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Crisi d’impresa, percorsi risanatori e limiti di applicabilità delle norme in materia di bancarotta e la cd bancarotta concordataria*

Francesco Mucciarelli, Professore di Diritto Penale dell’economia nell’Università Commerciale «Luigi Bocconi» di Milano

21 Dicembre 2023

*Scritto edito su "Il finanziamento alle imprese nel Codice della crisi e dell’insolvenza", Quaderno della Commissione crisi, ristrutturazione e risanamento d’impresa presso l’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano, a cura di G. Rocca, con prefazione di S. Leuzzi.
L’A. esamina funditus le fattispecie dei reati di bancarotta nel perimetro degli strumenti di risanamento dell’impresa in crisi.
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1 . Sezione I - I limiti di applicabilità
Premessa

Nella dinamica della gestione della crisi d’impresa, quando il percorso risanatorio si concluda con esito negativo, aprendo la strada alla dichiarazione giudiziale d’insolvenza, spicca il ruolo essenziale della disposizione dell’art. 217 bis L. fall. e, per i fatti successivi all’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, del suo omologo art. 324 CCI.
Conviene quindi esaminare nel dettaglio la struttura di questa peculiare previsione, che limita l’ambito applicativo di norme incriminatrici in materia di bancarotta.
Per altro verso, l’immutata struttura dell’art. 236 L. fall. (e del suo omologo art. 341 CCI), insensibile alla mutata disciplina della crisi d’impresa, già a partire dalle riforme del 2005, hanno reso particolarmente critica l’applicazione della disciplina attualmente vigente: di ciò si darà cono nella sezione seconda.
1.1 . La funzione della disposizione
La forma della 217 bis L. fall. deriva da interventi legislativi succedutisi nel tempo, che hanno progressivamente integrato la fattispecie originaria per adeguarla a variazioni apportate alle procedure per la gestione della crisi d’impresa. L’originario dettato normativo (introdotto dall’art. 48, comma 2 bis, D.L. n. 78/2010) prevedeva l’esenzione dai reati di bancarotta preferenziale e semplice dei pagamenti effettuati e delle operazioni realizzate in esecuzione di un concordato preventivo, di un accordo di ristrutturazione omologato o di un piano di risanamento.
Con l’art. 33, comma 1, lett. l bis), D.L. n. 83/2012 sono state comprese nell’area di operatività della norma le operazioni di finanziamento prededucibile autorizzate dal giudice in relazione a situazioni specifiche concernenti concordato, accordi di ristrutturazione nonché pagamenti e finanziamenti, autorizzati nel contesto del concordato in continuità e degli accordi di ristrutturazione.
Un ulteriore ampliamento dell’area di applicabilità fu successivamente previsto dall’art. 18, comma 2 bis, D.L. n. 179/2012 (per pagamenti e operazioni in esecuzione di accordi di composizione della crisi da sovraindebitamento ex art. 12, 1. 3/2012).
Infine l’art. 2, comma 7, D.L. n. 1/2015 ha esteso l’esenzione alle operazioni di finanziamento effettuate ex art. 22 quater, comma 1, D.L. n. 91/2014 nonché ai pagamenti e alle operazioni effettuate utilizzando somme provenienti da tali finanziamenti. Vi è comune consenso [1] nel ritenere che la ragion d’essere della presente disposizione e la sua conseguente funzione siano strettamente collegate al processo di riforma della gestione della crisi d’impresa e dell’insolvenza, avviatosi con una serie di interventi normativi (D.L. n. 35/2005, conv. in 1. 14.5.2005, n. 80, D.Lgs. n. 5/2006, D.Lgs. n. 169/2007), che, introducendo procedure alternative al fallimento inteso come liquidazione dell’impresa e sua estromissione dal tessuto produttivo, mirano sostanzialmente ad assicurare strumenti idonei al superamento della crisi e dell’insolvenza non irreversibile nella prospettiva di salvaguardare l’impresa (o rami della stessa) come fattore produttivo in una logica di stampo conservativo e privatistico.
Nel contesto delle procedure in discorso (piano attestato, accordo di ristrutturazione, piano di risanamento, ecc.) sono contemplati infatti comportamenti che finiscono con l’integrare sul piano oggettivo condotte riportabili a figure incriminatrici di bancarotta (segnatamente: di bancarotta preferenziale e ovvero di bancarotta semplice, soprattutto in relazione alle ipotesi di aggravamento dello stato di dissesto per ritardata presentazione della domanda di fallimento o per il compimento di operazioni gravemente imprudenti): tale profilo critico aveva sollecitato parte della dottrina [2] a suggerire al legislatore un intervento che chiarisse la dinamica dei rapporti fra le procedure di nuovo conio e le antiche e immutate incriminazioni per evitare che tale ambito – potenzialmente assai delicato nella eventualità che la procedura attivata non sortisse l’effetto divisato, determinando il fallimento e la conseguente applicabilità delle norme incriminatrici – restasse affidato alla fatica dell’interpretazione e alla sua connaturata incertezza.
Sintetizzando all’estremo, nella fase anteriore all’entrata in vigore dell’art. 217 bis, l’opinione prevalente era nel senso che le condotte eventualmente integratrici delle richiamate figure delittuose non sarebbero state punibili facendo difetto il requisito dell’antigiuridicità essendo le condotte in astratto tipiche a un tempo facoltizzate in forza delle disposizioni introduttive delle ‘nuove’ procedure per la gestione della crisi [3].
Ad analoga conclusione circa la non punibilità valorizzando tuttavia il profilo della atipicità, colto nel difetto di offensività del fatto si era espressa autorevole dottrina [4], mentre da altre parte si era valorizzata la valenza del principio di sussidiarietà del diritto penale [5] ovvero il venir mero del dolo specifico [6].
Pur dando riscontro normativo alle esigenze di coordinamento fra l’innovata disciplina della gestione della crisi d’impresa attraverso procedure diverse dal fallimento e dal concordato preventivo (nella versione di quest’ultimo originariamente prevista dalla L. fall.), l’introduzione dell’art. 217 bis non ha tuttavia raggiunto un apprezzabile grado di definizione della materia, lasciando margini d’incertezza, conseguentemente affidati all’aggiustamento interpretativo: fra questi, in principali sono rappresentati dalla natura giuridica della «esenzione dai reati», dalla caratterizzazione dei presupposti condizionanti l’applicabilità della menzionata esenzione, senza dimenticare alcune perplessità concernenti il novero delle incriminazioni comprese nell’esenzione: profili critici che si esamineranno partitamente nel prosieguo.
1.2 . La struttura della norma: la qualificazione giuridica dell’«esenzione dai reati»
L’inedita connotazione linguistica dell’istituto (denotato dal termine «esenzione» ignoto nella sintassi penalistica) e l’assenza nel corpo della disposizione di riscontri letterali in alcun senso univoci, ha costretto gli interpreti a sperimentare percorsi ermeneutici necessariamente affidati a considerazioni di carattere sistematico.
Precisato che l’esatta qualificazione dogmatica risponde non soltanto a un’esigenza di carattere teorico, ma anche (e, forse, soprattutto) alla fondamentale ragion pratica di fissare in modo preciso gli ambiti di operatività della norma (posto che alle differenti qualificazioni corrispondentemente conseguono aree applicative di estensione diversa), è quindi opportuno dar conto delle soluzioni interpretative sin qui elaborate.
Principiando da quella che sembra raccogliere la maggioranza dei consensi, la clausola normativa dell’art. 217 bis concernente l’esenzione dai reati è stata considerata un elemento costitutivo negativo del fatto [7]: in altri termini, con tale previsione sarebbero state escluse dalle astratte fattispecie criminose richiamate dall’art. 217 bis le condotte indicate dalla disposizione medesima (id est: pagamenti e operazioni compiuti in coerenza con quanto previsto dalle specifiche norme anch’esse tassativamente elencate nel medesimo art. 217 bis). Per tal modo l’area delle incriminazioni dettate dagli artt. 216, comma 3 e 217 viene ridotta in conseguenza della ‘sottrazione’ del sottoinsieme rappresentato dai comportamenti astrattamente delineati dall’art. 217 bis, che per tale ragione finisce con il dar vita a estremi negativi costitutivi del fatto: in questo senso rileva la circostanza che è lo stesso art. 217 bis a descrivere in forma oggettivata le condotte non riconducibili al tipo.
Sperimentando altro percorso argomentativo, si è invece ritenuto che l’art. 217 bis dia luogo a una causa di giustificazione, dovendosi qualificare la menzionata previsione come incidente sull’estremo dell’antigiuridicità [8]. Secondo tale prospettiva, le operazioni e i pagamenti di cui discorre l’art. 217 bis, in quanto comportamenti riconducibili a specifiche previsioni legali (o comunque inquadrabili all’interno di procedure normativamente disciplinate) trovano in esse legittimazione, circostanza quest’ultima che ne escluderebbe l’antigiuridicità: diversamente, i pagamenti e le operazioni, essendo tipici e presentando profili di offensività, sarebbero destinati a rimanere nell’area della punibilità. Sicché l’art. 217 bis concretizzerebbe un bilanciamento di interessi contrapposti (parità dei creditori e conservazione del valore produttivo dell’impresa), dando luogo a una scriminante assimilabile a quella dell’art. 51 c.p. (aver posto in essere un comportamento conforme a un diritto) [9].
Per una ulteriore e diversa lettura, si è dapprima osservato che il venir meno dell’antigiuridicità non dipenderebbe dalla norma in esame, posto che i comportamenti richiamati dalla norma stessa sarebbero ab origine facoltizzati da specifiche regole legali (sicché l’art. 217 bis si ridurrebbe a disposizione non più che ricognitiva [10] e conseguentemente ritenuto che la mera inefficacia di un atto non sembra in grado di reggere l’affermazione della mancanza di contrarietà all’ordinamento, ma solo la ricognizione del venir meno di un rimedio, sostanzialmente interinale rispetto all’interesse del creditore [11]: in conclusione, per tale prospettiva ermeneutica la previsione dell’art. 217 bis si riflette sul piano della colpevolezza [12], sicché la (necessariamente) consapevole realizzazione di comportamenti espressamente previsti dal legislatore come funzionali nel contesto di specifiche procedure sarebbe per ciò solo preclusiva della configurabilità di qualunque rimprovero sul versante della colpevolezza, facendosi altresì notare che (anche in questo caso) si sarebbe al cospetto di una norma sostanzialmente inutile in quanto ricognitiva di una situazione già pienamente integrata indipendentemente dalla previsione dell’art. 217 bis.
