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Detassazione delle plusvalenze da cessione dei beni nel concordato preventivo: anche in continuità?

Giuliano Buffelli, Dottore commercialista in Bergamo

3 Giugno 2024

Risposta dell’Agenzia delle Entrate n. 462/2019

Visualizza: Cass., Sez. 5, 25 maggio 2018, n. 13122, Pres. Virgilio, Est. Fuochi Tinarelli

Una recente risposta a interpello dell’Agenzia delle Entrate la n. 462/2019 (poco ripresa dalla dottrina) riporta l’attenzione sul tema della tassazione delle plusvalenze da cessione dei beni nel concordato preventivo in continuità ex art. 86, comma 5, T.u.i.r. 
Con il presente intervento, dopo brevi cenni sull’evoluzione storica del dibattito connesso al tema, intendiamo svolgere alcune considerazioni, confortate dalla più recente giurisprudenza, in ordine alla “intassabilità” delle plusvalenze realizzate in ogni tipo di concordato preventivo, per concludere con una analisi prospettica dell’argomento alla luce della legge delega sulla riforma fiscale.
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1 . Premessa
La risposta a un’istanza di interpello, la n. 462/2019 dell’Agenzia delle Entrate, ripropone, in ambito plusvalenze derivanti dall’esecuzione del piano di concordato preventivo, un tema che, nell’interpretazione della dottrina prevalente sembrava ormai superato, nel senso che le previsioni di cui al comma 5 dell’art. 86 T.u.i.r.[1] (quanto alla detassazione) potessero e dovessero essere applicate alle diverse tipologie di concordato preventivo:
- liquidatorio; 
- in continuità; 
- misto: parte in continuità e parte liquidatorio (con la dismissione di beni non strategici).
L’interpello in premessa muove dalla seguente specifica richiesta “…, la società chiede di conoscere se, con riferimento alla vendita di beni non funzionali alla prosecuzione dell’attività nell’ambito di un concordato preventivo con continuità aziendale, può tornare applicabile la disposizione di cui all’articolo 86, comma 5, del Testo unico delle imposte sui redditi di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir) secondo cui: “La cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo delle plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore dell’avviamento”. 
E la risposta dell’Agenzia, dichiaratamente fondata sulla indicazione contenuta nell’art. 88, comma 4 ter, T.u.i.r. (norma che tratta delle sopravvenienze attive), contiene la seguente conclusione: 
tutto quanto sopra premesso, con riferimento al caso di specie si ritiene che, alle plusvalenze e alle minusvalenze derivanti dalla cessione dei beni immobili non strategici all’esercizio dell’attività di impresa nell’ambito di un concordato preventivo in continuità aziendale, siano applicabili le regole generali di determinazione del reddito di impresa con la conseguenza che le stesse concorrano a formare il reddito nell’esercizio di competenza”. 
Col presente approfondimento si intendono svolgere alcune argomentazioni finalizzate a evidenziare l’erroneità dell’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate. 
Si ricorda che il tema in esame tratta delle plusvalenze/minusvalenze che si generano in ambito “concordato preventivo” nell’attuale contesto tributario (T.u.i.r. D.P.R. 917/1986); si esamineranno le possibili evoluzioni normative con riferimento alla legge 111 del 9/8/2023 (delega al governo per la riforma fiscale).
2 . Obblighi fiscali nel concordato preventivo
L’ammissione di un’impresa alla procedura di concordato preventivo non comporta la perdita dei poteri gestionali e operativi in capo all’imprenditore, il quale pertanto -a maggiore ragione- conserva la legale rappresentanza. La traslazione di questi principi generali nell’area tributaria comporta che gli adeguamenti fiscali sono posti a carico esclusivo dell’imprenditore, mentre nulla compete al commissario giudiziale e al liquidatore giudiziale. Non va peraltro sottaciuto che, secondo il Ministero delle Finanze (ris. 7 febbraio 1981, n. 7/455 della Dir. Gen. Imposte), gli obblighi di cui all’art. 10 del D.P.R. n. 600/1973, ora art. 5 del D.P.R. n. 322/1998 (dichiarazioni nei casi di liquidazione) sarebbero da porre a carico del liquidatore giudiziale. 
