensuali con i propri finanziatori, operativi e vincolanti anche in assenza del consenso unanime dei creditori. La disposizione nasce in recepimento dell’indirizzo della Raccomandazione della Commissione Europea del 12 marzo 2014 n. 2014/135/UE, che nell’obiettivo di avviare gli Stati membri verso una normativa omogenea che consenta una ristrutturazione efficace delle imprese in crisi, incentiva l’adozione di piani con l’adesione anche solo da parte di «determinati tipi o classi di creditori, a condizione che gli altri creditori non siano coinvolti».
Per comprendere la portata della norma e l’utilità dell’istituto nel contesto attuale è importante partire dalla peculiare conformazione del creditore
bancario.
Gli imprenditori italiani per prassi si avvalgono di plurimi finanziamenti ripartiti tra molteplici istituti di credito e questo comporta una parcellizzazione del rischio che ciascuno di essi assume, tanto da potersi permettere una scarsa conoscenza del proprio portafoglio e dei proprio affidati. Ne consegue che, appena vengono percepiti segnali di crisi ciascun finanziatore anziché cercare di sostenerne un percorso di risoluzione, facilmente si preoccupa di più di contenere le proprie perdite, agisce singolarmente, in via stragiudiziale o giudiziale, finendo molto spesso per accelerare l’aggravamento delle difficoltà e compromettere – volontariamente – la stessa attività d’impresa.
Si aggiunga che anche quando gli imprenditori si determinano, nel momento della necessità, ad aprire una trattativa con i propri sostenitori finanziari per fronteggiare la crisi capita sovente che quelli su cui grava una quota di rischio minore assumano comportamenti opportunistici, magari per spuntare condizioni di poco migliorative, ostacolando di fatto l’azione di risanamento e/o espandendo i tempi in modo insostenibile nell’ottica progettuale di un risanamento.
Non può infine non considerarsi che molti dei crediti nei confronti di imprenditori in difficoltà sono stati oggetto in questi anni di cartolarizzazione e cessione sul mercato. La Banca Centrale Europea ha progressivamente spinto le banche dell’Unione Europea a risolvere il problema dei crediti deteriorati, incidendo gli NPL sulla redditività delle banche e sulla capacità delle medesime di finanziare l’economia. Questo è avvenuto in particolare prima con le Linee guida per le banche sui crediti deteriorati, pubblicate dalla BCE a marzo 2017, poi con l’Addendum alle Linee guida della BCE per le banche sui crediti deteriorati, pubblicato a marzo. Si noti che la definizione di credito deteriorato ai fini delle segnalazioni di vigilanza armonizzate è quella individuata dall’EBA, recepita con il Regolamento di esecuzione (UE) n. 680/2014 della Commissione Europea, per cui non si operano distinzioni tra i crediti facenti capo a debitori con probabilità di rientro in bonis e quelli in crisi irreversibile, ed entrambe le categorie devono sottostare alle stesse regole di accantonamento previste per le banche per le sofferenze classificate tali dopo il 1 aprile 2018 [3]. Persino la legislazione dell’emergenza, quale è il D.L. n.18 del 17.3.2020 (Decreto “cura Italia”) all’art. 55 incentiva i creditori a cedere i loro crediti scaduti da oltre 90 giorni i entro il 31.12.2020 al fine di ottenere crediti di imposta.
In ragione di tale normativa di favore, moltissimi crediti anche nei confronti di imprese ancora vitali, quand’anche in difficoltà, sono stati ceduti o lo saranno a breve, finendo nella disponibilità di soggetti molto eterogenei tra loro che sovente non si stanno dimostrando attrezzati o interessati alla gestione delle posizioni, e questo forse anche a causa dei modesti costi d’acquisto. Pure le modifiche soggettive nella titolarità del credito incidono quindi negativamente nella possibilità per gli imprenditori di intavolare una trattativa congiunta con gli interlocutori finanziari che possa concludersi positivamente in tempi rapidi, per cui diviene fondamentale la possibilità di coercizione che offre l’art. 182-septies L. fall.
3 . L’ambito di operatività
Passando ad esaminare la disciplina dell’istituto va ricordato che l’art. 182- septies L. fall. autorizza l’imprenditore in stato di crisi ad estendere l'accordoconcluso con la maggioranza dei creditori pure ai creditori bancari edintermediari finanziari non aderenti. Quand’anche non vi sia un preciso riferimento normativo, i soggetti a cui la disposizione si riferisce possono ritenersi essere gli istituti di credito iscritti nell’albo dell’art. 13 del D. Lgs. n. 385 del 1993 (TUB) e gli intermediari finanziari di cui all’art. 106-107 del TUB (per rinvio dall’art. 18 del TUF) per i soggetti abilitati ai servizi di investimento (tra i quali ad esempio le imprese di leasing, i consorzi fidi, le società di factoring, le società che erogano di credito al consumo, le società veicolo impiegate nelle cartolarizzazioni).