Secondo una ulteriore e perspicua prospettazione, la previsione dell’art. 217 bis integrerebbe una causa (oggettiva) di esclusione della punibilità [13]. In questo senso si è coerentemente argomentato riflettendo sul rilievo che, così come la sentenza dichiarativa dell’insolvenza condiziona la punibilità di fatti altrimenti leciti (o, addirittura dovuti, come nel caso dei pagamenti nel contesto dell’art. 216, comma 3), specularmente l’art. 217 bis esprime l’esigenza di non sottoporre a sanzione penale fatti bensì tipici, antigiuridici e colpevoli, che ne sarebbero però immeritevoli in quanto conformi alle mutate indicazioni legislative in ordine alle procedure concorsuali, che collocano la conservazione del valore produttivo dell’impresa fra gli interessi degni di tutela.
Sulla qualificazione giuridica della ‘esenzione’ di cui discorre l’art. 217 bis la giurisprudenza di legittimità non risulta essersi espressa tematizzando la questione: allo stato l’unico precedente [14] si presenta ambiguo (anche perché – probabilmente – i termini impiegati dalla decisione non sembrano sorretti da una specifica argomentazione giustificativa): in particolare la citata sentenza dapprima qualifica la previsione dell’art. 217 bis come «causa di giustificazione» per poi denotare la portata della disposizione come costitutiva di «un’area di irresponsabilità penale, di carattere oggettiva», con ciò alludendo al profilo della tipicità e non a quello dell’antigiuridicità.
1.3 . I presupposti condizionanti l’applicabilità dell’«esenzione»
Stando al dato letterale, i pagamenti e le operazioni oggetto dell’esenzione sono quelli compiuti in esecuzione del piano, accordo, concordato o, eventualmente, quelli autorizzati dal giudice nelle specifiche eventualità previste prima dell’omologa dell’accordo o del concordato e della proposizione del piano. Tale formula – in particolare, l’uso della formula «in esecuzione» – suggerisce che il legislatore abbia contemplato una sequenza temporale in forza della quale l’esenzione possa trovare applicazione soltanto a condotte successive ai menzionati piani, accordi, ecc… [15].
Valorizzando da un lato il rilievo che siffatta interpretazione importerebbe la sostanziale frustrazione delle finalità dell’istituto (posto che, nella fase anteriore, operazioni e pagamenti propedeutici alla predisposizione dei piani, accordi, ecc., debbono essere necessariamente posti in essere) e, dall’altro, evidenti esigenze di ragionevolezza sistematica, si è invece ritenuto che la clausola normativa debba essere intesa come espressiva di un rapporto di funzionalità/strumentalità idoneo a comprendere nell’area di applicabilità della disposizione pagamenti e operazioni anche anteriori, ma destinati alla soluzione della crisi d’impresa secondo le tipologie procedurali richiamate dall’art. 217 bis [16].
Altra questione problematica e meritevole di attenzione concerne la valenza da attribuire al piano o all’accordo.
L’art. 217 bis non specifica infatti in alcun modo il contenuto del piano o dell’accordo, sicché è controverso se la loro mera presentazione sia bastevole a determinare l’operatività della fattispecie di esenzione, ovvero se tale effetto sia condizionato all’apprezzamento da parte del giudice penale in ordine alla loro idoneità ex ante a superare lo stato di crisi nel quale versava l’impresa (poi fallita), fermo restando che nel caso degli accordi con i creditori per i quali è richiesta l’omologa giudiziale, è stato affermato che l’operatività dell’esenzione è esclusa nel caso di mera presentazione non seguita dall’omologa [17].
Argomentando sulla base del principio di ragionevolezza rispetto al complesso dell’ordinamento e ai rapporti, in particolare, tra disciplina civilistica e strumentario penale, secondo una prima opzione interpretativa si è ritenuto di poter accedere alla conclusione che la semplice presentazione del piano o dell’accordo (così come delle altre ipotesi previste dall’art. 217 bis) implichi per ciò solo l’operatività dell’esenzione [18].
Secondo altra impostazione, maggiormente seguita, si è dapprima osservato che le disposizioni, che prevedono le procedure di soluzione della crisi alle quali fa rinvio l’art. 217 bis, pur con forme lessicali in parte diverse, ma sostanzialmente coincidenti, individuano quale tratto contenutistico l’idoneità a superare lo stato di crisi [19]: conseguentemente l’idoneità ex ante diviene requisito costitutivo e necessario per determinare l’effetto liberatorio di cui all’art. 217 bis [20].
Anche secondo tale ultima e più restrittiva interpretazione residuerebbe comunque la eventualità di apprezzare la residuale eventualità di un errore incolpevole in ordine alla valutazione della inidoneità ex ante del piano ovvero alla correttezza dei dati aziendali.
Le differenti tipologie delle procedure concordate di soluzione della crisi si riflettono corrispondentemente sulla portata del sindacato del giudice penale [21].
In particolare, vertendo il piano ex art. 67, comma 3 in ambito totalmente privatistico, si ritiene che, in caso di fallimento, l’apprezzamento del giudice penale giunga a valutare l’idoneità del piano: «in caso contrario si ammetterebbe che un atto di autonomia privata sia in grado di paralizzare l’operatività di norme incriminatrici. Sarà, quindi, il giudice penale a dover accertare, con valutazione ex ante, se il piano di ristrutturazione sia concretamente idoneo a superare lo stato di crisi e, in caso di risposta affermativa, se operi il dettato dell’art. 217 bis 1. L. fall.» [22].
Per quanto concerne il concordato preventivo e l’accordo di ristrutturazione, il provvedimento giudiziale che li omologa – implicando una valutazione del giudice civile – suggerisce una diversa riflessione, connessa all’estensione dei poteri attribuiti al giudice in sede di omologa, peraltro non esplicitamente disciplinati dalla legge.
Seguendo l’interpretazione [23] per la quale l’omologa del giudice civile è limitata a un controllo di legalità procedurale, l’ambito di valutazione del giudice penale avrebbe ampiezza analoga a quella che si è in precedenza illustrata con riguardo ai piani ex art. 67, comma 3. In proposito occorre tener presente che la giurisprudenza di legittimità [24] ha operato una distinzione fra controllo di legittimità giuridica (di pertinenza del giudice in sede di omologa) e di fattibilità economica (proprio dei creditori), precisando che il controllo di legittimità giuridica comprende la verifica della «effettiva realizzabilità della causa concreta della procedura», causa intesa come «obiettivo specifico perseguito dal procedimento».
Se, come lascia intendere il decisum delle Sezioni Unite, il controllo di fattibilità giuridica «abbraccia anche il giudizio inerente all’effettiva idoneità», ne segue una significativa riduzione dell’ambito di valutazione che in proposito residua in capo al giudice penale.
In tale contesto non può però sfuggire che per determinare in concreto i confini dell’accertamento riservato alla (successiva) sede penale, è necessario aver riguardo agli effettivi contenuti del singolo provvedimento di omologa, rispetto al quale è possibile stimare natura e contenuto degli accertamenti e delle valutazioni compiute in sede di omologa stessa [25]. In sintesi si può convenire con la notazione che «il sindacato del giudice penale è inversamente proporzionale agli accertamenti svolti dal giudice civile» [26].
1.4 . L’ambito applicativo dell’«esenzione»
Mette conto di segnalare che «il pagamento deve intendersi riferito a ogni modalità di estinzione di un’obbligazione, mentre le operazioni definiscono un concetto ben più ampio, ricomprendendo ogni atto o fatto funzionale alla realizzazione di uno dei piani per la soluzione della crisi d’impresa» [27].
I pagamenti e le operazioni che, qualora astrattamente riportabili alle figure incriminatrici degli artt. 216, comma 3 e 217, entrano nell’area di operatività dell’art. 217 bis, sono esplicitamente enumerati attraverso il richiamo delle disposizioni che regolano le procedure di gestione negoziale della crisi: per tal modo vengono così individuati secondo uno schema circolare i comportamenti che potrebbero rientrare nelle fattispecie delittuose menzionate dall’art. 217 bis e, a un tempo, ne sono esclusi proprio in ragione del disposto dello stesso art. 217 bis [28].
Un profilo critico è tuttavia rappresentato dalla circostanza che, nel rinviare all’art. 67, comma 3, l’art. 217 bis limita il richiamo esclusivamente alla lett. d) della citata disposizione, senza fare cenno alcuno delle previsioni contenute nelle altre lettere del ricordato art. 67, comma. 3, sicché si potrebbe ritenere che i pagamenti e le operazioni effettuati in relazione alle ipotesi di cui alle lettere non espressamente richiamate rimangano escluse dall’esenzione.
In proposito si è osservato che siffatta lettura è destinata a generare dubbi di legittimità costituzionale, per superare i quali potrebbe apparire preferibile ritenere l’esenzione applicabile a tutte le operazioni e a tutti i pagamenti effettuati in esecuzione di una delle procedure dell’art. 67, comma 3, opzione tuttavia preclusa dalla natura di norma eccezionale dell’art. 217 bis nonché dal rilievo che le fattispecie non previste sono state intenzionalmente omesse [29].
Altra dottrina [30] propende invece – e in modo convincente – per una interpretazione che estende l’esenzione anche alle ipotesi non richiamate sul rilievo che, se così fosse, la norma si esporrebbe alla censura di illegittimità costituzionale, posto che talune condotte, benché analoghe a quelle oggetto di specifica menzione, dovrebbero irragionevolmente considerarsi punibili.
La giurisprudenza di legittimità [31] ha assunto in materia una lettura restrittiva, secondo cui «in tema di bancarotta preferenziale, l’esclusione dall’azione revocatoria dei pagamenti di beni e dei servizi effettuati nell’esercizio dell’attività di impresa nei termini d’uso, ai sensi dell’art. 67, comma 2, lett. a), R.D. n. 267/1942, riguarda solo la soggezione ai rimedi di natura civilistica approntati a tutela della massa dei creditori, sì da non rendere penalmente lecite le corresponsioni compiute in violazione della parità di trattamento dei creditori o dell’ordine di preferenza accordato per legge ad alcuni di essi».
