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Saggio

Coordinamento tra liquidazione coatta amministrativa e procedure di crisi nel CCII*

Sido Bonfatti, Ordinario di diritto commerciale nell’Università di Modena e Reggio Emilia

14 Luglio 2021

*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Un focus sui rapporti fra LCA e procedure di crisi nel contesto del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza.
Riproduzione riservata
1 . Il coordinamento tra le procedure di L.C.A. e le “procedure di crisi” di diritto comune. A) I rapporti tra liquidazione (coatta) amministrativa e liquidazione giudiziale
Anche prima di avere esaminato il dettaglio della disciplina delle procedure concorsuali di diritto speciale denominate “Liquidazione Coatta Amministrativa”, dalla semplice considerazione della denominazione dell’istituto (“Liquidazione coatta”) è facile ricavare la ratio allo stesso sotteso: ratio rappresentata dall’obiettivo della cessazione forzosa dell’attività dell’impresa, con conseguente sua espulsione coatta dal mercato (nella ricorrenza, per l’appunto, dei presupposti giustificativi del suo assoggettamento a tale procedura)[1]. In conseguenza di ciò si pone il problema del coordinamento della L.C.A. con la procedura concorsuale di diritto comune caratterizzata dalla medesima ratio, rappresentata dalla procedura di liquidazione giudiziale: e in secondo luogo si porrà il problema dell’applicabilità o meno alle imprese soggette alla L.C.A., che sotto tale profilo risultano qualificabili “di diritto speciale”, delle procedure di composizione della crisi, diverse dalla liquidazione giudiziale, dettate per le imprese “di diritto comune” . Il dubbio non è affatto banale, solo che si pensi alla circostanza che la disciplina delle procedure di L.C.A. più “strutturate” (quella delle banche; quella degli intermediari finanziari non bancari; quella delle Compagnie Assicurative)[2] esclude l’applicabilità alle relative imprese delle “procedure concorsuali” di diritto comune: il ché pone l’interrogativo di quali delle procedure di composizione della crisi d’impresa possano essere qualificate “procedure concorsuali”. 
L’art. 295, co. 1, c. crisi impr. dispone che “le imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa NON sono soggette a liquidazione giudiziale, salvo che la legge diversamente disponga”, riproducendo esattamente il principio dettato dall’art. 2, co. 2, L. fall. Il comma successivo dispone che quando la legge ammetta l’applicabilità di entrambe le procedure, vale il principio c.d. della “prevenzione”[3], conformemente a quanto viene unanimemente ricavato dal disposto, pur meno univoco, dell’art. 196 L. fall.[4]. Per l’applicazione del richiamato principio è necessario fare riferimento, rispettivamente, alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del provvedimento (decreto ministeriale) di assoggettamento alla L.C.A., ed alla data di deposito nella Cancelleria del Tribunale della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale[5]. 
2 . B) I rapporti tra la liquidazione coatta amministrativa e le procedure di Concordato preventivo
Nel vigore della legge fallimentare il concorso della procedura di L.C.A. con la procedura di Concordato preventivo (o di Amministrazione controllata, sino alla sua abrogazione) era regolato dal principio contrario a quello considerato al paragrafo precedente: nel senso della ammissibilità al Concordato preventivo (ed alla Amministrazione controllata) anche delle imprese soggette alla L.C.A., con la riserva che le singole leggi speciali espressive della disciplina di dettaglio delle singole procedure di L.C.A. non disponessero diversamente (art. 3, co. 1, L. fall.). Il principio è riprodotto dall’art. 296 c. crisi impr.[6], che pure ribadisce l’avvertenza secondo la quale nelle ipotesi di imprese non assoggettabili alla liquidazione giudiziale, ma ammesse al Concordato preventivo, la cessazione della procedura in costanza di stato di insolvenza ne comporta l’accertamento giudiziale da parte del tribunale “fallimentare”, in funzione della trasmissione della relativa sentenza “all’autorità competente perché disponga la liquidazione” coatta amministrativa (art. 297, co. 5, c. crisi impr.). In linea di principio si dovrebbe poter concludere che anche il concorso tra L.C.A. e Concordato preventivo, così come il concorso tra L.C.A. e liquidazione giudiziale (nelle ipotesi nelle quali l’impresa è astrattamente soggetta ad entrambe), sia regolato dal principio della “prevenzione”: ma il tema presenta alcuni profili di problematicità. 
In particolare il coordinamento tra i due generi di procedure concorsuali è meno ovvio di quanto non si potrebbe essere portati a ritenere, quando una di esse sia già in atto, e sopravvengano presupposti di applicabilità di un’altra procedura concorsuale non omogenei rispetto a quelli che hanno giustificato la disposizione della prima. Così si tende ad ammettere che la l.c.a. pure già in atto non precluda l’ammissione dell’impresa (all’Amministrazione controllata od) al Concordato preventivo, se la l.c.a. era stata disposta per una causa diversa dall’insolvenza; e per converso si opina da parte di taluno che la l.c.a. possa essere disposta anche quanto l’impresa è stata ammessa ad una procedura concorsuale “minore”, se l’assoggettamento alla l.c.a. interviene per una causa diversa dall’insolvenza[7].
Occorre peraltro segnalare come di frequente, e particolarmente nell’ambito delle discipline più recenti, anche l’assoggettabilità alle procedure concorsuali di diritto comune “minori” sia esclusa senza eccezioni, quando l’impresa stessa è dichiarata soggetta ad una procedura di l.c.a. (in questo senso, per le imprese bancarie, cfr. gli artt. 70, co. 7, ed 80, co. 6, d. lg. n. 385/1993; ed analogamente, per le imprese abilitate alla prestazione di servizi di investimento, gli artt. 56, co. 4, e 57, co. 3, d. lg. n. 58/1998; e per le imprese assicuratrici l’art. 238 d. lg. n. 209/2005).
3 . C) I rapporti tra la liquidazione coatta amministrativa e la procedura di Amministrazione Straordinaria
L’argomento presente diversi profili di complessità. Diversi decenni dopo che l’approvazione della legge fallimentare aveva individuato, l’assetto giudicato preferibile per il rapporto tra procedure concorsuali “di diritto comune” e procedure concorsuali “di diritto speciale” – rappresentato, per l’appunto, dalla disciplina delle procedure di l.c.a. sviluppata nel contesto della legge fallimentare -, il legislatore ha sentito l’esigenza di sottrarre alla disciplina di diritto comune delle “crisi” (di natura patrimoniale) non più soltanto le imprese appartenenti a settori dell’economia di particolare interesse pubblico (le banche; gli intermediari finanziari; le assicurazioni; ecc.), bensì le imprese che, a prescindere dal settore economico di operatività, presentassero livelli dimensionali di tale portata, da imporre la considerazione della esigenza di salvaguardare interessi sino ad allora trascurati – nella occasione dell’insolvenza dell’impresa –, quali, principalmente, la salvaguardia dei livelli occupazionali e l’integrità degli organismi produttivi. Sono così state introdotte nell’ordinamento concorsuale nuove ed ulteriori procedure di carattere amministrativo, che pur presentando una affinità per c.d. “ideologica” con le procedure di l.c.a., non hanno declinato questo modello, ma ne hanno introdotto uno autonomo, rappresentato dalla procedura (anzi: dalle procedure) di Amministrazione Straordinaria: l’Amministrazione Straordinaria delle grandi imprese in crisi, originariamente disciplinata dal d.-l. 30 gennaio 1979, n. 26, convertito con modificazioni dalla legge 3 aprile 1979, n. 95, poi soppiantata dalla Amministrazione Straordinaria delle grandi imprese insolventi, disciplinata dal d. lg. n. 170/1999; la Amministrazione Straordinaria delle imprese di rilevanti dimensioni in stato di insolvenza, disciplinata (in occasione del dissesto “Parmalat”) dal D.L. 23 dicembre 2003, n. 347, e successive modificazioni e integrazioni; la Amministrazione Straordinaria delle imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali, introdotta - in occasione del (primo) dissesto “Alitalia” - dal D.L. n. 134/2008. In epoca relativamente recente, infatti, la situazione di crisi del gruppo industriale facente capo alla “Compagnia di bandiera”, cioè Alitalia, ha indotto il legislatore ad apportare nuove modificazioni alla disciplina delle procedure concorsuali amministrative. Anche in questo caso, peraltro, il “modello” di riferimento non è stato rappresentato dalle procedure di l.c.a., bensì dalla procedura di Amministrazione Straordinaria. L’assoggettamento di “Alitalia” ad una procedura concorsuale di carattere amministrativo, in considerazione degli interessi generali sottesi alla circostanza che essa operava nel settore dei servizi pubblici essenziali, avrebbe potuto essere conseguito, in via teorica, sia domandando l’ammissione alla procedura di Amministrazione Straordinaria “normale” di cui al d. lg. n. 270/1999 (legge “Prodi-bis”); sia domandando l’ammissione all’Amministrazione Straordinaria “speciale” di cui al D.L. n. 347/2003 (“legge Marzano”, o “legge Parmalat”): “Alitalia”, infatti, presentava livelli di indebitamento e di “forza lavoro” largamente superiori a quelli fissati in occasione delle modifiche apportate alla legge “Prodi-bis” in conseguenza del dissesto di “Parmalat”[8]. 
Nessuna delle due strade fu intrapresa, per differenti ordini di ragioni. Non la strada della legge “Prodi-bis”, per le stesse ragioni “politiche” che avevano indotto a modificarne la disciplina attraverso la creazione di una Amministrazione Straordinaria “speciale” in occasione del dissesto “Parmalat”: ragioni di varia natura, ma principalmente individuate nella indesiderata giurisdizionalizzazione subita dalla “legge Prodi” nel passaggio della legge n. 95/1979 al d. lg. n. 270/1999[9]. Era davvero inimmaginabile che la politica, dopo aver giocato in ruolo di assoluto protagonista durante la vita (e durante l’agonia) di Alitalia, consegnasse ai tribunali la gestione degli effetti della sua morte: peraltro nemmeno la strada della “legge Parmalat” rappresentava una soluzione praticabile. Quando alla Amministrazione Straordinaria “normale” vennero apportate quelle modificazioni (soprattutto in direzione di una più accentuata amministrativizzazione) che avrebbero originato l’Amministrazione Straordinaria “speciale” cui assoggettare “Parmalat”, infatti, a giustificazione all’intervento era stata addotta la necessità di prevedere procedure più rapide di avvio della ristrutturazione aziendale, al fine di salvaguardare la continuità gestionale: ed a riprova era stata sottolineata la esclusione dell’ammissibilità del ricorso alla nuova procedura da parte delle imprese che non fossero in condizione di perseguire la ristrutturazione economica e finanziaria tramite l’attuazione di un “programma di ristrutturazione”, ma versassero in una situazione di crisi irreversibile, tale da consentire solamente l’avvio di un “programma di cessione dei complessi aziendali”. Per “Alitalia”, peraltro, non era neppure lontanamente ipotizzabile il perseguimento del risanamento industriale attraverso l’esecuzione di un programma di ristrutturazione, essendo la Compagnia di bandiera pervenuta ad uno stadio così avanzato della situazione di crisi (dichiaratamente e inequivocabilmente qualificabile stato di insolvenza tout court), da dovere necessariamente passare attraverso la cessione dei complessi aziendali (e neppure tutti!): giusto il contrario di quanto consentito dalla “legge Parmalat”. E’ stato necessario pertanto modificare la “legge Parmalat” ed abolire l’ostacolo rappresentato dalla originaria inammissibilità dell’accesso all’Amministrazione Straordinaria “speciale” per le imprese (di rilevanti dimensioni) aspiranti a perseguire (soltanto) un “programma di cessione” dei complessi aziendali. 
