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Commento

Dopo nove anni, la cartella di pagamento ritorna ad essere imprescindibile ai fini dell’ammissione al passivo dei crediti tributari iscritti a ruolo (Cass. Civ., 25 ottobre 2022, n. 31560)*

Giovanni La Croce, Dottore commercialista in Milano

5 Dicembre 2022

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.

Visualizza: Cass., Sez. 5, 25 ottobre 2022, n. 31560, Pres. Chindemi, Est. Balsamo

L’Autore, prendendo spunto da un recente arresto della Corte di Cassazione in tema di notifica della cartella di pagamento in pendenza di procedura di concordato preventivo – il cui dictum si è esteso alla più ampia questione della sua funzione e necessarietà nel processo esecutivo collettivo – procede a una ricostruzione storica della tematica, a seguito della quale perviene alla conclusione che, indipendentemente dallo ius superveniens dell’art. 3 bis del D.L. 21 ottobre 2021 n. 146, i crediti erariali azionati dall’Agente della riscossione non potevano, anche in precedenza, essere ammessi al passivo del fallimento, neppure con riserva, sulla base della sola produzione dell’estratto di ruolo, così come, invece, avvenuto, a seguito di un improvviso revirement del giudice di legittimità, per lunghi nove anni dal marzo 2013 alla data della sentenza in commento.
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1 . Il provvedimento e la sua genesi
Con l’ordinanza in epigrafe la Corte di Cassazione ritorna sulla vexata quaestio della necessarietà della cartella di pagamento e, conseguentemente, della sua notifica ai fini dell’ammissione al passivo dei crediti tributari insinuati dall’Agente della riscossione, e lo fa – sospinto dal legislatore – ribaltando un proprio fallace orientamento duraturo da oltre nove anni e che sembrava, dunque, ormai granitico e consolidato. 
Era stato ritenuto, infatti, che ai fini dell’ammissione al passivo dei crediti tributari azionati dall’Agente della riscossione fosse sufficiente la produzione in giudizio del semplice estratto di ruolo e ciò perché si opinava che esso fosse “la fedele riproduzione della parte del ruolo relativa alle pretese creditorie azionate (o azionabili) verso il debitore con la cartella esattoriale.” Da ciò si faceva conseguire che l’estratto costituiva “prova idonea dell’entità e della natura del credito portato dalla cartella esattoriale, a prescindere dalla notifica di questa[1].” 
A suggellare tale orientamento erano recentemente intervenute le Sezioni Unite affermando il seguente principio di diritto: “ai fini dell'ammissibilità della domanda d'insinuazione proposta dall'agente della riscossione e della verifica in sede fallimentare del diritto al concorso del credito tributario o di quello previdenziale, non occorre che l'avviso di accertamento o quello di addebito contemplati dal D.L. n. 78 del 2010, artt. 29 e 30, conv. con L. n. 122 del 2010, siano notificati, ma è sufficiente la produzione dell'estratto di ruolo”[2].
Il motivo di un così repentino revirement[3] è da ricondursi – come chiaramente spiegato in sentenza – al sopravvenire dell’art. 3 bis del D.L. 21 ottobre 2021 n. 146 che, risolvendo un’altrettanto annosa questione, ha sancito la non impugnabilità dell’estratto di ruolo, questione, questa, sulla quale ci intratterremo in seguito per dimostrare come la sua impugnabilità, o meno, non fosse affatto dirimente per considerare ammissibili al passivo del fallimento (ora liquidazione giudiziale) i crediti erariali portati dal semplice estratto di ruolo[4]. 
Ovviamente, lo ius superveniens è stato risolutivo a riguardo, poiché ammettere al passivo un credito erariale sulla base di un titolo non impugnabile – su cui peraltro il giudice delegato non avrebbe titolo per pronunciarsi, in ragione della competenza esclusiva del giudice tributario di conoscere le controversie che riguardano le imposte e le tasse di qualsiasi genere – avrebbe precluso al curatore e/o al debitore fallito qualsiasi possibilità di contestare la fondatezza della pretesa tributaria. 
Per completezza d’esposizione va segnalato come il disposto dell’art. 3 bis del D.L. 21 ottobre 2021 n. 146 sia stato oggetto di eccezione di costituzionalità, sempre avanti la Corte di cassazione, riguardo alla sua applicabilità anche ai processi in corso; eccezione ritenuta, dalle Sezioni Unite della medesima, non fondata[5]. 
È possibile affermare, dunque, che, d’ora in poi, la produzione della cartella di pagamento costituirà condizione imprescindibile per l’ammissione al passivo del credito erariale fatto valere dall’Agente della riscossione, esattamente come si era ritenuto sino al 15 marzo 2013[6], allorquando, con la sentenza n. 6646, la Corte di cassazione introdusse il contrario principio della sua non necessità, 
principio, poi, ribadito a distanza di un anno con la sentenza 17 marzo 2014, n. 6126[7]; e così in seguito sino alle Sezioni Unite dell’11 novembre 2021.
