In considerazione del susseguirsi dei diversi interventi d’urgenza, appare opportuno, primariamente, ricostruire il quadro normativo in cui ci si muove, per andare, poi, ad analizzare gli adempimenti che caratterizzano la fase “in bianco” del concordato e vedere come ne sono stati influenzati[2].
Tutto è iniziato con il D.L. n. 11 dell’8 marzo 2020, contente solo 6 articoli aventi ad oggetto “Misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria”, il cui art. 1 prevede il “differimento urgente delle udienze e sospensione dei termini nei procedimenti civili, penali, tributari e militari”, interessando il periodo che va dal 9 al 22 marzo 2020.
In particolare, durante il suddetto intervallo, “le udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari, con le eccezioni indicate all'articolo 2, comma 2, lettera g), sono rinviate d'ufficio a data successiva al 22 marzo 2020” (comma 1).
A tale disposizione si accompagna quella del comma 2, in base alla quale nel medesimo periodo “sono sospesi i termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti indicati al comma 1, ferme le eccezioni richiamate. Ove il decorso abbia inizio durante il periodo di sospensione, l'inizio stesso è differito alla fine di detto periodo”.
Una tale formulazione, in assenza di ulteriori specificazioni, ha sin da subito sciolto le briglie ad una molteplicità di approcci interpretativi, soprattutto in materia concorsuale[3], poiché ci si è chiesti quale fosse l’impatto delle predette norme sui concordati preventivi, specialmente in pendenza dei c.d. “concordati con riserva” o “concordati in bianco” [4].
Mossi dalla necessità di dettare disposizioni uniformi, alcuni tribunali si sono espressamente pronunciati in ordine alla sospensione dei termini processuali nelle procedure concorsuali [5] ed, al fine di rimediare alla suddetta lacuna interpretativa, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nella relazione accompagnatoria al disegno di legge per la conversione in legge del D.L. 11/2020, del successivo 11 marzo, ha espressamente specificato la portata generale della sospensione dei termini per il compimento di qualsiasi attività processuale di cui al comma 2 dell’art. 1 del cit. D.L., dovendo considerarsi riferita a tutti i procedimenti e processi civili e penali pendenti, anche quando non sia fissata udienza nel periodo interessato[6].
Le disposizioni di cui al cit. D.L. 11/2020 (artt. 1 e 2) sono state abrogate dal successivo decreto c.d. cura Italia, il n. 18 del 17 marzo 2020, che va a disciplinare il periodo di congelamento allungandolo sino al 15 aprile 2020[7].
In particolare, all’art. 83 si specifica che nel periodo considerato, 9 marzo – 15 aprile, le udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari sono rinviate d’ufficio a data successiva al 15 aprile 2020, salvo le eccezioni ivi indicate al comma 3 [8] e che, sino alla stessa data, è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali, ivi includendovi, in genere, tutti i termini procedurali. Ove il decorso del termine abbia inizio durante il periodo di sospensione, l’inizio stesso è differito alla fine di detto periodo. Quando il termine è computato a ritroso e ricade in tutto o in parte nel periodo di sospensione, è differita l’udienza o l’attività da cui decorre il termine in modo da consentirne il rispetto.
A fronte del rapido mutamento del quadro epidemiologico, infatti, si è ritenuto necessario prorogare il termine del 22 marzo al 15 aprile ed, in conseguenza dei diversi dubbi interpretativi sorti, il legislatore ha altresì avvertito l’esigenza di andare a meglio specificare alcune fattispecie, nonché a chiarire la ratio dell’intervento, riprendendo quanto disposto negli artt. 1 e 2 del precedente D.L. 11/2020 ed apportandovi le integrazioni necessarie per il completamento della disciplina emergenziale.
Invero, con il riferimento ai procedimenti civili e penali tout court, ha reso evidente la portata, definita “amplissima” nella stessa relazione illustrativa, che la sospensione deve avere, andando altresì a dilatarla oltre i confini del procedimento.
Infine, ad un mese dal primo intervento, l’8 aprile 2020 è stato pubblicato il D.L. 23/2020 che, oltre a prorogare il termine del 15 aprile fino all’11 maggio, per la prima volta, è andato a prevedere disposizioni specifiche in materia di concordato preventivo ed accordi di ristrutturazione (art. 9) [9].
Al debitore che ha già ottenuto la concessione dei termini ex art. 161, comma 6, L. fall. ed eventualmente anche la successiva proroga, è stata data la possibilità di presentare, prima della scadenza, istanza per la concessione di un’ulteriore proroga, sino ad un massimo di 90 giorni, anche nei casi in cui sia pendente ricorso per la dichiarazione di fallimento [10].
Tuttavia, l’istanza deve indicare gli elementi che rendono necessaria la concessione della proroga, con specifico riferimento ai fatti sopravvenuti a causa dell’emergenza epidemiologica da COVID – 19 ed il tribunale, acquisito il parare del commissario giudiziale se nominato, potrà concedere la richiesta proroga se ritiene che l’istanza si basa su concreti e giustificati motivi.
Si aggiunge, inoltre, che rimane ferma l’applicazione dei commi 7 e 8 dell’art. 161 L. fall..