L’obiettivo di consentire ad “Alitalia” di accedere alla più gradita (dal Governo) Amministrazione Straordinaria “speciale”, piuttosto che alla (pur disponibile) Amministrazione Straordinaria “normale”, non è stato perseguito con una “legge fotografia” propriamente detta (applicabile cioè solo ad “Alitalia” ed alle società del “Gruppo”): bensì modificando i presupposti generali di accesso alla procedura di Amministrazione Straordinaria “speciale”, in modo tale da consentire il ricorso alla stessa anche ad Alitalia[10]. 
La necessità di apportare alla disciplina della Amministrazione Straordinaria “speciale” di cui alla “legge Parmalat” alcune modificazioni, per renderla funzionale a regolare la situazione di crisi del “Gruppo Alitalia”, ha prodotto non soltanto il risultato di originare una nuova procedura di Amministrazione Straordinaria “speciale” per tutte le imprese in stato di insolvenza qualificabili “di rilevanti dimensioni”; ma anche quello di delineare una Amministrazione Straordinaria connotata di caratteristiche peculiari per ciò che concerne le imprese (di rilevanti dimensioni) “operanti nel settore dei servizi pubblicitari essenziali”, come era il settore in cui operavano le società del “Gruppo Alitalia”. Le disposizioni specifiche concernenti le situazioni di insolvenza delle imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali hanno modificato per tali imprese tanto la procedura di Amministrazione Straordinaria “normale”; quanto la procedura di Amministrazione Straordinaria “speciale”, riservata alle imprese più grandi (cioè “di rilevanti dimensioni”), e disponibili ad esservi sottoposte (giacché, la procedura di Amministrazione Straordinaria “speciale” può essere aperta solo su domanda dell’impresa interessata).
Alla luce di quanto sopra considerato risulta condivisibile la conclusione secondo la quale il problema del possibile concorso della procedura (rectius: delle procedure) di L.C.A. con la procedura di Amministrazione straordinaria (delle “grandi imprese” in crisi; delle imprese insolventi di “rilevanti dimensioni”; delle imprese “operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali”), deve essere risolto riconoscendo la prevalenza delle seconde rispetto alla prima (che ha finalità esclusivamente liquidatorie), avendo le procedure di Amministrazione Straordinaria anche la funzione di salvaguardare i complessi produttivi, per la quale invece la L.C.A. non appare predisposta[11].
4 . D) I rapporti tra liquidazione coatta amministrativa e procedure di “composizione negoziale” delle crisi di impresa diverse dal Concordato preventivo (“Piano Attestato di Risanamento”, “Convenzione di Moratoria” ed “Accordi di Ristrutturazione”)
Le imprese di diritto comune possono disporre, per perseguire il tentativo del superamento ovvero della composizione delle situazioni di “crisi” – anche coincidenti con lo stato di insolvenza tout court –, di procedure negoziali ulteriori rispetto al Concordato preventivo (preso in considerazione nel precedente paragrafo): segnatamente, i “Piani Attestati di Risanamento” (che saranno disciplinati dall’art. 56 c. crisi impr.); gli “Accordi di Ristrutturazione” (che saranno regolati dagli art. 57 ss. c. crisi impr.) – nelle diverse declinazioni degli “Accordi di Ristrutturazione” per c.d. “normali”; degli “Accordi” cc.dd. “agevolati” (art. 60 c. crisi impr.); e degli “Accordi” cc.dd. “ad efficacia estera” (art. 61) -; e la “Convenzione di moratoria” (di cui all’art. 62 c. crisi impr.) [12]. La domanda se tali istituti debbano considerarsi disponibili anche per le imprese cc.dd. “di diritto speciale”, ed in quanto tali soggette – ricorrendone i presupposti – alla procedura di L.C.A., in luogo (ovvero, quando consentito, in alternativa) alla liquidazione giudiziale, dovrebbe trovare una risposta positiva tendenzialmente per qualsiasi figura tra quelle considerate. 
Nel silenzio assoluto del diritto positivo – che, invece, come visto, regola i rapporti tra L.C.A. e liquidazione giudiziale (art. 295, co. 1, c. crisi impr.), ed i rapporti tra L.C.A. e Concordato preventivo (art. 296) -, non si vedono ragioni per le quali una impresa c.d. “di diritto speciale”, che versi in una condizione di “squilibrio finanziario”[13], non possa ricorrere all’istituto del “Piano Attestato di Risanamento”[14]; ovvero che una impresa di tale natura, che intenda concludere con i propri creditori un accordo diretto “a disciplinare in via provvisoria gli effetti della crisi ….”, non possa usufruire dell’istituto della Convenzione di moratoria. 
Neppure si vedono ragioni per escludere, in linea di principio, che le imprese soggette a L.C.A., nelle situazioni di “stato di crisi o di insolvenza”, possano concludere con i creditori un “Accordo di Ristrutturazione” disciplinato dagli artt. 57 ss. c. crisi impr., tanto più che ciò è già accaduto, almeno in un caso che ha avuto grande risonanza [15]. 
La conclusione (in senso positivo), che si ritiene di dovere mantenere ferma in termini generali, richiede tuttavia una precisazione con riguardo a talune delle procedure di Liquidazione Coatta Amministrativa, e segnatamente a quelle che escludono, per le imprese “di diritto speciale” rispettivamente ad esse sottoposte, il ricorso a “procedure concorsuali” diverse da quelle disciplinate dai rispettivi corpora (per fare gli esempi di più immediata ricorrenza: il corpus del diritto concorsuale bancario, per le imprese bancarie – e v. in particolare l’art.80, co. 6, t.u. bancario -; il corpus del diritto concorsuale finanziario, per le imprese di investimento – e v. in particolare l’art. 57, co. 3, del t.u. fin. -; ed il corpus del diritto concorsuale assicurativo per le imprese amministrative – e v. in particolare l’art. 238 c. ass. -). 
5 . E) I rapporti tra liquidazione coatta amministrativa e “Accordi di Ristrutturazione” con riguardo alle imprese sottratte alle “procedure concorsuali” di diritto comune: la situazione nel vigore della legge fallimentare
Con riguardo alle imprese di diritto speciale soggette unicamente alle “procure concorsuali” disciplinate dai rispettivi ordinamenti settoriali (bancario; finanziario; assicurativo), e come tali sottratte alle “procedure concorsuali” di diritto comune (per tutte: il Concordato preventivo) [16], si pone dunque il problema della individuazione della natura giuridica degli “Accordi di Ristrutturazione” disciplinati dagli art. 57 ss. c. crisi impr.: poiché se a tale istituto venisse attribuita la natura di “procedura concorsuale”, il suo utilizzo sarebbe escluso per definizione, per la ragione già chiarita. 
Nel vigore della legge fallimentare questa conclusione ha finito per essere affermata dalla giurisprudenza (soprattutto) della Corte di Cassazione [17], nonostante diffuse opinioni difformi nella giurisprudenza di merito [18] e in dottrina [19]. Dovendosi fare applicazione del Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza, sembrerebbe preferibile ritornare all’opinione contraria. 
Ferma restando la possibile applicazione estensiva di alcuni effetti di talune procedure concorsuali (quale il Concordato preventivo) anche alla procedura dello “Accordo di Ristrutturazione”[20], la attribuibilità a quest’ultima della natura di “procedura concorsuale” deve essere messa in discussione già nel vigore della legge fallimentare, e tanto più nel vigore del Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza. 
Per ciò che concerne la legge fallimentare, il dubbio sulla legittimazione delle imprese “di diritto speciale” sottratte alle “procedure concorsuali” di diritto comune (con particolare riguardo a banche, intermediari finanziari e assicurazioni) ad avvalersi dell’istituto dello “Accordo di Ristrutturazione” disciplinato dagli artt. 182-bis ss. L. fall., rappresenta la conseguenza della recente emersione di un orientamento della Suprema Corte, propensa ad attribuire a tale procedimento la natura di “procedura concorsuale”: e foriero dunque della obiezione di incompatibilità con i ricordati principi (art. 80, co. 6, t.u. bancario; art. 56, co. 3 t.u. fin.; art. 238 c. ass.) che escludono l’applicabilità alle banche, agli intermediari finanziari non bancari e alle Compagnie Assicurative di “procedure concorsuali” diverse da quelle disciplinate nell’ambito dei rispettivi corpora normativi.
Né si potrebbe sostenere che i ricordati principi non possono trovare applicazione nei confronti di istituti – quali sono il “Piano” ex art. 67, co. 3, lett. d) L. fall.; nonché (e soprattutto) lo “Accordo” ex art. 182-bis L. fall. – introdotti nell’ordinamento successivamente alla redazione del t.u. bancario, del t.u. fin. e del c. ass.: giacché, a prescindere dalla opinabilità in termini generali dell’argomento, si deve constatare che il decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 181, ha apportato significative modificazioni alla normativa di settore, in occasione del recepimento della Direttiva Comunitaria BRRD nel nostro ordinamento, e ben avrebbe potuto rivedere la portata del principio ostativo di cui alle norme richiamate.
L’obiezione che deve essere mossa alla ipotizzata esclusione del ricorso all’istituto dello “Accordo” ex art. 182-bis, L. fall. da parte di un intermediario finanziario (bancario e non bancario) o assicurativo è rappresentata dalla affermazione che il procedimento in questione non ha natura di "procedura concorsuale”.