2 . La fallacità del precedente indirizzo: l’inidoneità dell’estratto di ruolo a costituire titolo esecutivo e prova del credito erariale
Come già anticipato la giurisprudenza che si era venuta ad affermare nel corso dei nove anni antecedenti l’introduzione del D.L. 21 ottobre 2021 n. 146 si fondava su un equivoco già peraltro disvelato dal giudice di legittimità, con il miliare arresto a Sezioni Unite 24 dicembre 2019, n. 34447. In tale occasione la Corte, occupandosi del tema della ripartizione della competenza giurisdizionale tra giudice ordinario e giudice tributario, in ciò sollecitata da un intervento della Corte costituzionale, aveva affermato il seguente principio di diritto: “ove, in sede di ammissione al passivo fallimentare, sia eccepita dal curatore la prescrizione del credito tributario maturata successivamente alla notifica della cartella di pagamento... [omissis] ... viene in considerazione un fatto estintivo dell’obbligazione tributaria di cui deve conoscere il giudice delegato ... [omissis] ...”[8]. 
In ragione della ripartizione della giurisdizione che così ne derivava, restavano di competenza del giudice tributario, non solo le questioni riguardanti l’an e il quantum della pretesa, ma anche quelle riguardanti fatti impeditivi, modificativi o estintivi verificatisi antecedentemente la formazione definitiva del titolo. 
Infatti, come aveva affermato la Corte costituzionale nella sentenza che aveva determinato l’intervento delle Sezioni Unite che si sta illustrando, “la linea di demarcazione della giurisdizione [è] posta dalla cartella di pagamento... [omissis] ... fino a questo limite la cognizione degli atti dell’amministrazione, espressione del potere di imposizione fiscale, è devoluta alla giurisdizione del giudice tributario; a valle, la giurisdizione spetta al giudice ordinario e segnatamente al giudice dell’esecuzione”[9].
Se, dunque, già dall’arresto della Consulta del maggio 2018 era chiaro che la notifica della cartella era un fatto rilevante ai fini della giurisdizione non poteva essere altrettanto chiaro che l’ammissione al passivo del credito erariale fatto valere dall’Agente della riscossione, se si fosse continuato a decretarla sulla base del semplice estratto di ruolo, avrebbe determinato un’intollerabile compressione del diritto di difesa del curatore a far valere fatti impeditivi, modificativi o estintivi, sopravvenuti successivamente alla formazione del titolo, quali la prescrizione, l’intervenuto pagamento, la compensazione, etc..
Non si sarebbe potuto, quindi, almeno dal 24 dicembre 2019 (se non dal maggio 2018, cioè dalla data della sentenza della Corte costituzionale) continuare a negare la necessità, ai fini della partecipazione al concorso dell’Agente della riscossione, della cartella notificata. Nella sostanza, l’ammissione al passivo dell’Agente della riscossione in assenza del titolo esecutivo sarebbe valsa come messa in pristino della norma tributaria abrogata per difetto di costituzionalità.
Sulla circostanza, poi, che le contestazioni ex art. 615 c.p.c. fossero esperibili anche in sede di opposizione allo stato passivo, le Sezioni Unite del dicembre 2019 erano state trancianti, non potendosi dubitare “della natura di procedura esecutiva di carattere universale della procedura concorsuale”. Il tema, dunque, non avrebbe richiesto ulteriori approfondimenti. 
Non poteva non essere evidente l’eccessiva semplificazione del ragionamento che per lungo tempo aveva indotto una parte della giurisprudenza di legittimità a ritenere l’estratto del ruolo costituire prova dell’esistenza del credito tributario: se l’art. 87 del D.P.R. 602/73 dispone che l’Agente s’insinui sulla base del ruolo il suo estratto non può non costituire la prova dell’esistenza del credito azionato; non comprendendo, però, che il ruolo ha solo la funzione di legittimare l’Agente a incedere nella riscossione e non a non fornire la prova del credito azionato per conto della mandante Agenzia delle Entrate.
Ciò nonostante, come abbiamo visto, ancora nel 2021 le medesime Sezioni Unite hanno continuato a predicare antinomicamente la non necessarietà della cartella ai fini dell’ammissione al passivo del credito tributario fatto valere dall’Agente della riscossione. 
A ben vedere, però, si poteva giungere ad affermare il contrario semplicemente attingendo alla giurisprudenza delle “sezioni tributarie” della medesima Corte di cassazione, anche in assenza della pronuncia del 2019 sul tema della giurisdizione, che, per altro, come si è visto, è stata successivamente ignorata nella sua portata generale.