Quanto sopra (circa la conferma degli obblighi fiscali che restano a carico del debitore) trova conferma nella sentenza della Corte di Cassazione n. 12422 depositata l’8 giugno 2011 la quale, richiamando alcuni interventi giurisprudenziali, conferma come tale procedura non priva il debitore della proprietà dei beni, né della titolarità dei crediti; conseguentemente, in coerenza con il principio di mantenimento della legittimazione processuale, derivante dalla mancanza di una norma come quella prevista per il fallimento (art. 43 D.P.R. n. 267/1942 a seguire anche L. fall.: rapporti processuali) il debitore in concordato preventivo rimane il soggetto passivo di imposta. 
Conclusivamente può essere affermato che in caso di concordato preventivo (di qualunque tipo) gli adempimenti tributari sono a esclusivo carico dell’imprenditore mentre nulla compete al commissario giudiziale ed al liquidatore giudiziale. 
3 . Le diverse tipologie di concordato preventivo nel D.P.R. n. 267/1942 (legge fallimentare) e nel Codice della crisi e dell’insolvenza di cui al D.Lgs. n. 14/2019 a seguire anche CCII: brevi note di sintesi
D.P.R. n. 267/1942 (legge fallimentare) 
Nell’ambito della legge fallimentare le tipologie di concordato sono le seguenti:
1) Concordato con cessione dei beni (liquidatorio) 
Trattasi di procedura prevista dal combinato disposto degli artt. 160 e 182 L. fall. 
L’istituto ha natura prettamente liquidatoria, perché prevede la dismissione delle attività per soddisfare il ceto creditorio. 
Organi della procedura sono: il commissario giudiziale nella fase ante omologa e il liquidatore giudiziale nella fase post omologa; 
2) Concordato con continuità aziendale 
E’ lo strumento concorsuale previsto dall’art. 186 bis LF che consiste nella proposta ai creditori di soddisfazione: 
- anche parziale senza previsione di percentuale minima; 
- anche con modalità differenti; 
- attraverso i flussi finanziari generati dalla gestione. 
Organo della procedura è il commissario giudiziale anche nella fase post omologa in cui il rappresentante del debitore gestisce l’impresa sotto l’osservanza del commissario giudiziale. 
3) Concordato preventivo misto 
E’ la procedura il cui piano prevede la prosecuzione della attività e la liquidazione, normalmente, di beni non strategici. 
Possono trovare applicazione tutti gli istituti previsti per il concordato in continuità ex art. 186 bis primo comma L. fall. 
Organi della procedura sono: 
- Il commissario giudiziale sia nella fase ante omologa che in quella post omologa in cui deve vigilare sull’operatività del debitore; 
- Il liquidatore giudiziale nella fase post omologa per liquidare i beni non strategici. 
D.Lgs. n. 14/2019 (Codice della crisi e dell’insolvenza: CCII) 
1) Concordato preventivo disciplinato dagli artt. da 84 a 120 quinquies CCII 
Come nella LF sono previsti il “concordato in continuità aziendale” e il “concordato con liquidazione del patrimonio”. E’ previsto anche “Il concordato misto”. 
Organi della procedura sono il commissario giudiziale e il liquidatore giudiziale. Entrambe le tipologie possono essere assimilate al concordato preventivo.  
2) Concordato minore disciplinato dagli artt. da 74 a 83. 
Organi della procedura sono l’OCC e in particolari casi il commissario giudiziale. 
3) Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio all’esito della composizione negoziata disciplinato dagli artt. 25 sexies e 25 septies CCII. 
Organo della procedura è l’ausiliario. 
Gli istituti sub 2/3 non sono esattamente riconducibili alla figura del concordato preventivo nell’attuale contesto della normativa fiscale. 
