Saggio
Disciplina delle spese nella Liquidazione giudiziale*
Pasquale Russolillo, Giudice delegato nel Tribunale di Avellino
18 Gennaio 2024
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Sommario:
La norma prevede che la procedura è ammessa d’ufficio al patrocinio a spese dello Stato se il giudice delegato, con apposito decreto, attesta che non è disponibile il denaro necessario per le spese.
Si tratta di una speciale ipotesi di accesso di una parte processuale “non abbiente” (la curatela) al beneficio di legge, in quanto non occorre che la relativa richiesta sia presentata al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, come previsto dall’art. 124 T.u.s.g., né che sia corredata dalla documentazione elencata all’art. 79 T.u.s.g., ma è sufficiente che il curatore, di regola contestualmente alla richiesta di autorizzazione a costituirsi in giudizio, illustri le disponibilità liquide della procedura (opportunamente allegando l’estratto conto) e formuli, alla luce degli impegni di spesa già assunti, una prognosi sulla non idoneità delle stesse a far fronte ai costi dell’instaurando giudizio.
L’istanza in esame deve essere formulata esclusivamente dal curatore, non essendo consentito al giudice attestare d’ufficio l’assenza di liquidità, né al legale della procedura farne richiesta in via sostitutiva in caso di inerzia dell’organo della procedura, salvo che egli non attivi lo specifico mezzo di reclamo previsto dall’art. 133 CCII[8].
Il giudice delegato nel verificare che la previsione di incapienza fatta dal curatore a sostegno dell’istanza è ragionevole deve limitarsi a considerare la disponibilità liquida (il “denaro”) attualmente in cassa o prontamente disponibile, non potendo invece fare affidamento su quanto in futuro ricavabile da altre attività liquidatorie o recuperatorie in essere[9].
Va poi da sé che, in ossequio ai principi di economicità ed efficienza che devono informare le attività gestionali del curatore, il giudice delegato è anche tenuto a controllare, se si vuole con maggior rigore rispetto a quanto accade in presenza di sufficiente liquidità, che l’iniziativa giudiziale da assumere sia “utile per il miglior soddisfacimento dei creditori”, ovvero non solo risulti ragionevolmente fondata, ma anche conveniente e cioè tale da assicurare un vantaggio economico superiore ai costi da sostenere, anche avuto riguardo alla solvibilità della parte convenuta eventualmente soccombente.
Il provvedimento del giudice delegato produce ex lege ed ex nunc, - dunque limitatamente alle attività difensive successive e con esclusione di quelle già poste in essere - tutti gli effetti dell’ammissione al gratuito patrocinio, senza necessità di alcun provvedimento ulteriore da parte del giudice della causa, salvo per il curatore l’onere di allegazione del decreto recante l’attestazione ex art. 144 T.u.s.g.
Inoltre, una volta acclarati i presupposti per l’accesso della curatela al beneficio di legge, l’ammissione deve intendersi definitiva e non già provvisoria, sicché è soltanto il giudice delegato a poterne disporre la revoca, escluso che una simile statuizione possa essere assunta dal giudice della causa, persino quando egli ritenga che l’organo della procedura ha agito o resistito con mala fede o colpa grave[10].
Il giudice delegato, per conto suo, provvede alla revoca del beneficio non appena la procedura abbia acquisito la liquidità sufficiente a sostenere le spese di giudizio, provvedimento che sottende una valutazione estesa a tutti costi prededucibili maturati, oltre che prevedibilmente maturandi, in quel momento.
Il provvedimento di revoca per sopravvenuta acquisizione di risorse liquide sufficienti non è peraltro equiparabile a quello previsto dall’art. 136, comma 1, T.u.s.g., per il caso in cui la parte ammessa al beneficio abbia mutato in corso di causa le proprie condizioni reddituali, in quanto, almeno secondo l’opzione interpretativa qui condivisa, non è finalizzata solo ad evitare esborsi futuri a carico dell’Erario, ma anche a consentire la reintegrazione dei costi pubblici fino a quel momento sostenuti.
Se così intesa la revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio non solo produce effetti retroattivi rispetto ai giudizi in corso, ma si estende addirittura a quelli già definiti e può essere disposta dopo la loro conclusione.
Di questo avviso è la Direzione Generale degli Affari Interni presso il Dipartimento degli Affari di Giustizia (DAG) del Ministero della Giustizia, che, nella risposta a quesito posto dall’Ispettorato generale n. 13688.U del 22/01/2021[11], ritiene che i giudizi nei quali è parte la curatela “si innestano” nella procedura concorsuale e sono dunque compresi nel dettato letterale dell’art. 146 T.u.s.g., nella parte in cui impone il recupero allo Stato delle somme anticipate e prenotate a debito non appena vi siano disponibilità liquide sufficienti e fino al momento della chiusura del fallimento (ora liquidazione giudiziale).