Infatti, queste erano già intervenute con mano ferma e decisa sulla natura dell’estratto di ruolo, negandone, non solo, una qualsivoglia natura esecutiva, ma ritenendolo un documento ignoto all’ordinamento e pertanto privo di qualsiasi valore giuridico e funzione processuale. In particolare avevano affermato che: “Il ‘documento’ denominato ‘estratto di ruolo’, tale indicato dallo stesso concessionario che lo rilascia, non è specificamente previsto da nessuna disposizione di legge vigente” motivo per il quale esiste una “differenza sostanziale tra ‘ruolo’ ed ‘estratto di ruolo’ (termini talvolta impropriamente utilizzati come sinonimi): il ‘ruolo’ (atto impositivo espressamente previsto e regolato dalla legge, anche quanto alla sua impugnabilità ed ai termini perentori di impugnazione) è un ‘provvedimento’ proprio dell’ente impositore (quindi un atto potestativo contenente una pretesa economica dell’ente suddetto); l’‘estratto di ruolo’, invece, è (e resta sempre) solo un ‘documento’ (un ‘elaborato informatico... contenente gli... elementi della cartella’, quindi unicamente gli ‘elementi’ di un atto impositivo) formato dal concessionario della riscossione, che non contiene (né, per sua natura, può contenere) nessuna pretesa impositiva, diretta o indiretta”[10]; e ciò in continuità con l’orientamento delle Sezioni Unite del 2015 espresso nell’ambito di un contenzioso tributario[11].
Da tali affermazioni le “sezioni tributarie” della Corte ne facevano già derivare - in totale disaccordo con le gemelle civili - la “non impugnabilità” dell’estratto di ruolo in quanto non avrebbe “alcun senso l’eliminazione dal mondo giuridico” di un documento privo di qualsiasi valore legale, in quanto non previsto dall’ordinamento.
La domanda che, dunque, doveva già sorgere spontanea dopo questi arresti era se un documento privo di qualsiasi valore legale potesse essere idoneo a fornire prova dell’esistenza del credito erariale.
La risposta non poteva che essere negativa ancora prima dell’intervento delle Sezioni Unite sul tema della giurisdizione: se il documento denominato “estratto di ruolo” non esiste “nel mondo giuridico”, esso non può certo fornire alcuna valida prova per ottenere l’ammissione al concorso fallimentare del credito erariale iscritto a ruolo.
Ed è questo il principio cardine del diritto tributario ignorato dalla giurisprudenza fallimentare di merito e di legittimità a partire dal 2013 sino ad oggi.
Se il documento “estratto di ruolo” è ontologicamente cosa diversa dal “ruolo” occorreva, allora, interrogarsi come potesse realizzarsi in concreto la disposizione dell’art. 87, D.P.R. n. 602/1973 - sulla cui falsa interpretazione si era formato il revirment della giurisprudenza di legittimità a partire dal 2013 - che prevede che il concessionario della riscossione si insinui al passivo del fallimento sulla base del ruolo. In sostanza quale documento può rappresentare il ruolo, se il suo estratto non assolveva a tale funzione, essendo scrittura estranea all’ordinamento?
La risposta, era, ed è, assai semplice; cioè quella che aveva sempre fornito la dottrina tributaria: l’unico documento riconosciuto dall’ordinamento come rappresentativo del ruolo è la cartella di pagamento. Infatti, ai sensi dell’art. 25, D.P.R. n. 602/1973, la sua notificazione al contribuente, ossia la messa a conoscenza dello stesso della pretesa tributaria, avviene unicamente tramite la cartella di pagamento.
La riscossione tramite ruoli, infatti, si fonda - ed è questa la limitata portata della disposizione dell’art. 87, D.P.R. n. 602/1973, non colta per lunghi nove anni - sulla scissione tra titolarità del credito, che resta in capo all’Agenzia delle entrate, e la titolarità dell’azione esecutiva. Quest’ultima, infatti, viene affidata ad un soggetto estraneo al rapporto obbligatorio, l’Agente per la riscossione, per l’appunto, il quale, abilitato in forza di apposito provvedimento amministrativo, svolge in modo professionale le attività finalizzate al recupero dei tributi. 
Il ruolo, infatti, altro non è che un mero atto interno - la consegna dell’elenco dei debitori e delle somme da essi dovute - tra il titolare del credito e il delegato alla riscossione, atto che non costituisce autonomo titolo per procedere nell’esecuzione forzata speciale[12]. Infatti, l’Agente, per poter incedere nell’esecuzione forzata, deve eseguire, ai sensi dell’art. 25, D.P.R. n. 602/1973, entro precisi termini decadenziali, la notifica della cartella di pagamento, ossia la notifica del documento con il quale il soggetto che cura la riscossione per conto dell’Agenzia delle entrate comunica al debitore l’avvenuta iscrizione a ruolo e gli intima il relativo pagamento, anche al fine di consentirgli l’impugnativa. Senza la notifica della cartella l’Agente non può procedere alla riscossione coattiva dei crediti iscritti a ruolo[13].