In concreto, questo significa che il debitore che abbia presentato domanda di concordato in bianco ed a cui sia stata già concessa un’ulteriore proroga, anche in pendenza di istanza di fallimento, può godere non solo della sospensione dei termini processuali fino, attualmente, all’11 maggio, (per un totale di 63 giorni), ma potrà usufruire anche di un ulteriore lasso di tempo, di massimo 90 giorni.
Tale concessione, però, deve inevitabilmente passare attraverso una valutazione accurata da parte degli organi della procedura in ordine all’effettiva esigenza di proroga, potendo il tribunale anche diversamente calibrare il termine da concedere (“sino a novanta giorni”) [11].
Ci si chiede cosa accada nelle ipotesi in cui il primo termine previsto dall’art. 161, sesto comma, L. fall. non sia ancora trascorso alla data dell’8 aprile 2020. Delle due l’una: o si consente che la proroga ordinaria, motivata anche da ragioni connesse al Covid-19, possa estendersi sino a novanta giorni, oppure vi è da ritenere che il creditore possa chiedere la proroga ordinaria fino a sessanta giorni e poi avvalersi di quella straordinaria fino a novanta giorni ai sensi del quarto comma del cit. art. 9 [12].
Al fine di evitare atteggiamenti discriminatori determinati da circostanze esogene alla volontà del debitore, quale la decorrenza del termine originariamente concesso dal tribunale nel periodo considerato dal D.L., appare ragionevole la seconda opzione. Si consideri infatti che il debitore, in ipotesi di svolgimento fisiologico della procedura, ha diritto ad ottenere la seconda proroga, nei termini e con le modalità di cui all’art. 161 commi 6 o 10, L. fall., a cui il legislatore d’urgenza ha ritenuto opportuno aggiungere un’ulteriore dilazione, di natura eccezionale, sino a 90 giorni; accedere alla prima soluzione sarebbe, perciò, contrario al favor debitoris che ispira il legislatore, pregiudicandolo con la concessione di una sola proroga, che peraltro necessita di determinati presupposti giustificativi, ancorché fino a 90 giorni.
Il tutto, altresì, in considerazione dell’attuale sospensione dei termini processuali, per cui il conteggio della prima scadenza ricomincia a decorrere dalla fine della sospensione ope legis (attualmente fissata all’11 maggio), a seguito della quale il debitore potrà chiedere la seconda proroga ex art. 161, commi 6 o 10 L. fall., nonché, successivamente, la proroga eccezionale dettata dalla decretazione d’urgenza.
Dunque, appare chiaro che il legislatore non vuol vedere nell’emergenza COVID-19 una sorta di “tana libera tutti”, ma l’intento è quello di congelare il più possibile le realtà, anche e soprattutto quelle in crisi, al fine di attendere il più generale andamento del mercato.
È probabile che, inoltre, le conseguenze dell’emergenza siano diverse a seconda della situazione su cui questa va ad impattare.
Prendendo ad esempio un’azienda che ha smesso da tempo la propria attività, produttiva o commerciale e che ha chiesto di accedere alla procedura di concordato preventivo per porre in essere la liquidazione dell’intero suo compendio: in questo caso l’emergenza potrà avere verosimilmente conseguenze in sede di esecuzione del concordato, ossia in considerazione di come il mercato reagirà all’esito dell’emergenza mondiale, a seconda della tipologia di settore in cui i beni dovranno essere allocati.
Tutt’altro scenario si potrebbe aprire qualora la volontà dell’imprenditore sia quella di presentare un concordato in continuità, in quanto, probabilmente, il settore di riferimento ha avuto un arresto senza precedenti, per cui il business plan predisposto, vuoi direttamente vuoi da parte dell’ipotetico affittuario, deve essere completamente rivisto perché basato su proiezioni non più ragionevolmente sostenibili.
Perciò, dalla lettura complessiva dell’art. 9 D.L. 23/2020, nei confronti del debitore che si trovi ancora nella fase del concordato in bianco emerge un atteggiamento piuttosto rigoroso [13].
Per vero, se si è in attesa dell’udienza di omologa, il debitore può presentare istanza o per depositare un nuovo piano, chiedendo un termine di massimo 90 giorni, o per modificare unicamente i termini dell’adempimento, potendoli far slittare sino a 6 mesi, a cui, tuttavia, non corrisponde alcuna particolare indagine da parte del tribunale diversa ed ulteriore da quella che deve già fare ex artt. 180 e 182 bis L. fall.[14].
È stata inoltre prevista, per la fase di esecuzione, una proroga ex lege di 6 mesi dei termini di adempimento in scadenza dal 23 febbraio al 31 dicembre 2021 [15].
Invece, il debitore che si trova ancora nella fase prenotativa, al fine di ottenere la proroga sino a 90 giorni per la presentazione del piano e della proposta, deve documentare e giustificare la richiesta sulla base di oggettive difficoltà conseguenti all’emergenza attuale, che devono essere oggetto di precipua valutazione da parte del commissario giudiziale se nominato e, quindi, del tribunale.
Tale atteggiamento si giustifica sulla considerazione che lo stato di crisi in cui versa adesso un soggetto imprenditoriale che ha già deciso di accedere alla procedura concorsuale, non è stata sicuramente generata dall’attuale lockdown, ma se quest’ultimo ne condiziona l’adempimento, deve esserne provato almeno il nesso causale.