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Due modelli a confronto. Differenti soluzioni adottate da Italia e Spagna in esecuzione alla Direttiva UE 2019/1023

Bernardo Russo, Avvocato

27 Aprile 2023

Con l’introduzione della Direttiva UE 2019/1023 gli ordinamenti degli Stati membri si sono trovati costretti a dover fronteggiare un aggiornamento e, in molti casi, una vera e propria mutazione genetica imposta dalle Istituzioni europee verso un modello di gestione della crisi d’impresa incentrato su principi diversi e con finalità parzialmente dissimili da quelli precedenti.
Nella Direttiva insolvency, infatti, viene espressamente indicato come valore da perseguire l’emersione anticipata della crisi e la conseguente ristrutturazione preventiva al fine di “…ridurre al minimo le perdite di posti di lavoro e le perdite per i creditori nella catena di approvvigionamento, preserva il know-how e le competenze…”.[1]
Dunque, è evidente come si sia passati da un sistema concorsuale incentrato sul favor creditoris e sul principio cardine della par condicio creditorum ad uno maggiormente ispirato ai modelli anglosassoni caratterizzati per un maggiore favor debitoris e una più marcata attenzione alla conservazione dei complessi produttivi con i conseguenti auspicati vantaggi per la collettività, anche a discapito delle posizioni dei singoli creditori.

[1] Direttiva UE 2019/1023, Premesso 16.
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Il sistema di allerta italiano per l’emersione anticipata della crisi
Al fine di perseguire la “mutazione genetica” descritta, l’ordinamento italiano in un primo momento, con il D.Lgs. 14/2019, ha tentato di dotarsi di un ambizioso sistema di allerta, che assegnava un ruolo di continuo monitoraggio sullo stato di salute dell’impresa agli organi sociali e ai creditori pubblici qualificati, con l’obbligo di far scattare un secondo livello di allerta con il ruolo centrale svolto dagli OCRI nella gestione della crisi.
Successivamente, a fronte del mutato contesto economico alla luce dell’onda lunga della pandemia, si è ritenuto che un sistema di allerta fortemente eterodiretto e rigido avrebbe potuto condurre al collasso del sistema imprenditoriale.[2] 
Con il D.L. n. 118/2021 e successivamente con il D.Lgs. 83/2022, dunque, si è optato per un cambio di paradigma meno radicale di quanto inizialmente previsto, con la soppressione degli OCRI e un parziale passo indietro nell’originario assetto per l’emersione anticipata della crisi, in parte riportata nell’alveo della gestione in seno alla società e, segnatamente, in capo agli organi di controllo della stessa.[3]
Il Legislatore italiano, nell’abbracciare e tentare di fare proprio lo zeitgeist espresso dalla Direttiva insolvency, ha assegnato un ruolo chiave nell’emersione della crisi agli organi di controllo sociali.
Questi ultimi, infatti, sono stati investiti di un potere-dovere di segnalazione e di intervento in due distinti momenti.
Il primo livello di allerta si ha nell’ipotesi prevista dall’art. 25 octies CCII in forza del quale il collegio sindacale è tenuto a segnalare per iscritto all’organo amministrativo la sussistenza delle condizioni per accedere all’istituto della composizione negoziata, di cui all’art. 17 CCII, e successivamente deve vegliare sulle iniziative intraprese dall’organo gestorio per fronteggiare la situazione di squilibrio oggetto di segnalazione.
Il secondo livello di allerta si innesca nell’ipotesi in cui l’organo amministrativo sia rimasto inerte alla segnalazione dei sindaci e ciò abbia determinato l’insorgere dello stato d’insolvenza oppure lo strumento di composizione negoziata non risulti sufficiente a ripristinare lo stato di equilibrio patrimoniale o economico-finanziario della società.
A latere si segnala la posizione dell’Ufficio del Massimario della Suprema Corte pronunciatosi favorevolmente sul potere dell’organo di controllo di presentare istanza per la dichiarazione di liquidazione giudiziale a fronte dell’inerzia degli amministratori in modo da “…chiudere il cerchio” dell’allerta.[4]
L’art. 37, comma 2, CCII ha, dunque, previsto un ampliamento della platea dei soggetti legittimati a presentare istanza di liquidazione giudiziale, infatti, in aggiunta al debitore stesso, a uno o più creditori e al Pubblico Ministero, già dotati di tale potere dall’art. 6 L. fall., nella formulazione attuale è stata attribuita tale legittimazione anche in capo agli organi che svolgono funzioni di vigilanza e controllo sull’impresa.