Non esiste altro modo per estrinsecare nel mondo giuridico la pretesa tributaria iscritta a ruolo, avevano sempre ben spiegano i supremi giudici tributari, laddove precisavano che l’estratto di ruolo non è atto impugnabile, salvo che tramite la sua contestazione non si fosse voluto ottenere l’annullamento dell’atto impositivo notificato tramite la cartella di pagamento o laddove si fosse voluto contestare vizi della medesima[14], ma non certo quelli successivi o quelli relativi all’idoneità del titolo a fondare l’esecuzione.
Non essendo obbligatoria l’impugnativa dell’estratto di ruolo, poi, la stessa ammissione con riserva al passivo fallimentare del credito relativo non avrebbe prodotto alcun effetto concreto per l’istante Erario, giacché, come avevamo già osservato alcuni anni fa, la riserva - in assenza di un contenzioso - non potrebbe mai essere sciolta. Un corto circuito anfibologico che non poteva essere certo il risultato di un’interpretazione meditata e organica che avesse, come avrebbe dovuto avere, il primario obiettivo della rimozione delle antinomie e delle irrazionalità sistematiche[15].
Più in generale, ci si sarebbe già dovuti domandare, costituendo la notifica della cartella al contribuente un obbligo imposto dalla legge al concessionario - obbligo cui lo stesso deve adempiere in funzione di un’attività costituzionalmente rilevante - perché gli si dovesse consentire - tra l’altro solo nel fallimento - di omettere tale sostanziale formalità che, come con risolutezza hanno affermato le “sezioni tributarie” della Cassazione, è l’unico modo riconosciuto dall’ordinamento con cui il ruolo può essere portato a conoscenza del debitore.
Sotto questo profilo il giudice tributario, nella sua più alta composizione, aveva, infatti, ben valorizzato il principio espresso anni fa dal Consiglio di Stato secondo cui “il concessionario deve conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso di ricevimento ed ha l’obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell’amministrazione”[16].
In altre parole, ci si sarebbe dovuti interrogare, già prima dell’arresto in commento, sul perché l’Agente della riscossione potesse celare la legittimità concorsuale delle proprie pretese dietro un documento - l’estratto di ruolo - misconosciuto dall’ordinamento, quando il giudice amministrativo aveva affermato esistere in capo allo stesso un obbligo di ostensione della cartella di pagamento e della relativa relata di notifica.
Anche questa questione era stata già risolta dall’intervento delle Sezioni Unite del 2019, le quali, seppure apparentemente solo tramite alcuni obiter dictum desumibili dal complesso corpo motivazionale della sentenza, avevano sposato appieno la posizione della loro “componente tributaria”, sostenendo che “neppure si potrebbe individuare l’atto da impugnare... [omissis] ...nell’estratto di ruolo rilasciato dal concessionario ... [omissis] ... la cui impugnazione è stata ammessa [solo] per consentire a quest’ultimo [il contribuente] di impugnare la cartella di pagamento di cui non abbia avuto notizia a causa della invalidità o mancanza della relativa notifica”[17]. Col che la cartella avrebbe dovuto, in ogni caso, entrare a far parte del processo di formazione dello stato passivo.
A tale proposito la dottrina tributaria aveva fatto rilevare, unanimemente e con estrema persuasività, come: o l’atto tributario se non impugnato diviene definitivo, o se non lo diviene non è atto fisiologicamente idoneo a produrre effetti pregiudizievoli per il contribuente; tertium non [era] datur, si sosteneva.[18]
Su questa linea, le Sezioni Unite del 2019 hanno giustamente sostenuto che “il processo tributario è annoverabile tra i processi di “impugnazione-merito”, in quanto, pur essendo diretto alla pronuncia di una decisione sul merito della pretesa tributaria, postula pur sempre un atto da impugnare in un termine perentorio e da eliminare dal mondo giuridico ...[omissis] ...che sarebbe arduo ricercare quando il debitore intenda far valere fatti estintivi della pretesa erariale maturati successivamente alla notifica della cartella, come la prescrizione, al sol fine di paralizzare la pretesa esecutiva dell’ente creditore”.
Come cartina di tornasole sovveniva anche un successivo arresto della Corte nel quale si affermava che la cartella notificata oltre il termine di prescrizione ne interrompe il corso se non tempestivamente impugnata[19].