4 . La tassazione/detassazione delle plusvalenze derivanti dalle indicazioni del comma 5 dell’art. 86 T.u.i.r.
Evoluzione storica 
Per quanto concerne le plusvalenze e le minusvalenze, l’art. 86 T.u.i.r., al comma 5 dispone: “La cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo delle plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze e al valore di avviamento”. 
In un primo momento, la norma era stata interpretata solo come soluzione al problema della rilevanza fiscale della cessio bonorum, dibattuto in costanza della normativa fiscale previgente al D.P.R. n. 917/1986. L’intervento del legislatore, quindi, venne salutato come un’interpretazione chiarificatrice dell’irrilevanza fiscale della (formale) cessione dei beni ai creditori, con la conseguenza che la concreta vendita dei beni stessi a opera del liquidatore giudiziale dava invece luogo all’evidenziazione di plusvalenze e minusvalenze rilevanti fiscalmente. 
Peraltro, nonostante il parere contrario dell’Amministrazione delle Finanze, gli interpreti hanno ritenuto di potere attribuire alla norma un diverso significato, nel senso cioè di conferire irrilevanza fiscale alle plusvalenze e alle minusvalenze realizzate -in corso di concordato preventivo- nel momento dell’effettiva vendita dei beni a terzi, momento in cui si concretizza il passaggio di proprietà. 
In tale situazione di contrasto interpretativo è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 5112 del 3 aprile-4 giugno 1996. La decisione, con l’autorevolezza del collegio giudicante da cui proviene, dopo avere analizzato la portata retroattiva del comma 6 dell’art. 54 (D.P.R. n. 917/1986 nella versione vigente a tutto il 31 dicembre 2003), per effetto del disposto dell’art. 36 del D.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, ha affermato che la previsione della norma fiscale, relativamente al concordato preventivo con cessione dei beni, non può che riferirsi alle plusvalenze realizzate in sede di liquidazione, considerato che: “… Appare evidente che neppure quella sopra puntualizzata alla lettera (a) (plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso) può essere realizzata dalla cessione dei beni ai creditori, dal momento che la cessione a titolo oneroso prevista dal legislatore come presupposto per la tassazione delle plusvalenze implica l’alienazione del bene e quindi un effetto che, per quanto si è detto, nel caso della cessione dei beni ai creditori non può in alcun modo determinarsi”. 
Pertanto la norma, per avere significato applicativo, secondo la Suprema Corte, non può che riferirsi alle cessioni dei beni attuate su impulso del liquidatore giudiziale nelle fasi successive all’omologazione del concordato preventivo, cessioni le cui plusvalenze non risultano assoggettabili a tassazione. 
Prosegue la Corte precisando che detta interpretazione scaturisce anche dal parere della Commissione dei Trenta sullo schema del T.U. (art. 127), da cui si desume “che l’obiettivo che si intendeva raggiungere con la disposizione in esame era proprio quello di ridurre l’onere fiscale delle operazioni compiute nel corso della liquidazione concordataria”. 
La conseguenza di tale importante sentenza è che la liquidazione dei beni, anche tramite cessione dell’azienda, nella fase post omologa, non determina plusvalenze tassabili. 
Conforme alla sentenza citata rilevano: in giurisprudenza, anche la Commissione Centrale, sez. XVIII, del 7 ottobre 1994, n. 3985; in dottrina, Leo Monacchi – Schiavo, Le imposte sui redditi nel Testo Unico, ed. Giuffrè, relativamente alla sola ipotesi di concordato preventivo con cessione dei beni; G. Falsitta, La responsabilità del curatore, ed. Giuffrè 1988. 
Nell’ambito delle novità introdotte dal D.L. n. 35/2005, che, come in precedenza osservato, prevede, rispetto al regime previgente, una forma di concordato preventivo che può prescindere dalla classica “cessione dei beni ai creditori”, considerando un piano di risanamento diversamente modulato (rif. art. 160), la norma in esame va interpretata, a parere di chi scrive, in senso estensivo. 