Se ne deduce che il CCII attribuisca la legittimazione attiva a presentare istanza di liquidazione giudiziale a tutti gli organi di controllo endosocietari: il collegio sindacale ed il sindaco unico, nel modello dualistico e monistico rispettivamente il consiglio di sorveglianza ed il comitato di controllo.
In realtà, con il CCII è stato codificato un principio che in nuce era già presente nel sistema previgente, poiché, nonostante nella Legge Fallimentare l’organo di controllo non fosse legittimato a presentare istanza di fallimento, questi, a fronte della perdita del capitale sociale, era tenuto a convocare l’assemblea e, in caso di inerzia dell’organo gestorio, doveva segnalare tale circostanza al Tribunale, mettendo, di fatto, in moto un procedimento idoneo a far emergere l’eventuale insolvenza della società, tenuto conto che il Tribunale interessato dalla denuncia dei sindaci poteva segnalare lo stato di decozione al P.M., ai sensi degli artt. 2406 e ss. c.c.
Quanto alla legittimazione del pubblico ministero, l’art. 38 CCII, a ben vedere, non ha ampliato in maniera significativa le facoltà che già la Legge Fallimentare attribuiva a quest’ultimo.
Infatti, mentre il previgente art. 7 ancorava lo stato d’insolvenza, presupposto della richiesta del pubblico ministero, all’esistenza di una serie di circostanze esteriori o alla segnalazione del giudice che l’avesse rilevata nel corso di un giudizio civile, i vigenti commi 1 e 2 CCII presentano, rispettivamente, il primo, una clausola generale che legittima il P.M. a presentare il ricorso ogniqualvolta abbia notizia dello stato d’insolvenza, il secondo, riprende l’art. 7, n. 2), L. fall., ampliandone la portata, ora non più limitata all’emersione nel procedimento civile, ma, più generalmente, quando “l’autorità giudiziaria…nel corso di un procedimento…” la rilevi.
Il comma 3 dell’art. 38 CCII, da ultimo modificato dal D.Lgs. 26 ottobre 2020 n. 147, conformemente allo spirito della riforma, che ha fornito una pluralità di strumenti all’operatore al fine di impedire o di gestire la crisi, prevede la generale facoltà del P.M. di intervenire in tutti i procedimenti instaurati tanto per l’accesso a uno strumento di regolazione quanto per una procedura d’insolvenza.
Il Legislatore italiano, quindi, al fine di perseguire gli obiettivi di emersione anticipata della crisi e della sua gestione, resi cogenti dalla Direttiva UE, ha optato per una soluzione che attribuisce agli organi di controllo sociali un ruolo più centrale rispetto al passato, investiti di un vero e proprio potere-dovere, fonte di responsabilità ex art. 2407 c.c. in caso di inerzia.[5]
Nel panorama normativo europeo che si va delineando dopo la pubblicazione della Direttiva insolvency, quella adottata dall’ordinamento italiano appare una soluzione originale, laddove in altri Stati membri sono state intraprese strade differenti per dare esecuzione alla Direttiva.
 
Il sistema degli istituti negoziali in Spagna
In tal senso, un caso studio significativo è rappresentato dall’ordinamento spagnolo, un sistema giuridico che ha aderito alla nuova tendenza del diritto concorsuale europeo con quasi un decennio di anticipo rispetto all’Italia, come evidenziato in dottrina.[6]
Il Legislatore spagnolo al fine di adempiere agli obblighi posti dalla Direttiva insolvency in capo agli Stati membri, a differenza dell’Italia, non si è tanto focalizzato nell’edificare un sistema di allerta interna ed esterna per far emergere tempestivamente lo stato di squilibrio economico, patrimoniale e finanziario, lasciando l’emersione alla dialettica tra creditori e debitori e quindi, in definitiva, al libero mercato. 