A questo punto dell’excursus una questione s’impone con forza: quella della “giustiziabilità” dei diritti dei creditori pretermessi dalla soddisfazione concorsuale in conseguenza dell’ammissione al passivo di un credito erariale antergato fondato su un titolo inidoneo.
3 . La giustiziabilità dei diritti tra giudicato e giusto processo
L’intangibilità del giudicato nei confronti dello ius superveniens – anche a seguito di dichiarazione di incostituzionalità di una disposizione normativa – costituisce una sorta di postulato fondato sul principio dell’affidamento delle parti sul carattere definitivo del risultato del processo (artt. 3 e 24 Cost.)[20].
L’icastica espressione contenuta nel art. 2909 c.c. sancisce, infatti, il carattere imperativo della decisione del giudice e richiede che quella decisione assuma il carattere della definitività “faccia stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi e aventi causa”. La sentenza rappresenta, secondo tale postulato universalmente riconosciuto, la giusta applicazione della legge al caso concreto. Così si suole affermare che l’autorità di cosa giudicata in ambito civile è costituzionalmente protetta, non solo nei confronti di successivi interventi retroattivi del legislatore, ma anche nei confronti di successive dichiarazioni di incostituzionalità delle norme applicate dal giudice[21]. E questo per la semplice ragione che dopo la sua formazione la fattispecie trova il suo precetto nella sentenza e non più nella legge, rendendola con ciò insensibile alla sopravvenuta dichiarazione d’incostituzionalità di quest’ultima.[22]
Purtuttavia, l’esigenza della certezza e definitività dei rapporti contenziosi, che si consacra nel giudicato e che sta al fondo della sua intangibilità, non può non doversi coniugare armoniosamente con il valore del “giusto processo”, sicché ogni ordinamento ammette che tale stabilità possa venir meno in casi rigorosamente predeterminati e tassativi. Si tratta, come è noto, dei mezzi di impugnazione straordinari di fronte ai quali il giudicato assume, solo allora, un carattere relativo, destinato a cedere di fronte all’esigenza di salvaguardare il valore di una “giustizia piena”.
Nello specifico, in tema di formazione dello stato passivo è previsto[23] che le statuizioni definitive del giudice delegato, o quelle successive, possano essere “rimediate” se determinate da: falsità, dolo, errore essenziale di fatto o mancata conoscenza di documenti decisivi che non abbiano potuto essere prodotti per causa non imputabile a chi domanda la revocazione del provvedimento[24].
In ogni altro caso, il giudicato rimane intangibile, senza rimedio; dunque, anche se la sentenza si fosse basata su una norma successivamente giudicata non costituzionale[25].
Per quanto attiene allo ius superveniens si è ritenuto che lo stesso sia applicabile ogni qual volta il rapporto controverso cui la legge sopravvenuta si riferisce sia ancora suscettibile di sindacato, anche in sede di legittimità[26]. 
Nel caso di specie, però – così hanno chiarito le SS. UU. – non siamo in presenza di una nuova disposizione a efficacia retroattiva, né ad una norma di carattere interpretativo. La disciplina sopravvenuta si applica, secondo la suprema Corte, ai processi pendenti perché essa incide sulla pronuncia della sentenza che deve ancora intervenire e non sugli effetti dell’impugnazione[27]. Ed è per tale ragione che la Corte ha ritenuto che l’applicazione della novella ai procedimenti in corso non violasse alcun precetto costituzionale e/o CEDU.
Se tale affermazione appare incontestabile sotto lo stretto profilo tributario: l’estratto di ruolo, in quanto atto inesistente nel mondo giuridico, non è suscettibile, se non impugnato, di produrre alcuna lesione nella sfera dei diritti e degli interessi del contribuente, altrettanto potrebbe, a prima vista, non potersi affermare riguardo alla formazione dello stato passivo, al quale, l’Agenzia della riscossione fosse stata ammessa sulla base del semplice estratto di ruolo con riserva del contenzioso tributario.
Se, infatti, il provvedimento del giudice delegato fosse stato impugnato in relazione all’inattitudine dell’estratto di ruolo a costituire prova del credito tributario, e il relativo giudizio fosse ancora pendente avanti la Corte di cassazione, i diritti della massa dei creditori potranno sicuramente ivi trovare adeguata tutela proprio grazie all’intervenuta novella. Se, però, il curatore avesse impugnato l’estratto di ruolo avanti il giudice tributario – al quale, secondo la bipartizione della giurisdizione in precedenza accennata, è precluso decidere sulle controversie aventi ad oggetto l’adeguatezza del titolo a provare l’esistenza del credito erariale da ammettere al passivo, essendo la medesima riservata alla competenza del giudice ordinario – avuto riguardo la sussistenza della pretesa tributaria, il relativo giudizio si estinguerebbe per inammissibilità sopravvenuta dell’azione a seguito della novella, sicché il provvedimento di ammissione con riserva dell’esito del contenzioso tributario si consoliderebbe definitivamente in un provvedimento di ammissione tout court
In questo caso la curatela – e così la massa dei creditori – si troverebbero totalmente prive di tutela, causa l’impossibilità di proseguire un giudizio tributario sulla cui possibilità d’instaurazione si era fondato il provvedimento di ammissione con riserva del giudice delegato.