In deroga al principio di relatività del contratto di cui all’art. 1372 II co. c.c. e alla disciplina codicistica del contratto a favore di terzi di cui all’art. 1411 c.c., la norma che si esamina consente di superare la regola della non vincolatività dell’accordo per i creditori non aderenti di cui all’art. 182-bis L. fall., in favore, del principio maggioritario mutuato dal modello concordatario.
L’applicazione degli accordi ad efficacia estesa è tuttavia circoscritta al seguente ambito: 
1)     ai crediti e ai rapporti giuridici di cui sono titolari le banche e intermediari finanziari, senza specificazioni in ordine all’origine dell’indebitamento, ma con esclusione di qualsiasi differente soggetto; 
2)     in caso di esposizione dell’imprenditore nei confronti di banche ed intermediari finanziari in misura pari o superiore alla metà dell’indebitamento complessivo aziendale. 
Per la quantificazione dell’indebitamento bancario vanno considerati i debiti già scaduti per capitale e interessi ed altresì quelli non ancora scaduti, mentre per i contratti di leasing finanziario occorre valutare oltre al debito in linea capitale anche il debito per interessi già maturati alla data di riferimento.
Nel computo non dovrebbe tenersi conto de debiti contestati o in contenzioso salvo che le contestazioni mosse siano palesemente infondate [4].
Più complessa è la valutazione ai fini del calcolo dei debiti potenziali per fideiussioni concesse dall’imprenditore a favore di banche e intermediari finanziari o di altri soggetti (in tal caso al fine del computo del monte debiti) che necessariamente sarà approssimativa, e potrà conteggiarsi sulla base della probabilità di escussione da parte del creditore garantito.
Quanto all’oggetto dell’accordo deve ritenersi che qualsiasi convenzione non espressamente esclusa dalla norma sia consentita per cui sicuramente oggetto della previsione potranno ad esempio essere riscadenziamenti, stralci, modifiche di tassi di interessi, riduzione di tassi, conversione del credito in quote di capitale o strumenti finanziari partecipativi [5]. Espressamente prevista è altresì la possibilità di estendere l’ambito applicativo della previsione all’obbligo di consentire l'utilizzo di beni concessi in leasing.
Con la convenzione unicamente non potranno essere imposti agli Istituti non aderenti: 
a)      l'esecuzione di nuove prestazioni ed in particolare l'erogazione di nuovi finanziamenti;
b)      la concessione di affidamenti o il mantenimento della possibilità di utilizzare quelli esistenti.
La ragione della importante limitazione è che lo strumento può essere utilizzato solo per rinegoziare i crediti già sorti, non per disciplinare i crediti che possano derivare da contratti da stipularsi successivamente, perché in nessun modo l’accordo ad efficacia estesa deve comportare un aggravamento del rischio per la Banca o l’intermediario finanziario non aderenti. Quanto al divieto di inserire nell’accordo la possibilità di utilizzo degli affidamenti esistenti, esso deve intendersi riferito agli affidamenti concessi e non utilizzati, posto che appunto non comporta aggravamento del rischio della Banca la conservazione degli utilizzi, sia relativi a linee di cassa che relativi a linee autoliquidanti.
Va anche chiarito che l’accordo ex art. 182-septies L. fall. non è un accordo di ristrutturazione a sé stante, non è dotato di autonomia, ma è un istituto che può trovare applicazione solo nell'ambito di un accordo a mente dell’art. 182-bis L. fall., per cui oltre alle circostanze particolari della normativa speciale che lo caratterizza devono sussistere i presupposti per la disciplina generale degli accordi di ristrutturazione: (1) accordo con almeno il 60% dei creditori; (2) pubblicazione dell’accordo nel Registro delle imprese; (3) rispetto del termine di 120 giorni per il pagamento dei creditori estranei all’accordo.
4 . Come e quando opera l’adesione forzosa
Il nuovo istituto fa fulcro sull’opportunità di vincolare all’accordo di ristrutturazione, non soltanto i creditori che vi hanno aderito, ma anche coloro che, messi in condizione di partecipare proattivamente alle trattative, abbiano ritenuto di non investirvi e abbiano deciso di non sottoscrivere l’accordo.