La conclusione, implicita nella risalente occasione nella quale la ammissione di un Gruppo bancario all’istituto de quo è stata giudizialmente riconosciuta [21], merita di essere confermata anche nell’attualità, nonostante la emersione del ricordato orientamento della Suprema Corte in senso divergente.
Con alcune decisioni molto ravvicinate nel tempo – le prime molto sommariamente motivate; le successive più ricche di argomenti – la Corte di Cassazione è pervenuta ad attribuire la natura di “procedura concorsuale” agli “Accordi di Ristrutturazione”, al fine di giustificare l’applicazione anche a tali procedimenti dell’istituto della “prededuzione” [22], ovvero del disposto dell’art. 162, co. 1, L. fall. (in materia di concedibilità al debitore di un termine non superiore a 15 giorni per apportare integrazioni al “Piano” sotteso ad una domanda di ammissione al Concordato preventivo) [23].
Le prime decisioni hanno ritenuto di ricavare “la appartenenza agli istituti di diritto concorsuale” dell’Accordo di Ristrutturazione ex art. 182-bis da taluni (asseriti) indici, desumibili “dalla disciplina alla quale nel tempo è stato assoggettato dal legislatore”. In rapida sintesi, gli indici rilevanti ai fini dell’attribuzione all’Accordo della natura di “procedura concorsuale” sarebbero i seguenti: 
a)    “condizioni di ammissibilità”: non si vede però, in linea di massima, quali esse siano. Un giudizio di “ammissione” al procedimento che può sboccare in un “Accordo”, non è previsto! A meno che si scambino le “condizioni di ammissibilità” con i presupposti di omologabilità dell’Accordo, una volta depositato: ma tali presupposti costituiscono un profilo tutt’affatto diverso da quelli che condizionano la “ammissibilità” del ricorso all’istituto;
b)    “deposito presso il tribunale competente”: la (non) sintomaticità dell’indice, con riguardo all’attitudine ad attribuire o meno ad un procedimento la natura di “procedura concorsuale”, si commenta da sé; 
c)    “pubblicazione nel Registro delle Imprese”: stessa conclusione (anche il Piano di Ristrutturazione Attestato ex art. 67, co. 3, lett. d) L. fall.) deve essere pubblicato, se vuole conseguire pienezza degli effetti – cfr. art. 88, co. 4, d.p.r. n. 971/1986, che condiziona a detta pubblicità la neutralità fiscale della eventuale remissione del debito, per la parte che eccede la perdita di periodo -); 
d)    “necessità di omologazione”: poiché la natura (o meno) di “procedura concorsuale” dipende (almeno a parere di chi scrive) dagli effetti attribuiti dalla legge ad un determinato procedimento, non è dalla sua sottoposizione ad omologa giudiziale che può essere ricavata una risposta al quesito sulla sua natura: l’omologa giudiziale condiziona la produzione degli effetti conseguenti alla instaurazione di un determinato procedimento: non ne determina – invece – i contenuti; 
e)    “meccanismi di protezione temporanea”: nel procedimento di “Accordo” ex art. 182-bis L. fall. i “meccanismi di protezione” che si producono non hanno la funzione loro assegnata nelle “procedure concorsuali” propriamente dette (fallimento; concordato preventivo; ecc.). Nelle procedure concorsuali, i meccanismi sono rivolti a proteggere i creditori (contro gli atti di disposizione del debitore attentanti alla integrità del patrimonio; contro la effettuazione di pagamenti “preferenziali” o la costituzione di garanzie “discriminatorie”; contro le iniziative di singoli creditori comportanti la alterazione della par condicio creditorum – cfr. artt. 44 e 45 L. fall.; cfr. artt. 16, co. 7 e 169 L. fall. - ); nell’Accordo di Ristrutturazione i “meccanismi protettivi” invocati dalla Suprema Corte hanno la funzione di proteggere il debitore (contro iniziative cautelari od esecutive dei creditori), non apprestando - invece – alcuna tutela per i creditori, né nei confronti degli atti di disposizione del debitore (che sono perfettamente validi ed opponibili, suscettibili a tutto concedere di giustificare la risoluzione dell’Accordo se contrari al suo contenuto, ma senza per ciò perdere di validità); né nei confronti dei pagamenti “preferenziali” (finanche rivolti all’estinzione di debiti pregressi, e rimuovibili con esclusivo ricorso all’azione revocatoria nell’eventuale fallimento consecutivo, ma non con il richiamo ad una inesistente inefficacia od inopponibilità); né nei confronti degli atti costitutivi di garanzie “discriminatorie” (essendo il divieto di acquisire titoli di prelazione previsto esclusivamente con riguardo agli atti costitutivi di garanzie reali “non concordati” con il debitore - quindi ancora una volta in funzione protettiva dello stesso contro il rischio delle ipoteche giudiziali dei creditori -, senza che ciò impedisca la costituzione di garanzie per libera iniziativa del debitore stesso – ed in quanto tali “concordate” -); 
f)      “esonero da revocabilità di atti, pagamenti e garanzie posti in essere in sua esecuzione”: trattasi di indice da giudicare (di per sé) non significativo, essendo comune a procedimenti - quale il Piano Attestato di Risanamento: cfr. art. 67, co. 3, lett. d) L. fall. - di cui non si potrebbe dubitare la estraneità al novero delle “procedure concorsuali”; 
g)    “forme di controllo… sulla composizione negoziata”: anche la sussistenza di un controllo giudiziale sulla esistenza dei presupposti per la produzione di determinati effetti giuridici nulla dice – di per sé – sul contenuto di tali effetti, e dunque sulla loro attitudine (o meno) a giustificare l’assimilazione del procedimento relativo alle “procedure concorsuali”; 
h)    “forme di… pubblicità sulla composizione negoziata”: vale quanto riferito sub lett. c) e sub lett. g); 
i)      “effetti protettivi”: in realtà non ne sussistono, se non nei limiti (e con le conseguenze) esposti sub lett. e). 
A tali argomenti si è aggiunta, in un secondo momento, la affermazione secondo la quale “la sfera della concorsualità può essere oggi ipostaticamente rappresentata come una serie di cerchi concentrici, caratterizzati dal progressivo aumento dell’autonomia delle parti, man mano che ci si allontana dal nucleo (la procedura fallimentare) fino all’orbita più esterna (gli Accordi di Ristrutturazione dei debiti)…” (mentre) “restano…all’esterno di questo perimetro immaginario solo gli atti interni di autonoma ri-organizzazione dell’impresa, come i piani attestati di risanamento…”. In tale prospettiva peraltro la Suprema Corte individua i caratteri della “cifra della moderna concorsualità” nei seguenti “tre profili minimali”: (i) una qualsivoglia forma di interlocuzione con l’Autorità giudiziaria, con finalità quanto meno “protettive” (nella fase iniziale) e di controllo (nella fase conclusiva); (ii) il coinvolgimento formale di tutti i creditori, quantomeno a livello informativo…; e (iii) una qualche forma di pubblicità…”. [24]
In giurisprudenza, come detto, si è registrato un significativo contrasto tra l’orientamento assunto dalla Corte di Cassazione (propenso ad attribuire all’istituto dell’Accordo di ristrutturazione connotati di sostanziale “concorsualità”) e le decisioni di alcuni giudici di merito, inclini a non condividere tale conclusione [25].
In particolare va segnalato un recente rèvirement [26], a seguito del quale il problema interpretativo in questione, all’esito di una analisi particolarmente approfondita ed accurata, è stato risolto conformemente all’indirizzo della Suprema Corte. E’ stato osservato, in questa occasione, che gli aspetti di affinità tra accordi di ristrutturazione e concordato preventivo sarebbero andati intensificandosi a tal punto, che mantenere l’accordo al di fuori della “concorsualità” rischierebbe di presentarsi come una scelta critica, perché una prospettiva di negazione si presenterebbe come antistorica, visto che il Regolamento 848 del 2015 UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 maggio 2015 prevede espressamente tra le procedure concorsuali - cfr. art. 1 ed All. A) - l’Accordo di ristrutturazione, escludendo invece, in quanto l’elenco è tassativo, il Piano Attestato di Risanamento di cui all’art. 67, comma 3, lett. d) L. fall., che non è citato. 
Fermo restando, nonostante il richiamo a questo argomento di carattere comunitario, quanto già osservato nelle pagine che precedono, assume in ogni caso portata risolutiva la considerazione che, come chiariremo in appresso, nella prospettiva della “nuova legge fallimentare” (d. lg. 12 gennaio 2019, n. 14: “Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza”), il dubbio sulla esclusione della natura della “Procedura concorsuale” dell’istituto dell’Accordo di ristrutturazione non dovrebbe però potere più essere coltivato: dovendo essere risolto (anche in futuro) nel senso di negare tale natura [27]. 
6 . F) I rapporti tra liquidazione coatta amministrativa e “Accordi di Ristrutturazione” con riguardo alle imprese sottratte alle “procedure concorsuali” di diritto comune: la situazione nella prospettiva del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza
Se si presta attenzione al contenuto della c.d. riforma della “legge fallimentare” prossima ad entrare in vigore, si deve prendere atto del tentativo – rappresentato dal c.d. “Progetto Rordorf” – di assimilare gli “Accordi di Ristrutturazione” alle “procedure concorsuali” (con specifico riguardo al Concordato preventivo); e del “passo indietro” realizzato dalla “Riforma Bonafede” - poi confluita nel testo definitivo del “Codice” -, che quel tentativo ha frustrato.
Basta infatti confrontare il testo dell’art. 50 del “Progetto Rordorf” con il testo dell’art. 46 della “Riforma Bonafede”, poi diventata C.C.I., per rendersi conto del fenomeno segnalato.
Gli effetti della domanda di accesso al Concordato preventivo prima erano riconnessi anche alla domanda di accesso all’ “Accordo”, che così recitava [Rubrica]: “Effetti del decreto di concessione dei termini per accesso al Concordato Preventivo o al giudizio per omologazione dell’Accordo di Ristrutturazione. [Testo] 1. Dopo il deposito della domanda di accesso [al Concordato Preventivo o al giudizio di omologa dell’Accordo] e fino al decreto di apertura di cui all’articolo 47, il debitore può compiere gli atti urgenti di straordinaria Amministrazione previa autorizzazione del tribunale. In difetto di autorizzazione gli atti sono inefficaci e il tribunale dispone la revoca del decreto di cui all’articolo 4, comma 1… 3. I crediti sorti per effetto degli atti legittimamente compiuti dal debitore sono prededucibili... 5. I creditori non possono acquisire diritti di prelazione con efficacia rispetto ai creditori concorrenti, salvo che vi sia l’autorizzazione prevista dai commi 1, 2 e 3. Le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni che precedono la data della pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di accesso [al Concordato Preventivo o al giudizio di omologa dell’Accordo] sono inefficaci rispetto di creditori anteriori”.