All’apparenza sembrerebbe trattarsi di un eclatante caso di denegata giustizia, senonché, come abbiamo ampiamente evidenziato in precedenza, sulla questione dell’impugnabilità degli estratti di ruolo, e sulla loro idoneità a costituire prova del credito tributario, sussisteva un ampio contrasto giurisprudenziale tale da non consentire di ritenere, neppure oggi, meritevole di tutela l’affidamento posto dal curatore alle tesi consolidatesi in seno alla “componente fallimentare” della Corte di cassazione dopo il 2014. 
L’incontestabile contrasto giurisprudenziale gli avrebbe imposto, infatti, in virtù del principio generale di “precauzione”, d’impugnare anche il provvedimento del giudice delegato e non semplicemente di limitarsi a impugnare l’estratto di ruolo. Sotto questo profilo va, per altro, osservato come, nel caso che ci occupa, l’ammissione del credito erariale avvenisse in concreto, non sulla base di una disposizione di legge[28]superata da una nuova norma, bensì in ragione di una sua falsa interpretazione incompatibile, oggi, con lo ius superveniens.
In sostanza, secondo questa lettura, che ci pare la preferibile, sarebbe la mancata contestazione del provvedimento giudiziale di ammissione del credito tributario portato dal semplice estratto di ruolo, con riserva del contenzioso, da parte del curatore, la causa della definitività della sua ammissione  per l’inammissibilità sopravvenuta del diritto all’azione, col che sarebbe da escludere alla radice una qualsivoglia ipotesi di denegata giustizia.
4 . Conclusioni
La questione dell’attitudine nell’estratto di ruolo a provare l’esistenza del credito tributario può considerarsi, dunque, definitivamente risolta in senso negativo, come ben chiarito dall’ordinanza in commento. Resta l’amara constatazione della tardività con cui si è pervenuti a una soluzione che era stata già ampiamente delineata dalle “sezioni tributarie” della medesima Corte e per la quale, come si è spiegato, non vi sarebbe stato neppure bisogno di un intervento da parte del legislatore.  Purtroppo a pagare il prezzo della confusione giurisprudenziale di questi nove anni e delle connesse errate scelte di molti curatori sarà la massa dei creditori fallimentari, ingiustamente pretermessi dal soddisfacimento concorsuale dall’ingiusta ammissione al passivo di un creditore ad essa antergato, per quanto, non va dimenticato neppure, che anche i singoli creditori sarebbero stati legittimati ad impugnare quei provvedimenti di ammissione fondati sul semplice estratto di ruolo.
Per il futuro non possiamo non auspicare che, ogni qual volta la specialità del diritto concorsuale dovrà interagire nuovamente con quella del diritto tributario, il confronto avvenga su basi paritarie e con l’unica finalità di giungere a soluzioni interpretative non antinomiche nel rispettivo ambito di competenza.

Note:

[1] 
Inter alia, tra le più recenti: Cass. Civ., 13 dicembre 2019, n. 32998; Cass. Civ., 6 dicembre 2019, n. 31991; Cass. Civ., 30 settembre 2019, n. 24442; Cass. Civ., 30 gennaio 2019 n. 2732; Cass. Civ., 29 dicembre 2017, n. 31190; Cass. Civ., 6 novembre 2017 n. 26296; Cass. Civ., 11 novembre 2016 n. 23110; Cass. civ., Sez .Un., 2 ottobre 2015, n. 19704.
[2] 
Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2021 n. 33408. 
[3] 
Il caso ha voluto che la sentenza delle Sezioni Unite fosse stata assunta nell’udienza del 28 settembre 2021, dunque, pochi giorni prima dell’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del D.L. n. 146/2021 e pubblicata solo qualche giorno dopo la sua entrata in vigore. 
[4] 
All'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, dopo il comma 4 è aggiunto il seguente: «4-bis. L'estratto di ruolo non è impugnabile. Il ruolo e la cartella di pagamento che si  assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall'iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, per effetto di quanto previsto nell'articolo 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche  di cui all'articolo 48-bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione».
[5] 
Cass. civ, Sez. Un., 6 settembre 2022 n. 26283. L’eccezione di costituzionalità era stata sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 104, 113, 117 Cost., quest'ultimo con riguardo all'art. 6 della CEDU e all'art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 della Convenzione.
