Sono sul tappeto tre delicate questioni processuali concernenti l'individuazione del soggetto investito del potere di decidere se agire in autoliquidazione giudiziale nei casi di imprenditore collettivo.
La tematica intercetta profili sostanziali di più ampia portata, quali la responsabilità degli amministratori e la configurazione dei rapporti di governance societaria[30].
Qui esaminiamo i soli profili processuali.
Va premesso che altro è la legittimazione a stare in giudizio (che spetta al soggetto che ha la legale rappresentanza della società), altro è il potere (sostanziale) di deliberare l’iniziativa giudiziale (di cui può essere, caso per caso, discussa la spettanza). Perciò non è dubbio che, nel caso di revoca dell'amministratore e contestuale nomina di un nuovo amministratore, la legittimazione spetta a quest'ultimo e non al primo, a prescindere dall'iscrizione della nomina e della revoca nel registro delle imprese, che è adempimento di natura dichiarativa e non costitutiva[31].
Va altresì rilevato che l’art. 37, comma 2, CCII prevede che la domanda di apertura della liquidazione giudiziale possa essere proposta anche con ricorso degli “organi” e delle autorità amministrative che hanno funzioni di controllo e di vigilanza sull'impresa.
Per quanto la norma adoperi il lemma “organi” (siccome soggetti “interni” all’organizzazione del debitore), riferibile ai componenti del collegio sindacale, a me non pare che il ricorso ex art. 40, da questi ultimi introdotto, vada inteso alla stregua di un’istanza di autoliquidazione giudiziale: i sindaci, infatti, non hanno alcun potere di assumere la sottostante deliberazione, impegnando la volontà dell’impresa, e tanto meno di stare in giudizio in rappresentanza della società (al pari degli amministratori). Si tratta, piuttosto, dell’esercizio di una funzione di vigilanza attiva, che il CCII ha attribuito, assieme ad altre, al novero dei poteri-doveri del collegio sindacale, allo scopo di anticipare o favorire l’emersione della crisi, in funzione dell’avvio di un ampio spettro di soluzioni, tra le quali l’autoliquidazione giudiziale[32].
Tanto precisato, la prima questione concerne il potere degli amministratori delle società di capitali di deliberare la presentazione della domanda di accesso alla procedura.
Una tesi vorrebbe applicabile per analogia la disposizione dell’art. 152 L. fall. (trasfusa nell’art. 265 CCII), che, in tema di concordato preventivo, stabilisce che la proposta e le condizioni del concordato, salva diversa disposizione dell'atto costitutivo o dello statuto, nelle società di persone, sono approvate dai soci che rappresentano la maggioranza assoluta del capitale; mentre, nelle società per azioni, in accomandita per azioni ed a responsabilità limitata, nonché nelle società cooperative, sono deliberate dagli amministratori[33].
La tesi è fatta propria dalla Corte regolatrice, la quale ritiene che il ricorso per la dichiarazione di fallimento del debitore, nel caso in cui si tratti di una società, deve essere presentato dall'amministratore, investito anche del potere di rappresentanza legale, senza necessità della preventiva autorizzazione dell'assemblea o dei soci; la ratio decidendi di tale orientamento riposa sulla considerazione che non si tratterebbe di un atto negoziale, né di un atto di straordinaria amministrazione, ma di una dichiarazione di scienza (peraltro doverosa, in quanto l'omissione risulta penalmente sanzionata), e che esso non determina, di per sé, alcun effetto diretto sulla società e sui diritti dei soci, eventualmente ricollegabile alla successiva sentenza dichiarativa di fallimento[34].
In questo quadro, la giurisprudenza ritiene che l'amministratore unico di una società a responsabilità limitata non solo sia legittimato a proporre ricorso per la dichiarazione di fallimento della società amministrata anche in assenza di altri creditori istanti, ma, in caso di ripetute perdite di esercizio, mai ripianate, e di azzeramento del capitale della società, vi sia financo tenuto, al fine di evitare di rispondere dell'eventuale aggravamento del passivo cagionato dal ritardo nell’apertura della liquidazione concorsuale[35].
La soluzione non mi sembra del tutto convincente.
Anzitutto, occorre rilevare che la domanda di autoliquidazione giudiziale è cosa ontologicamente diversa dalla domanda di concordato preventivo, non fosse altro che per il fatto che nel primo caso si aspira all’apertura del concorso, nel secondo caso alla sopravvivenza ed alla continuazione dell’impresa. A me non sembra che gli artt. 152 L. fall. e 265 CCII possano, all'uopo, somministrare decisivi elementi di giudizio, chiara essendo la differenza tra l'aspirazione a vivere e l'esigenza di dissolversi (ci riferiamo, ovviamente, alla vita di un'impresa).
Piuttosto, la soluzione al quesito sulla spettanza del potere di deliberare la domanda di autoliquidazione andrebbe ricercato nelle previsioni legali sulla distribuzione dei poteri all'interno della società.
Difatti, se, come me pare preferibile, si riconduce la domanda in questione nell’alveo delle dinamiche intrasocietarie e delle regole che governano non soltanto il perimetro dei poteri di rappresentanza riconosciuti agli amministratori[36], ma soprattutto le decisioni sulla vita e sulla continuazione della società, allora non si può che fare riferimento alle norme civilistiche sullo scioglimento dell'ente societario, e giungere alla conclusione che la domanda, presentata dal legale rappresentante dell’ente, deve essere supportata, nelle società di persone, dalla decisione di tutti i soci (artt. 2272, 2308, 2323 c.c.), e, nelle società di capitali, dalla delibera dell’assemblea con il quorum e le maggioranze di volta in volta prescritte (artt. 2484, 2365, 2464, 2479-bis, 2545-duodecies c.c.).
Per converso, gli amministratori delle società di capitali possono (e debbono) porre in essere – allorché ritengano che sia giunto il momento di portare i libri in tribunale – tutte le iniziative volte sia a sottoporre all'assemblea la relativa proposta, sia ad attivare (nell'ipotesi di renitenza dell'assemblea) gli obblighi di segnalazione della notitia decoctionis alla procura della Repubblica, affinché sia quest'ultima a valutare l'eventualità di agire, dentro il perimetro dei poteri ad essa riconosciuti dagli artt. 7 L. fall. e 38 CCII[37].
Diversa è ovviamente l'ipotesi in cui il potere in questione sia conferito espressamente agli amministratori da una clausola statutaria, non potendosi dubitare, in tale caso, non soltanto della sussistenza della loro legittimazione ad agire, ma anche del potere sostanziale di deliberare la presentazione della domanda giudiziale, potere del quale l'assemblea ha statuito ex ante di investire l'organo esecutivo[38].