Con la approvazione del C.C.I., peraltro, tutto è cambiato. Il Testo definitivo della norma (divenuta ora l’art. 46 C.C.I.) così recita [Rubrica]: “Effetti della domanda di accesso al Concordato preventivo. [Testo] 1. Dopo il deposito della domanda di accesso [al Concordato Preventivo] e fino al decreto di apertura di cui all’articolo 47, il debitore può compiere gli atti urgenti di straordinaria Amministrazione previa autorizzazione del tribunale. In difetto di autorizzazione gli atti sono inefficaci e il tribunale dispone la revoca del decreto di cui all’articolo 44, comma 1. 4. I crediti di terzi sorti per effetto di atti legalmente compiuti dal debitore sono prededucibili. 5. I creditori non possono acquisire diritti di prelazione con efficacia rispetto ai creditori concorrenti, salvo che vi sia l’autorizzazione prevista dai commi 1, 2 e 3. Le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni che precedono la data della pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di accesso sono inefficaci rispetto di creditori anteriori”.[28]
La assimilabilità degli “Accordi” al Concordato preventivo deve quindi essere definitivamente esclusa, perché effetti di primaria importanza, caratteristici delle “procedure concorsuali” - quale il divieto di azioni esecutive o cautelari individuali; la limitazione della gestione dell’impresa agli atti di ordinaria Amministrazione; la prededucibilità dei crediti sorti in corso di procedura -, sono attribuiti esclusivamente al Concordato preventivo, e sottratti invece all’Accordo di Ristrutturazione[29].
Se poi si ha riguardo al nuovo art. 100 C.C.I. è possibile desumere ulteriori argomenti a favore della tesi della “non concorsualità” dell’Accordo di ristrutturazione.
La norma disciplinerà gli effetti del pagamento di creditori pregressi (i cc.dd. “fornitori strategici”), consentendolo solo a seguito di una autorizzazione giudiziale, preceduta da una attestazione speciale. Trattasi di disposizione analoga a quella oggi prevista dall’art. 182-quinquies, co. 5, L. fall. (per l’ipotesi della sequenza “Concordato – Fallimento”), e sarà applicabile esclusivamente al “debitore che presenta una domanda di concordato”.
Nessuna disposizione è invece dettata per l’ipotesi della sequenza “Accordo – Fallimento” (oggi disciplinata dall’art. 182-quinquies, co. 6, L. fall., non riprodotto nel C.C.I.).
In mancanza di una disciplina specifica, le possibili soluzioni sono due:
a) il pagamento di “fornitori strategici” non è MAI consentito all’imprenditore che abbia concluso un “Accordo”, neanche con la autorizzazione del Tribunale (che non è contemplata); oppure
b) il pagamento dei “fornitori strategici” è SEMPRE consentito all’imprenditore che abbia concluso un “Accordo”, anche senza autorizzazione del Tribunale - che non è contemplata (a nulla rilevando la circostanza che detto pagamento possa essere assoggettato a revocatoria nel fallimento consecutivo; e neppure rilevando che esso possa costituire causa di risoluzione dello “Accordo”, ove contrario agli impegni assunti dall’imprenditore: giacché il pagamento rimarrebbe comunque valido).
È evidente che la risposta corretta è la seconda (non avrebbe senso vietare nell’ “Accordo” ciò che è consentito nel Concordato, seppur con l’intervento autorizzatorio del Giudice competente): e ciò evidenzia vieppiù la diversa natura del primo istituto rispetto al secondo.                                                                                                               
Il ché corrisponde a quanto deve essere ricavato già oggi dalla disciplina delle condizioni di soddisfacibilità dei “fornitori strategici”[30].
7 . G) Considerazioni conclusive
Alla luce di quanto sopra rappresentato, si deve ribadire che la soluzione alla quale la Suprema Corte è pervenuta, in materia di assimilabilità degli Accordi di Ristrutturazione alle “procedure concorsuali”, non può essere condivisa. Non può esserlo in prospettiva (per quanto sopra osservato): e non può esserlo neppure nell’attualità.
In termini generali – oltre a quanto già osservato nelle pagine precedenti -, se consideriamo i criteri che la Suprema Corte indica come espressivi della “cifra della moderna concorsualità”, non ne possiamo trarre un significativo conforto alla tesi favorevole ad assimilare gli “Accordi” alla figura del Concordato preventivo (che è certamente qualificabile “procedura concorsuale”), piuttosto che a quella dei “Piani” ex art. 67, co. 3, lett. d), L. fall. (che non lo sono, neanche nella valutazione della Suprema Corte[31]).
Ritornando a considerare i “tre profili minimali” che caratterizzerebbero “la moderna concorsualità”[32] – vale a dire: una qualche forma di interlocuzione con l’Autorità giudiziaria; il coinvolgimento dei creditori; una qualche forma di pubblicità -, l’ipotesi di assimilare gli “Accordi” ex art. 182-bis L. fall. al Concordato Preventivo, piuttosto che ai “Piani” ex art. 67, co. 3, lett. d), L. fall., non è in alcun modo convincente. 
Per ciò che concerne il profilo della “interlocuzione con l’Autorità giudiziaria, con finalità… protettive… e di controllo”, l’attitudine a giustificare l’avvicinamento dello “Accordo” al Concordato preventivo, piuttosto che al “Piano” ex art. 67, co. 3, lett. d), L. fall., è soltanto apparente: perché l’interlocuzione dell’imprenditore richiedente l’omologa di un “Accordo” con l’Autorità giudiziaria, produce (i) un “effetto protettivo” assai circoscritto (60 giorni) – e inutile! -[33]; e (ii) nessun controllo (manca qualsiasi divieto di compiere atti di straordinaria Amministrazione, se non autorizzati; manca qualsiasi divieto di costituire prelazioni “preferenziali”; manca qualsiasi divieto di effettuare pagamenti di debiti pregressi trasgressivi del principio della “par condicio”). 
Per ciò che concerne gli altri profili, un Piano Attestato di Risanamento ben può poggiare su un accordo con i creditori (e di norma è esattamente così); e ben può essere pubblicizzato (e per lo più è esattamente così: certamente lo è ogniqualvolta l’imprenditore intenda conseguire l’effetto premiante della neutralità fiscale dello “stralcio” ottenuto da uno o più creditori: cfr. art. 88, co. 4, d.P.R. n. 917/1986, che per l’appunto condiziona il beneficio fiscale alla pubblicazione del “Piano” nel Registro delle Imprese).
In altre parole: dopo 60 giorni, la disciplina del Piano Attestato di Risanamento che si basi su un accordo con i creditori (come è di regola), e che sia stato pubblicato nel Registro delle Imprese (come è di frequente), è identica a quella dell’Accordo di Ristrutturazione, sotto il profilo della presenza dei criteri indicatori della “cifra della concorsualità” (presenti in entrambi i procedimenti il secondo ed il terzo; assente in entrambi i procedimenti il primo – l’effetto conseguente alla “interlocuzione” con l’Autorità giudiziaria -, perché in nessuno dei due casi sussistono (più) effetti “protettivi” o forme di “controllo” sulla gestione). 
La “cifra della concorsualità” non si rivela dunque uno strumento idoneo per conseguire una più precisa determinazione della disciplina applicabile agli Accordi di Ristrutturazione attraverso lo “apparentamento” al Concordato preventivo piuttosto che ai Piani Attestati di Risanamento. 
In termini particolari, la appartenenza degli “Accordi“ al perimetro dei “cerchi concentrici della concorsualità”; e la estraneità dei “Piani” allo stesso; non possono essere giustificate sulla base della considerazione del profilo – assunto, invece, dalla Corte di Cassazione a fondamento del principio enunciato della “concorsualità” degli Accordi (e non dei Piani) – rappresentato dal grado di “autonomia delle parti man mano che ci si allontana dal… fallimento”: perché l’intensità dell’autonomia dell’imprenditore è identica nell’Accordo e nel Piano: ed è – soprattutto – irriducibile (non solo allo “spossessamento totale” conseguente al fallimento, ma anche) allo “spossessamento attenuato” conseguente alla presentazione di una domanda di Concordato preventivo (ed alla successiva ammissione alla procedura).
L’imprenditore che (i) predispone; che (ii) deposita per la omologazione; e che (iii) dà esecuzione ad un Accordo di Ristrutturazione ex art. 182-bis L. fall., soffre di nessun limite di “autonomia” nel compimento di atti dispositivi del proprio patrimonio, né più né meno di quanto non ne soffra l’imprenditore che ha predisposto un Piano Attestato ex art. 67, co. 3, lett. d), L. fall. Non si capisce, pertanto, come sotto questo profilo – che è peraltro quello considerato qualificante dalla Corte di Cassazione – il primo imprenditore possa essere considerato all’interno dei “cerchi concentrici della concorsualità”; ed il secondo – invece – all’esterno.
Più in particolare, poi, non si capisce come gli atti di disposizione dell’uno e dell’altro, produttivi di obbligazioni nei confronti dei terzi, dovrebbero comportare effetti radicalmente contrapposti, come sono l’attitudine a garantire un collocamento in prededuzione e la mancanza di attitudine a conseguire tale risultato. 