[6] 
Cass. Civ., 27 giugno 2011, n. 14116, in Il Fallimento, 2011, 1417; Cass. Civ., 16 giugno 2011, n. 13242, con commento adesivo di A. Guiotto, L’insinuazione al passivo dei crediti tributari, ivi, 2011, 1418; Cass. Civ., 16 giugno 2010, n. 14579; Cass. Civ., 29 maggio 2006, n. 12777; Cass. Civ., 10 febbraio 2006, n. 2994; Cass. Civ., 9 dicembre 2004, n. 23001, in Dir. fall., 2006, II, 58 con nota adesiva di F. Rasi, L’ammissione con riserva dei crediti tributari: un recente intervento giurisprudenziale; Cass. Civ., 6 luglio 2001, n. 9180; Cass. civ., 17 giugno 1998, n. 6032, ivi, 1999, 283, con nota adesiva di A. Stesuri, Notificazione della cartella esattoriale quale presupposto per l’ammissione al passivo del credito fiscale; Cass. Civ., 6 maggio 1994, n. 4426; Trib. Roma, 15 dicembre 2008, ivi, 2009, 1449 con commento adesivo di C. Tabellini, Credito tributario per IVA: limiti del potere giurisdizionale del giudice fallimentare, ivi, 2009, 1454; Trib. Reggio Calabria, 13 maggio 2007, ivi, 2007, 1340; Trib. Palmi, 11 ottobre 2005, ivi, 2006, 97; Trib. Milano, 11 ottobre 2004, ivi, 2005, 468; Trib. Cassino, 7 luglio 2003, ivi, 2004, 110; Appello Milano, 8 aprile 2003, n. 2945, in Dir. fall., 2003, II, 909 con nota adesiva Quatraro-Dominici, L’ammissione al passivo fallimentare dei crediti tributari richiede l’iscrizione a ruolo; Trib. Parma, 18 marzo 1999, ivi, 1999, 682; Trib. Milano, 29 gennaio 1998, ivi, 1998, 534. Pressoché unanime la dottrina, per la quale la previa notifica della cartella di pagamento è atto indispensabile per ottenere l’ammissione al passivo, oltre alle note e ai commenti sopra richiamati: L. Del Federico, Profili di specialità ed evoluzione giurisprudenziale nella verifica fallimentare dei crediti tributari, in questa Rivista, 2009, 1378; M. Mauro, La problematica ammissione al passivo fallimentare del credito IVA, in Corr. Trib., 2009, 1552; B. Quatraro, I rapporti tra le procedure concorsuali ed il fisco, in Dir. fall., 2008, I, 516 ss., 527; F. Miccio, Appunti in tema di verifica dei crediti tributari, relazione presentata in occasione dell’Incontro di studio del CSM sul tema “L’accertamento del passivo concorsuale”, Roma 15-17 maggio 2006, in Giust. Trib. Rass. On line, in Giustiziatributaria.it, 13 e, pur con qualche distinguo, C. Tabellini, op. cit.; U. Apice, La verifica dei crediti tributari nel fallimento, ivi, 1991, 221 ss.; F. Abate, L’accertamento dei crediti d’imposta, ibidem, 1997, 445 ss.; L. Abete, L’accertamento dei crediti per imposte dirette, in Dir. fall., 2003, I, 1056-1057; B. Quatraro, op. cit.; M. Montanari, L’accertamento fallimentare dei crediti d’imposta, ivi, 2007, 1130; L. Del Federico, op. cit.; M. Pierro, L’insinuazione dei crediti da sanzioni tributarie e la rilevanza del ruolo, in Corr. Trib., 2010, 2371; A. Guiotto, op. cit.
[7] 
Per un commento critico della medesima: G. La Croce, L’insinuazione al passivo dei crediti tributari dall’ermeneutica dell’apparenza alle antinomie irrisolte, in Il Fall., 2014, 882.
[8] 
In Il Fall., 2020, 636, con nota adesiva G. La Croce, Le Sezioni Unite riaprono, e chiudono definitivamente, con un re-virement, la discussione sull’insinuazione al passivo dei crediti tributari iscritti a ruolo.
[9] 
Corte cost. 31 maggio 2018, n. 114, la quale aveva dichiarato la non costituzionalità dell’art. 57 del D.P.R. 602/1973 nella parte che vietava le opposizioni ex art. 615 c.p.c., poiché tale divieto, combinato con la pregiudiziale tributaria determinava in taluni casi un diniego assoluto di tutela; ad esempio nel caso di esecuzione avviata nonostante l’intervenuto pagamento del debito, oppure di sopravvenuta prescrizione del credito tributario, successivi alla compiuta definitività del titolo esecutivo (la cartella di pagamento), che escludevano la legittimità dell’esecuzione coattiva dello stesso.