Pur apparendo del tutto inspiegabile, l’omesso richiamo dell’art. 187 septies da parte dell’art. 217 bis determina la conseguenza – ritenuta irrimediabile in via interpretativa [32] – che le operazioni poste in essere nel quadro degli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari contemplati dal citato art. 187 septies non rientrano nell’ambito di applicabilità dell’esenzione da rilevanza penale di cui all’art. 217 bis.
Più analiticamente si è osservato che, pur prevista dall’art 216, comma 3 esplicitamente richiamato dall’art. 217 bis, l’ipotesi incriminatrice avente a oggetto la simulazione di titoli di prelazione non rientra nell’esenzione in esame, posta la natura decettiva della condotta come tale idonea a trarre in inganno gli uffici fallimentari e i creditori: manifesta sarebbe infatti l’illiceità di un accordo, di un piano o di un concordato preventivo che contemplasse siffatta simulazione destinata a far falsamente apparire come privilegiato un creditore chirografario [33].
In senso analogo si è notato che, malgrado il generale richiamo alle ipotesi di bancarotta semplice di cui all’art. 217, a venire in concreta considerazione finiranno con l’essere le figure contemplate rispettivamente dal comma 1, n. 3, che ha riguardo al compimento di operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento e dal comma 1, n. 4, concernente nella realizzazione di condotte gravemente colpose causatrici del dissesto [34]. Quanto alla fattispecie dell’art. 217, comma 1, n. 2 (compimento di operazioni di mera sorte o manifestamente imprudenti che abbiano consumato parte notevole del patrimonio), non se ne è esclusa la riconducibilità all’esenzione, pur osservandosi che comportanti di tal genere paiono difficilmente inquadrabili all’interno di (o comunque funzionali a) un piano o a un accordo volti al superamento della crisi d’impresa [35].
Infine, sebbene nulla dica in proposito l’art. 217 bis, il richiamo alle disposizioni incriminatrici deve intendersi esteso anche alle corrispondenti figure della c. d. bancarotta societaria, rispettivamente previste dagli artt. 223 e 224 L. fall., posto che tali ultime disposizioni richiamano integralmente, per la descrizione del fatto ivi proscritto, le condotte tipizzate rispettivamente dagli artt. 216, comma 3 e 217: sicché la non applicabilità statuita dall’art. 217 bis si riflette necessariamente anche sulle corrispondenti figure di bancarotta societaria [36].
Rimane da notare l’anomalia della «introduzione nell’art. 217 bis […] del riferimento alla L. n. 3/2012 […] dato che il sovraindebitato non risponde» dei reati di cui agli artt. 216, comma 3 e 217, ma di quelli «previsti dall’art. 16 della legge da ultimo citata tra i quali quelli affini alla bancarotta preferenziale e alla bancarotta semplice patrimoniale sono quelli di cui alla lett. d) (effettua in corso di procedura di pagamenti in violazione dell’accordo) e alla lett. e) (aggravamento della posizione debitoria dopo il deposito della proposta di accordo e per tutta la durata della procedura)» [37].
1.5 . La norma corrispondente nel codice della crisi
Quanto a contenuto precettivo la disposizione dell’art. 324 CCI corrisponde all’art. 217 bis, sicché rimangono invariati dubbi e perplessità interpretative già esaminate.
Fermo lo schema della disposizione, i pagamenti e le operazioni ai quali non si applicano le figure d’incriminazione (bancarotta semplice e bancarotta preferenziale: ora artt. 322, comma 3 e 323 CCI) sono quelli relativi al concordato preventivo, agli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati, nonché agli accordi del piano attestato ovvero del concordato minore omologato ai sensi dell’art. 80.
La variegata gamma degli accordi contemplati fra gli strumenti di regolazione negoziali stragiudiziali (soggetti o non soggetti a omologazione) rientra integralmente nella nuova previsione normativa. Vengono altresì ulteriormente compresi pagamenti e operazioni di finanziamento autorizzati dal giudice a norma degli artt. 99 (Finanziamenti prededucibili autorizzati prima dell’omologazione del concordato preventivo o di accordi di ristrutturazione dei debiti), 100 (pagamento di crediti pregressi) e 101 (Finanziamenti prededucibili in esecuzione di un concordato preventivo o di accordi di ristrutturazione dei debiti) [38].
Pur non essendovi piena corrispondenza fra gli istituti del codice che disciplinano la fase della gestione della crisi d’impresa (e dell’insolvenza) e quelli via via introdotti in modo farraginoso nella legge fallimentare (e richiamati dall’art. 217 bis), si può tuttavia ritenere che vi sia una sorta di continuità normativa fra le due disposizioni, entrambe rubricate come «esenzioni dai reati di bancarotta» [39], con un’avvertenza ulteriore: esse avranno una vita parallela, stante la disciplina dettata dall’art. 390, D.Lgs. n. 14/2019.
In particolare, per quanto concerne il lato penale, la norma da ultimo citata stabilisce (co. 3) che ai fatti commessi in relazione i) alle procedure concorsuali aperte a seguito di ricorsi, domande, ecc., depositati prima del 15 agosto 2020 (comma 1), ii) alle procedure ancora pendenti a tale data e iii) alle procedure aperte a seguito della definizione dei ricorsi e delle domande di cui al comma 1 (comma 2), continuano ad applicarsi le disposizioni penali del titolo sesto L. fall. (fra le quali è compreso l’art. 217 bis) [40].
2.1 . L’estensione delle incriminazioni richiamate dal comma 2 al concordato preventivo e alle ipotesi di accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e di convenzione di moratoria
Il dato normativo inequivoco estende l’applicabilità delle incriminazioni richiamate dalla disposizione in discorso al «caso di concordato preventivo», previsione rimasta immutata pur dopo le radicali modifiche che hanno riguardato detta procedura. Analoga considerazione deve essere svolta con riferimento alla previsione dell’attuale ultimo comma, che tale estensione contempla «nel caso di» accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e di convenzione di moratoria. Rinviando a quanto si osserverà a proposito dei profili critici, la giurisprudenza di legittimità ha costantemente ribadito – anche successivamente alle varianti apportate al concordato preventivo – che il decreto di ammissione al concordato preventivo svolge lo stesso ruolo e determina gli stessi effetti della sentenza dichiarativa di fallimento anche nelle ipotesi nelle quali al concordato stesso non segua il fallimento [41].
Con riferimento alla previsione di cui al n. 1 del comma 2 dell’art. 236 L. fall., va notato che ad amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società si applicano le stesse pene previste per il delitto di bancarotta nell’eventualità che costoro abbiano commesso i fatti previsti dagli artt. 223 e 224 (bancarotta impropria, fraudolenta e semplice). Detto che analoga estensione è stabilita dall’ultimo comma dell’art. 236 in relazione ai medesimi soggetti con riguardo alle ipotesi di accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e di convenzione di moratoria, mette conto di notare che in modo speculare rispetto alla previsione del comma 1, la rammentata estensione non opera rispetto all’imprenditore individuale: sebbene razionalmente incoerente e fortemente criticata [42], la lacuna è irrimediabile sul piano interpretativo [43].
Era stata questione dibattuta se il richiamo ai «liquidatori di società» (in scioglimento, menzionati dagli artt. 2275 e 2450 c.c., oltre che dall’art. 146 L. fall.) valesse a comprendere anche i liquidatori nominati nel concordato preventivo con cessione di beni ai fini della liquidazione del patrimonio del debitore ex art. 182 L. fall. Dapprima la riconducibilità di tale figura al modello legale era stata esclusa [44], per essere invece affermata, sulla base dell’argomento dell’eadem ratio di tutela [45].
Due successive decisioni delle stesse Sezioni hanno definitivamente risolto il perdurante contrasto giurisprudenziale, affermando la non riconducibilità al tipo della figura del liquidatore nominato nel concordato preventivo con cessione di beni ai fini della liquidazione, ritenendo la diversa soluzione interpretativa incompatibile con i vincoli del principio di tassatività [46].
Conclusione fortemente ribadita successivamente: «questa Corte ha escluso la punibilità per i delitti di bancarotta fraudolenta, ai sensi dell’art. 236 L. fall., del liquidatore nominato nel concordato preventivo con cessione di beni (così s.u. n. 43428 del 30.9.2010, Corsini, CED 248381), per non essere lo stesso espressamente menzionato nella norma, ma resta la previsione di responsabilità degli altri soggetti elencati nel comma secondo dello stesso art. 236 L. fall., e ciò non solo per i fatti antecedenti all’ammissione al concordato ma anche per quelli successivi (posto che altrimenti l’affermazione della irresponsabilità del liquidatore giudiziale, nominato con l’ammissione del concordato, non avrebbe avuto ragion d’essere). Non vi è pertanto un’area di irresponsabilità penale, di carattere oggettivo, per i fatti spoliativi commessi dopo l’ammissione al concordato» [47].
Sempre con riferimento alla previsione di cui al n. 1, il meccanismo del generico rinvio alle figure incriminatrici degli artt. 223 e 224 non fa venir meno il dato che, per l’applicabilità delle medesime anche nell’ambito del concordato preventivo (nonché delle altre procedure di cui al comma 3 dell’art. 236), è ovviamente necessaria la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi richiesti dalle fattispecie, dovendosi altresì notare che la genericità del rinvio importa il formale riferimento anche a fattispecie che «non potranno, comunque, trovare applicazione perché incompatibili con le situazioni presupposte dalle due particolari procedure in oggetto (cfr., p. es., le fattispecie di cui agli artt. 223, cpv., n. 2 e 224, n. 1, in relazione all’art. 217, n. 4)» [48].