Maggiori sforzi sono stati diretti al rafforzamento di una tendenza già presente prima della recente riforma nella Ley Concursal (l’omologo della Legge Fallimentare) -in ultimo modificata con legge del 06/09/2022 (entrata in vigore l’01/01/2023) e confluita nel  Texto Refundido de la Ley Concursal (TRLC)- assegnando un ruolo centrale allo strumento giuridico dei Piani di ristrutturazione -Planes de restructuración-, istituto di natura essenzialmente consensuale e riservando un ruolo del tutto marginale al Concurso, l’omologo della Liquidazione giudiziale, la cui istanza può essere presentata esclusivamente dal debitore stesso e dai creditori (oltre che dagli eredi del debitore).[7]
A differenza di quanto previsto dal CCII, quindi, la recente riforma del diritto spagnolo si è concentrata essenzialmente sulla sistematizzazione degli istituti a base negoziale con i quali risolvere delle situazioni di crisi o di insolvenza già venute alla luce per effetto della segnalazione dei creditori o del debitore stesso.
Dunque, l’ordinamento spagnolo, nonostante fosse riconosciuto già in precedenza come un sistema all’avanguardia nel panorama europeo per quanto riguarda lo sviluppo del diritto preconcorsuale,[8] ha ulteriormente modificato sistematizzando e potenziando gli strumenti di soluzione della crisi a base essenzialmente negoziale;
la centralità del diritto preconcorsuale nella disciplina per il governo della crisi d’impresa si desume, peraltro, dalla circostanza che nel nuovo testo (TRLC) un intero libro dei quattro che compongono il codice riformato sia dedicato esclusivamente agli strumenti di soluzione della crisi alternativi al Concurso e che lo stesso si intitoli “Del derecho preconcursal”.
La recente riforma,[9] infatti, con gli artt. 583 e ss. TRLC, prevede la possibilità, a fronte di una probabilità d’insolvenza (previsione di non poter far fronte regolarmente alle obbligazioni che scadono entro l’arco temporale di due anni), di un’insolvenza imminente (previsione di non poter far fronte regolarmente alle obbligazioni che scadono entro tre mesi) o perfino d’insolvenza attuale, di intraprendere trattative tra il debitore, nella persona dell’organo gestorio qualora si tratti di persona giuridica, ed i creditori al fine di raggiungere un accordo per ristabilire l’equilibrio economico- finanziario dell’impresa.[10]
La società in stato di squilibrio, dunque, comunica all’organo giudiziario che sarebbe competente per il Concurso la circostanza di aver intrapreso o avere intenzione di intraprendere delle trattative con il ceto creditorio per la stipulazione di un piano di ristrutturazione indicando, tra gli altri dati, i beni e diritti considerati necessari per garantire la continuità dell’attività d’impresa.
L’organo giudiziario, a seguito di un controllo di carattere esclusivamente formale, concede un termine di tre mesi (prorogabili a istanza di parte o dei creditori titolari di almeno il 50 % del passivo, per ulteriori tre ex art. 607 TRLC) nel quale è vietato l’inizio di esecuzioni individuali o la continuazione di quelle già iniziate sui beni e diritti individuati come necessari per garantire la continuità.
 Per lo stesso periodo è stabilito, inoltre, il divieto di presentare istanza di apertura di Concurso da parte dei creditori ed esonera dall’obbligo di presentare domanda di liquidazione giudiziale in proprio da parte del debitore (dovere che ex art. 5 TRLC graverebbe sul debitore che si trovi in stato di insolvenza attuale).
Se, decorso il termine dei tre mesi (o quello maggiore concesso a seguito di accoglimento dell’istanza di proroga fino ad un massimo di sei mesi totali), il debitore non ha stipulato un piano con le percentuali di creditori richieste dalla legge, suddivisi in classi aventi interessi omogenei (almeno i due terzi dei crediti calcolati per capitale, salvo per i creditori titolari di garanzie reali per i quali occorre ottenere la sottoscrizione da parte dei tre quarti del credito), lo stesso è tenuto a presentare istanza di Concurso se si trova in stato di insolvenza attuale (art. 611 TRLC).