[10] 
Cass. Civ., 22 maggio 2019, n. 13755. 
[11] 
Cass. Civ., Sez. Un., 2 ottobre 2015, n. 19704, cit.
[12] 
Ed è per questo che l’art. 87 dispone che l’Agente della riscossione s’insinui sulla base del ruolo, nel senso che solo il ruolo lo legittima ad un’azione che diversamente spetterebbe all’Agenzia delle entrate, titolare del credito. Diversa è la questione della prova del credito azionato. A riguardo si rinvia a G. La Croce, L’insinuazione al passivo dei crediti tributari dall’ermeneutica dell’apparenza alle antinomie irrisolte, cit., 888.
[13] 
G. Falsitta, Il ruolo della riscossione. Natura ed efficacia oggettiva dell’iscrizione a ruolo del debito d’imposta, 1972, il quale affermava che “il ruolo - al pari dell’ingiunzione - è un atto totalmente estraneo al procedimento costitutivo delle obbligazioni che per suo tramite vengono riscosse ... (omissis) ... è un atto alla cui formazione si procede ogni qual volta si tratta di provvedere all’esazione di entrate che per legge sono riscuotibili nelle forme e con la procedura stabilite per la riscossione delle imposte dirette erariali”; G. La Croce, L’insinuazione al passivo dei crediti tributari dall’ermeneutica dell’apparenza alle antinomie irrisolte, cit., 888.
[14] 
Cass. Civ., 22 maggio 2019, n. 13755, cit.; Cass. Civ., Sez .Un., 2 ottobre 2015, n. 19704, cit. 
[15] 
G. La Croce, L’insinuazione al passivo dei crediti tributari dall’ermeneutica dell’apparenza alle antinomie irrisolte, cit., 893; anche G. Glendi, op. cit., 282, rileva l’insuperabilità dell’antinomia.
[16] 
C. Stato, Sez. IV, n. 4209/2014.
[17] 
Principio recentemente ribadito da CTR Lazio 10 gennaio 2020, n. 154, in Smart24fisco.it, 2020.
[18] 
F. Tesauro, Manuale del processo tributario, Torino, 2017, 62; G.M. Cipolla, Processo tributario e modelli di riferimento: dall’onere di impugnazione all’impugnazione facoltativa, in Riv. dir. trib., 2012, I, 977; L. Perrone, Profili critici degli atti impugnabili nel processo tributario, in Rass. trib., 2020, 79.
[19] 
Cass. Civ., 14 febbraio 2020, n. 3743. 
[20] 
Il diritto romano giustificava la stabilità e la garanzia di immodificabilità del risultato del processo con l’esigenza di sicurezza nel godimento dei beni: G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, I, Napoli, 1960 (rist.), 320. Per una visione più completa e aggiornata del tema si rimanda a U. Correa, Il giudicato come limite alle sentenze della Corte costituzionale e delle Corti europee, in Judicium.it, 2017, 2.
[21] 
Inter alia, Cost. 7 maggio 1984, n. 13; S. Menchini, Il giudicato civile, 2002; G. Trisorio Liuzzi, Centralità del giudicato al tramonto?, Relazione al XXX Convegno dell’Associazione fra gli studiosi del processo civile, tenutosi a Cagliari il 2 e 3 ottobre 2015, sul tema: La crisi del giudicato, il quale ritiene che la centralità del giudicato nel sistema in realtà non sia venuta meno.
[22] 
V. Andrioli, Diritto processuale civile, I, Napoli, 1979, 995; F. Satta, Irretroattività degli atti normativi, in Enc. giur., 1989, XVII, 5; S. Menchini, Il giudicato civile, cit., 250 ss.
[23] 
Dal comma 4 dell’art. 98 L. fall.; oggi dal comma 5 dell’art. 206 CCII.
[24] 
In sostanza, i primi quattro motivi di revocazione ex art. 395 c.p.c.
[25] 
G. Serges, Il giudicato pregiudicato? Dalla certezza alla flessibilità, in Gruppodipisa.it, convegni, 2107. 
[26] 
Cass. Civ., 9 luglio 2019, n. 18380; Cass. Civ., 27 giugno 2018, n. 16990; Cass. Civ., 8 maggio 2014, n. 9977; Cass. Civ., 27 agosto 2013, n. 19650; Cass. Civ., 20 novembre 2012, n. 20381; Cass. Civ., 20 aprile 2010, n. 9329; Cass. Civ., 20 aprile 2010, n. 9329; L. Tria, Il ricorso per cassazione per violazione di norma di diritto tra discipline nazionale, disciplina UE e normativa internazionale, 2015, 36 e 37.
[27] 
Cass. Civ., Sez. Un., 6 settembre 2022, n. 26283, cit.
[28] 
L’art. 87 del D.P.R. n. 602/73.

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