Nell’eventualità che al concordato preventivo segua il fallimento, il concorso di norme tra l’art. 236, comma 2 e le figure incriminatrici degli artt. 223 e 224 trova soluzione nel principio di specialità, con prevalenza delle fattispecie di bancarotta fallimentare (sicché il momento di decorrenza del termine di prescrizione decorre dalla sentenza dichiarativa di fallimento [in questo senso Cass. pen. Sez. V, 18.9.2007, n. 39307. A conclusione analoga giunge Cass. pen. Sez. V, 30.6.2011, n. 31117, per la quale «in tema di bancarotta fraudolenta, nel caso in cui alla ammissione alla procedura di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento, la prescrizione decorre dalla sentenza dichiarativa di fallimento e non dalla ammissione al concordato preventivo, stante la disuguaglianza tra le due procedure che non consente di intravvedere nella successione delle vicende concorsuali la medesima connotazione e quella uniformità che può consentire l’assorbimento cronologico della seconda nella prima».
In proposito rimane da osservare che le precedenti considerazioni e gli approdi giurisprudenziali riguardanti l’ipotesi del concordato preventivo sono destinati a valere anche per i casi di accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e di convenzione di moratoria di cui all’ultimo comma della presente disposizione.
Rinviando a quanto si dirà infra, la scadente fattura tecnica della norma e il mancato coordinamento della stessa con le altre disposizioni penali della legge fallimentare determinano profili di criticità specialmente in relazione ad alcune previsioni contemplate in ipotesi di bancarotta impropria, nelle quali il nesso causale fra condotta e dissesto è stabilito tassativamente (in dette ipotesi esso è elemento costitutivo di fattispecie), pacifico essendo che – quantomeno sul versante penale – la nozione di dissesto è distinta tanto dall’insolvenza quanto dallo stato di crisi (all’insolvenza equiparato ex art. 160, comma 3), entrambi questi ultimi presupposto operativo del concordato preventivo.
Com’è evidente dalla struttura degli artt. 223 e 224, alcune delle incriminazioni considerate da tali disposizioni prevedono che le condotte proscritte abbiano cagionato o concorso a cagionare ovvero ad aggravare il dissesto della società, eventi che integrano un elemento costitutivo delle relative fattispecie. Posto che tanto nelle ipotesi di concordato preventivo quanto in quelle di cui all’ultimo comma dell’art. 236 il dissesto non rientra necessariamente nei presupposti richiesti per l’operatività di tali procedure, la maggioritaria dottrina ritiene – quanto meno con riguardo a dette specifiche incriminazioni – che l’estensione sia possibile soltanto nei casi nei quali il dissesto (inteso come eccedenza del passivo sull’attivo) sussista effettivamente [49].
Qualche perplessità è stata manifestata osservando che «occorre, a ogni buon conto, prendere atto, anzitutto, che, per tal modo, si perviene a erodere gran parte dello spazio di applicazione «in autonomia» (cioè, a prescindere dalla successiva, eventuale dichiarazione di fall.) dell’art. 236, cpv., n. 1, e che, sul piano interpretativo-sistematico, si giunge al paradossale risultato per cui, mentre per la punibilità di alcuni dei fatti di b. impropria realizzati nel contesto del conc. prev. (quelli di cui al comma 1 dell’art. 223 e al n. 1 dell’art. 224), è sufficiente il «presupposto di operatività» dello stato di crisi, per sanzionare gli altri (quelli di cui al comma 2 dell’art. 223 e al n. 2 dell’art. 224), è necessario che si sia verificata la più grave situazione del dissesto» [50].
Con riferimento alla previsione di cui al n. 2 dell’art. 236, comma 2, che importa l’estensione della responsabilità all’institore, richiamate le precedenti considerazioni in ordine ai profili problematici derivanti dalla mancanza della sentenza dichiarativa di fallimento, uno specifico snodo critico è evidenziato dalla dottrina: esso concerne il rilevo che, a cagione del generico richiamo all’art. 227, l’institore è ritenuto responsabile anche dei reati di ricorso abusivo al credito (art. 218) e di denuncia di creditori inesistenti e altre inosservanze (art. 220) e non soltanto – come invece accade per amministratori, direttori generali e sindaci – dei reati di bancarotta contemplati dagli artt. 223 e 224 [51].
Con il n. 3 dell’art. 236, comma 2 viene prevista l’applicabilità al commissario giudiziale delle disposizioni degli artt. 228 e 229, «dettate espressamente per il curatore del fallimento, del quale egli ha funzioni analoghe, essendo parimenti dichiarato pubblico ufficiale (art. 165)» [52]. Pur essendo evidente l’analogia tra le due figure, il mancato richiamo dell’art. 230 non permette di estendere al commissario giudiziale la punibilità per l’inottemperanza all’«ordine del giudice di consegnare o depositare somme o altra cosa […], ch’egli detiene a causa del suo ufficio». Prima della riformulazione dell’art. 2639 c.c. ex D.Lgs. n. 61/2002, si riteneva applicabile a tale ipotesi la previsione dello stesso art. 2639 c.c., che «per il suo carattere generale e sussidiario, doveva ritenersi riferibile a tutti gli amministratori giudiziari e i commissari governativi» [53].
Argomentando sulla base della previsione dell’attuale comma 2 dell’art. 2639 c.c. – che contempla l’applicabilità delle disposizioni sanzionatorie relative agli amministratori anche a coloro che sono legalmente incaricati dall’autorità giudiziaria o dall’autorità pubblica di vigilanza di amministrare la società o i beni dalla stessa posseduti o gestiti per conto di terzi – si è ritenuto che, ad esempio, sia praticabile «il ricorso all’art. 328 c.p. sul rifiuto di atti d’ufficio» [54]. L’assenza di qualunque riferimento ai coadiutori del commissario giudiziale, come del resto attesta anche il mancato richiamo all’art. 231, esclude che a costoro possano estendersi le incriminazioni nelle ipotesi considerate dall’art. 236 [55] e ugualmente è da dirsi a proposito del commissario governativo nelle s.i.m. dichiarate fallite (che non è, comunque, organo della procedura concorsuale) [56].
La figura contemplata nel n. 4 dell’art. 236, comma 2 importa l’estensione ai creditori delle incriminazioni di cui agli artt. 232 (Domande di ammissione di crediti simulati o distrazioni senza concorso col fallito) e 233 (Mercato di voto).
Evidenti i difetti di coordinamento: da un lato, mentre l’art. 232 è reato comune, l’estensione in discorso ne muta il carattere in reato proprio, con una soggettività ben delimitata ai soli creditori, sicché si è ritenuto che i fatti previsti nell’art. 232, se commessi da un terzo che non sia creditore, in conseguenza del divieto di applicazione analogica in malam partem delle norme penali incriminatrici, importano che «il terzo stesso non può essere punito per il delitto de quo, salvo che nel suo comportamento ricorrano gli estremi della compartecipazione nel fatto di reato del creditore, e salva sempre la sua responsabilità per un diverso titolo di reato» [57], conclusione tuttavia problematica posta la espressa opzione legislativa che delimita la riferibilità soggettiva in un’ipotesi di reato a concorso necessario con esclusione di taluni dei concorrenti.
Dall’altro, l’art. 233 prevede la responsabilità del fallito e del terzo che abbia stipulato con il creditore nell’interesse del fallito, oltre a quella del creditore medesimo, l’estensione in discorso sembra limitare al solo creditore l’applicabilità della fattispecie quando realizzata nell’ambito del concordato preventivo: in proposito si è argomentato, sulla base della previsione dell’art. 233, comma 3 (che stabilisce l’estensione al fallito e terzo che abbia stipulato con il creditore nell’interesse del fallito, previsione essa stessa richiamata), in ordine alla configurabilità della responsabilità anche di tali soggetti, «trattandosi di reato tipicamente plurisoggettivo o a concorso necessario, e non suggerendo la ratio legis alcun plausibile motivo per esentare dalla pena i concorrenti necessari di cui trattasi» [58].
2.2 . L’immutata struttura delle incriminazioni, la mutazione genetica del concordato e le nuove procedure
Come in precedenza accennato, la mutata struttura, funzionale alla nuova finalità cui tale istituto è inteso dopo la modifica intervenuta in sede di riforma, importa una serie di profili critici dell’intera disciplina dettata dalla presente disposizione. Profili di criticità che si presentano in maniera ancor più evidente con riguardo alle figure dell’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e della convenzione di moratoria introdotte con D.L. 27.6.2015 conv. con mod. da L. n. 132/2015.
Come noto, l’attuale assetto del concordato preventivo differisce grandemente dalla precedente procedura, della quale mantiene invariata la sola denominazione. Mutano i presupposti per l’accesso (lo stato di crisi oltre a quello di insolvenza, mentre è stato soppresso il requisito della meritevolezza [59], così come la disciplina sostanziale e processuale.
In particolare, va rammentato che i) il fallimento non è (più) conseguenza automatica del mancato accoglimento della domanda di concordato, potendo essere dichiarato soltanto a seguito dell’accertamento dei suoi presupposti; ii) l’imprenditore (anche collettivo) è legittimato a presentare il ricorso contenente la domanda di concordato,
con riserva di presentazione in un momento successivo della proposta, del piano e della documentazione richiesta; iii) il piano medesimo deve essere accompagnato dalla relazione redatta da un professionista indipendente che ex art. 161, comma 3 «attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano» medesimo [60].
Ma la differenza di rilevanza maggiore nella prospettiva penalistica è – come detto – rappresentata dalla circostanza che, per accedere al concordato preventivo, non è richiesta in via esclusiva la sussistenza dello stato d’insolvenza, essendo possibile far ricorso a tale procedura anche l’impresa in stato di crisi, posta l’esplicita previsione dell’art 160, comma 3 («ai fini di cui al comma 1 per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza », rammentando che il richiamato comma 1 discorre delle caratteristiche del piano per l’ammissione al concordato preventivo).
Tale sostanziale modifica viene ora ulteriormente «accentuata dalla nuova previsione dell’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e convenzione di moratoria, previsto dall’art. 182 septies» [61].
Che stato di crisi e stato d’insolvenza designino contingenze affatto diverse è nozione ampiamente condivisa [62] e, sotto questo riguardo, non soccorre il rilievo che la formula «stato di crisi» possa valere a connotare un insieme che comprende le varie fasi dello svolgersi dinamico della vita dell’impresa nella sua condizione patologica fino a quella ‘statica’ dello stato d’insolvenza irreversibile rilevato nella sentenza dichiarativa del fallimento [63].