Affinché operi l’adesione forzosa dei creditori all’accordo di ristrutturazione è necessario che il debitore, con il ricorso ex art. 182-bis L. fall. Per l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, chieda che gli effetti dell'accordo siano estesi alle banche non aderenti. Occorre a tal fine in primis che le banche non aderenti siano inserite in una o più “categorie” di banche aventi posizione giuridica ed interessi economici omogenei e queste “categorie” siano individuate nell'accordo di ristrutturazione dei debiti. Le “categorie” di creditori bancari sono da costruirsi in ragione di “posizione giuridica ed interessi economici omogenei” per cui possono per similitudine essere richiamati in linea di massima gli stessi criteri utilizzati nella formazione delle classi di creditori nel concordato preventivo [6]. Potranno quindi rilevare ad esempio la presenza o meno di garanzie (reali o personali) [7] ovvero la tipologia del finanziamento (es. anticipazioni bancarie, operazioni autoliquidanti, mutui ipotecari, factoring, fideiussione) [8]. È significativo che, in difetto di una “bussola” normativa e in mancanza di preclusioni sul punto, dette categorie appaiono fisiologicamente esposte ad essere esse stesse oggetto di trattative, potendo essere identificate e perimetrate tra le parti dell’accordo in sede di stipula, non predefinite in anticipo: è incentivato, pure in tal senso, un livello della condivisione della pianificazione solutoria della crisi tra imprenditore e creditori ignoto alle dinamiche del concordato preventivo.
Anzi, è da credere che l’obiettivo implicito dell’assenza di una precisa regola di classamento sia plausibilmente proprio quello di sottrarre la correlata attività all’opzione unilaterale del debitore, che il tratto distintivo e il limite intrinseco del concordato preventivo. La perimetrazione delle categorie
viene ricondotta nell’alveo di una prerogativa congiunta delle parti aderenti all'accordo: saranno il debitore e i creditori propensi a salvarne l’impresa e a finanziarne la continuità a definire le categorie e a poter assumere, in ultima istanza, la decisione di “forzare” l'adesione della minoranza.
Il confine esterno di quella che potrebbe apparire una “dittatura” della maggioranza – cui sono potenzialmente avulsi neppure accordi di interesse – è marcato in modo netto e preciso dalla giurisdizione, essendo rimessa al tribunale, in sede di omologazione dell’accordo, la verifica sulla corretta formazione delle categorie, quindi sulla circostanza che i creditori ai quali si intende estendere gli effetti dell'intesa abbiano posizione giuridica e interessi economici omogenei rispetto a quelli dei creditori aderenti e inclusi nella specifica classe.
Si consideri anche che le misure di acceso al credito varate in questi giorni di emergenza nazionale dal Governo per assicurare liquidità alle imprese porteranno all’erogazione da parte del sistema bancario di finanziamenti garantiti in varia misura e con differenti operatività dallo Stato, per cui persino con riferimento a questi crediti che sorgeranno in capo agli Istituti bancari potrà porsi la necessità di eventuale suddivisione in autonome categorie, in ragione del differente interesse economico che le diverse garanzie potranno comportare.
Lo stesso creditore in ogni caso potrà, in ragione dei plurimi impegni assunti, essere inserito anche in più categorie.
Ulteriore presupposto per l’omologazione dell’accordo con previsione di adesione forzosa è che le banche aderenti, facenti parte della stessa “categoria”, rappresentino almeno il 75% de crediti della “categoria”. Si noti che la percentuale prevista è significativamente elevata - a fronte dei descritti interessi spesso disallineati che manifestano i creditori bancari - per cui assume particolare importanza un’attenta costruzione delle categorie al cui interno raggruppare crediti omogenei. A tal fine va esplicitato che non tutti i crediti bancari devono necessariamente essere ricompresi in una “categoria” [9], potendo limitarsi la classazione a raggruppare una parte dei crediti per cui si riscontri identità di posizione giuridica e interessi economici del tutto similari.
Peraltro le “categorie” non devono essere formate sin dall’apertura delle trattative con le banche, ben potendo essere impostate successivamente in sede di stipula definitiva dell'accordo e di domanda di omologazione, quando si manifesta chiara l’esigenza di “forzare” l'adesione di un determinato creditore bancario. Va tuttavia evidenziato che qualsiasi sia il momento in cui l’imprenditore valuta di forzare l’adesione delle banche minoritarie utilizzando l’istituto previsto dall’art. 182-septies L. fall. non potrà essere una sua scelta unilaterale, dovendo necessariamente condividersi questa valutazione con banche aderenti, poiché il raggruppamento dei crediti in “categorie” finisce per caratterizzare l’accordo e le conseguenze che derivano dalla sua omologazione. Ben potrà comunque la scelta essere effettuata anche nella fase finale delle trattative, allorquando si generi una situazione di impasse non risolvibile, che diversamente costringerebbe l’imprenditore ad affrontare la strada del concordato preventivo, per poi magari, in quella sede, classare i creditori ricercando una omogeneità di interessi economici e di posizione giuridica.