La citata risposta a quesito aggiunge che gli effetti derivanti dalla revoca del beneficio per sopravvenuta capacità della procedura di sostenere le spese dei giudizi promossi non equivalgono a quelli previsti dall’art. 136 T.u.s.g., in quanto non sono limitati alle sole spese processuali successivamente maturate (effetto ex nunc), ma si estendono ad ogni spesa anteriore già anticipata o prenotata a debito (effetto ex tunc), persino quando il giudizio sia definito.
Ed infatti, l’esigenza generale di evitare che i costi della procedura concorsuale restino a carico della collettività, impone di ritenere che la rivalsa dell’Erario verso la curatela divenuta solvibile possa essere esercitata anche dopo la conclusione del giudizio ed indipendentemente dall’esito della lite, dunque anche al di fuori delle ipotesi in cui l’art. 134 T.u.s.g. consente il recupero delle spese nei confronti della parte ammessa al patrocinio.
Va detto a tal proposito che l’art. 134 T.u.s.g. disciplina i casi in cui la rivalsa erariale è consentita nei confronti della parte non abbiente dopo la definizione del giudizio e prevede le seguenti condizioni che devono ricorrere cumulativamente: a) l’Erario non sia riuscito a recuperare le spese dalla parte abbiente risultata soccombente e condannata alla rifusione in via diretta nei suoi confronti ai sensi dell’art. 133 T.u.s.g.; b) la parte non abbiente, per effetto della vittoria della lite a cui il beneficio si riferisce o per transazione, sia stata posta in condizione di restituire le spese anticipate ed abbia ottenuto almeno il sestuplo di quelle prenotate a debito.
Al di fuori dei suddetti casi - a cui si aggiunge quello, desumibile dai commi 4 e 5 dell’art. 134 T.u.s.g., di estinzione del giudizio per rinuncia o mancata comparizione della curatela ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato - nessun recupero è possibile nei confronti del soggetto non abbiente.
Ne consegue che la rivalsa erariale è ordinariamente esclusa nei confronti del non abbiente in caso di sua soccombenza, ovvero in ogni caso in cui il giudizio abbia carattere di mero accertamento o natura costitutiva.
Diversamente, stando alle conclusioni della nota ministeriale, nei confronti della curatela il recupero, sarebbe consentito in ogni caso di liquidità sopravvenuta, anche se percepita aliunde (ad esempio da altro giudizio o per effetto della liquidazione di beni), ed indipendentemente dall’esito della lite, quindi anche nel caso di soccombenza o quando la causa abbia natura costitutiva o di mero accertamento.
Le conclusioni della risposta a quesito resa dal Ministero della Giustizia appaiono condivisibili nell’ottica di favorire in ogni caso il recupero dei costi sostenuti dallo Stato quando la procedura abbia conseguito ex post liquidità sufficiente al rimborso, tanto più che, ai fini dello speciale accesso al beneficio di legge da parte del curatore non si guarda al “reddito” dell’imprenditore sottoposto alla liquidazione giudiziale (nel quale andrebbero in tal caso inclusi anche valori riferibili alle proprietà mobiliari ed immobiliari), ma esclusivamente al “denaro” già disponibile, ovvero alla liquidità prontamente utilizzabile per sostenere i costi processuali, sicché, in definitiva, alla base dell’ammissione non vi è la tutela del non abbiente, ma una ragione di efficienza dell’azione del curatore che suggerisce di non subordinare i tempi di recupero dei crediti litigiosi alla realizzazione di altra liquidità.
Tale necessità, che giustifica una speciale protezione delle esigenze della massa, non può evidentemente ridondare in locupletazione ai danni dell’Erario, ove per mera casualità le condizioni legittimanti il beneficio siano venute meno sol dopo la definizione del giudizio e non anteriormente.
Deve peraltro darsi conto di un diverso orientamento.
Si è sostenuto, infatti, che la revoca del gratuito patrocinio per sopravvenuta liquidità, non diversamente da quanto previsto dall’art. 136 T.u.s.g., produce effetti ex nunc, e cioè a partire da quando essa sia sopravvenuta.