L’affermazione, secondo la quale l’imprenditore che sia in procinto di concludere; ovvero di fare omologare; ovvero di eseguire un Accordo di Ristrutturazione, non soffre di alcun limite alla propria autonomia di disposizione del patrimonio - ragione per cui il procedimento intrapreso non può essere considerato rientrante nei “cerchi concentrici” della concorsualità, più di quanto non lo sarebbe l’imprenditore che avesse predisposto un “Piano” ex art. 67, co. 3, lett. d), L. fall. (fondato, come lo sono in pratica tutti, su un accordo con i propri creditori, ovvero con una parte di essi) -, si fonda (non solo, ma principalmente) sulla: 
(i)     legittimità ed opponibilità degli atti di straordinaria Amministrazione (nessuna norma li vieta; nessuna norma li assoggetta a qualche regime autorizzatorio); 
(ii)    legittimità ed opponibilità della costituzione di prelazioni anche preferenziali (nessuna norma le vieta: né mentre l’imprenditore predispone lo Accordo, né nel corso del procedimento di omologazione – dove è vietata l’acquisizione dei soli titoli di prelazione “non concordati” (art. 182-bis, co. 3), con l’ovvia ammissibilità, per conseguenza, di quelli “concordati”, cioè liberamente costituiti dall’imprenditore d’accordo con il creditore favorito -; né nel caso del procedimento conseguente alla “istanza di sospensione” (art. 182-bis, co. 6, L. fall.), dove vale l’identica regola; né in sede di esecuzione dello “Accordo”;
(iii)   legittimità e opponibilità dei pagamenti di debiti pregressi, anche produttivi della violazione della par condicio (nessuna norma li vieta; l’art. 182-quinquies, co. 6, L. fall. li contrappone ai pagamenti di crediti pregressi effettuati in corso di Concordato preventivo, perché mentre assoggetta questi ultimi all’autorizzazione del tribunale in funzione del superamento del divieto di pagamento di passività pregresse caratterizzante tale procedura, ne interessa i pagamenti di debiti pregressi effettuati in sede di “Accordo” ex art. 182-bis L. fall. al diverso scopo di assicurare loro un “effetto esentativo” dall’azione revocatoria fallimentare (“In tale caso i pagamenti effettuati [dall’imprenditore impegnato in un “Accordo”] non sono soggetti all’azione revocatoria di cui all’articolo 67”): ciò che rappresenta la migliore dimostrazione della circostanza che detti pagamenti sono perfettamente validi ed opponibili, e proprio per questo soggetti, come tutti i pagamenti, al (solo) rischio revocatorio, eventualmente eludibile facendo ricorso all’autorizzazione de qua - laddove per l’imprenditore in Concordato, come detto, l’autorizzazione è funzionale a porre in essere un atto che, senza di essa, sarebbe privo di effetti tout court, perché inopponibile alla procedura ed ai creditori dalla stessa “rappresentati”[34] -;
(iv)   mancanza di controlli dell’Autorità giudiziaria: non c’è un Giudice Delegato (come invece c’è nel Concordato); 
(v)    mancanza di controlli da parte di “Organi” (non c’è un Commissario Giudiziale); 
(vi)   mancanza di controlli dei creditori (non c’è un Comitato dei Creditori). 
Agli argomenti sopra passati in rassegna, che mettono in risalto la insufficiente omogeneità tra la disciplina del Concordato preventivo e quella degli Accordi di Ristrutturazione per giustificare la estensione anche ai secondi della qualificazione di “procedura concorsuale”, altri se ne aggiungono, che sono in condizione di addurre la incompatibilità di tale conclusione con specifiche nome di diritto positivo.
Per un verso, occorre tenere conto del disposto dell’art. 69-bis, co. 2, L. fall., in materia di “consecuzione” di procedure concorsuali: non si comprende perché ai fini della “retrodatazione” del c.d. “periodo sospetto” rilevi l’apertura del procedimento di Concordato preventivo, rispetto al fallimento consecutivo, e non rilevi invece – deponendo in senso inequivocabilmente contrario l’art. 69-bis, co. 2, L. fall., che attribuisce rilievo, sotto tale profilo, esclusivamente al Concordato preventivo – la pregressa omologazione di un “Accordo”. Né appare ipotizzabile sostenere che il principio dettato dall’art. 69-bis, co.2, L. fall. dovrebbe essere affermato – una volta attribuita natura di “procedura concorsuale” anche all’istituto disciplinato dall’art. 182-bis, L. fall. – anche con riguardo alla sequenza “Accordo di Ristrutturazione – fallimento”[35]. Ciò comporterebbe infatti: (i) l’assoggettamento alle azioni revocatorie fallimentari degli atti di disposizione ricompresi nel “periodo sospetto” anteriore all’apertura del procedimento di “Accordo”, e conseguentemente a ciò (ii) il non–assoggettamento alle azioni revocatorie fallimentari degli atti di disposizione posti in essere, invece, successivamente all’apertura del procedimento di “Accordo”: in un contesto, peraltro, nel quale (i) nessun limite alla disponibilità del patrimonio dell’imprenditore è previsto; e (ii) nessun controllo sulla gestione dell’impresa è operato da chicchessia [36]. Si correrebbe il rischio, dunque, di vedere “consolidati” gli effetti di atti di disposizione patrimoniale financo aberranti. 
Per un altro verso, occorre tenere conto del disposto dell’art. 182-quinquies, co. 5 e co. 6, L. fall. Tale disciplina dimostra che la natura giuridica di “Accordo” e Concordato preventivo non è la medesima: e poiché nessuno dubita che il Concordato preventivo abbia natura di procedura concorsuale, se ne ricava agevolmente l’esclusione di tale natura per ciò che concerne gli Accordi di Ristrutturazione. 
Come già segnalato, le disposizioni del comma 5) e 6) dell’art. 182-quinquies L. fall. presentano un identico contenuto, tranne l’ultima parte del comma 6 (assente nel comma 5), secondo la quale “in tal caso [intervento dell’autorizzazione giudiziale] i pagamenti effettuati non sono soggetti all’azione revocatoria di cui all’articolo 67” [37].
L’autorizzazione giudiziale in questione può riguardare dunque tanto le imprese ammesse al Concordato preventivo, quanto le imprese impegnate nel perfezionamento di un Accordo di Ristrutturazione: ma la considerazione dei differenti effetti prodotti dall'autorizzazione giudiziale nelle due fattispecie dimostra come il Concordato preventivo possa essere definito "procedura concorsuale" – come tale caratterizzata, inter alia: (i) dal divieto del pagamento dei debiti pregressi; e (ii) dalla determinazione del dies a quo di decorrenza del "periodo sospetto" a fini revocatori dalla data di apertura della procedura di Concordato –; mentre per lo "Accordo" si debba pervenire ad una conclusione opposta.
La esenzione dall’azione revocatoria di cui all’art. 67 L. fall. non è prevista per i pagamenti dei “fornitori strategici” effettuati dall’imprenditore ammesso al Concordato, perché in caso di successivo fallimento consecutivo la azione revocatoria fallimentare investe il “periodo sospetto” anteriore alla prima procedura consecutiva (cfr. art. 69-bis, co. 2, L. fall.), quindi non può investire i pagamenti successivi alla sua apertura. Tali pagamenti, dunque, o sono “legittimi”; ovvero non lo sono, e come tali risultano semplicemente inopponibili alla procedura ed al fallimento consecutivo (ma non certamente revocabili)[38].
La esenzione dall’azione revocatoria può invece a ragion veduta essere disposta per i pagamenti effettuati nel corso di un procedimento di composizione negoziale della crisi d’impresa - sfociato in un fallimento - che non abbia natura di “procedura concorsuale”, per la ragione che:
(i)         il “periodo sospetto” decorre a ritroso dall’apertura del fallimento, e quindi ha l’attitudine ad investire i pagamenti de quibus; e
(ii)       l’essere stati effettuati nel corso o in esecuzione di un procedimento di composizione negoziale della crisi d’impresa accentua il rischio della soccombenza in sede revocatoria.
Per tali ragioni il comma 5 dell’art. 182-quinquies, che disciplina i pagamenti (di crediti anteriori all’apertura della procedura) effettuati nel corso del Concordato preventivo – che è una “procedura concorsuale” – si disinteressa del rischio revocatorio (assente, per le ragioni sopra specificate): il ché dimostra che l’autorizzazione giudiziale è funzionale a superare un divieto altrimenti impeditivo dei pagamenti (ed infatti nel Concordato preventivo il pagamento dei crediti pregressi è vietato).
Sempre per tali ragioni il comma 6 della norma in discussione, che disciplina i pagamenti (di crediti pregressi) effettuati nel corso dell’Accordo di ristrutturazione, si preoccupa del pericolo revocatorio perché nel fallimento successivo i pagamenti de quibus vi sarebbero soggetti[39]: il ché dimostra che essi, per altro verso, sono “legittimi” (per chi intendesse porli in essere senza preoccupazioni di conseguire una “esenzione” dalla revocatoria, ovvero ritenesse sufficiente la protezione assicurata dall’art. 67, co. 3, lett. e) L. fall.), con una conclusione che è coerente soltanto con la negazione all’Accordo ex art. 182-bis L. fall. della natura di “procedura concorsuale”.
Pare opportuno infine segnalare – richiamando tutte le ragioni già sviluppate che inducono a preferire la soluzione condivisa un tempo dal Tribunale di Milano, ed ora, come detto, dallo stesso abbandonata[40] – che secondo la decisione più recente di questo Tribunale “il miglior argomento che illumina la riscontrata similitudine tra il 182-bis e il Concordato preventivo [starebbe] . . . nella c.d. possibilità di switch” tra le due procedure (cfr. artt. 182-bis, co. 2 e art. 161, co. 9 L. fall.)[41].             
Ebbene, se si legge l’art. 9, co. 5-bis, D.L. 8 aprile 2020, 23 (c. d. “decreto liquidità”) si deve prendere atto che: “Il debitore che, entro la data del 31 dicembre 2021, ha ottenuto la concessione dei termini di cui all'articolo 161, sesto comma, o all'articolo 182-bis, settimo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, può, entro i suddetti termini, depositare un atto di rinuncia alla procedura, dichiarando di avere predisposto un piano di risanamento ai sensi dell'articolo 67, terzo comma, lettera d), del medesimo regio decreto n. 267 del 1942, pubblicato nel registro delle imprese, e depositando la documentazione relativa alla pubblicazione medesima. Il tribunale, verificate la completezza e la regolarità della documentazione, dichiara l'improcedibilità del ricorso presentato ai sensi dell'articolo 161, sesto comma, o dell'articolo 182-bis, settimo comma, del citato regio decreto n. 267 del 1942.
Talepossibilità di switch”, valorizzata dal révirement del Tribunale di Milano, oggi caratterizza quindi anche i rapporti tra Piano Attestato di Risanamento e Concordato preventivo: il ché però non dovrebbe consentire di qualificare “procedura concorsuale” anche il Piano Attestato di Risanamento [42]! 
Nella stessa direzione – di suggerire una valutazione critica del revirement di cui è stato protagonista il Tribunale di Milano nella materia in esame – potrebbe orientare la considerazione della più recente decisione di questo stesso giudice[43], che ha respinto l’istanza tesa ad ottenere la pronuncia di un provvedimento giudiziale di cessazione della procedura di “Accordo di Ristrutturazione” ai sensi dell’art. 182-bis L. fall., rimarcando “differenze ontologiche” tra la stessa e la procedura di Concordato preventivo. Secondo tale decisione, infatti, “rilevato che la concorsualità crescente del 182-bis è stata riconosciuta da questo stesso Tribunale recentemente in più occasioni (cfr. Trib. Milano 21.11.2019 Pres. Est. Paluchowski), ma che essa in sé non fa propendere per la necessità di un provvedimento di chiusura formale (tanto è vero che non esiste nemmeno nel concordato preventivo che concorsuale è certamente), si deve affermare poi che la c.d. interscambiabilità, sino ad ora, si limita alla fase anteriore alla presentazione della proposta piena in caso di 161 sesto comma e di 182-bis sesto comma, ovvero la possibilità di switch, cioè di mutare direzione e dove era presente un progetto di concordato presentare una proposta di accordo di ristrutturazione e, viceversa, dove era un automatic stay di presentare un concordato preventivo. Ma la interscambiabilità sta a significare solo che per il legislatore è equivalente che si contrasti la crisi con un concordato o con un accordo di ristrutturazione, (ambedue pacificamente procedure di composizione della crisi dotate di un grado diverso di concorsualità). 