Infatti, in tutte le forme di concordato preventivo previste dal nuovo regime che presuppongono, per la realizzazione del piano, vendite di beni, di aziende ecc. anche tramite il conferimento (che, ai fini fiscali, é assimilato alla cessione); le connesse plusvalenze realizzate non dovrebbero, ai sensi della norma in esame, essere soggette a tassazione ai fini delle imposte sui redditi. 
Ciò sembra trovare conforto nelle indicazioni contenute nella citata sentenza della Suprema Corte di Cassazione, che ricomprende nella portata della norma la cessione in genere dei beni aziendali, estendendola anche ai casi di cessione di beni effettuata successivamente alla chiusura del concordato, ma in esecuzione dello stesso. 
Come infatti chiarito dall’Agenzia delle Entrate con ris. n. 29 dell’1 marzo 2004 (facendo riferimento anche alla sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I civile, del 4 giugno 1996, n. 5112), la ratio di tale norma è quella di “ridurre l’onere fiscale delle operazioni compiute nel corso della liquidazione concorsuale”. 
Di conseguenza, sembra desumersi che, anche a parere del Ministero, la disposizione, malgrado la sua ambigua formulazione, riguarda non solo la cessione dei beni ai creditori, ma anche il trasferimento a terzi dei beni ceduti in esecuzione della proposta (Cass. 16 ottobre 2026, n. 22168). 
Le plusvalenze rileveranno civilisticamente e andranno poi riprese tra le variazioni in diminuzione in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi.
Recenti evoluzioni interpretative 
La norma, sin dalla sua entrata in vigore, ha evidenziato dubbi operativi e interpretativi, alcuni dei quali superati dalla giurisprudenza della Cassazione che peraltro ha lasciato, in particolare in ambito fiscale, ancora diversi temi irrisolti tra cui spicca quello dell’operatività o meno della disposizione (comma 5 art. 86 T.u.i.r.) anche per i concordati in continuità aziendale (sia diretta che indiretta). La risposta n. 462/2019 dell’Agenzia delle Entrate riaprendo il dibattito sulla applicabilità o meno della norma in esame al concordato preventivo in continuità, motiva la non applicazione della norma ai concordati in continuità con una ricostruzione interpretativa assolutamente non convincente e in particolare richiamando la tematica delle sopravvenienze attive[2]. 
Di conseguenza, a parere dell’AGE l’intenzione del legislatore sarebbe (anche per le previsioni di cui al comma 5 dell’art. 86) quella di circoscrivere la non rilevanza delle plusvalenze-minusvalenze a una ipotesi in cui “dopo il concordato non ci sia più esercizio di impresa” (Ris. AGE n. 29/2004). 
E’ un’interpretazione completamente avulsa del testo normativo e anche dalle più recenti indicazioni della giurisprudenza. 
La Suprema Corte di Cassazione, infatti con più di una decisione (Cass. sez. civ. I n. 5112/1996; n. 22168/2006; n. 11699/2007) ha, fin dall’origine della querelle in esame, sostenuto che la cessione dei beni ai creditori non comporta la realizzazione di plusvalenze di sorta come in precedenza osservato, posto che l’esenzione delle plusvalenze e l’indeducibilità delle minusvalenze si riferisce in generale al trasferimento a terzi di beni ceduti in esecuzione della proposta di concordato. 
Significativamente una recente sentenza della Cassazione (Cass. civ. n. 13122 del 25/05/2018) è intervenuta in tema di concordato preventivo in continuità: si legge testualmente: “Detto piano poi, veniva fatto confluire in una proposta di concordato preventivo con prosecuzione dell’attività ai sensi del DL n. 35 del 2005[3]; il tribunale di Firenze, con decreto del 22/06/2005 ammetteva, in effetti, la (omissis) alla suddetta procedura”). 