Per avvalersi dello strumento descritto la norma impone che l’imprenditore si comporti con la massima trasparenza e correttezza e ponga tutti i creditori con cui intende concludere l’accordo nelle medesime condizioni. È evidente che la possibilità di imporre un’adesione forzosa incide sull’equilibrio delle posizioni negoziali nell’ambito delle trattative per cui è imprescindibile che i soggetti chiamati a subirne gli effetti siano posti tutti nella condizione di contrattare [10]. Le banche e gli intermediari finanziari devono essere informati dell'avvio delle trattative e chiamati a parteciparvi in buona fede. Per questa ragione l’informativa iniziale non può essere solo di carattere formale ma deve consentire di aprire un dialogo, ricevere controproposte e cercare un componimento delle contrapposte esigenze. A tal fine tutte le banche dovranno aver ricevuto informazioni complete ed aggiornate sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa debitrice, nonché sui termini dell'accordo proposto e si suoi effetti.
Sempre nell’ottica di incentivare un accordo e pretendere da tutti i soggetti coinvolti un comportamento secondo buona fede, il terzo comma dell’art. 182-septies L. fall. precisa che non si tiene conto delle ipoteche giudiziali iscritte dalle banche o dagli intermediari finanziari nei novanta giorni che precedono la data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese per cui le “categorie” di crediti potranno essere formate senza considerare le prelazioni medio tempore acquisite.
La buona fede non va riferita soltanto al debitore o ai creditori, ma apprezzata in riferimento all’uno e agli altri [11]. Avuto riguardo al primo, essa implica una cura scrupolosa e non burocratica nella discosure, quindi nella somministrazione di informazioni ad appannaggio dei creditori in funzione dell’accordo; avuto riguardo ai secondi, comporta la loro responsabilizzazione, facendoli assurgere ad attori del processo di gestione negoziata della crisi, quindi impegnandoli a precisi oneri comportamentali, che sono rappresentati dall’impiego effettivo e non formale di risorse logistiche e organizzative necessarie alla interlocuzione propositiva e alla neutralizzazione, ove occorra, attraverso il principio di maggioranza, delle posizioni ostruzionistiche, egoistiche e passivamente refrattarie.
Partecipare in buona fede alle trattative significa, in definitiva, assumere posizioni motivate e non assertive in relazione alle proposte del debitore; significa adoperare mezzi calibrati al buon esito delle trattative e del tipo di accordo prospettato; significa individuare le criticità delle prospettazioni del debitore ed avanzare controproposte finanziariamente sostenibili.
Il richiamo alla buona fede disseminato a più riprese nell’art. 182-septies L. fall. e il principio di maggioranza su cui rimane incentrata l’epilogo favorevoledell’accordo sembrano ispirati, in altri termini, da un’esigenza convergente,che è quella di incentivare atteggiamenti collaborativi e cooperativiproprio all’interno della cerchia dei creditori professionalmente più qualificati,economicamente più attrezzati e istituzionalmente più adiacenti allarealtà dell’impresa (della quale finanziano l’esercizio): i creditori bancari efinanziari. La buona fede e il principio di maggioranza sono in grado dicondizionare in positivo e a livello di sistema le scelte strategiche di questiultimi, chiamati, per non violare la prima e per non subire passivamentel’applicazione del secondo, a potenziare le risorse destinate alla conduzioneaccorta e propositiva delle trattative e fluidificare in funzione di esse i propri processi decisionali.
Per l’omologazione dell’accordo dovrà essere garantito alle banche non aderenti un grado di soddisfazione non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili. L’espressione utilizzata dalla norma richiama il giudizio di convenienza di cui all'art. 180 comma 4 L. fall. ma nel contesto dell’accordo di ristrutturazione l’alternativa potrebbe non essere necessariamente quella fallimentare bensì qualsiasi altra praticabile in ipotesi di mancato accordo con il singolo creditore [12]. Se tuttavia si considera che nel Codice della crisi l’art. 61 che andrà a disciplinare l’istituto porrà come termine di paragone unicamente la soddisfazione del creditore in ipotesi di liquidazione giudiziale, deve ritenersi sin d’ora adottabile il medesimo criterio.
5 . Il procedimento
Affinché gli effetti dell’accordo siano estesi alle banche non aderenti il debitore, oltre agli adempimenti pubblicitari previsti dall’art. 182-bis L. fall., deve notificare alle banche non aderenti il ricorso per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione e la relativa documentazione, così da porre questi creditori nella condizione di essere pienamente informati dell’esito delle trattative e delle conseguenze del procedimento.