Va constatato, inoltre, che ciò non fa venire meno le differenze ontologiche fra le due procedure. Il 182-bis condivide e si ispira per sua natura all’accordo preconfezionato anglosassone, per cui prima è redatto e concluso senza alcun rilevante intervento giurisdizionale o di controllo (salvo il procedimento interinale di 182-bis sesto comma per l’automatic stay) e, dopo l’omologa, si esegue in totale solitudine da parte della proponente rispetto al Tribunale, ai suoi organi ed al controllo giurisdizionale[44].

Note:

[1] 
In questo senso FABIANI, Il diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., p. 544; In argomento v. anche supra, testo e nota 3). 
In tale contesto è giudicata contraddittoria la previsione della possibilità di chiusura della procedura di L.C.A. attraverso l’approvazione di un Concordato di liquidazione (art. 214 L. fall.; art. 314. c. crisi impr.), dal momento che tale istituto potrebbe comportare la prosecuzione dell’attività esercitata dall’impresa assoggettato alla L.C.A. (FABIANI, op. loc. ultt. citt) – peraltro, inevitabilmente, all’insegna di una innegabile discontinuità rispetto al passato -. 
[2] 
Art. 80, comma 6, t.u.l.b.c.; art. 57, comma 3, Testo Unico della Finanza; art. 245, comma 7, Codice delle Assicurazioni. 
[3] 
Vale a dire che “la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale preclude la L.C.A., e il provvedimento che ordina la L.C.A. preclude l’apertura della liquidazione giudiziale”: in argomento BONFANTE, Codice della crisi e dell’insolvenza. La liquidazione coatta amministrativa (in Giur.it, 2019, p. 1943); cit., p. 1943 ss; FAUCEGLIA, Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, Giappichelli, Torino, 2019, p. 206; D’ATTORRE, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, Giappichelli, 2021, p. 393.
[4] 
In argomento, BONFATTI, Commento all’articolo 196, in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di NIGRO, SANDULLI e SANTORO, I, Torino, Giappichelli, 2010, p. 2388 ss. 
[5] 
Il tenore dell’art. 196 L. fall., che pone a confronto “la dichiarazione di Corte di fallimento” con “il provvedimento di liquidazione coatta amministrativa”, lasciava aperto il problema di quando si consideri “aperta” l’una o l’altra procedura.
Con riferimento al fallimento, il problema è oggi risolto dal novellato art. 16, co. 2, L. fall., secondo il quale “la sentenza” (dichiarativa di fallimento) “produce i suoi effetti dalla data della pubblicazione ai sensi dell’art. 133, primo comma, del codice di procedura civile” (nota COSTA, Commento agli articoli 2 e 3, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da JORIO e coordinato da FABIANI, Zanichelli, Bologna, 2007, p. 70 ss., come la scelta del legislatore della riforma sia stata nel senso di accogliere l’orientamento già manifestato dalla Cassazione: Cass., 7 luglio 1981, n. 4434, in Giur. comm., 1982, II, 637 - vale a dire dal momento del deposito in cancelleria -).
Per quanto riguarda la liquidazione coatta amministrativa, ci si domanda se il momento al quale si debba fare riferimento sia quello del decreto che dispone la liquidazione ovvero quello della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Anche per ragioni di coerenza con l’interpretazione prevalente in tema di produzione di effetti (artt. 200 e 201), deve ritenersi che il momento rilevante sia quello della adozione del decreto, e non già quello della sua pubblicazione (in questo senso, del resto, si era espressa in prevalenza la giurisprudenza di merito: si veda Trib. Napoli, 20 febbraio 29868, in Dir. fall., 1968, II, 422; App. Bologna, 16 ottobre 1993, in Fallimento, 1994, p. 218. Nello stesso senso anche COSTA, op. cit., p. 75, il quale argomenta anche dal testo dell’art. 197, che stabilisce una netta distinzione tra la data del provvedimento e quella della sua pubblicazione. Contra: STALLA, La liquidazione coatta amministrativa, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, diretto da PANZANI, V, Torino, UTET, 2000, p. 228).
La regola della “prevenzione” non ha mancato di porre agli interpreti molteplici interrogativi in merito alla sua concreta applicazione, soprattutto con riferimento alle seguenti ipotesi:
a) possibilità di procedere alla apertura di una procedura nel caso in cui sia stata già erroneamente aperta l’altra;
b) quid iuris nel caso in cui la seconda venga comunque aperta, nonostante la pendenza della prima;
c) quid iuris, per il caso in cui tanto l’autorità giudiziaria che quella amministrativa si ritengano non competenti a, rispettivamente, dichiarare il fallimento ovvero disporre l’apertura della liquidazione coatta per considerare ciascuno l’impresa sottoponibile alla procedura di competenza dell’altra autorità (conflitto negativo); ovvero, per il caso inverso, in cui ciascuna autorità ritenga sussistere la propria competenza escludendo che l’impresa sia assoggettabile alla procedura governata dall’altra (conflitto positivo) – in argomento v. ARMELI, Liquidazione coatta amministrativa, cit. -.
[6] 
Secondo BONFANTE, Codice della crisi e dell’insolvenza ecc., cit., p. 1943 ss., “la novità più rilevante (della disciplina della l.c.a. disposta dal “Codice”) è forse costituita dall’articolo 296 che prevede per le imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa la possibilità di essere ammessa alla procedura di concordato preventivo. In termini analoghi, a quanto è dato da comprendere, GUERRIERI, Il nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza, in N. leggi civ., 2019, p. 850. Tuttavia, in realtà, il principio de quo pare costituire la riproduzione dell’art. 3 L. fall. 
[7] 
Secondo D’ATTORRE, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., p. 393, “pur nella tendenziale compatibilità tra l.c.a. e concordato preventivo, salva diversa disposizione di legge, resta escluso che le due procedure possano coesistere nello stesso tempo e resta così da verificare quale possa essere la successione cronologica tra le stesse. È indubbio che l’impresa possa essere ammessa al concordato preventivo solo prima dell’apertura della l.c.a. e non anche quando la procedura amministrativa sia stata già aperta. Più complesso è il tema dell’eventuale effetto preclusivo dell’ammissione alla procedura di concordato preventivo rispetto alla successiva apertura della liquidazione coatta amministrativa. Il problema non può essere risolto in via generale e omnicomprensivo, attesa la pluralità dei possibili presupposti oggettivi alla base dell’apertura della procedura di l.c.a., alcuni dei quali coincidono con quelli alla base del concordato preventivo, mentre altri se ne differenziano in modo radicale. L’ammissione al concordato preventivo non preclude certamente l’apertura della l.c.a. disposta dall’autorità amministrativa per motivi diversi rispetto all’insolvenza o all’insufficienza di attivo. Se, infatti, si attribuisse effetto preclusivo al concordato preventivo in questi casi, si priverebbe l’autorità amministrativa del proprio dovere-potere di eliminare dal mercato le imprese che, pur non essendo in crisi economica, svolgono la propria attività in modo irregolare o possono comunque pregiudicare gli interessi pubblici. L’ammissione al concordato preventivo preclude, invece, l’eventuale apertura della l.c.a. basata sull’insolvenza o sull’insufficienza dell’attivo. Se è vero che in questo modo la gestione della crisi è sottratta all’autorità amministrativa, è la stessa compatibilità delle due procedure a rendere possibile questo esito, evidentemente consentito dal legislatore”. 
[8] 
In argomento BONFATTI, Amministrazione Straordinaria, in Enciclopedia del Diritto, Milano, Giuiffrè, 2017; ID., L’Amministrazione Straordinaria delle grandi imprese insolventi, in BONFATTI e CENSONI, Lineamenti di diritto fallimentare, II^ ed., Padova, CEDAM, 2017, p. 400 ss.
[9] 
BONFATTI, Amministrazione Straordinaria, cit.; ID., L’Amministrazione Straordinaria delle imprese di rilevanti dimensioni in stato di insolvenza, in BONFATTI e CENSONI, Lineamenti di diritto fallimentare, cit., p. 397 ss. 
[10] 
Va da sé, peraltro, che in questo modo anche tutte le altre imprese (di rilevante dimensione) che si sarebbero trovate e si troveranno nelle condizioni di Alitalia potranno accedere all’Amministrazione Straordinaria “speciale”, benché non posseggano in ipotesi i requisiti originariamente necessari. 
[11] 
FABIANI, op. ult. cit., p. 545. In senso diverso conclude invece D’ATTORRE, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., p. 394, secondo il quale “per quanto riguarda i rapporti tra l.c.a. e amministrazione straordinaria delle imprese in stato di insolvenza, possono richiamarsi le considerazioni svolte con riferimento alla liquidazione giudiziale, atteso che l’ammissione all’amministrazione straordinaria è riservata alle imprese soggette a liquidazione giudiziale che presentino determinati requisiti dimensionali. Pertanto, se la legge assoggetta un’impresa a l.c.a. con esclusione della liquidazione giudiziale, è esclusa anche l’applicazione delle procedure di amministrazione straordinaria; se, al contrario, un’impresa è assoggettabile a l.c.a. senza esclusione della liquidazione giudiziale, è consentita, nella ricorrenza dei requisiti di legge e nel rispetto del principio della prevenzione, la sua assoggettabilità anche all’amministrazione straordinaria”. 
[12] 
Nel vigore della legge fallimentare si può dubitare che la Convenzione di moratoria costituisca un istituto giuridico a sé, piuttosto che rappresentare una forma di “Accordo di Ristrutturazione” “con intermediari finanziari” (ovverosia “ad efficacia estesa”), stante la comune collocazione nell’art. 182-septies L. fall. Domani l’autonomia della “Convenzione” rispetto agli “Accordi” – già richiamabile nel vigore della legge fallimentare (BONFATTI, Le nuove procedure di composizione negoziale delle crisi d’impresa: Piani attestati di risanamento e Accordi di Ristrutturazione, in Dir. banc., 2018) – non potrà più essere in discussione, stante l’autonomia anche della collocazione normativa (l’art. 62 c. crisi impr., per l’appunto). 