In particolare, quanto alla problematica oggetto della norma in esame (art. 86 comma 5 T.u.i.r.) la Cassazione ha così argomentato: 
21. L’art. 86, comma 5 Tuir, invero, dispone “La cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo delle plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento”. 
E’ pacifico, in primo luogo, che la disposizione vada intesa come riferita alle cessioni a terzi atteso che, come affermato dalla Suprema Corte in più occasioni, “malgrado le ambiguità della sua formulazione, essa riguarda (non la cessione dei beni ai creditori, ma) il trasferimento a terzi dei beni ceduti” (Cass. n. 5112 del 04/06/1996; Cass. n. 22168 del 16/10/2006; Cass. n. 11701 del 21/05/2007). 
Le cessioni che assumono rilievo, peraltro, sono solo quelle “effettuate in esecuzione della proposta di concordato” (v. ampiamente Cass. n. 5112 del 04/06/1996 in motivazione), sicché correttamente la CTR ha escluso che fosse suscettibile di applicazione l’art. 86, comma 5 TUIR. 
La ratio della norma, del resto, va individuata nella volontà del legislatore di favorire l’adesione alla procedura concordataria, evitando la nascita di un debito d’imposta che, sebbene successivo alla procedura stessa, avrebbe dovuto  gravare sulla medesima (e, dunque, pregiudicare le ragioni dei creditori), nonché, sotto altro versante, nell’esigenza di impedire che, in capo a un soggetto che ha subito lo “spossessamento” dell’intero patrimonio, possa sorgere un’obbligazione relativa alle imposte reddituali, al cui pagamento quel soggetto non potrebbe adempiere, non disponendo di alcun mezzo per effetto del predetto spossessamento”. 
L’intervento del supremo collegio sembra non lasciare dubbi sulla applicabilità della detassazione delle plusvalenze realizzate dalla cessione dei beni in ambito concordato preventivo in continuità. 
Giova infine rilevare che la norma fiscale in esame, fa riferimento anche alle plusvalenze relative ad alcuni elementi patrimoniali tipici dell’alienazione dell’azienda in funzionamento di cui all’art. 186 bis L. fall., come l’avviamento oltre alle rimanenze. E dunque anche il tenore letterale porta a concludere che  l’operatività della stessa riguarda tutti i tipi di concordato e non solo a quello cd liquidatorio.
5 . Il tema in oggetto nella prospettiva della delega al governo per la riforma fiscale
Nell’ambito del tema in trattazione, di interesse, è l’esame delle previsioni di cui alla delega fiscale (L. n. 111/2023). 
La norma, che nella delega si occupa degli istituti disciplinati dal codice della crisi e dell’insolvenza. (D.Lgs. n. 14/2019) è l’art. 9. 
Sulla base di detta norma, nell’esercizio della legge il governo dovrà osservare, con riferimento alle imposte dirette i seguenti principi direttivi: 
1) Prevedere un regime di tassazione del reddito per tutte le imprese, comprese quelle minori e le grandi imprese, che ricorrono agli istituti di cui al CCII distinguendo tra: 
1.1) Istituti liquidatori (che determinano l’estinzione dell’impresa debitrice) per i quali il reddito di impresa si determina sulla base del residuo attivo conseguito in unico periodo (attuale art. 183, comma 2, T.u.i.r.); trattasi di unico maxi periodo di imposta (compreso quello riferito all’esercizio provvisorio) che si conclude con la fase esecutiva della procedura o dell’istituto di gestione della crisi il cui risultato, per tutte le imprese, è costituito dalla differenza tra il residuo attivo esistente alla chiusura del detto periodo e il valore fiscalmente riconosciuto del patrimonio netto esistente all’inizio di uno degli istituti disciplinati dal CCII. 
1.2) Istituti di risanamento che non determinano l’estinzione dell’impresa, per i quali si applica la ordinaria disciplina del reddito di impresa anche con riferimento agli adempimenti dichiarativi. 