Seguendo tale impostazione, dunque - fermo restando il venir meno degli effetti del beneficio di legge dal momento della declaratoria di revoca resa dal giudice delegato - le spese di causa già anticipate dall’Erario o prenotate a debito sono recuperate alle sole condizioni previste dall’art. 134 T.u.s.g., ovvero: 1) in caso di vittoria della lite o transazione che consentano il recupero di somme sufficienti ai sensi del comma 2, sempre che lo Stato non abbia recuperato dalla controparte soccombente ai sensi dell’art. 133 T.u.s.g.; 2) nel caso di rinuncia al giudizio o di estinzione della causa per mancata comparizione delle parti[12].
Va al riguardo considerato che la liquidazione fatta dal giudice ai sensi del T.u.s.g. è soggetta, nell’ipotesi di patrocinio esercitato nelle cause civili, alla dimidiazione prevista dall’art. 130 T.u.s.g.
Accade perciò di frequente, che il legale, all’esito della lite, avvertito dal curatore della sopravvenuta liquidità nella procedura concorsuale, preferisca attendere la revoca del beneficio e la conseguente determinazione del compenso da parte del giudice delegato. Lo stesso curatore, del resto, potrebbe caldeggiare una siffatta soluzione per accelerare i tempi di definizione della procedura concorsuale.
Ove si ritenga, come sostenuto nel precedente paragrafo, che lo Stato abbia in ogni caso diritto al recupero nei confronti della massa, non dovrebbero esservi particolari ragioni per negare una siffatto modus procedendi, posto che la soluzione di attingere la liquidità necessaria al pagamento del legale direttamente dai fondi della procedura ha solo il vantaggio di semplificare del complesso iter burocratico di anticipazione erariale e successiva rivalsa - foriero di un rallentamento dei tempi di definizione della procedura concorsuale - e non comporta alcun aggravio in termini di costi per i creditori concorsuali, se non quello derivante dalla mancata dimidiazione dell’onorario, che a sua volta pare previsione poco giustificabile a svantaggio del professionista richiedente una volta che la procedura disponga delle risorse sufficienti.
Viceversa, laddove si dovesse sostenere che la procedura, sopravvenuta la liquidità, non sia tenuta a sostenere i costi erariali se non nei casi di vittoria o di transazione che abbiano comportato, in diretta conseguenza della causa, l’acquisizione delle risorse a ciò destinate (così come previsto dall’art. 134 T.u.s.g.), le conclusioni non potranno che essere diametralmente opposte[14].
Seguendo questo orientamento, si porrebbe, infatti, in modo evidente il rischio di far gravare sulla massa costi che, viceversa, sono destinati a restare definitivamente a carico dello Stato, ad esempio perché il giudizio è stato definito con soccombenza della curatela o si sia concluso con pronuncia di mero accertamento o costitutiva, ovvero nei casi in cui, pur essendo la lite vittoriosa non abbia consentito alcun recupero, essendo la liquidità sopravvenuta invece derivante da altri giudizi o da altre attività di realizzazione dell’attivo.
Deve poi considerarsi, anche a voler sposare la prima delle tesi sopra esposte e condivisa nel presente scritto, che un limite alla liquidazione diretta del compenso del legale della curatela ammessa al gratuito patrocinio da parte del giudice delegato potrebbe trarsi in ogni caso quando la lite sia esitata vittoriosamente per la procedura e la controparte soccombente sia stata condannata alla distrazione delle spese in favore dello Stato ai sensi dell’art. 133 T.u.s.g.
Il successivo art. 134, comma 1, T.u.s.g. prevede, infatti, in questa ipotesi, che lo Stato debba tentare anzitutto, secondo la regola del beneficium excussionis, il recupero nei confronti della parte non ammessa al beneficio potendo, dunque, esercitare la rivalsa nei confronti della parte vittoriosa ammessa al patrocinio (nella specie la curatela) solo in via sussidiaria ed in caso di azione infruttuosa[15].
Assicurando al legale della procedura il pagamento diretto a carico della massa vi è, dunque, il concreto rischio che la procedura anticipi un costo che dovrebbe, invece, gravare almeno in via prioritaria sulla parte soccombente in bonis, con l’aggravante che, a fronte dell’esborso eseguito in favore del professionista, la curatela non disporrebbe neppure di un titolo per il recupero, posto che la pronuncia giudiziale, come si è visto, reca il capo sulla distrazione delle spese di lite in favore dello Stato ex art. 133 T.u.s.g.
E’ stato anche chiarito che il beneficio dell’anticipazione riguarda non solo le spese documentate previste dal comma secondo della citata norma, ma anche gli onorari e i compensi liquidati dal tribunale o dal giudice delegato, quando siano rispettivamente riferibili ad attività svolte dal curatore o, secondo l’interpretazione qui condivisa, dagli altri coadiutori qualificabili come ausiliari del curatore.