L’intervento giudiziale nell’applicazione di tale strumento giuridico è del tutto eventuale dal momento che vi è la possibilità di chiedere da parte del debitore e delle classi dei creditori all’autorità giudiziaria l’omologazione dei piani di ristrutturazione sottoscritti, ma è ben possibile stipulare Planes pienamente validi benché privi di omologazione (artt. 635 e ss. TRLC).[11]
L’omologazione del piano, infatti, dovrà essere richiesta quando quest’ultimo estenda i suoi effetti su creditori o classi dissenzienti, quando comporti la risoluzione di contratti stipulati dal debitore e quando si intenda rendere non revocabili in sede concorsuale gli atti, i finanziamenti, i pagamenti effettuati in esecuzione del piano.
L’intervento giudiziale, dunque, ha la funzione di realizzare effetti tipicamente giuspubblicistici, ad esempio il cross-class cramdown, non nella libera disponibilità delle parti, le quali, tuttavia, a fronte di un’elevata fiducia del ceto creditorio nella continuità dell’impresa, all’esito delle trattative, possono limitarsi a stipulare dei piani di ristrutturazione che saranno formalizzati con la sottoscrizione mediante atto pubblico al quale va allegata la certificazione dell’esperto della ristrutturazione se nominato (l’art. 672 TRLC prevede delle ipotesi tassative nelle quali  l’organo giudiziario è tenuto a nominare un esperto), o, in alternativa, del revisore contabile che certifichi la sussistenza delle maggioranze richieste dalla legge per l’approvazione dei piani.
Peraltro, anche in sede di omologazione il controllo dell’autorità giudiziaria è limitato esclusivamente al piano formale, essendo sufficiente ai fini dell’omologazione la non manifesta mancanza dei requisiti formali e materiali richiesti risultante dalla documentazione allegata, ai sensi dell’art. 647 TRLC, ad esempio, il mancato raggiungimento delle maggioranze richieste o il non ricorrere dello stato d’insolvenza; non vi è, tuttavia, un vaglio sul merito in questa fase.[12]
Un effettivo controllo sul merito si ha solo in sede di impugnazione del provvedimento di omologa. Tale assetto che prevede un controllo più pregnante dell’autorità giudiziaria a posteriori, solo dopo che il plan de reestructuración sia stato omologato, è sintomatico dei due capisaldi intorno ai quali si è sviluppato l’ordinamento preconcorsuale spagnolo: il principio del “minimo intervento giudiziale possibile” e quello della “massima flessibilità”.
È dunque evidente come il sistema spagnolo tenda ad assegnare il compito dell’emersione anticipata della crisi d’impresa ad una dialettica costante e ad una collaborazione fattiva tra il ceto creditorio ed il debitore più che ad un regime di responsabilità gravante sugli organi di controllo della società e ad un ruolo di controllo ed impulso assegnato alla Magistratura inquirente.
Tale impostazione metodologica potrebbe in parte spiegarsi con l’adozione da parte dell’ordinamento spagnolo di un assetto societario monistico, per l’effetto l’organo di controllo è sovrapponibile sotto il profilo funzionale al collegio sindacale, pur essendo a tutti gli effetti un membro dell’organo gestorio.
D’altro canto, fin dall’introduzione del Real Decreto-ley 3/2009 l’ordinamento spagnolo ha ispirato le proprie riforme soprattutto attingendo all’esperienza dei modelli anglosassoni e segnatamente a quella degli Schemes of arrangement di matrice inglese, optando quindi per un modello informalizzato e con un margine di intervento giudiziale progressivamente minore nelle diverse riforme che si sono succedute nell’ultimo decennio con un crescente favore per le soluzioni concordatarie.[13]
Tale approccio risulta ulteriormente confermato nell’assetto riformato del TRLC di recente adozione, come testimoniato, ad esempio, dall’art. 640 TRLC che prevede la possibilità per i creditori di presentare istanza di omologazione di un piano di ristrutturazione anche contro la volontà dei soci della società debitrice laddove questa si trovi in stato di insolvenza attuale o imminente.
Sintomatico del diverso approccio nel recepire la Direttiva insolvency nei due ordinamenti è anche il diverso potere concesso all’organo inquirente.