La delega, pur trattando nello specifico sia dell’art. 88, comma 4 ter, T.u.i.r. (sopravvenienze attive derivanti da riduzione dei debiti del debitore soggetti al concordato preventivo e agli altri istituti di cui al D.Lgs. n. 14/2019) che dell’art. 101, comma 5, T.u.i..r (perdite su crediti nel caso di debitore sottoposto a uno degli istituti previsti dal CCII) nulla prevede quanto all’art. 86 T.u.i.r. 
Allo stato delle conoscenze, tra cui si annovera una bozza di accompagnamento alla bozza della legge delegata, il tema all’esame potrebbe avere il seguente trattamento: 
1) Concordato preventivo liquidatorio. 
Le eventuali plusvalenze realizzate dalla cessione degli attivi rientrano nella determinazione del reddito di impresa sulla base delle regole attualmente previste dall’art. 183, comma 2, T.u.i.r. secondo cui rileva materia imponibile se residua differenza positiva tra il residuo attivo a fine procedura e il patrimonio netto all’inizio della procedura a valori fiscalmente rilevanti. 
2) Concordato preventivo in continuità sia diretta che indiretta. 
Si ha notizia che in sede di emissione della legge delegata verrà introdotta nell’art. 86 una specifica disposizione in base alla quale le plusvalenze conseguite dalle imprese assoggettate a istituti di gestione della crisi di cui al CCII di carattere non liquidatorio (compreso il concordato preventivo in continuità sia diretta che indiretta) potranno concorrere a formare il reddito, oltre che per l’intero ammontare nell’esercizio in cui sono state realizzate, in quote costanti in tale esercizio e in quelli successivi, ma non oltre il nono, purché siano previste dal piano di risanamento depositato a norma di legge nell’ambito delle suddette procedure e dei suddetti istituti e siano strumentali rispetto al risanamento patrimoniale o finanziario dell’impresa che le realizza.
6 . Conclusioni
Il tema trattato ritengo sia di grande interesse, non solo per le implicazioni di natura strettamente giuridico fiscale ma anche per le ricadute che determina sul piano di concordato in base alla domanda di accesso alla procedura. 
È facile infatti intuire il diverso impatto sulla realizzabilità o meno di un piano nel considerare non tassabili o tassabili le plusvalenze da cessione dei beni (comprese le rimanenze e il valore di avviamento). 
L’auspicio è che l’Agenzia delle Entrate in primis e poi il legislatore delegato, nell’ambito della riforma fiscale, valutino con attenzione i riflessi fiscali della diversa determinazione quanto alla tassazione delle plusvalenze da cessione dei beni nel concordato preventivo. 
Infatti ritenere non tassabili tali plusvalenze avrà ricadute positive non solo per il ceto dei creditori ma anche e soprattutto per l’economia in genere (compreso quindi l’erario) che da un’impresa rimessa in bonis potrà trarre benefici prospettici.

Note:

[1] 
La cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo delle plusvalenze e delle minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze e all’avviamento”.
[2] 
A supporto del detto orientamento l’AGE si rifà ai principi di cui alla nota illustrativa al T.u.i.r. aggiornato e coordinato dal D.P.R. n. 42/1998 secondo cui:”La nota illustrativa al DPR 22 dicembre 1986, n. 917 aggiornato e coordinato con le disposizioni del DPR 4 febbraio 1988, n. 42 precisa che: “Si è stabilito che non rientrano tra le sopravvenienze attive la riduzione dei debiti in sede di concordato fallimentare -(…) – o di concordato preventivo con cessione dei debiti ai creditori (…) e cioè ogni qualvolta dopo la chiusura del fallimento o dopo il concordato non vi sia più esercizio di impresa (v. anche, nella stessa ottica, (…) l’art. 54, ultimo comma (…)”. 
[3] 
Si ricorda che detto decreto legge (decreto competitività) convertito nella L. n. 80/2005 ha innovato la disciplina riguardante il concordato preventivo.

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Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

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