In questo senso, posta la variegata tipologia di definizioni di «stato di crisi» soprattutto di matrice aziendalistica [64], ai fini qui d’interesse sembra riferimento plausibile ritenere che a caratterizzare la crisi sono difficoltà non irreversibili che tuttavia «non consentono all’imprenditore di soddisfare regolarmente i creditori […] desumibili, di regola, dal bilancio di esercizio o da un bilancio straordinario infrannuale, e sono costituite da tre tipologie di squilibrio: i) finanziario; ii) patrimoniale; iii) economico» [65], condivisibilmente chiarendosi che «quando si allude allo squilibrio finanziario ci si riferisce all’andamento considera l’erosione dei mezzi propri; lo squilibrio economico attiene ai risultati in perdita della gestione, segnalando che i costi sono maggiori dei ricavi» [66].
Anche la nozione di dissesto viene necessariamente in considerazione e, pur essendo sovente impiegata – quanto meno nel parlar comune, ma talvolta anche in quello ‘tecnico’ – con valore di sinonimo rispetto alle altre due formule (stato di crisi e stato d’insolvenza), oltre che al termine ‘fallimento’, non v’è dubbio che esso designi una situazione specifica: come è stato infatti esattamente notato «il dissesto è un dato quantitativo, graduabile, suscettibile di essere cagionato sia nell’anche nel quantum (aggravamento).
Il fallimento è invece un fatto formale, segnato da un provvedimento giurisdizionale, che non ammette alternativa se non tra essere e non essere» [67].
Egualmente distingue fra stato di crisi e dissesto la giurisprudenza delle Sezioni Unite, quando nota come «le ambigue formule normative lascino intendere che alla stessa [id est: la procedura di concordato preventivo] può accedere anche l’imprenditore che versa in una situazione di difficoltà non ancora identificabile con quella di dissesto» [68], impostazione analoga ripresa da Cass. civ. 6.7.2010, n. 18437, per la quale «il requisito dello ‘stato di crisi’ per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo devesi ritenere comprensivo sia della situazione di insolvenza vera e propria che di uno stato di difficoltà economico-finanziaria non necessariamente destinato a evolversi nella definitiva impossibilità di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni», decisione in linea con il precedente rappresentato da Cass. S.U. 26.9.2009, n. 24468 che, argomentando a proposito della previsione dell’art. 160, comma 3, aveva osservato che tale disposizione «evoca sia situazioni in cui l’impresa versa nell’impossibilità di adempiere le obbligazioni in scadenza, sia situazioni di squilibrio irreversibile, sia situazioni in cui è agevolmente pronosticabile il verificarsi, nell’immediato, di uno di tali inconvenienti».
Se il concordato ante riforma aveva a proprio presupposto indefettibile soltanto lo stato d’insolvenza (rispetto al quale l’alternativa al fallimento era possibile esclusivamente al cospetto di particolari requisiti), con l’attuale assetto normativo concordato e ristrutturazione dei debiti possono invece essere richiesti anche in uno stato di crisi, situazione all’evidenza diversa e meno grave rispetto a quella in cui consiste lo stato d’insolvenza: si è infatti esattamente rilevato che è ora possibile che «il concordato [sia] richiesto e concesso in stato di crisi, non quindi in una situazione di declino irreversibile dell’impresa sfociata nell’insolvenza […] [sicché il concordato] costituisc[e] qualcosa di diverso rispetto alla procedura che ha come presupposto lo ‘stato di insolvenza’ che, al netto di tutte le incertezze interpretative, è ritenuta situazione definitiva e irreversibile di decozione. La diversità sostanziale della situazione di ‘crisi’ è che essa può consentire il risanamento mediante una delle diverse forme previste, offrendo sempre un soddisfacimento migliore per i creditori» [69].
Il dislivello fra l’originaria struttura del concordato preventivo e l’attuale contesto si presenta ancor più evidente con riguardo alle estensioni delle incriminazioni alle figure concernenti gli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari o di convenzioni di moratoria, figure nelle quali la ‘lontananza’ dallo stato d’insolvenza è ancora maggiore, funzionalmente destinate – come sono – a permettere un percorso di uscita dell’impresa dallo stato di crisi, tanto da far ritenere dall’opinione prevalente in dottrina che le soluzioni negoziali della crisi (principiando da quella contemplata nell’art. 182 bis) non sono riconducibili al paradigma del concordato non essendo neppur qualificabili come procedure concorsuali [70], al contrario di quanto invece si afferma in giurisprudenza, per la quale tali soluzioni negoziali «per quanto suscettibil[i] di essere considerat[e] qual[i] ipotesi intermedi[e] tra gli strumenti di composizione stragiudiziale della crisi e le soluzioni concordatarie, appart[engono] agli istituti del diritto concorsuale» [71].
In modo coerente con tale impostazione interpretativa, la giurisprudenza di legittimità in sede penale, valorizzando il riscontro normativo dell’art. 236, che sul piano formale pone una lineare estensione della disciplina penale anche alle ipotesi espressamente richiamate, ha reiteratamente ribadito che il decreto di omologa del concordato preventivo è equiparato alla sentenza dichiarativa di fallimento e alla funzione d’essa nell’economia dei reati fallimentari, irrilevante essendo che il concordato stesso sia stato chiesto in uno stato di crisi ovvero d’ insolvenza [72], per la quale «è irrilevante che la società non sia stata dichiarata fallita, atteso che la norma incriminatrice richiamata estende la punibilità dei titolari di cariche sociali per le condotte di bancarotta commesse nella gestione di società ammessa al concordato preventivo, né rileva che i soggetti attivi abbiano eventualmente dismesso tali cariche al momento dell’apertura della procedura concorsuale, in linea con la volontà del legislatore di punire, in maniera autonoma, le condotte di bancarotta nelle diverse procedure concorsuali, al fine di evitare che gravi comportamenti verificatisi prima – e anche in assenza – del fallimento restino impuniti […].
L’autonomia della fattispecie in esame rispetto alle diverse ipotesi di bancarotta contemplate dalla legge fallimentare, con le quali sostanzialmente condivide l’oggetto giuridico, si caratterizza per il particolare disvalore della modalità d’offesa selezionate dalla norma incriminatrice, individuato nella consumazione delle tradizionali condotte di bancarotta nell’ambito delle singole procedure concorsuali pre-fallimentari».
Sebbene allo stato non constino precedenti in termini, è agevole pronosticare che – data l’identità della clausola normativa concernente l’estensione delle incriminazioni – eguale canone ermeneutico verrà seguito con riguardo alle già rammentate ipotesi degli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari o di convenzioni di moratoria.
In proposito si registrano in dottrina impostazioni diverse, che muovono tuttavia dalle non controvertibili constatazioni che «siffatto rinnovamento del tessuto civilistico delle soluzioni negoziali alla crisi di impresa […] ha spezzato la ‘continuità normativa tra concordato preventivo e fallimento’» [73] e che, pur a fronte di una «situazione significativamente diversa» [74] dall’insolvenza, quale è indubbiamente lo stato di «crisi» (art. 160 L. fall.), il tenore letterale dell’art. 236, comma 2 è rimasto immutato, sicché «non vi è ragione ermeneutica per negare siffatta dilatazione della fattispecie incriminatrice» [75].
Ma se il versante letterale non autorizza dubbi interpretativi, altrettanto certo che – come nota D’Alessandro (16), 1207 – con «l’introduzione del concetto di crisi, tratto dal gergo aziendalistico, il legislatore ha voluto estendere la possibilità di accedere a soluzioni alternative al fallimento anche in fasi precedenti all’irreversibilità del dissesto, allorché si versi in una situazione ancora sanabile, che si esprime in uno squilibrio finanziario o patrimoniale e/o economico» [76].
Conseguentemente rileva la dottrina pressoché unanime [77] che in questo consiste «un primo profilo di irragionevolezza della disciplina penale: se, nonostante il mutato presupposto operativo del concordato preventivo, permane […] l’indiscussa dilatazione applicativa di cui all’art. 236, comma 2, n. 1, il risultato finale è quello di vedere assoggettate alla medesima cornice edittale di pena anche condotte che ‘difettano del disvalore tipico della bancarotta’» [78], notandosi altresì che «altro è punire, peraltro con la medesima severità, le stesse condotte quando si inseriscono nella cornice di un mero stato di crisi, che non equivale ancora, soprattutto sul piano assiologico, a sacrificio degli interessi patrimoniali dei creditori» [79].
Alcuni autori, riconoscendo l’insuperabilità sul piano interpretativo del riscontro normativo, ammettono la piena applicabilità delle norme incriminatrici in esame anche in caso di concordato preventivo basato sulla semplice crisi [80], in ciò seguendo una giurisprudenza [81] che non tiene conto della potenziale diversità dei presupposti che legittimano l’accesso al concordato preventivo rispetto al fallimento, ascrivendo genericamente all’ammissione alla procedura in esame la medesima funzione riconosciuta alla declaratoria fallimentare [82].
Fra le ipotesi interpretative che hanno invece cercato una soluzione all’impasse, vi è la tesi secondo la quale le fattispecie degli artt. 223 e 224 potrebbero trovare applicazione – in quanto richiamate dall’art. 236 – soltanto nel caso che alla procedura concordataria faccia seguito la dichiarazione di fallimento [83], tesi esposta alla notazione critica che essa finirebbe con il tradursi in una mera interpretatio abrogans dell’art. 236, comma 2, n. 1 [84].
Da altro punto di vista si individua l’accertamento dello stato di insolvenza, o quanto meno di dissesto come presupposto comunque necessario, pur nell’ambito di una situazione di crisi, sicché l’estensione sarebbe possibile soltanto nei casi nei quali il dissesto – inteso come eccedenza del passivo sull’attivo – sussista effettivamente [85].