Se il CCII, come accennato in precedenza, con l’art. 38 ha sostanzialmente tenuto inalterati i poteri del P.M. previsti nella Legge Fallimentare, in Spagna il Ministerio Fiscal non solo non ha il potere di presentare istanza di concorso, ma addirittura, se nel corso delle indagini si avveda della probabile sussistenza dei presupposti per l’apertura della procedura in capo all’indagato, è tenuto, ex art. 4 TRLC, a comunicarli ai creditori sociali affinché siano questi ultimi, se lo ritengono opportuno, a presentare istanza per la dichiarazione di fallimento.
 
Pregi e criticità di due approcci ideologicamente antitetici
Dalla disamina precedente, si evince come Italia e Spagna stiano seguendo traiettorie diverse per raggiungere gli obiettivi comuni posti dalla normativa comunitaria, in parte in controtendenza rispetto all’ideale di armonizzazione delle normative degli Stati membri ai quali la Direttiva insolvency mirava.
Da un lato, infatti, vi è un assetto, quello spagnolo, che coerentemente con la propria tradizione giuridica degli ultimi quindici anni, si affida precipuamente alla dialettica tra debitore e creditori, con questi ultimi che sono i principali veicoli di impulso per far emergere lo stato di crisi e per far adottare strumenti per la soluzione della stessa, anche contro la volontà dello stesso debitore, vedasi, ad esempio, la possibilità di chiedere l’omologazione del plan anche in capo ai creditori che lo abbiano sottoscritto prevista dall’art. 643 TRLC.[14]
Una volta che lo stato di crisi sia emerso, ai creditori e al debitore vengono concessi degli strumenti il cui contenuto è decisamente vario e ulteriormente ampliato rispetto all’assetto precedente, con la possibilità non solo di ristrutturare il passivo, ma anche l’attivo, arrivando ad essere possibile la cessione in blocco dell’impresa funzionante o di singole unità produttive.[15]
L’ordinamento italiano, invece, con la riforma del CCII, poi parzialmente temperata dal D.Lgs. n. 83/2022, ha diretto i suoi sforzi innanzitutto all’emersione anticipata della crisi con un articolato sistema di allerta interna ed esterna, forse nutrendo una fiducia minore rispetto a quella dell’omologo spagnolo nei confronti del proprio tessuto imprenditoriale e dei creditori privati.[16]
Allo stato non è possibile effettuare previsioni su quale delle strade intraprese possa risultare più efficiente nell’ottica di una gestione rapida ed efficace delle situazioni di crisi, ma sembra si possono segnalare delle potenziali criticità in entrambi i sistemi.
Il riformato ordinamento italiano, frutto, come esposto in precedenza, del compromesso, sembra, infatti, attribuire una responsabilità forse eccessiva in capo agli organi di controllo, con il rischio concreto che ciò conduca da una parte a una gran segnalazione di “falsi positivi” da parte di alcuni sindaci preoccupati di incorrere in azioni di responsabilità, con il conseguente aggravio per la Giustizia che le riforme mirano ad evitare, e, dall’altra, si potrebbe assistere ad una proliferazione di sindaci più disinvolti, privi di beni aggredibili, pronti a ricoprire il ruolo senza timore di incorrere in responsabilità.
Al contempo, l’articolato assetto preconcorsuale elaborato in seno all’ordinamento spagnolo può destare alcune perplessità perché, a fronte di un’innegabile flessibilità e adattabilità propria degli strumenti di regolazione della crisi a base negoziale, la “liberalizzazione selvaggia” degli strumenti di soluzione della crisi e l’estrema degiurisdizionalizzazione possono comportare il rischio concreto di un utilizzo opportunistico di tali istituti da parte di debitori o creditori “tiranni”.
D’altro canto, come segnalato da autorevole dottrina,[17] la Direttiva insolvency comporta un vero e proprio cambio di paradigma sotto il profilo della “scala valoriale” sottesa all’ordinamento, con il soddisfacimento dei creditori che non va più inteso come fine di per sé da perseguire, ma “…funzionalizzato ad un obiettivo più alto, quello della risoluzione della crisi”, intesa come obiettivo ultimo e supremo degli ordinamenti in tema di crisi d’impresa.
In quest’ottica, con lo spostamento dell’asse del diritto concorsuale da un diritto orientato al favor creditoris, ad uno che persegue obiettivi altri ed ulteriori rispetto alla massimizzazione del soddisfacimento dei creditori sociali, gli eventuali abusi degli strumenti di soluzione della crisi che potrebbero verificarsi nell’ordinamento spagnolo, paradossalmente, potrebbero risultare persino accettabili nell’ottica del risanamento, seppur quest’ultimo dovesse prodursi a scapito del ceto creditorio.