Entro trenta giorni dalla notificazione il creditore dissenziente/ non aderente potrà proporre opposizione ex art. 182-bis, comma 4) L. fall. Si tratta di un presidio di tutela finale del ceto creditorio che bilancia la connotazione “coattiva” dell’accordo. In siffatta ipotesi, infatti, l’omologazione si baserà sul c.d. cram down alla stessa stregua di quanto previsto dall’art. 180, IV co., L. fall. in materia di concordato preventivo, il che vuol dire che, diversamente dall’archetipo descritto dall’art. 182-bis L. fall., il tribunale dovrà valutare la convenienza economica dell’accordo, confrontandolo con le alternative concretamente praticabili, in guisa da appurare che gli opponenti siano soddisfatti nel quadro di esso in misura non inferiore rispetto ai pronosticabili esiti di queste.
Quanto al controllo del Tribunale, ai fini dell’omologazione, a prescindere dall’opposizione, è prevista: (a) una verifica della legittimità della procedura riguardante la corretta formazione delle “categorie” dei creditori e quindi effettiva omogeneità della posizione giuridica ed economica dei creditori ai quali viene chiesto di estendere l’accordo con quelli delle banche e degli intermediari finanziari aderenti all’accordo, nonché circa il rispetto del principio di buona fede e di corretta informazione dei creditori ai quali si intende estendere l’accordo [13] (b) la verifica di convenienza riguardo ai creditori che subiscono gli effetti di un accordo al quale non hanno aderito, circa la possibilità di soddisfo dei medesimi, sulla base dell’accordo, in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili. Difficilmente è immaginabile che il Tribunale sia autonomamente in grado di compiere questa verifica, quand’anche possa esservi il supporto dell’attestazione del professionista designato ai sensi dell’art. 182-bis L. fall., per cui deve ritenersi che nella maggior parte dei casi essa sia compiuta da
un ausiliario, che appunto il comma 4 consente al Tribunale di nominare.
In assenza di esplicite indicazioni normative e in mancanza di una casistica pratica che abbia consentito il formarsi di orientamenti giurisprudenziali in materia non risulta ancora sufficientemente indagato il perimetro del procedimento di omologazione in presenza dell’opposizione che il creditore non aderente potrebbe proporre. Si discute se con l’opposizione il creditore non aderente all’accordo ex art. 182-septies L. fall. possa chiedere solo che l’accordo non sia omologato o più limitatamente possa chiedere
che non abbia efficacia nei suoi confronti, perché ad esempio egli non rientra nella categoria individuata dal debitore ovvero non è stato adeguatamente informato o posto nella condizione di partecipare alle trattative. In questo secondo caso, in cui l’opponente si limita a chiedere l’inoperatività nei suoi confronti dell’estensione dell’accordo, ove ritenuta ammissibile e fondata, il Tribunale forse ragionevolmente potrà [14] , su richiesta del proponente, omologare comunque l'accordo escludendo l'opponente e considerandolo come non aderente, sempre che sia prevista e attuabile la possibilità di soddisfo integrale del medesimo come creditore estraneo.
6 . Conclusione e prospettive del codice della crisi
Come si è cercato di illustrare in questa breve nota mentre il Governo cerca di affrontare le enormi difficoltà delle imprese italiane con plurimi provvedimenti che comprendono moratorie di pagamenti, rinvii di scadenze, crediti agevolati e garanzie statali, la contingenza storica in cui è stata catapultata la realtà imprenditoriale indotta dall’emergenza sanitaria induce a prudentemente a valutare sin d’ora l’opportunità di l’utilizzo da parte degli imprenditori più attenti degli strumenti operativi previsti dall’ordinamento per le soluzioni negoziate della crisi d’impresa.
Nello specifico si è qui esaminato lo strumento degli accordi con efficacia estesa, istituto ancillare agli accordi di ristrutturazione ma fondamentale in un momento in cui l’indebitamento nei confronti del sistema bancario è destinato ad essere sempre più pressante financo in capo ad aziende sino ad ora sane. Per sopravvivere nel breve periodo al fermo di tutte le attività, gli imprenditori per la più parte dovranno accedere alle facilitazioni creditizie disposte in questi giorni dal Governo, incrementando il proprio indebitamento. Questo impone agli operatori di intravedere all’orizzonte la necessità di percorsi di ristrutturazione, che si auspica siano il più possibile rapidi e destrutturati.
L’art. 182-septies L. fall. sul piano dei “tempi” e dei “costi” batte perlomeno potenzialmente il concordato preventivo con continuità aziendale. Sotto il primo profilo perché nasce e cresce in un ambiente destrutturato e non processualmente irreggimentato. Sotto il secondo aspetto perché è slegato dal pagamento dei compensi del commissario giudiziale (e degli altri ausiliari del giudice).