Sviluppando tale impostazione, si è ulteriormente argomentato che «il punto problematico è limitato principalmente al riferimento indiretto alle ipotesi di bancarotta prefallimentare ex artt. 216 e 217 (in particolare i nn. 2 e 3), che per il tramite degli artt. 223, comma 1 e 224, comma 1 vengono richiamate anche nel contesto concordatario. In relazione alle altre ipotesi, nelle quali le norme da ultimo richiamate fanno invece espresso riferimento, quali elementi costitutivi di fattispecie, al dissesto o al fallimento (che a sua volta presuppone l’insolvenza), ogni dubbio sembra potersi fugare già sul piano della legalità formale, ancor prima che su quello di offensività-ragionevolezza, essendo senz’altro da preferirsi la tesi secondo cui, ove l’ammissione al concordato segua a una mera situazione di crisi, non ancora precipitata né in uno stato di dissesto né, a fortiori, in quello di insolvenza, non vi possa essere spazio alcuno per l’applicabilità dell’art. 236, comma 2, n. 1» [86].
Si deve infatti ulteriormente notare che l’equiparazione tra i concetti di dissesto e insolvenza (aventi natura di specie) e di crisi (che li contiene entrambi, in quanto concetto di genere) non può essere accolta non soltanto perché si risolve in un’interpretazione analogica in malam partem, ma soprattutto in quanto appare oggi assai problematico ravvisare un’identità di ratio tra fallimento e concordato preventivo. Rilevato che estendere l’operatività delle incriminazioni anche alle ipotesi nelle quali il concordato sia stato richiesto sul presupposto di un mero stato di crisi conferma e amplifica la distonia intrinseca della fattispecie ed «esaspera la pretesa punitiva della figura: si introduce una punibilità di tipo fallimentare a chi non è fallito, in altri termini nei confronti di un soggetto che non è stato raggiunto da una sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza » [87], se ne è concluso che «sottratto in via esegetica il concordato da mera crisi allo spazio applicativo dell’art. 236, comma 2, L. fall., i fatti di bancarotta commessi anteriormente alla procedura concordataria potrebbero allora conservare penale rilevanza solo quando al concordato preventivo segua comunque la declaratoria fallimentare. In tale ipotesi, tuttavia, l’ammissione alla procedura concordataria perde qualunque autonomo valore, essendo la concreta punibilità del fatto ancorata, a quel punto, in via immediata e diretta alla sentenza che accerta l’insolvenza» [88].
Le distonie sin qui rappresentate divengono ancora maggiori al cospetto delle figure degli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari e delle convenzioni di moratoria, dove si è estesa per la prima volta la disciplina della bancarotta a una procedura spiccatamente privatistica, caratterizzata (si veda la convenzione di moratoria) per la fisiologica assenza di controllo giurisdizionale, tanto più che «non essendo stato effettuato alcuno sforzo di selezione, si è ottenuto l’effetto di rendere integralmente operanti le fattispecie di bancarotta richiamate, tanto in relazione a condotte compiute prima della stipula degli accordi, quanto in riferimento a condotte realizzate nell’esecuzione degli stessi» [89].
Infine, la circostanza che siano stati richiamati esclusivamente quelli nominati in modo espresso conferma, tuttavia, che «gli altri accordi di ristrutturazione dei debiti sono fuori dal raggio delle norme sulla bancarotta» [90].
2.3 . La norma corrispondente nel codice della crisi
Invariato nella rubrica e nella gran parte della struttura dispositiva, l’art. 341 CCI è destinato a prendere il posto dell’art. 236 L. fall. L’invarianza di tale struttura rende ancor più stridente l’irrazionalità della comminatoria penale ora rivolta – soprattutto con riferimento alle ipotesi del comma 3 dell’art. 341 CCII – a «sottoporre alle sanzioni dei reati di bancarotta anche fatti posti in essere in situazioni nelle quali l’insolvenza non sussiste (o comunque non è stata giudizialmente dichiarata) […]) l’indifferenza quanto a reazione penale fra l’ambito dell’insolvenza e quello della crisi d’impresa genera paradossi difficilmente plausibili sul versante della legittimità costituzionale e dà luogo a quello che è stato icasticamente definito un «ossimoro assiologico», posto che la comminatoria penale incombente anche rispetto alle procedure di soluzione della crisi «finisce per disincentivare l’accesso all’istituto », che, al contrario, il sistema mira programmaticamente a sollecitare» [91].
In particolare, l’art. 341 CCII importa – rispetto all’art. 236 L. fall. – alcune variazioni significative nel comma 3, che, replicando il meccanismo estensivo contemplato dall’art. 236 L. fall., riguarda non più gli «accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari » ma «accordi di ristrutturazione a efficacia estesa», ai quali viene aggiunto il caso di omologa di accordi di ristrutturazione ai sensi dell’art. 48, comma 5, cod. CCII Seguendo una condivisibile analisi comparativa delle due disposizioni, risulta che «i) gli accordi di ristrutturazione a efficacia estesa «generalizzata» (art. 61, commi da 1 a 4) (che ricalcano il modello del concordato in continuità) possono essere conclusi con qualunque tipologia di creditori, senza vincoli quanto alle caratteristiche soggettive dell’indebitamento ma con vincoli oggettivi (accordi di carattere non liquidatorio e che prevedano il soddisfacimento dei creditori in misura «significativa o prevalente» con il ricavato della continuità aziendale; maggioranza del 75%; ecc.); vincolano anche i creditori che non vi partecipano. Si ha, dunque, in questo caso nuova incriminazione. ii) Gli accordi di ristrutturazione a efficacia estesa «speciale» (art. 61, comma 5), ricalcano, invece, il modello dell’art. 182 septies della legge fallimentare in quanto possono essere conclusi solo con banche e intermediari finanziari in presenza di indebitamento con questi soggetti non inferiore al 50% dell’indebitamento complessivo e prescindono dalle caratteristiche (liquidatorie o meno) dell’accordo. In tal caso non vi è nuova incriminazione ma continuità con la corrispondente disposizione della legge fallimentare. iii) Le convenzioni di moratoria (art. 62), diversamente da quanto accade oggi, a certe condizioni possono vincolare anche i creditori «omogenei» che non vi partecipano, anche se non sono banche o intermediari finanziari. Ma anche qui nessuna nuova incriminazione. iv) L’art. 48, comma 5, infine, prevede che, a differenza di quanto accade oggi, gli accordi di ristrutturazione (di qualsivoglia tipologia) possono essere omologati anche se l’Amministrazione Finanziaria non vi aderisce, se l’adesione è decisiva ai fini del raggiungimento delle maggioranze previste per gli accordi «ordinari» (60%) o degli accordi «a efficacia estesa generalizzata» (75%), se la proposta di soddisfacimento è comunque più conveniente rispetto a quanto la stessa otterrebbe in sede di liquidazione giudiziale; in altre parole, in sede di omologazione degli accordi l’Amministrazione può essere vincolata dagli stessi e dunque subire falcidie/moratorie, anche se non vi ha aderito, se il suo voto è decisivo ai fini del raggiungimento della maggioranza necessaria per l’accordo. Anche questa, in sostanza, è una forma di accordo di ristrutturazione «concorsualizzato». E in tal caso può dirsi che vi è nuova incriminazione» [92].
Nessun dubbio che tali nuove incriminazioni, oltre il profilo problematico costituito dal rispetto dei limiti della legge-delega, «non fanno altro che acuire il problema da più parti sollevato dell’ingiustificata equiparazione della correlazione tra bancarotta e procedure concorsuali in genere, che presuppongono la crisi dell’imprenditore e che in sostanza mirano a risolverla, alla correlazione tra bancarotta e fallimento (nel Codice, liquidazione) fondato sull’insolvenza; equiparazione che non favorisce certo l’accesso a dette procedure» [93].


Bibliografia
(1) Alessandri, Profili penalistici delle innovazioni in tema di soluzioni concordate delle crisi d’impresa, RIDPP 2006, 111; (2) Alessandri, Profili penali delle procedure concorsuali. Uno sguardo d’insieme, Milano 2016; Alessandri, I reati fallimentari, in Alessandri-Seminara, Diritto penale commerciale, IV, Torino 2019; (3) Amarelli, I delitti di bancarotta alla luce del nuovo art. 217 bis l. fall.: qualcosa è cambiato?, Gpen, II, 2011, 568; (4) Ambrosini, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da Jorio-Fabiani, Bologna 2010, 1164; (5) E. Basile, Art. 217-bis l. fall. e gruppi di società, BBTC 2013, 203; (6) Bricchetti, Le esenzioni dai reati di bancarotta. L’art. 217-bis l. fall., in Ghia-Piccinini-Severini, I reati nelle procedure concorsuali, Trattato delle procedure concorsuali, VI, Torino 2012, 367; (7) Bricchetti, Soluzioni concordate delle crisi d’impresa e rischio penale dell’imprenditore, S 2013, 687; (8) Bricchetti, Codice della crisi d’impresa: rassegna delle disposizioni penali e raffronto con quelle della legge fallimentare, DPC 7-8/2019, 75; (9) Bricchetti-Mucciarelli-Sandrelli, Le responsabilità penali, in A. Jorio (a cura di), Il nuovo diritto fallimentare, II, Bologna 2007, 2728; (10) Chiaraviglio, Il favoreggiamento del creditore nel diritto penale concorsuale, Milano 2020; (11) Cocco, Esenzioni dai reati di bancarotta nel «nuovo» art. 217-bis della legge fallimentare, LP 2011, 5; (12) Consulich, Lo statuto penale delle scriminanti. Principio di legalità e cause di giustificazione: necessità e limiti, Torino 2018; (13) Consulich, Il diritto penale fallimentare al tempo del codice della crisi: un bilancio provvisorio, Lpen 20.5.2020; (14) D’Alessandro, Il nuovo art. 217-bis 1. fall., S 2011, 203; (15) Fondaroli, Brevi note in tema di erogazione del credito alle imprese in crisi e bancarotta preferenziale, in R. Borsari (a cura di), Crisi dell’impresa, procedure concorsuali e diritto penale dell’insolvenza, Padova, 2015, 477; (16) Giunta-Scarcella, Riflessi penali della nuova disciplina del fallimento e delle procedure concorsuali, in Nigro-Sandulli (a cura di), La riforma della legge fallimentare, II, Torino 2006, 1214 ss.; (17) Insolera, Riflessi penalistici della nuova disciplina del concordato preventivo e delle composizioni extragiudiziali della crisi d’impresa, Gcomm 2006, 461; (18) A. Lanzi, Osservazioni su taluni riflessi penalistici della riforma della legge fallimentare, Fall 2006, 144; (19) Lottini, Il nuovo art. 217-bis l. fall.: una riforma che tradisce le aspettative, Fall 2010, 1369; (20) Mangione, Riflessi penalistici sulla riforma delle procedure concorsuali, RIDPP 2006, 892; (21) Mazzacuva-Amati, Diritto penale dell’economia, Padova 2020, 265; (22) Mucciarelli, Stato di crisi, piano attestato, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo e fattispecie penali, RTDPE 2009, 825; (23) Mucciarelli, L’esenzione dai reati di bancarotta, DPP 2010, 1478; (24) Mucciarelli, L’art. 217-bis l. fall e la disciplina penale delle procedure di soluzione della crisi d’impresa, in Bonelli (a cura di), Crisi di imprese. Casi e materiali, Milano 2011, 275; (25) Mucciarelli, Risvolti penalistici del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: lineamenti generali, DPP 9/2019, 1189; (26) Racugno, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Gcomm 2009, 661; (27) Sandrelli, Prime considerazioni sui riflessi della legge 80/05 sul comparto penale della legge fallimentare, Fall 2005, 1219; (28) Sandrelli, La riforma della legge fallimentare: i riflessi penali, CP 2006, 1300; (29) Scoletta, La «specialità» della causa di esenzione dai reati dii bancarotta: funzionalità e limiti scriminanti dell’art. 217 bis l. fall., in R. Borsari (a cura di), Crisi dell’impresa, procedure concorsuali e diritto penale dell’insolvenza, Padova 2015, 407; (30) Spinosa, Il c.d. decreto sviluppo nel sistema della legge fallimentare: i rapporti tra nuove procedure concorsuali e profili di responsabilità penale, DPC 2013; (31) F. Vassalli, La disciplina penalistica della crisi d’impresa, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da Buonocore-Bassi, II, Gli organi. Gli effetti. La disciplina penalistica, Padova 2010, 686; (32) Zincani, Il nuovo art. 217-bis 1. fall.: la ridefinizione dei reati di bancarotta, Fall 2011, 518.
