Il nuovo istituto fa fulcro sull’opportunità di vincolare all’accordo di ristrutturazione, non soltanto i creditori che vi hanno aderito, ma anche coloro che, messi in condizione di partecipare proattivamente alle trattative, abbiano ritenuto di non investirvi e abbiano deciso di non sottoscrivere l’accordo.
Affinché operi l’adesione forzosa dei creditori all’accordo di ristrutturazione è necessario che il debitore, con il ricorso ex art. 182-bis L. fall. Per l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, chieda che gli effetti dell'accordo siano estesi alle banche non aderenti. Occorre a tal fine in primis che le banche non aderenti siano inserite in una o più “categorie” di banche aventi posizione giuridica ed interessi economici omogenei e queste “categorie” siano individuate nell'accordo di ristrutturazione dei debiti. Le “categorie” di creditori bancari sono da costruirsi in ragione di “posizione giuridica ed interessi economici omogenei” per cui possono per similitudine essere richiamati in linea di massima gli stessi criteri utilizzati nella formazione delle classi di creditori nel concordato preventivo [6]. Potranno quindi rilevare ad esempio la presenza o meno di garanzie (reali o personali) [7] ovvero la tipologia del finanziamento (es. anticipazioni bancarie, operazioni autoliquidanti, mutui ipotecari, factoring, fideiussione) [8]. È significativo che, in difetto di una “bussola” normativa e in mancanza di preclusioni sul punto, dette categorie appaiono fisiologicamente esposte ad essere esse stesse oggetto di trattative, potendo essere identificate e perimetrate tra le parti dell’accordo in sede di stipula, non predefinite in anticipo: è incentivato, pure in tal senso, un livello della condivisione della pianificazione solutoria della crisi tra imprenditore e creditori ignoto alle dinamiche del concordato preventivo.
Anzi, è da credere che l’obiettivo implicito dell’assenza di una precisa regola di classamento sia plausibilmente proprio quello di sottrarre la correlata attività all’opzione unilaterale del debitore, che il tratto distintivo e il limite intrinseco del concordato preventivo. La perimetrazione delle categorie
viene ricondotta nell’alveo di una prerogativa congiunta delle parti aderenti all'accordo: saranno il debitore e i creditori propensi a salvarne l’impresa e a finanziarne la continuità a definire le categorie e a poter assumere, in ultima istanza, la decisione di “forzare” l'adesione della minoranza.
Il confine esterno di quella che potrebbe apparire una “dittatura” della maggioranza – cui sono potenzialmente avulsi neppure accordi di interesse – è marcato in modo netto e preciso dalla giurisdizione, essendo rimessa al tribunale, in sede di omologazione dell’accordo, la verifica sulla corretta formazione delle categorie, quindi sulla circostanza che i creditori ai quali si intende estendere gli effetti dell'intesa abbiano posizione giuridica e interessi economici omogenei rispetto a quelli dei creditori aderenti e inclusi nella specifica classe.
Si consideri anche che le misure di acceso al credito varate in questi giorni di emergenza nazionale dal Governo per assicurare liquidità alle imprese porteranno all’erogazione da parte del sistema bancario di finanziamenti garantiti in varia misura e con differenti operatività dallo Stato, per cui persino con riferimento a questi crediti che sorgeranno in capo agli Istituti bancari potrà porsi la necessità di eventuale suddivisione in autonome categorie, in ragione del differente interesse economico che le diverse garanzie potranno comportare.
Lo stesso creditore in ogni caso potrà, in ragione dei plurimi impegni assunti, essere inserito anche in più categorie.
Ulteriore presupposto per l’omologazione dell’accordo con previsione di adesione forzosa è che le banche aderenti, facenti parte della stessa “categoria”, rappresentino almeno il 75% de crediti della “categoria”. Si noti che la percentuale prevista è significativamente elevata - a fronte dei descritti interessi spesso disallineati che manifestano i creditori bancari - per cui assume particolare importanza un’attenta costruzione delle categorie al cui interno raggruppare crediti omogenei. A tal fine va esplicitato che non tutti i crediti bancari devono necessariamente essere ricompresi in una “categoria” [9], potendo limitarsi la classazione a raggruppare una parte dei crediti per cui si riscontri identità di posizione giuridica e interessi economici del tutto similari.