Le spese di procedura prenotate a debito ed anticipate dall’Erario devono essere recuperate appena sopravvengano disponibilità derivanti “dalla liquidazione dell’attivo” (art. 146, comma 4, T.u.s.g.) - espressione normativa che va estesa ovviamente anche dal recupero di crediti - con l’aggiunta che il giudice delegato ne assume una diretta responsabilità, in quanto egli assicura il “tempestivo recupero” (art. 146, comma 5, T.u.s.g.).
Ne deriva, come previsto dalle circolari di numerosi uffici, che, non appena sia realizzata liquidità, il curatore deve richiedere la quantificazione delle spese da rimborsare in cancelleria e l’emissione del mandato di pagamento, e ciò anche quando esse non possano essere interamente onorate, avendo un preciso obbligo in tal senso la cui violazione può determinare la revoca dell’incarico[16].
Il rimborso delle spese di giustizia, anche se non integrale e nei limiti della liquidità disponibile, precede dunque ogni ripartizione dell’attivo e l’esecuzione di ogni altro pagamento, in deroga al disposto dell’art. 222, comma 4, CCII, a mente del quale, se l’attivo è insufficiente, la distribuzione deve avvenire secondo criteri della graduazione e proporzionalità conformemente all’ordine assegnato dalla legge.
A ben vedere tuttavia tale deroga è limitata all’esecuzione del pagamento fuori riparto, ma non al rispetto dell’ordine delle prelazioni, atteso che le spese di procedura assumono, fra i crediti in prededuzione, un rango sempre prioritario alla luce degli artt. 2755, 2770 e 2777 c.c.
Deve ora darsi conto della possibilità che l’attivo realizzato consenta il recupero delle spese prenotate a debito e di eventuali anticipazioni già eseguite dall’Erario ai sensi dell’art. 146, comma 3, T.u.s.g., ma non sia sufficiente per la soddisfazione integrale degli altri crediti prededucibili maturati, inclusi quelli dei soggetti, come il curatore, che abbiano operato quali ausiliari.
Vi è da chiedersi, cioè, se in questi casi, sia ancora possibile l’anticipazione erariale per la parte del compenso rimasta insoddisfatta.
Del tema si è occupata la recente pronuncia della Corte di Cassazione n. 27442 del 27 settembre 2023, secondo cui la menzionata regola dell’art. 146 T.u.s.g., nel consentire l’anticipazione degli oneri degli ausiliari del magistrato, ancorché dettata per il caso tipico del fallimento privo di attivo, si estende per identità di ratio al caso in cui la procedura, pur non totalmente incapiente, disponga di un attivo insufficiente[17].
Ciò posto, si pone allora la delicata problematica del coordinamento fra le regole sulla distribuzione dell’attivo disponibile, ma insufficiente, fra i creditori in prededuzione con il perdurante diritto all’anticipazione erariale di cui possono beneficiare alcuni di essi.
Il curatore, a fronte della previsione di insufficienza, della quale avrà contezza una volta ottenuta la determinazione di tutti i compensi e le spese maturati in prededuzione, deve procedere anzitutto all’applicazione del disposto dell’art. 222, comma 4, CCII, provvedendo alla ripartizione delle somme disponibili secondo criteri di gradualità e proporzionalità.
Dopo l’esecuzione del riparto egli stesso e gli ausiliari ammessi al beneficio dell’anticipazione potranno ottenere dall’Erario il riconoscimento della sola differenza rimasta insoddisfatta[18].
Costituisce, per contro, un erroneo modus procedendi, fonte di responsabilità erariale, quello di escludere ex ante dal riparto delle somme disponibili il compenso del curatore e quello degli altri professionisti che possono accedere al beneficio di cui all’art. 146, comma 3, T.u.s.g., al fine di consentire una maggiore soddisfazione degli altri crediti in prededuzione, posto che così operando si finirebbe col far gravare sulla finanza pubblica una somma che invece avrebbe dovuto essere pagata con la liquidità acquisita alla massa.
Alla luce delle superiori considerazioni il curatore deve dunque essere prudenzialmente avvertito, in ogni momento utile (ad esempio quando sia presentato il programma di liquidazione, ovvero chiesta la nomina di professionisti o la liquidazione dei compensi agli stessi spettanti), che le spese di procedura vanno immediatamente recuperate non appena vi sia liquidità e che le somme realizzate vanno accantonate nella misura presumibilmente necessaria al pagamento del proprio compenso, quand’anche suscettibile di anticipazione a carico dell’Erario, non potendo diversamente egli corrispondere ad altri professionisti incaricati alcuna somma neppure a titolo di mero acconto.