Bibliografia sezione II:

(1) Alessandri, Profili penalistici delle innovazioni in tema di soluzioni concordate delle crisi d’impresa, RIDPP 2006, 113; (2) Alessandri, Profili penali delle procedure concorsuali. Uno sguardo d’insieme, QUADERNO 91 COMMISSIONE CRISI, RISTRUTTURAZIONE E RISANAMENTO DI IMPRESA 135 Milano, 2016; (3) Alessandri, Novità penalistiche nel codice della crisi dell’impresa, RIDPP 2019, 1815; (4) Bricchetti, Codice della crisi d’impresa: rassegna delle disposizioni penali e raffronto con quelle della legge fallimentare, DPC 7-8/2019; (5) Bricchetti-Mucciarelli-Sandrelli, in Jorio-Fabiani (diretto da), Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, 2010, 1297; (6) Bricchetti-Pistorelli, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, Milano, 2017; (7) Carletti, I reati nel fallimento e nelle altre procedure concorsuali, Torino, 1990, 571; (8) Casaroli, sub articolo 236 legge fall., in Maffei Alberti, Commentario breve della legge fallimentare, Padova 2013, VI ed., 1574; (9) Cavalli, Il fallimento, in Cottino (diretto da) Trattato di diritto commerciale, XI, II, Padova, 2009; (10) C. Cavallini, (diretto da) Commentario alla legge fallimentare, Milano, 2010; (11) C. Cavallini, Dalla crisi alla conservazione dell’impresa nelle ultime riforme fallimentari: uno sguardo d’insieme tra novità della legge e statuizioni della Suprema Corte, RS 2013, 762; (12) S. Cavallini, Il sistema «invisibile». Disvalore di contesto e soluzioni negoziate della crisi nelle fattispecie di bancarotta patrimoniale, tesi dottorale a.a. 2017/2018; (13) S. Cavallini, La bancarotta patrimoniale tra legge fallimentare e codice dell’insolvenza, Milano, 2019; (14) Censoni, in Ghia-Piccinini-Severini (a cura di), Trattato delle procedure concorsuali, Torino, 2012; (15) D’Alessandro, Le disposizioni penali della legge fallimentare, in C. Cavallini (diretto da), Commentario alla legge fallimentare, Milano, 2010; (16) D’Alessandro, La bancarotta da concordato preventivo e da accordi di ristrutturazione, DPP 2019, 1202; (17) Fabiani, Il diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2017; (18) Galgano, Dichiarazione di fallimento e argomenti di prova dell’insolvenza, CI 2011, 1; (19) Galletti, Commentario sub articolo 160, in Jorio-Fabiani (a cura di), Il nuovo diritto fallimentare, II, Torino, 2007; (20) Galletti, Commento articolo 160, in C. Cavallini (diretto da), Commentario alla legge fallimentare, III, Milano, 2010; (21) Gambardella, L’abolizione del delitto di bancarotta impropria commesso nell’ambito di società in amministrazione controllata (art. 236 cpv. n. 1 l. fall.), CP 2009, 4113; (22) Gatta, Abolizione dell’amministrazione controllata e abolitio criminis della bancarotta impropria ex art. 236, comma 2, n. 1 legge fallimentare, RIDPP 2010, 887; (23) Giunta-Scarcella, Riflessi penali della nuova disciplina del fallimento e delle procedure concorsuali, in Nigro-Sandulli (a cura di), La riforma della legge fallimentare, II, Torino, 2006, 1213; (24) Guglielmucci, Diritto fallimentare, VII ed., Torino, 2015; (25) Iannaccone, Aspetti penali nella mini-riforma fallimentare, in Sandulli-D’Attorre (a cura di), La nuova mini-riforma della legge fallimentare. Aggiornamento alla legge 30 giugno 2016, n. 119, Torino, 2016, 351; (26) Jorio, in Jorio-Fabiani (diretto da), Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, 2010; (27) La Monica, I reati fallimentari, Milano, 1999; (28) Lottini, Modifica della legge fallimentare, Fall 2010, 310; (29) Lottini, sub art. 236, in Lo Cascio (diretto da), Codice commentato del fallimento, IV ed., Vicenza, 2017, 2782; (30) Mangano, Disciplina penale del fallimento, Milano, 2003; (31) Mangione, Riflessioni penalistiche sulla riforma delle procedure concorsuali, RIDPP 2006, 918; (32) Mucciarelli, Stato di crisi, piano attestato, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo e fattispecie penali, RTDPE 2009; (33) Mucciarelli, Vecchi e nuovi istituti della legge fallimentare nella sentenza n. 22468/2009 delle sezioni unite: successione di leggi e ruolo del bene giuridico, CP 2010, 1619; (34) Mucciarelli, Risvolti penalistici del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: lineamenti generali, DPP 2019, 1189; (35) Musco-Ardito, Diritto penale fallimentare, Bologna, 2018; (36) Nigro-Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, le procedure concorsuali, Bologna, 2017; (37) Nuvolone, Il diritto penale del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Milano, 1955; (38) Pedrazzi, Reati commessi dal fallito Reati commessi da persone diverse dal fallito Artt. 216-227, in Commentario Scialoja-Branca, Legge fallimentare, a cura di F. Galgano, Bologna, 1995, ora in C. Pedrazzi, Diritto penale, IV - Scritti di diritto penale dell’economia, Milano, 2003, 777; (39) Pisani, Crisi di impresa e diritto penale, Bologna, 2018; (40) Presti, Stato di crisi e stato di insolvenza, in Cagnasso-Panzani (diretto da), Crisi d’impresa e procedure concorsuali, I, Torino, 2016, 399; (41) Racugno, Gli obiettivi del concordato preventivo, lo stato della crisi e la fattibilità del piano, GComm 2009, I, 889; (42) Sandrelli, I reati della legge fallimentare diversi dalla bancarotta, Milano, 1990; (43) Santoriello, I reati di bancarotta, Torino, 2000; (44) Santoriello, Alcune indispensabili precisazioni sulla bancarotta da concordato preventivo, SistPen 24.9.2020; (45) Santoriello, Il diritto penale fallimentare dopo il codice della crisi, Torino, 2021; (46) Schiavano, Il commissario governativo nelle S.I.M. dichiarate fallite, RTDPE 1993, 713; (47) Schiavano, Riforma della legge fallimentare: implicazioni penalistiche RTDPE 2006, 957; (48) Scoletta, Abrogazione dell’amministrazione controllata e abolitio criminis: chiaroscuri dalle Sezioni Unite, DPP 2010, 183; (49) Sgubbi, Crisi d’impresa, procedure di salvataggio e reati fallimentari, RIDPP 2014, 667; (50) Stanghellini, La crisi d’impresa fra diritto ed economia, Bologna, 2007; (51) Stanghellini-Zorzi, in Jorio- Sassani (diretto da), Trattato delle procedure concorsuali, V, Milano, 2017; (52) Terranova, Insolvenza, stato di crisi, indebitamento, Milano, 2013.

Note:

[1] 
Per tutti Rossi, in Antolisei LC II, 366 e bibliografia ivi citata.
[2] 
Bricchetti-Mucciarelli-Sandrelli (9), 2728, nonché, per un quadro riepilogativo, Chiaraviglio (10), 391.
[3] 
Bricchetti-Mucciarelli-Sandrelli (9), 2731; Mangione (20), 895; Mucciarelli (22), 825-827; Vassalli (31), 688; con specifico riguardo alle rimesse in conto corrente Alessandri, 114.
[4] 
Sandrelli (27), 1222; Sandrelli (28), 1306.
[5] 
Giunta-Scarcella (16), 1220.
[6] 
Insolera (17), 465; Lanzi (18), 147.
[7] 
Dapprima, Mucciarelli (23), 1482; Mucciarelli (24), 278; Amarelli (3), 571; D’Alessandro (14), 206; Spinosa (30), 9.
[8] 
Chiaraviglio (10), 432-436; Consulich (13), 30, Scoletta (29), 401.
[9] 
In particolare: Consulich (12), 193.