Note:

[2] 
M. Sciuto, Quel che resta degli obblighi di segnalazione nel Codice della crisi, in Ilfallimentarista.it, Focus del 29 luglio 2022.
[3] 
S. Pacchi, Le segnalazioni per la anticipata emersione della crisi. Così è se vi pare, in Ilcaso.it, 9 agosto 2022.
[4] 
Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario e del Ruolo, Relazione su novità normativa, Nuovo codice della crisi di impresa e dell’insolvenza- Attuazione della Direttiva UE n. 1083/2019 c.d. Insolvency- d.lgs. n. 83/2022 del 15 settembre 2022, p. 8.
[5] 
L. Sicuro, Il ruolo dell’organo di controllo alla luce del D.L. n. 118/2021 in Ilfallimentarista.it, del 5 novembre 2021.
[6] 
P. De Cesari, Al via in Spagna la nuova “reforma concursal”, in Il Fallimento, 2, 2023, pp. 171- 179.
[7] 
J. Megías López, in De la legitimación, in  AA.VV, J. Pulgar Ezquerra (dir.) Comentario a la Ley Concursal. Texto Refundudo de la Ley Concursal. Tomo I, Madrid, 2020, pp. 198-212.
[8] 
Per la definizione di concorso si rimanda a M. Fabiani, Introduzione ai principi generali e alle definizioni del codice della crisi in Il Fallimento, 10, 2022, p. 1179. 
[9] 
Per una trattazione più puntuale sulla recente riforma dell’ordinamento concorsuale spagnolo si rinvia a P. De Cesari, op. cit.
[10] 
J. Pulgar Ezquerra, La autonomía sistemática del derecho preconcursal en el Texto Refundido de la Ley Concursal, in  AA.VV, J. Pulgar Ezquerra (dir.) Comentario a la Ley Concursal. Texto Refundudo de la Ley Concursal. Tomo II, Madrid, 2020, pp. 39-41.
[11] 
P. Yanes Yanes, El preconcurso de acreedores [Estudio sistemático de los libros II y III de la Ley Concursaltras su adaptación a la Directiva (UE) 2019/1023]., Cizur Menor, 2023.
[12] 
M. Cervera Martínez, Los planes de reestructuración y su hologación judicial, in AA.VV., N. Fachal Noguer e P. Prendes Carril (dir.) Comentario a la reforma del Texto Refundido de la Ley Concursal., Cizur Menor, 2022.
[13] 
J. Pulgar Ezquerra, Marcos de reestructuración preventiva y segunda oportunidad en la Directiva UE 2019/1023, in Diario La Ley, n. 9474, 2019;
E. Valpuesta Gastaminza, Panorámica general acerca de la liquidación en el concurso, in  AA.VV, J. Pulgar Ezquerra (dir.) Comentario a la Ley Concursal. Texto Refundudo de la Ley Concursal. Tomo I, Madrid, 2020, pp. 1736-1739.
[14] 
F. Cerdá Albero, El plan de reestructuración: contenidos y aprobación (formación de clases de créditos, votación y mayorías), in AA.VV., A. Cohen Benchetrit (dir.), Nuevo marco jurídico de la reestructuración de empresas en España, Cizur Menor, 2022, pp. 889-1047.
[15] 
M. Cervera Martínez, Op. cit.
[16] 
La fiducia del Legislatore spagnolo nella razionalità degli operatori è dichiarata espressamente nel Preambolo alla Legge 16/2022 laddove al terzo paragrafo dichiara che “…la confianza en la decisión mayoritaria de los sujetos afectados permite reducir la intervención judicial conforme a los criterios de necesidad y proporcionalidad.” [La traduzione è stata effettuata dall’Autore]: la fiducia nella decisione maggioritaria dei soggetti su cui incide il piano permette di ridurre l’intervento giudiziale conformemente ai criteri di necessità e proporzionalità.
[17] 
M. Fabiani, Il diritto diseguale nella concorsualità concordataria postmoderna, in Il Fallimento, 12, 2022, p. 1492.