Viene da sé che la possibilità di dar corso ad un riparto parziale in favore dei prededucibili, in presenza di liquidità limitata, si complica ulteriormente quando vi siano giudizi pendenti in cui la procedura è ammessa la patrocinio a spese dello Stato, dovendo in tal caso essere sempre preservata una disponibilità di cassa idonea a favorire il recupero erariale alle condizioni illustrate nel precedente paragrafo.
Si è già ricordato che la disciplina del T.u.s.g., nel regolare la materia delle spese di giustizia in caso di mancanza di liquidità, utilizza ancora la dizione “procedura fallimentare”, lemma che deve intendersi, giusta previsione dell’art. 349 CCII, sostituito da “procedura di liquidazione giudiziale”.
Già la L. n. 3/2012 aveva tuttavia esteso il campo delle procedure di insolvenza agli imprenditori minori, ai professionisti e consumatori sovraindebitati, introducendo l’istituto della liquidazione del patrimonio, oggi sostituito dalla liquidazione controllata.
Né la legge 3 citata, né il Codice della Crisi, hanno tuttavia aggiornato il T.u.s.g., sicché alle speciali regole di accesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato restano estranee le suindicate procedure di sovraindebitamento.
E tuttavia anche la liquidazione controllata prevede costi iniziali (ad esempio il contributo unificato o l’imposta di registro) che potrebbero non essere sostenibili con le risorse disponibili al momento dell’apertura, così come prevede la presenza di un organo necessario allo svolgimento della fase esecutiva, il liquidatore giudiziale, il cui compenso va pagato dopo l’approvazione del rendiconto finale della gestione (art. 275, comma 4, CCII).
Inoltre il liquidatore, su autorizzazione del giudice delegato, è legittimato a proporre e a proseguire, se già pendente, ogni azione finalizzata conseguire la disponibilità dei beni compresi nel patrimonio del debitore e ogni azione diretta al recupero crediti, nonché ogni azione diretta a far dichiarare inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori secondo le norme del codice civile, sicché analogamente, in mancanza di denaro necessario a sostenere i costi della lite, si pone il problema dell’estensione applicativa dell’art. 144 T.u.s.g.
Ad oggi i rischi dell’impossibilità di funzionamento di una procedura di liquidazione a carico del sovraindebitato sono stati in parte attenuati dall’orientamento giurisprudenziale che, in caso di iniziativa del debitore persona fisica, ha posto, quale condizione di accesso alla procedura, la disponibilità di risorse sufficienti a consentire almeno il pagamento degli oneri in prededuzione e la destinazione di un’eccedenza ai creditori concorsuali[19].
La questione del reperimento delle risorse economiche necessarie a coprire i costi di procedura si porrà però, in modo ancor più pressante, dopo l’entrata in vigore del Codice della Crisi, atteso che la liquidazione controllata può essere ora aperta anche su domanda del creditore, il cui accoglimento non impone la verifica preventiva dell’esistenza di risorse quantomeno necessarie a coprire i costi di procedura, salvo che il procedimento non riguardi un debitore persona fisica e quest’ultimo, costituendosi in giudizio, faccia attestare all’OCC la totale assenza di attivo da destinare ai creditori.
Non mancano pronunce giurisprudenziali che, avvedutesi delle difficoltà operative sopra evidenziate, hanno esteso in via ermeneutica l’ambito applicativo dell’art. 146 T.u.s.g. alla materia della liquidazione del patrimonio ed oggi a quella della liquidazione controllata[20].
Sebbene sia apprezzabile tale sforzo interpretativo, deve però convenirsi con quanti hanno ravvisato, in accordo con numerose pronunce della Corte Costituzionale (fra cui la 174/2006 già richiamata), la natura eccezionale delle norme che consentono l’accesso privilegiato al gratuito patrocinio per le procedure di fallimento ed ora di liquidazione giudiziale.
In coerenza con tale assunto il Tribunale di Verona ha di recente ritenuto di dover sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 144 T.u.s.g. nella parte in cui non prevede che, anche nei processi in cui è parte una procedura di liquidazione controllata, se il decreto del giudice delegato attesta che non è disponibile il denaro per le spese, la procedura si considera ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nonché dell’art. 146 T.u.s.g., nella parte in cui non prevede la sua applicabilità alla procedura di liquidazione controllata, dalla sentenza di apertura alla chiusura, ravvisando la violazione degli artt. 3 e 24 Cost.[21]
Note: