Alla luce di quanto sopra rappresentato, si deve ribadire che la soluzione alla quale la Suprema Corte è pervenuta, in materia di assimilabilità degli Accordi di Ristrutturazione alle “procedure concorsuali”, non può essere condivisa. Non può esserlo in prospettiva (per quanto sopra osservato): e non può esserlo neppure nell’attualità.
In termini generali – oltre a quanto già osservato nelle pagine precedenti -, se consideriamo i criteri che la Suprema Corte indica come espressivi della “cifra della moderna concorsualità”, non ne possiamo trarre un significativo conforto alla tesi favorevole ad assimilare gli “Accordi” alla figura del Concordato preventivo (che è certamente qualificabile “procedura concorsuale”), piuttosto che a quella dei “Piani” ex art. 67, co. 3, lett. d), L. fall. (che non lo sono, neanche nella valutazione della Suprema Corte[31]).
Ritornando a considerare i “tre profili minimali” che caratterizzerebbero “la moderna concorsualità”[32] – vale a dire: una qualche forma di interlocuzione con l’Autorità giudiziaria; il coinvolgimento dei creditori; una qualche forma di pubblicità -, l’ipotesi di assimilare gli “Accordi” ex art. 182-bis L. fall. al Concordato Preventivo, piuttosto che ai “Piani” ex art. 67, co. 3, lett. d), L. fall., non è in alcun modo convincente.
Per ciò che concerne il profilo della “interlocuzione con l’Autorità giudiziaria, con finalità… protettive… e di controllo”, l’attitudine a giustificare l’avvicinamento dello “Accordo” al Concordato preventivo, piuttosto che al “Piano” ex art. 67, co. 3, lett. d), L. fall., è soltanto apparente: perché l’interlocuzione dell’imprenditore richiedente l’omologa di un “Accordo” con l’Autorità giudiziaria, produce (i) un “effetto protettivo” assai circoscritto (60 giorni) – e inutile! -[33]; e (ii) nessun controllo (manca qualsiasi divieto di compiere atti di straordinaria Amministrazione, se non autorizzati; manca qualsiasi divieto di costituire prelazioni “preferenziali”; manca qualsiasi divieto di effettuare pagamenti di debiti pregressi trasgressivi del principio della “par condicio”).
Per ciò che concerne gli altri profili, un Piano Attestato di Risanamento ben può poggiare su un accordo con i creditori (e di norma è esattamente così); e ben può essere pubblicizzato (e per lo più è esattamente così: certamente lo è ogniqualvolta l’imprenditore intenda conseguire l’effetto premiante della neutralità fiscale dello “stralcio” ottenuto da uno o più creditori: cfr. art. 88, co. 4, d.P.R. n. 917/1986, che per l’appunto condiziona il beneficio fiscale alla pubblicazione del “Piano” nel Registro delle Imprese).
In altre parole: dopo 60 giorni, la disciplina del Piano Attestato di Risanamento che si basi su un accordo con i creditori (come è di regola), e che sia stato pubblicato nel Registro delle Imprese (come è di frequente), è identica a quella dell’Accordo di Ristrutturazione, sotto il profilo della presenza dei criteri indicatori della “cifra della concorsualità” (presenti in entrambi i procedimenti il secondo ed il terzo; assente in entrambi i procedimenti il primo – l’effetto conseguente alla “interlocuzione” con l’Autorità giudiziaria -, perché in nessuno dei due casi sussistono (più) effetti “protettivi” o forme di “controllo” sulla gestione).
La “cifra della concorsualità” non si rivela dunque uno strumento idoneo per conseguire una più precisa determinazione della disciplina applicabile agli Accordi di Ristrutturazione attraverso lo “apparentamento” al Concordato preventivo piuttosto che ai Piani Attestati di Risanamento.
In termini particolari, la appartenenza degli “Accordi“ al perimetro dei “cerchi concentrici della concorsualità”; e la estraneità dei “Piani” allo stesso; non possono essere giustificate sulla base della considerazione del profilo – assunto, invece, dalla Corte di Cassazione a fondamento del principio enunciato della “concorsualità” degli Accordi (e non dei Piani) – rappresentato dal grado di “autonomia delle parti man mano che ci si allontana dal… fallimento”: perché l’intensità dell’autonomia dell’imprenditore è identica nell’Accordo e nel Piano: ed è – soprattutto – irriducibile (non solo allo “spossessamento totale” conseguente al fallimento, ma anche) allo “spossessamento attenuato” conseguente alla presentazione di una domanda di Concordato preventivo (ed alla successiva ammissione alla procedura).
L’imprenditore che (i) predispone; che (ii) deposita per la omologazione; e che (iii) dà esecuzione ad un Accordo di Ristrutturazione ex art. 182-bis L. fall., soffre di nessun limite di “autonomia” nel compimento di atti dispositivi del proprio patrimonio, né più né meno di quanto non ne soffra l’imprenditore che ha predisposto un Piano Attestato ex art. 67, co. 3, lett. d), L. fall. Non si capisce, pertanto, come sotto questo profilo – che è peraltro quello considerato qualificante dalla Corte di Cassazione – il primo imprenditore possa essere considerato all’interno dei “cerchi concentrici della concorsualità”; ed il secondo – invece – all’esterno.
Più in particolare, poi, non si capisce come gli atti di disposizione dell’uno e dell’altro, produttivi di obbligazioni nei confronti dei terzi, dovrebbero comportare effetti radicalmente contrapposti, come sono l’attitudine a garantire un collocamento in prededuzione e la mancanza di attitudine a conseguire tale risultato.
L’affermazione, secondo la quale l’imprenditore che sia in procinto di concludere; ovvero di fare omologare; ovvero di eseguire un Accordo di Ristrutturazione, non soffre di alcun limite alla propria autonomia di disposizione del patrimonio - ragione per cui il procedimento intrapreso non può essere considerato rientrante nei “cerchi concentrici” della concorsualità, più di quanto non lo sarebbe l’imprenditore che avesse predisposto un “Piano” ex art. 67, co. 3, lett. d), L. fall. (fondato, come lo sono in pratica tutti, su un accordo con i propri creditori, ovvero con una parte di essi) -, si fonda (non solo, ma principalmente) sulla:
(i) legittimità ed opponibilità degli atti di straordinaria Amministrazione (nessuna norma li vieta; nessuna norma li assoggetta a qualche regime autorizzatorio);
(ii) legittimità ed opponibilità della costituzione di prelazioni anche preferenziali (nessuna norma le vieta: né mentre l’imprenditore predispone lo Accordo, né nel corso del procedimento di omologazione – dove è vietata l’acquisizione dei soli titoli di prelazione “non concordati” (art. 182-bis, co. 3), con l’ovvia ammissibilità, per conseguenza, di quelli “concordati”, cioè liberamente costituiti dall’imprenditore d’accordo con il creditore favorito -; né nel caso del procedimento conseguente alla “istanza di sospensione” (art. 182-bis, co. 6, L. fall.), dove vale l’identica regola; né in sede di esecuzione dello “Accordo”;
(iii) legittimità e opponibilità dei pagamenti di debiti pregressi, anche produttivi della violazione della par condicio (nessuna norma li vieta; l’art. 182-quinquies, co. 6, L. fall. li contrappone ai pagamenti di crediti pregressi effettuati in corso di Concordato preventivo, perché mentre assoggetta questi ultimi all’autorizzazione del tribunale in funzione del superamento del divieto di pagamento di passività pregresse caratterizzante tale procedura, ne interessa i pagamenti di debiti pregressi effettuati in sede di “Accordo” ex art. 182-bis L. fall. al diverso scopo di assicurare loro un “effetto esentativo” dall’azione revocatoria fallimentare (“In tale caso i pagamenti effettuati [dall’imprenditore impegnato in un “Accordo”] non sono soggetti all’azione revocatoria di cui all’articolo 67”): ciò che rappresenta la migliore dimostrazione della circostanza che detti pagamenti sono perfettamente validi ed opponibili, e proprio per questo soggetti, come tutti i pagamenti, al (solo) rischio revocatorio, eventualmente eludibile facendo ricorso all’autorizzazione de qua - laddove per l’imprenditore in Concordato, come detto, l’autorizzazione è funzionale a porre in essere un atto che, senza di essa, sarebbe privo di effetti tout court, perché inopponibile alla procedura ed ai creditori dalla stessa “rappresentati”[34] -;
(iv) mancanza di controlli dell’Autorità giudiziaria: non c’è un Giudice Delegato (come invece c’è nel Concordato);
(v) mancanza di controlli da parte di “Organi” (non c’è un Commissario Giudiziale);
(vi) mancanza di controlli dei creditori (non c’è un Comitato dei Creditori).
Agli argomenti sopra passati in rassegna, che mettono in risalto la insufficiente omogeneità tra la disciplina del Concordato preventivo e quella degli Accordi di Ristrutturazione per giustificare la estensione anche ai secondi della qualificazione di “procedura concorsuale”, altri se ne aggiungono, che sono in condizione di addurre la incompatibilità di tale conclusione con specifiche nome di diritto positivo.
Per un verso, occorre tenere conto del disposto dell’art. 69-bis, co. 2, L. fall., in materia di “consecuzione” di procedure concorsuali: non si comprende perché ai fini della “retrodatazione” del c.d. “periodo sospetto” rilevi l’apertura del procedimento di Concordato preventivo, rispetto al fallimento consecutivo, e non rilevi invece – deponendo in senso inequivocabilmente contrario l’art. 69-bis, co. 2, L. fall., che attribuisce rilievo, sotto tale profilo, esclusivamente al Concordato preventivo – la pregressa omologazione di un “Accordo”. Né appare ipotizzabile sostenere che il principio dettato dall’art. 69-bis, co.2, L. fall. dovrebbe essere affermato – una volta attribuita natura di “procedura concorsuale” anche all’istituto disciplinato dall’art. 182-bis, L. fall. – anche con riguardo alla sequenza “Accordo di Ristrutturazione – fallimento”[35]. Ciò comporterebbe infatti: (i) l’assoggettamento alle azioni revocatorie fallimentari degli atti di disposizione ricompresi nel “periodo sospetto” anteriore all’apertura del procedimento di “Accordo”, e conseguentemente a ciò (ii) il non–assoggettamento alle azioni revocatorie fallimentari degli atti di disposizione posti in essere, invece, successivamente all’apertura del procedimento di “Accordo”: in un contesto, peraltro, nel quale (i) nessun limite alla disponibilità del patrimonio dell’imprenditore è previsto; e (ii) nessun controllo sulla gestione dell’impresa è operato da chicchessia [36]. Si correrebbe il rischio, dunque, di vedere “consolidati” gli effetti di atti di disposizione patrimoniale financo aberranti.
Per un altro verso, occorre tenere conto del disposto dell’art. 182-quinquies, co. 5 e co. 6, L. fall. Tale disciplina dimostra che la natura giuridica di “Accordo” e Concordato preventivo non è la medesima: e poiché nessuno dubita che il Concordato preventivo abbia natura di procedura concorsuale, se ne ricava agevolmente l’esclusione di tale natura per ciò che concerne gli Accordi di Ristrutturazione.
Come già segnalato, le disposizioni del comma 5) e 6) dell’art. 182-quinquies L. fall. presentano un identico contenuto, tranne l’ultima parte del comma 6 (assente nel comma 5), secondo la quale “in tal caso [intervento dell’autorizzazione giudiziale] i pagamenti effettuati non sono soggetti all’azione revocatoria di cui all’articolo 67” [37].
L’autorizzazione giudiziale in questione può riguardare dunque tanto le imprese ammesse al Concordato preventivo, quanto le imprese impegnate nel perfezionamento di un Accordo di Ristrutturazione: ma la considerazione dei differenti effetti prodotti dall'autorizzazione giudiziale nelle due fattispecie dimostra come il Concordato preventivo possa essere definito "procedura concorsuale" – come tale caratterizzata, inter alia: (i) dal divieto del pagamento dei debiti pregressi; e (ii) dalla determinazione del dies a quo di decorrenza del "periodo sospetto" a fini revocatori dalla data di apertura della procedura di Concordato –; mentre per lo "Accordo" si debba pervenire ad una conclusione opposta.
La esenzione dall’azione revocatoria di cui all’art. 67 L. fall. non è prevista per i pagamenti dei “fornitori strategici” effettuati dall’imprenditore ammesso al Concordato, perché in caso di successivo fallimento consecutivo la azione revocatoria fallimentare investe il “periodo sospetto” anteriore alla prima procedura consecutiva (cfr. art. 69-bis, co. 2, L. fall.), quindi non può investire i pagamenti successivi alla sua apertura. Tali pagamenti, dunque, o sono “legittimi”; ovvero non lo sono, e come tali risultano semplicemente inopponibili alla procedura ed al fallimento consecutivo (ma non certamente revocabili)[38].
La esenzione dall’azione revocatoria può invece a ragion veduta essere disposta per i pagamenti effettuati nel corso di un procedimento di composizione negoziale della crisi d’impresa - sfociato in un fallimento - che non abbia natura di “procedura concorsuale”, per la ragione che:
(i) il “periodo sospetto” decorre a ritroso dall’apertura del fallimento, e quindi ha l’attitudine ad investire i pagamenti de quibus; e
(ii) l’essere stati effettuati nel corso o in esecuzione di un procedimento di composizione negoziale della crisi d’impresa accentua il rischio della soccombenza in sede revocatoria.
Per tali ragioni il comma 5 dell’art. 182-quinquies, che disciplina i pagamenti (di crediti anteriori all’apertura della procedura) effettuati nel corso del Concordato preventivo – che è una “procedura concorsuale” – si disinteressa del rischio revocatorio (assente, per le ragioni sopra specificate): il ché dimostra che l’autorizzazione giudiziale è funzionale a superare un divieto altrimenti impeditivo dei pagamenti (ed infatti nel Concordato preventivo il pagamento dei crediti pregressi è vietato).
Sempre per tali ragioni il comma 6 della norma in discussione, che disciplina i pagamenti (di crediti pregressi) effettuati nel corso dell’Accordo di ristrutturazione, si preoccupa del pericolo revocatorio perché nel fallimento successivo i pagamenti de quibus vi sarebbero soggetti[39]: il ché dimostra che essi, per altro verso, sono “legittimi” (per chi intendesse porli in essere senza preoccupazioni di conseguire una “esenzione” dalla revocatoria, ovvero ritenesse sufficiente la protezione assicurata dall’art. 67, co. 3, lett. e) L. fall.), con una conclusione che è coerente soltanto con la negazione all’Accordo ex art. 182-bis L. fall. della natura di “procedura concorsuale”.
Pare opportuno infine segnalare – richiamando tutte le ragioni già sviluppate che inducono a preferire la soluzione condivisa un tempo dal Tribunale di Milano, ed ora, come detto, dallo stesso abbandonata[40] – che secondo la decisione più recente di questo Tribunale “il miglior argomento che illumina la riscontrata similitudine tra il 182-bis e il Concordato preventivo [starebbe] . . . nella c.d. possibilità di switch…” tra le due procedure (cfr. artt. 182-bis, co. 2 e art. 161, co. 9 L. fall.)[41].
Ebbene, se si legge l’art. 9, co. 5-bis, D.L. 8 aprile 2020, 23 (c. d. “decreto liquidità”) si deve prendere atto che: “Il debitore che, entro la data del 31 dicembre 2021, ha ottenuto la concessione dei termini di cui all'articolo 161, sesto comma, o all'articolo 182-bis, settimo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, può, entro i suddetti termini, depositare un atto di rinuncia alla procedura, dichiarando di avere predisposto un piano di risanamento ai sensi dell'articolo 67, terzo comma, lettera d), del medesimo regio decreto n. 267 del 1942, pubblicato nel registro delle imprese, e depositando la documentazione relativa alla pubblicazione medesima. Il tribunale, verificate la completezza e la regolarità della documentazione, dichiara l'improcedibilità del ricorso presentato ai sensi dell'articolo 161, sesto comma, o dell'articolo 182-bis, settimo comma, del citato regio decreto n. 267 del 1942”.
Tale “possibilità di switch”, valorizzata dal révirement del Tribunale di Milano, oggi caratterizza quindi anche i rapporti tra Piano Attestato di Risanamento e Concordato preventivo: il ché però non dovrebbe consentire di qualificare “procedura concorsuale” anche il Piano Attestato di Risanamento [42]!
Nella stessa direzione – di suggerire una valutazione critica del revirement di cui è stato protagonista il Tribunale di Milano nella materia in esame – potrebbe orientare la considerazione della più recente decisione di questo stesso giudice[43], che ha respinto l’istanza tesa ad ottenere la pronuncia di un provvedimento giudiziale di cessazione della procedura di “Accordo di Ristrutturazione” ai sensi dell’art. 182-bis L. fall., rimarcando “differenze ontologiche” tra la stessa e la procedura di Concordato preventivo. Secondo tale decisione, infatti, “rilevato che la concorsualità crescente del 182-bis è stata riconosciuta da questo stesso Tribunale recentemente in più occasioni (cfr. Trib. Milano 21.11.2019 Pres. Est. Paluchowski), ma che essa in sé non fa propendere per la necessità di un provvedimento di chiusura formale (tanto è vero che non esiste nemmeno nel concordato preventivo che concorsuale è certamente), si deve affermare poi che la c.d. interscambiabilità, sino ad ora, si limita alla fase anteriore alla presentazione della proposta piena in caso di 161 sesto comma e di 182-bis sesto comma, ovvero la possibilità di switch, cioè di mutare direzione e dove era presente un progetto di concordato presentare una proposta di accordo di ristrutturazione e, viceversa, dove era un automatic stay di presentare un concordato preventivo. Ma la interscambiabilità sta a significare solo che per il legislatore è equivalente che si contrasti la crisi con un concordato o con un accordo di ristrutturazione, (ambedue pacificamente procedure di composizione della crisi dotate di un grado diverso di concorsualità).
Va constatato, inoltre, che ciò non fa venire meno le differenze ontologiche fra le due procedure. Il 182-bis condivide e si ispira per sua natura all’accordo preconfezionato anglosassone, per cui prima è redatto e concluso senza alcun rilevante intervento giurisdizionale o di controllo (salvo il procedimento interinale di 182-bis sesto comma per l’automatic stay) e, dopo l’omologa, si esegue in totale solitudine da parte della proponente rispetto al Tribunale, ai suoi organi ed al controllo giurisdizionale[44].