La cifra modesta delle sue esperienze applicative è, allora, ascrivibile unicamente alla farraginosità dei processi decisionali delle banche e degli intermediari. Proprio per la difficoltà di governare in maniera fluida, organica e capillare detti processi, gli istituti creditizi e finanziari appaiono maggiormente
disponibili verso un’impresa che imbocchi la via concordataria, rispetto ad un’azienda che prospetti un percorso negoziale di ristrutturazione.
Quali i margini di maggiore operatività che si aprono oggi per gli accordi di ristrutturazione?
Tre essenzialmente.
Il primo attiene alla necessità di gestire in tempi celeri la “riapertura” delle imprese finanziate anche ex latere creditoris. Non è plausibile neppure per le banche e gli intermediari attraversare procedimenti che si protraggono mesi, attendendo di registrare la crisi in una cornice concordataria, indirettamente
finendo per sostenerne i costi annessi. La ripresa e il riavvio del ciclo produttivo diventano giocoforza una questione di giorni e ragionevolmente andrebbero programmate in anticipo sull’attenuazione del lockdown. È perciò ipotizzabile che le banche e gli intermediari possano decidere di rendersi parte diligente nell’investire risorse sulla predisposizione di apparati logistici e organizzativi idonei a sceverare le realtà industriali e commerciali su cui puntare, da quelle che la pandemia ha definitivamente
compromesso, quindi a sostenere una interlocuzione avveduta e agile.
Il secondo attiene al crepuscolo, nella più recente giurisprudenza di legittimità e nella prospettiva del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, della dicotomia fra fattibilità economica e fattibilità giuridica, che deve avere influenzato la propensione al concordato pure degli istituti di credito, verosimilmente indotti dall’avvertito meno pervasivo sindacato del tribunale in ambito concordatario rispetto al perimetro incerto degli accordi di ristrutturazione.
La terza ragionevole spinta dovrebbe promanare dalla buona fede, che è clausola generale idonea a sovraintendere sulla condotta degli istituti di credito e degli intermediari nella fase delle trattative mirate all’accordo. La gestione finanziaria del rilancio dell’economia depressa dal Covid-19 rappresenterà un notevole banco di prova per tali soggetti, che saranno obiettivamente chiamati a governarla secondo un atteggiamento proattivo, oltre che collaborativo. In base al principio in parola ciascuno dei contraenti è tenuto a salvaguardare l'interesse altrui, ove ciò non comporti un apprezzabile ed ingiustificato sacrificio dell'interesse proprio, ma addirittura – nel caso della soluzione ristrutturativa negoziata del debito – lo preservi. Ciò implicherà da parte dell’interlocutore bancario un’attenzione agli obblighi di protezione, che si estrinsecherà nella formulazione controproposte e nella manifestazione critica, non assiomatica, dell’eventuale diniego o dissenso.
 A questo tende la completezza informativa, questo implica la partecipazione in buona fede alle trattative rimarcata dall’art. 182-septies L. fall.
Infine, emerge sullo sfondo il Codice della crisi, la cui entrata in vigore è stata posticipata dall’art. 6 D.L. 8 aprile 2020, n. 23 al 1 settembre 2021, ma che segna sin d’ora la linea d’orizzonte, predisponendo gli operatori verso soluzioni ancora più attente alla conservazione dei valori aziendali.
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti non verranno solcati da abbondanti novità (artt. 57-61), arricchendosi, tuttavia, di significative sfaccettature. Tra le più salienti vi è proprio quella sugli gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa con banche e intermediari finanziari, con l’originale opportunità di estenderne gli effetti anche a creditori non aderenti che non appartengano all’anzidetta categoria, per le ipotesi in cui l’accordo abbia carattere non liquidatorio. Uno strumento in deroga agli artt. 1372 e 1411 c.c. (concernenti rispettivamente l’“efficacia del contratto” e “contratto a favore di terzi”) che da istituto pensato per i finanziatori dell’impresa si aprirà all’universo dei creditori concorsuali, quale che sia la connotazione di questi ultimi. Sarà sufficiente curarsi di annoverarli per interessi economici e
posizione giuridica omogenea dentro una categoria, per forzarli come non aderenti entro il perimetro di un accordo stipulato con altri. A condizioni che ricalcano quelle già espresse dal vigente 182-septies L. fall., ma acquistano un elemento di prominente originalità: presupposto d’estensione degli effetti alle “altre categorie” è la prosecuzione, in virtù dell’accordo, dell’attività d’impresa. 
La salvaguardia del valore azienda, che è il filo conduttore dell’intera riforma, assume pure nel contesto degli accordi di ristrutturazione una centralità cruciale, pur nella costanza di meccanismi e presidi a tutela dei creditori.