[13] 
Nonché in una condizione di insolvenza tout court, per chi ritenesse utilizzabile l’istituto disciplinato dall’art. 56 c. crisi impr. anche da parte delle imprese versanti in situazioni di crisi irreversibili: v. in argomento D’ATTORRE, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, Giappichelli, 2021, p. 54 ss.; FAUCEGLIA, Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, Giappichelli, 2019, p. 46. 
[14] 
In argomento v. BONFATTI, La disciplina delle situazioni di “crisi” degli intermediari finanziari, Milano, Giuffrè, 2021, p. 13. 
Sull’istituto, in termini generali, v. ora SANTANGELI, Il piano attestato di risanamento ex art. 56 d. lg. n. 14/2019 a seguito del correttivo, in Diritto della crisi, 2021. 
[15] 
Si allude al caso del c.d. “Gruppo Delta”, in occasione del quale si è ritenuto omologabile lo “Accordo di Ristrutturazione” stipulato ai sensi degli art. 182-bis ss L. fall. (corrispondenti agli artt. 57 ss. C.C.I.) da parte di intermediari bancari e finanziari: Trib. Bologna, 17 novembre 2021, in Fallimento, 2021, p. 594. In argomento v. S. BONFATTI, La disciplina delle situazioni di “crisi” degli intermediari finanziari, cit., p. 16.
In termini generali G. D’ATTORRE, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., p. 394, afferma che “discorso analogo a quello del concordato preventivo vale anche per gli accordi di ristrutturazione dei debiti, ai quali può far ricorso anche l’impresa per la quale la legge speciale prevede l’assoggettamento a l.c.a., salvo diversa previsione legislativa”. 
[16] 
Supra, n. 2. Con riguardo agli intermediari finanziari non bancari opera tuttavia un “distinguo”, GESMUNDO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Metamorfosi di una procedura concorsuale (in Giur. comm., 2019, II, p. 762 ss., spec. 776 ss.), secondo il quale il richiamo, da parte dell’art. 57, co. 3, t.u. fin., dell’art. 80, co. 3, t.u. bancario [rectius: dell’art. 80, co. 6, t.u. bancario], che esclude l’applicabilità alle banche di procedure concorsuali diverse dalla L.C.A. bancaria, opererebbe soltanto “in quanto compatibile”: da cui la conclusione favorevole a ritenere applicabile agli intermediari finanziari non bancari la “procedura concorsuale” (perché ritenuta tale) degli Accordi di ristrutturazione (nulla però si dice della “procedura concorsuale” del Concordato preventivo). Occorre peraltro notare che la condizione di “compatibilità” della possibile applicabilità, contenuta nell’art. 57, co. 3, t.u. fin., non è rivolta al principio generale affermato dall’art. 80, co. 6, t.u. bancario, bensì a tutte le disposizioni del T.U.B. (decine) alle quali si rinvia “in quanto compatibili”: ben altre, quindi, potrebbero essere quelle che giustificano la “riserva” di compatibilità. 
[17] 
Cass., 18 gennaio 2018, n. 1182; Cass., 25 gennaio 2018, n. 1896; Cass., 24 maggio 2018, n. 12965 (in Giur. comm., 2019, II, 757, con nota di GESMUNDO, Gli accordi di ristrutturazione ecc., cit.); Cass., 12 aprile 2018, n. 9087, in Corr. giur., 2019, p. 1379, con nota di POMPILI, In tema di natura giuridica degli accordi di ristrutturazione; in Fall., 2018, p. 984, con nota di TRENTINI, Gli accordi di ristrutturazione sono una “procedura concorsuale”: la Cassazione completa il percorso
[18] 
Vedi, tra le molte decisioni conformi assunte in argomento da questo Tribunale, Trib. Reggio Emilia, 19 ottobre 2017, n. 5616; Trib. Reggio Emilia, 22 marzo 2018, n. 1740; Trib. Reggio Emilia, 14 febbraio 2019, n. 1039. Cfr. inoltre Trib. Roma, 27 febbraio 2019 – in Fallimento, 2019, 1330 ss. -; Trib. Milano, 20 dicembre 2018 – ivi, p. 1333 ss. (ma successivamente smentito dalla pronuncia 4 dicembre 2019 n. 11164/2019, in www.ilcaso.it / giurisprudenza /archivio / 22979.pdf, commentata nel testo); Trib. Verona, 16 febbraio 2015 (in www.ilcaso.it, sez. Giurisprudenza, 12123 - pubbl. 19 febbraio 2015); Trib. Bologna, 17 novembre 2011 (in www.ilcaso.it, 2011; in Dir. fall., 2012, 1, 2, 64); Trib. Modena, Sez. fall., 19 novembre 2014; Trib. Milano, 10 novembre 2016 (in www.ilcaso.it, Sez. Giurisprudenza, 16336 - pubbl. 6 dicembre 2016); Trib. Forlì, 5 maggio 2016(in www.ilcaso.it, Sez. Giurisprudenza, 15392 - pubbl. 5 luglio 2016); App. Firenze, 7 aprile 2016 (in www.ilcaso.it.www.ilcaso.it, Sez. Giurisprudenza, 14807 - pubbl. 20 aprile 2016).
[19] 
BONFATTI, Piani attestati, Accordi di ristrutturazione e crediti prededucibili, in Dir. banca, 2018, II, p. 166; ID., Estraneità degli Accordi di ristrutturazione alla “sfera della concorsualità, in materia di prededuzione, in www.ilcaso.it, settembre 2018; ID., I “cerchi concentrici” della concorsualità e la prededuzione dei crediti (“o dentro o fuori”?), in www.ilcaso.it, giugno 2018; ID., Ancora sulla natura giuridica degli “Accordi di Ristrutturazione, in www.ilcaso.it, febbraio 2018; ID., La natura giuridica dei “Piani di Risanamento Attestati” e degli “Accordi di Ristrutturazione”, in www.ilcaso.it, gennaio 2018; e in Diritto della banca e del mercato finanziario, 2018 (1), p. 175; ID., La natura giuridica degli accordi di ristrutturazione, in www.ilcaso.it, Gennaio 2018; ID., Prededuzione dei finanziamenti bancari tra “consecutio” e natura del procedimento, in Riv .dir. banc., 2017. 
La esclusione della natura di “procedura concorsuale” dello “Accordo di Ristrutturazione” anche alla luce delle recentissime modifiche legislative è confermata da M. FABIANI, L’ipertrofica legislazione concorsuale tra nostalgie e incerte contaminazioni ideologiche, in www.ilcaso.it; ID, L'emancipazione della prededuzione dalle categorie processuali e i riflessi sui concordati di liquidazione, in Riv. dir. comm., 2020, 443. In precedenza v. per tutti B. INZITARI, La disciplina della crisi nel Testo Unico Bancario, in Quaderni di Ricerca Giuridica della Banca d’Italia, n. 75, Roma, 2014; e D’AMBROSIO, Accordi di ristrutturazione e transazione fiscale, in Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto da FAUCEGLIA e PANZANI, IV, Torino 2009, p. 1802 ss. In termini critici anche ARATO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti tra la giurisprudenza della Cassazione e il Codice della crisi e dell’insolvenza, in Dir. Banca, 2019 (3), I, p. 415 ss.
[20] 
V. ad esempio la questione della applicabilità anche agli “Accordi” dell’art. 162, co. 1, L. fall., dettato in materia di Concordato preventivo, laddove prevede che il Tribunale possa concedere al debitore (che abbia presentato una domanda di ammissione al Concordato preventivo) un termine non superiore a 15 giorni per apportare integrazioni al Piano e produrre nuovi documenti. Tale fattispecie ha occasionato la decisione di Cass., 12 aprile 2018, n. 9087, che dall’esempio del caso di specie (ritenuta applicabilità (agli Accordi di Ristrutturazione, “semmai in via estensiva o analogica”, della facoltà prevista - per il Concordato preventivo - dall’art. 162, co. 1, L. fall.), ha ricavato l’assimilabilità in generale dell’Accordo di Ristrutturazione alle “Procedure concorsuali”. 
[21] 
Trib. Bologna, 17 novembre 2011, in Fallimento, 2012, p. 594.
[22] 
Cass., 18 gennaio 2018, n. 1182; Cass., 25 gennaio 2018, n. 1896; Cass., 24 maggio 2018, n. 12965 (in Giur. comm., 2019, II, 757, con nota di GESMUNDO, Gli accordi di ristrutturazione ecc., cit.); Cass., 12 aprile 2018, n. 9087, con nota di POMPILI, In tema di natura giuridica degli accordi di ristrutturazione, in Corr. giur., 2019, 1379; in Fall., 2018, p. 984, con nota di TRENTINI, Gli accordi di ristrutturazione sono una “procedura concorsuale”: la Cassazione completa il percorso. V. anche Cass., 8 maggio 2019, n. 12064 (in Fallimento, 2019, 1327), in materia di sindacato giurisdizionale sul “Piano” sotteso allo Accordo di Ristrutturazione. 
[23] 
Cass., 12 aprile 2018, n. 9087. 
[24] 
La esclusione della natura di “procedura concorsuale” dello “Accordo di Ristrutturazione” anche alla luce delle recentissime modifiche legislative è confermata da FABIANI, L’Ipertrofica legislazione concorsuale tra nostalgie e incerte contaminazioni ideologiche, in www.ilcaso.it; ID, L'emancipazione della prededuzione dalle categorie processuali e i riflessi sui concordati di liquidazione, in Riv. dir. comm., 2020, p. 443. In precedenza v. per tutti INZITARI, La disciplina della crisi nel testo Unico Bancario, in Quaderni di Ricerca Giuridica della Banca d’Italia, n. 75, Roma, 2014; e D’AMBROSIO, Accordi di ristrutturazione e transazione fiscale, in Fauceglia e Panzani (diretto da), Fallimento e altre procedure concorsuali, IV, Torino 2009, p. 1802 ss. In argomento v. più diffusamente infra, nel testo.
[25] 
Trib. Reggio Emilia, 19 ottobre 2017, n. 5616; Trib. Reggio Emilia, 22 marzo 2018, n. 1740; Trib. Reggio Emilia, 14 febbraio 2019, n. 1039. Cfr. inoltre Trib. Roma, 27 febbraio 2019 – in Fallimento, 2019, 1330 ss. -; Trib. Milano, 20 dicembre 2018 – ivi, 1333 ss. (ma successivamente smentito dalla pronuncia 4 dicembre 2019 n. 11164/2019, in www.ilcaso.it / giurisprudenza /archivio / 22979.pdf, commentata nel testo, n. 11 – supra, nota 19) -.