Peraltro le “categorie” non devono essere formate sin dall’apertura delle trattative con le banche, ben potendo essere impostate successivamente in sede di stipula definitiva dell'accordo e di domanda di omologazione, quando si manifesta chiara l’esigenza di “forzare” l'adesione di un determinato creditore bancario. Va tuttavia evidenziato che qualsiasi sia il momento in cui l’imprenditore valuta di forzare l’adesione delle banche minoritarie utilizzando l’istituto previsto dall’art. 182-septies L. fall. non potrà essere una sua scelta unilaterale, dovendo necessariamente condividersi questa valutazione con banche aderenti, poiché il raggruppamento dei crediti in “categorie” finisce per caratterizzare l’accordo e le conseguenze che derivano dalla sua omologazione. Ben potrà comunque la scelta essere effettuata anche nella fase finale delle trattative, allorquando si generi una situazione di impasse non risolvibile, che diversamente costringerebbe l’imprenditore ad affrontare la strada del concordato preventivo, per poi magari, in quella sede, classare i creditori ricercando una omogeneità di interessi economici e di posizione giuridica.
Per avvalersi dello strumento descritto la norma impone che l’imprenditore si comporti con la massima trasparenza e correttezza e ponga tutti i creditori con cui intende concludere l’accordo nelle medesime condizioni. È evidente che la possibilità di imporre un’adesione forzosa incide sull’equilibrio delle posizioni negoziali nell’ambito delle trattative per cui è imprescindibile che i soggetti chiamati a subirne gli effetti siano posti tutti nella condizione di contrattare [10]. Le banche e gli intermediari finanziari devono essere informati dell'avvio delle trattative e chiamati a parteciparvi in buona fede. Per questa ragione l’informativa iniziale non può essere solo di carattere formale ma deve consentire di aprire un dialogo, ricevere controproposte e cercare un componimento delle contrapposte esigenze. A tal fine tutte le banche dovranno aver ricevuto informazioni complete ed aggiornate sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa debitrice, nonché sui termini dell'accordo proposto e si suoi effetti.
Sempre nell’ottica di incentivare un accordo e pretendere da tutti i soggetti coinvolti un comportamento secondo buona fede, il terzo comma dell’art. 182-septies L. fall. precisa che non si tiene conto delle ipoteche giudiziali iscritte dalle banche o dagli intermediari finanziari nei novanta giorni che precedono la data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese per cui le “categorie” di crediti potranno essere formate senza considerare le prelazioni medio tempore acquisite.
La buona fede non va riferita soltanto al debitore o ai creditori, ma apprezzata in riferimento all’uno e agli altri [11]. Avuto riguardo al primo, essa implica una cura scrupolosa e non burocratica nella discosure, quindi nella somministrazione di informazioni ad appannaggio dei creditori in funzione dell’accordo; avuto riguardo ai secondi, comporta la loro responsabilizzazione, facendoli assurgere ad attori del processo di gestione negoziata della crisi, quindi impegnandoli a precisi oneri comportamentali, che sono rappresentati dall’impiego effettivo e non formale di risorse logistiche e organizzative necessarie alla interlocuzione propositiva e alla neutralizzazione, ove occorra, attraverso il principio di maggioranza, delle posizioni ostruzionistiche, egoistiche e passivamente refrattarie.
Partecipare in buona fede alle trattative significa, in definitiva, assumere posizioni motivate e non assertive in relazione alle proposte del debitore; significa adoperare mezzi calibrati al buon esito delle trattative e del tipo di accordo prospettato; significa individuare le criticità delle prospettazioni del debitore ed avanzare controproposte finanziariamente sostenibili.
Il richiamo alla buona fede disseminato a più riprese nell’art. 182-septies L. fall. e il principio di maggioranza su cui rimane incentrata l’epilogo favorevoledell’accordo sembrano ispirati, in altri termini, da un’esigenza convergente,che è quella di incentivare atteggiamenti collaborativi e cooperativiproprio all’interno della cerchia dei creditori professionalmente più qualificati,economicamente più attrezzati e istituzionalmente più adiacenti allarealtà dell’impresa (della quale finanziano l’esercizio): i creditori bancari efinanziari. La buona fede e il principio di maggioranza sono in grado dicondizionare in positivo e a livello di sistema le scelte strategiche di questiultimi, chiamati, per non violare la prima e per non subire passivamentel’applicazione del secondo, a potenziare le risorse destinate alla conduzioneaccorta e propositiva delle trattative e fluidificare in funzione di esse i propri processi decisionali.
Per l’omologazione dell’accordo dovrà essere garantito alle banche non aderenti un grado di soddisfazione non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili. L’espressione utilizzata dalla norma richiama il giudizio di convenienza di cui all'art. 180 comma 4 L. fall. ma nel contesto dell’accordo di ristrutturazione l’alternativa potrebbe non essere necessariamente quella fallimentare bensì qualsiasi altra praticabile in ipotesi di mancato accordo con il singolo creditore [12]. Se tuttavia si considera che nel Codice della crisi l’art. 61 che andrà a disciplinare l’istituto porrà come termine di paragone unicamente la soddisfazione del creditore in ipotesi di liquidazione giudiziale, deve ritenersi sin d’ora adottabile il medesimo criterio.