L’estensione praticabile degli effetti dell’accordo finirà per allargarne a priori i confini d’azione. Naturalmente la performance dello strumento sarà da misurare e soppesare nell’esperienza concreta, ma sulla base di potenzialità che appaiono in astratto formidabili, perché, per molti versi, inedite.

Note:

[1] 
Per approfondimenti sul tema si veda: S. Ambrosini, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella nuova legge fallimentare: prime riflessioni, in Il fall., n. 8/2005, 137; ID., sub art. 182-bis, in AA.VV., Il nuovo diritto fallimentare, Commentario diretto da A. Jorio e coordinato da M. Fabiani, Torino, 2007, 2533; S. Bonfatti, Le nuove procedure di composizione negoziale della crisi d’impresa: piani attestati di risanamento e accordi di ristrutturazione, in www.dirittobancario.it, 26 settembre 2018; B. Conca, L’accordo di ristrutturazione dei debiti e la convenzione di moratoria: disciplina e prime considerazioni applicative, ivi, 714; M. Arato, Il nuovo accordo di ristrutturazione dei debiti vs concordato preventivo, ivi, 732; F. Di Marzio, Un decreto legge in riforma del “diritto fallimentare”, in www.giustiziacivile.com, 2015, n. 6; G. Fauceglia, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge 80/2005, in Il fall., 2005, 1448; Id., Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2019, 48; F. Guerrera, La ristrutturazione ‘negoziata’ dell’impresa in crisi: novita legislative e spunti comparatistici, in www.ilfallimentarista.it, 10 dicembre 2012; M. Fabiani, Dal codice della crisi d’impresa agli accordi di ristrutturazione senza passare da Saturno, in www.ilcaso.it, 14 ottobre 2018; Id., La nomenclatura delle procedure concorsuali e le operazioni di ristrutturazione, in Il fall., 2018, 296; id., Fase esecutiva degli accordi di ristrutturazione e varianti del piano e dell’accordo, in Il fallimento, 2013, 6, 769; G. Falcone, Gli accordi di ristrutturazione, in Le Riforme della Legge Fallimentare, a cura di A. Didone, Milano, 2009, 1957 ss. L. Panzani, Le alternative al fallimento. Il concordato e gli accordi di ristrutturazione dopo il D.L. 83/2015, in Nuovo dir. soc., 2015, 219 ss; F. Rolfi- E.Staunovo Polacco- R. Ranalli, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Autonomia negoziale e concorsualita, Milano, 2016; C. Trentini, Gli accordi di ristrutturazione dei
debiti sono una “procedura concorsuale”: la Cassazione completa il percorso, in Il fall., 2018, 988 ss.; Id., Piano attestato di risanamento e accordi di ristrutturazione dei debiti, Milano, 2016.
[2] 
Per una trattazione specifica dell’istituto vedi: P. Benazzo, L'accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari. Le trattative: l'informazione sul loro avvio e la possibilita di parteciparvi in "buona fede", in Il Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e nuova disciplina in materia bancaria dopo le riforme del 2015 e del 2016, Bologna, 2017, 779 ss.; A. Di Maio, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti con gli intermediari finanziari, Torino, 2019; G. Fauceglia, L'accordo di ristrutturazione dell'indebitamento bancario tra specialita negoziale e procedure concorsuali, in Dir. fall., 2016, 723 ss.; F. Lamanna, Le classi/categorie nell’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e nella convenzione di moratoria, in www.ilfallimentarista.it, 7 gennaio 2016; G. Jachia, Accordi di ristrutturazione e finanziamenti alle imprese in crisi, Milano, 2016; A. Nigro, Gli accordi di ristrutturazione con "intermediari finanziari" e le convenzioni di moratoria, in Orizzonti del diritto commerciale, 2015, 2; M. Perrino, Gli accordi di ristrutturazione con banche e intermediari finanziari e le convenzioni di moratoria, in Dir. fall., 2016, 1441 ss.; R. Ranalli, Speciale decreto “contendibilita e soluzioni finan-ziarie” n. 83/2015: gli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari. Alcune considerazioni critiche, in www.ilfallimentarista.it, 23 luglio2015; M. Spiotta, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Sezione I. Profili sostanziali, in A. Jorio-B. Sassani (a cura di), Trattato delle procedure concorsuali, V, Milano, 2017, 183 ss., ivi a 261- 285; L. Varotti, Articolo 182-septies. Accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari
e convenzione di moratoria, 6, www.ilcaso.it, 24 agosto 2015; A. Zorzi, L’'accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari: da eccezione a regola in un mercato in evoluzione, in Il Fall., 2017, 7, 761; Id., L'accordo di ristrutturazione con banche e intermediari finanziari (art. 182-septies L. Fall.): le categorie di creditori e l'efficacia
nei confronti dei non aderenti, in Il Fall., 2017, I, 405 ss.