[26] 
Trib. Milano, 4 dicembre 2019, cit. 
[27] 
Per ciò che concerne l’argomento ricavato dal tenore del Regolamento CE 848/2015 si riportano le convincenti considerazioni, al proposito, di Trib. Milano, 10 novembre 2016 (in www.ilcaso.it, Sezione Giurisprudenza, 16336 – pubbl. 6 dicembre 2016), secondo la quale “... è ben vero che diffuse sono le voci che riconducono gli accordi di ristrutturazione nell’ambito delle procedure concorsuali sulla base di vari argomenti … 4) recente inserimento degli A.d.R. nel Regolamento CE n. 848/2015; ma …anche l’inserimento degli A.d.R. nel Regolamento CE sulle procedure di insolvenza si giustifica con la finalità della nuova disciplina di operare un notevole ampliamento del proprio campo di applicazione (anche alle procedure non caratterizzate dallo spossessamento del debitore; alle procedure di sovraindebitamento; alle procedure secondarie aventi carattere non meramente liquidatorio ma anche di ristrutturazione), in un’ottica – espressa dalla Comunicazione COM(2015) 468 contenente il “Piano di azione per la creazione dell'Unione dei mercati dei capitali” – che mira alla “convergenza delle procedure di insolvenza e di ristrutturazione”, allo scopo di favorire “la tempestiva ristrutturazione di imprese vitali in difficoltà finanziarie” (paragrafo 6.2), e quindi in un’ottica che non risulta quella necessariamente concorsuale stricto sensu…” (ragione per cui) “sia pure in un quadro normativo profondamente mutato, sembra da confermarsi l’opinione espressa da Trib. Bologna, 17 novembre 2011, nel momento in cui ha ritenuto ammissibile il ricorso all’accordo di ristrutturazione da parte di una società esercente attività di intermediazione finanziaria ai sensi dell’art. 113 d.lg. 385/1993 (anche se in Amministrazione straordinaria)". 
[28] 
Secondo GESMUNDO, op. cit., p. 777, l’analisi della disciplina dell’istituto delineata negli schemi dei decreti legislativi di attuazione della legge delega sulla riforma del diritto concorsuale dimostra che la soluzione adottata dalla Corte di Cassazione, se non è perfettamente in linea con la visione della dottrina maggioritaria, “è destinata a diventare inevitabile con la introduzione della normativa prevista dalla riforma in corso”: la previsione di un unico procedimento di ammissione, dichiarazione e omologazione, per tutte le procedure, gli strumenti di soluzione concordata della crisi e gli accordi, “elimina alla radice il problema della classificazione, delle une e degli altri, come “procedure concorsuali”. 
Tale analisi non è peraltro più attuale – nel passaggio dagli “schemi dei decreti legislativi” al decreto legislativo delegato –, sia per le ragioni precisate nel testo; sia perché non sussiste più “un unico procedimento di ammissione…” per gli Accordi di ristrutturazione ed il Concordato preventivo, potendo i primi, come oggi, anche in futuro, essere conclusi in assenza di qualsiasi procedimento preliminare di “ammissione”, o cosa che sia.
[29] 
Né a diversa conclusione è dato pervenire laddove si considerino le figure particolari di “Accordo” che saranno costituite dagli “Accordi agevolati” (art. 60 C.C.I.) e dagli Accordi “ad efficacia estesa” (art. 61 C.C.I.). Con riguardo ai secondi, infatti, il fattore rappresentato dall’efficacia vincolante della maggioranza (qualificata) dei creditori rispetto ai creditori (omogenei) dissenzienti, che viene invocato come elemento espressivo di una contiguità dell’istituto al Concordato preventivo, deve essere fortemente ridimensionato dalla previsione della condizione del soddisfacimento “non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale” - laddove nel Concordato preventivo la maggioranza (semplice) vincola la minoranza (anche non omogenea) nonostante l’eventuale maggior convenienza (economica) dell’apertura del fallimento (potendo fare valere interessi anche diversi, e non necessariamente comuni ai creditori dissenzienti) -. Quanto agli “Accordi agevolati”, poi, si tratta di un istituto caratterizzato dalla totale mancanza di effetti (neppure quelli della “moratoria coatta”) nei confronti della stragrande maggioranza (70%) dei creditori: dove sia rintracciabile un “concorso”, in tale contesto, è davvero difficile stabilire (in argomento ZANICHELLI, Prededuzione dei crediti tra interpretazioni attuali (incerte) e possibili soluzioni future, in Fallimento, 2020, p. 553 ss.).
[30] 
Infra, nel testo.
[31] 
Cass., 25 gennaio 2018, n. 1895 (in Riv. Dir. Banc., 2018, I, 167 ss., con nota di BONFATTI, La natura giuridica dei “Piani di Risanamento Attestati” e degli “Accordi di Ristrutturazione”; e in Fallimento, 2018 (3), p. 285, con nota di FABIANI, La nomenclatura delle procedure concorsuali e le operazioni di ristrutturazione).
[32] 
Supra, nel testo.
[33] 
Non hanno alcuna utilità, infatti, “effetti protettivi” che si producano al momento del deposito dello “Accordo” ex art. 182-bis per la omologazione – come sono quelli qui considerati -: per la semplice considerazione che in questo momento l’imprenditore non ha più alcun creditore da cui proteggersi! Non i creditori aderenti, in quanto vincolati dall’adesione alla proposta di “Accordo”; e non i creditori estranei, perché in procinto di essere pagati (come l’art. 182-bis impone) subito dopo l’omologa!
[34] 
L’autorizzazione invece non è funzionale a conseguire una qualche forma di “esenzione” dalla revocatoria (in effetti non prevista), in quanto gli atti posti in essere dopo l’ammissione al Concordato o sono opponibili; o sono inopponibili. Non possono essere revocabili, neppure in astratto, visto che tali sono, a seguito dell’eventuale fallimento successivo, gli atti compiuti prima dell’apertura del Concordato (art. 69-bis, co, 2, L. fall.), non quelli compiuti dopo.
[35] 
Come ipotizzerebbe, invece GESMUNDO, Gli accordi di ristrutturazione ecc., cit., p. 766.
[36] 
Infatti il termine della decorrenza a ritroso del “periodo sospetto” può iniziare a ricorrere (a ritroso, per l’appunto) o dall’apertura del procedimento di “Accordo” – senza potere coinvolgere gli atti di disposizione successivi –; o dall’apertura del fallimento consecutivo – potendo così, invece, coinvolgere gli atti di disposizione (precedenti il fallimento, ma) successivi all’apertura del procedimento di “Accordo”.
[37] 
È (anche) questa differenza che dimostra come al Concordato preventivo la natura di procedura concorsuale sia certamente attribuibile, mentre all’Accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis. L. fall. debba essere negata.
[38] 
In questi termini, esattamente, ora, Cass., 13 luglio 2018, n. 18729, secondo la quale “poiché gli effetti del decreto di apertura del concordato preventivo retroagiscono alla data di presentazione della domanda di ammissione alla procedura, in caso di successivo fallimento i pagamenti eseguiti dall'imprenditore dopo il deposito della domanda di ammissione al concordato, ma prima dell'emissione del decreto di apertura della procedura, sono inefficaci ai sensi dell'art. 167 L. fall. e non risultano soggetti a revocatoria fallimentare pur se rientranti nel c.d. periodo sospetto”. 
[39] 
Trattasi insomma di una ennesima fattispecie di “esenzione” dall’azione revocatoria, che sarebbe stato preferibile disciplinare nella sede propria (per es. nel contesto dell’art. 67, co. 3, L. fall.). 
[40] 
Supra, testo e note 19 e 26. 
[41] 
Su cui v. PANZANI, Il mondo alla rovescia ovvero il passaggio dal concordato o accordo di ristrutturazione con riserva al piano attestato: l’originale “invenzione” del legislatore, in www.dirittobancario.it, giugno 2020; ZANICHELLI, Da domanda prenotativa a pieno attestato: un’interpretazione dissonante o, in alternativa, una proposta, in Diritto della Crisi, 2021.
[42] 
In prospettiva dovranno essere valutati i possibili effetti conseguenti al recepimento – che dovrebbe essere apprestato entro il 17 giugno 2021 – della direttiva comunitaria 2019/1023 del giugno 2019, concernente i quadri di ristrutturazione preventiva (“preventive restructuring frameworks”) – su cui v., da ultimo, PANZANI, Il preventive restructuring frameworks nella Direttiva 2019/1023 del 20 giugno 2019 e il Codice della Crisi. Assonanze e dissonanze, in www.dirittobancario.it, Ottobre 2019: ma al momento non sono disponibili elementi per ipotizzare se, quando e come l’argomento verrà affrontato a tale proposito.
[43] 
Trib. Milano, 18 marzo 2021, in Diritto della crisi, 2021.
[44] 
Non diversamente la decisione, anch’essa assai recente, di Trib. Rimini, 21 gennaio 2021 (in www.unijuris.it, 2021), afferma che “in sede di accordo di ristrutturazione dei debiti… avente natura liquidatoria in quanto consistente nella vendita dell’intero asset immobiliare facente capo al proponente, non può trovare accoglimento la domanda con la quale questi richieda al tribunale che, verificata la regolare esecuzione di tale accordo, lo stesso ordini, con applicazione analogica del disposto dell’art. 136, terzo comma, L. fall., la cancellazione delle ipoteche volontarie iscritte sui beni oggetto di cessione a favore dei creditori bancari; ciò in quanto a seguito dell’omologazione si esaurisce l’attività di controllo e sorveglianza demandata dalla legge fallimentare al tribunale, essendo l’esecuzione dell’accordo intervenuto con i creditori una fase sottratta alla competenza giudiziale e di natura esclusivamente privatistica”.

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  • 4. limitazione: i dati saranno archiviati, ma non potranno essere né trattati, né elaborati ulteriormente, nei casi previsti dalla normativa;
  • 5. portabilità: spostare, copiare o trasferire i dati dai database delle Società a terzi. Questo vale solo per i dati forniti dall’interessato per l’esecuzione di un contratto o per i quali è stato fornito consenso e espresso e il trattamento viene eseguito con mezzi automatizzati;
  • 6. opposizione al marketing diretto;
  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

Dati di contatto - Società per lo studio del diritto della crisi con sede in via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN); email: ssdirittodellacrisi@gmail.com.

Responsabile della protezione dei dati - Il Responsabile della protezione dei dati non è stato nominato perché non ricorrono i presupposti di cui all’art 37 del Regolamento (UE) 2016/679.

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del trattamento dei dati personali

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