[10] 
In questo senso esplicitamente Cocco (11), 5, che parla di norma che vale come interpretazione autentica.
[11] 
Alessandri, 144.
[12] 
Alessandri, 144.
[13] 
Basile (5), 203.
[14] 
Cass. pen. Sez. V, 19.10.2016 - 1.12.2016, n. 51277.
[15] 
In questo senso D’Alessandro (14), 213; analogamente Amarelli (3), 567; Chiaraviglio (10), 430.
[16] 
Mucciarelli (23), 1478; Mucciarelli, (24), 275; in senso analogo, Alessandri, 145-146; Fondaroli (15), 477; Mazzacuva-Amati, 265; Rossi, in Antolisei LC II, 371-372.
[17] 
In tal senso si è espressa la giurisprudenza di legittimità: Cass. pen. Sez. V, 26.6.2017 - 20.9.2017, n. 43089.
[18] 
Alessandri, 148.
[19] 
Mucciarelli (22), 825 Mucciarelli (23), 1482; in senso analogo Casaroli, in Maffei Alberti, 1485-1486.
[20] 
Bricchetti (7), 689; Casaroli, in Maff ei Alberti, 1485-1486; Mucciarelli (23), 1482; Rossi, in Antolisei LC II, 373-374.
[21] 
Sul punto, diffusamente Mucciarelli (22), 830; Mucciarelli (24), 279; Casaroli, in Maffei Alberti, 1485-1486.
[22] 
Così Casaroli, in Maffei Alberti, 1486; in senso analogo, Lottini (19), 1373; Mucciarelli (23), 1483.
[23] 
Racugno (26), 661; sul punto v. però Alessandri, 144.
[24] 
Cass. civ. S.U., 20.11.2012 - 23.1.2013, 1521; in senso analogo Cass. civ. Sez. I, 27.1.2017 - 7.4.2017, n. 9061; Cass. civ. Sez. VI, 16.1.2018 - 9.3.2018, n. 5825; Cass. civ. Sez. I, 9.10.2019 - 30.10.2019, n. 27865.
[25] 
Ambrosini (4), 1164; Mucciarelli (23), 1482.
[26] 
Rossi, in Antolisei LC II, 373; in senso analogo Mazzacuva-Amati (21), 222.
[27] 
Consulich (13), 35; in senso analogo Mazzacuva-Amati (21), 231; D’Alessandro (14), 212; Mucciarelli (23), 1476].
[28] 
Diffusamente Chiaraviglio (10), 414; Mucciarelli (24), 280.
[29] 
Chiaraviglio (10), 420.
[30] 
Alessandri, 139; Amarelli (3), 572; D’Alessandro (14), 208; Mucciarelli (23), 1476; Rossi, in Antolisei LC II, 372-373.
[31] 
Cass. S.U. 28.2.2019, n. 28910.
[32] 
Alessandri (2), 61; Rossi, in Antolisei LC II, 371.
[33] 
In questo senso dapprima Mucciarelli (23), 1477; in senso analogo, Amarelli (3), 568; Chiaraviglio (10), 426- 427; Fondaroli (15), 477; Scoletta (29), 415; Zincani (32), 521.
[34] 
Bricchetti (7), 687; Mucciarelli (23), 1477-1478; Rossi, in Antolisei LC II, 369.
[35] 
Bricchetti (6), 371; Mucciarelli (23), 1478; Rossi, in Antolisei LC II, 369.
[36] 
Chiaraviglio (10), 423-424; Mucciarelli (24), 278.
[37] 
Bricchetti (8), 78.
[38] 
Mucciarelli (25), 1197-1198.
[39] 
Bricchetti (8), 78, Mucciarelli (25), 1198.
[40] 
Bricchetti (8), 79, in senso analogo Mucciarelli (25), 1197-1198.
[41] 
Cass. pen. Sez. V, 10.2.2012, n. 16000; Cass. pen. Sez. V, 18.5.2012, n. 33230; Cass. pen. Sez. V, 7.7.2015, n. 50289; Cass. pen. Sez. V, 15.6.2018, n. 39517, quest’ultima in relazione a un caso di concordato in continuità aziendale.
[42] 
Rossi, in Antolisei LC, II, 358; Casaroli (8), 1580-1581; Alessandri, 164.
[43] 
Rossi, in Antolisei LC, II, 362; Cocco, sub art. 236 in Palazzo-Paliero, 1070.
[44] 
V. Cass. pen. Sez. V, 26.2000, n. 3736.
[45] 
V. Cass. pen. S.U. 11.4.2003, n. 22956, che aveva stabilito che «tale estensione è giustificata sia dall’interpretazione letterale – che non autorizza l’opposta soluzione ermeneutica data la sostanziale assimilabilità delle due figure di liquidatori, entrambi investiti del potere di disposizione dei beni societari in vista della definizione di rapporti giuridici sottesi – sia dalla ‘ratio’ della normativa, che consiste nella conservazione dell’integrità del patrimonio dell’impresa, costituente la garanzia per i creditori».
[46] 
V. Cass. pen S.U. 30.9.2010, n. 43428, RIDPP, 2011, 1, 348, con nota di Rossi e S 2010, 329, con nota di Luparia.
[47] 
Così Cass. pen. S.U. 19.10. 2016, n. 51277.
[48] 
Così Casaroli (8), 1583; Rossi, in Antolisei LC, II, 360. Per un esame analitico delle fattispecie richiamate, v. Carletti (7), 571.
[49] 
In questo senso Bricchetti-Mucciarelli-Sandrelli (5), 2744; Giunta-Scarcella (23), 1222; Rossi, in Antolisei LC, II, 363.
[50] 
v. Casaroli (8), 1583, in senso analogo Santoriello (44), 5; Santoriello (45), 305, che opta per una interpretazione convintamente estensiva della previsione dell’art. 236.
[51] 
In questo senso Casaroli (8), 1584; Rossi, in Antolisei LC, II, 360.
[52] 
Casaroli (8), 1584; Rossi, in Antolisei LC, II, 361.
[53] 
Casaroli (8), 1584; La Monica (27), 588.
[54] 
Casaroli (8), 1584; Cocco, sub art. 236 in Palazzo-Paliero, 1074.
[55] 
Casaroli (8), 1584.
[56] 
In proposito Schiavano (46), 713.
[57] 
Casaroli (8), 1585; Rossi, in Antolisei LC, II, 363.
[58] 
Casaroli (8), 1585; Rossi, in Antolisei LC, II, 363.
[59] 
Pedrazzi e a., 960; Alessandri (1), 121; Alessandri, 152; Galletti (19), 2277; Mucciarelli (32), 835; Fabiani (17), 348; Stanghellini-Zorzi (51), 527; Bricchetti-Pistorelli (6), 378.
[60] 
153; Bricchetti-Pistorelli (6), 378; Rossi, in Antolisei LC, II, 362.
[61] 
Alessandri, 154.
[62] 
Alessandri (2), 80; Alessandri, 155; Galgano (18), 1; Galletti (19), 2275; Galletti (20), 382; Jorio (17), 969; Mucciarelli (32), 831; Nigro-Vattermoli (36), 353; Presti (40), 399; Racugno (41), 897; Stanghellini (50), 178.
[63] 
Mucciarelli (32), 831.
[64] 
Cfr fra i molti Cavalli (9), 125; Censoni (14), 41; Fabiani (17), 73; Nigro-Vattermoli (36), 353; Racugno (41), 889; Terranova (52), 81.
[65] 
Racugno (41), 897.
[66] 
Alessandri, 156.
[67] 
Pedrazzi (38), 777.
[68] 
Cass. pen. S.U. 30.9.2010, n. 43428.
[69] 
Alessandri, 163.
[70] 
Guglielmucci (24), 349; Racugno (41), 889.
[71] 
Cass. civ. Sez. I, 25.1.201, n. 1866, in senso analogo Cass. civ. Sez. I, 21.6.2018, n. 16347.
[72] 
Cass. pen. Sez. V, 10.2.2012, n. 16000; Cass. pen. Sez. V, 18.5.2012, n. 33230; Cass. pen., Sez. V, 12.7.2012, n. 42522; Cass. pen. Sez. V, 7.7.2015, n. 50289; con riferimento a un caso di concordato in continuità v. Cass. pen. Sez. V, 15.6. 2018, n. 39517.
[73] 
Così D’Alessandro (16), 1206.
[74] 
Bricchetti-Mucciarelli-Sandrelli (5), 1297.
[75] 
Bricchetti-Mucciarelli-Sandrelli (5), 1297.
[76] 
Alessandri (2), 5.
[77] 
Alessandri, 160; D’Alessandro (16), 1207.
[78] 
Giunta-Scarcella (23), 1222; Pisani (39), 168; Sgubbi (49), 667.
[79] 
Giunta-Scarcella (23), 1222-1223; nel medesimo senso, Mangione (31), 918.
[80] 
Cocco, sub art. 236 in Palazzo-Paliero, 1316; Santoriello (44), 5; Santoriello (45), 305, che argomenta inoltre nel senso della non irrazionalità di tale esito.
[81] 
Cass. pen. Sez. V, n. 26444/2014, CED 259849; Cass. pen. Sez. V, n. 15712/2014, CED 260220.
[82] 
In questo senso D’Alessandro (16), 1209.
[83] 
Mangano (30), 190; Sgubbi (49), 667.
[84] 
Cfr D’Alessandro (16), 1208; D’Alessandro (15), 50.
[85] 
Bricchetti-Mucciarelli-Sandrelli (5), 1299; Giunta-Scarcella (23), 1227.
[86] 
D’alessandro (16), 1209, in senso analogo, Bricchetti-Mucciarelli-Sandrelli (5), 1299.
[87] 
Alessandri (2), 86.
[88] 
D’Alessandro (16), 1210.
[89] 
D’Alessandro (16), 1211.
[90] 
Alessandri, 155.
[91] 
Mucciarelli (34), 1191-1192; nello stesso senso Alessandri (3), 815; S. Cavallini (12), 204; S. Cavallini (13), 188; D’Alessandro (16), 1211.
[92] 
Bricchetti (4), 82-83.
[93] 
Bricchetti (4), 83.

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Articoli 12 e ss. del Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR)

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