[3] 
Va ricordato che le banche sono chiamate ad adottare il cosiddetto approccio “di calendario”, che consiste nello svalutare gradatamente nel tempo i nuovi NPL fino ad
azzerarne il valore alla fine di un determinato periodo, senza tener conto della valutazione contabile dei crediti e delle effettive prospettive di recupero. I crediti deteriorati post 1 aprile 2018 devono essere svalutati integralmente entro 2 anni (se non garanti-ti) oppure 7 anni (se garantiti) dal momento in cui sono stati classificati come tali. Per una disamina puntuale del tema v. P. Angelini, “I crediti deteriorati: mercato, regole e rafforzamento del sistema” intervento al Convegno “NPL: sfide e opportunita. Requisiti regolamentari, strategie delle banche e dei nuovi operatori”, Roma, 9 ottobre 2018, sul sito https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-vari/int-var- 2018/Angelini-09102018.pdf
[4] 
Sul tema v. Trib. Bologna, 17 novembre 2011 in Il Fall. 2012, 594, con nota di S. Bonfatti, Pluralita di parti ed oggetto dell’accertamento del tribunale nell’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art.182-bis L. Fall. (e nel concordato preventivo)
[5] 
R. Ranalli, Speciale decreto “contendibilita e soluzioni finanziarie” n. 83/2015: gli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari. Alcune considerazioni critiche, in www.ilfallimentarista.it, 23 luglio2015.
[6] 
 È stato tuttavia autorevolmente osservato che negli accordi di ristrutturazione non valgono le regole di graduazione dei crediti in ragione dell'eventuale causa di prelazione che operano nel concordato per cui il raggruppamento dei creditori dovrebbe avvenire unicamente sulla base dell’interesse economico (M. Fabiani, Fallimento e concordato preventivo, II, Concordato preventivo, in Commentario del Codice civile e codici collegati Scialoja-Branca-Galgano, a cura di De Nova, Bologna, 2014, 210 ss.).
[7] 
B. Inzitari, Gli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari e la convenzione di moratoria: deroga al principio di relativita del contratto ed effetti sui creditori estranei, 1187, in Contratto e Impresa, 2015, 6.
[8] 
Trib. Milano, 11 febbraio 2016, in www.ilcaso.it, valuta congrua la distinzione delle categorie in relazione alla natura del credito - ipotecario o chirografario - e in relazione alla tipologia dell’operazione fonte del credito versa la debitrice -mutuo o affidamenti su conti correnti, fideiussione - e interesse economico (giustificando la distin-zione tra crediti bancari per affidamenti concessi e crediti per fideiussioni prestate dalle banche in relazioni a operazioni creditizie di cui sono titolari società del gruppo della proponente l’accordo).
[9] 
Contra Trib. Forlì 5 maggio 2016, in www.ilcaso.it in cui si afferma che “l’imprenditore che solleciti l’omologa dell’accordo di ristrutturazione raggiunto con
i propri creditori finanziari con estensione ai soggetti non aderenti deve perciò suddividere i propri creditori finanziari in categorie omogenee per posizione giuridica e interessi economici e raggiungere un unico accordo con tutti i componenti della categoria, rimanendo preclusa la possibilità di regolare diversamente i singoli rapporti,
come invece può avvenire con i creditori finanziari non convenzionati”
[10] 
Trib. Milano, 11 febbraio 2016, in www.ilcaso.it, chiarisce bene questo aspetto, affermando che tutti i creditori bancari o intermediari finanziari che la proposta inserisce
nell’ambito di un accordo ex art. 182-septies L. Fall., devono essere notiziati della ricaduta dell’accordo sui creditori non aderenti in maniera tale ciascuno sia posto nella condizione di operare una consapevole scelta in ordine alla proposta e alle eventuali scelte difensive (opposizione) da adottare.
[11] 
S. Leuzzi, Considerazioni sui non performing loans, in www.inExecutivis.it, 26 marzo 2018.
[12] 
La giurisprudenza rinvenuta ritiene comunque che il criterio della convenienza dell’accordo per i creditori non aderenti vada verificato nell’alternativa unica della liquidazione fallimentare (Trib. Forlì 5 maggio 2016, cit., Trib.Milano, 16 febbraio 2016, cit., Trib.Padova 31 dicembre 2016, in www.ilcaso.it).
[13] 
Trib. Forlì 5 maggio 2016, cit., afferma financo la possibilità per il Tribunale di operare “una riclassificazione delle categorie malamente formate”.
[14] 
G. Jachia, Accordi di ristrutturazione e finanziamenti alle imprese in crisi, Milano, 2016, p. 106.

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