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Considerazioni critiche sulle condizioni soggettive per l’esdebitazione nel Codice della crisi

Giuseppe Angiolillo, Avvocato in Mantova

5 Settembre 2023

L’Autore affronta la spinosa tematica del presupposto oggettivo dell’esdebitazione del sovraindebitato.
Riproduzione riservata
1 . Premessa e inquadramento della questione
L'esdebitazione costituisce una delle più importanti novità della legislazione in materia concorsuale degli ultimi anni. 
Si tratta, in sintesi, della liberazione dei debiti, rimasti insoddisfatti nell’ambito di una procedura di liquidazione giudiziale o di liquidazione controllata, conseguita dal debitore, ricorrendo determinati presupposti, a seguito di una dichiarazione giudiziale di inesigibilità.
Non rientrano, tecnicamente, nella sfera della esdebitazione la liberazione dei debiti conseguente a procedure negoziali, quali il concordato preventivo, il concordato minore, l’accordo di ristrutturazione, gli accordi in esecuzione di piano attestato di risanamento. 
In tali casi, infatti, non viene dichiarata la inesigibilità del debito, ma ricorre un vero e proprio effetto estintivo dei debiti, sinallagmaticamente ricollegato all’adempimento della proposta fatta ai creditori.
Una posizione particolare, in questa classificazione, trovano il piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore ed il concordato liquidatorio semplificato, istituti ibridi, che molto mutano dalla disciplina dei concordati, ma non hanno natura negoziale, venendo “imposti” ai creditori con provvedimento del giudice, al ricorrere di determinati presupposti, e dal cui adempimento deriva l’effetto estintivo dei debiti.
L’esdebitazione viene introdotta, per la prima volta, nel nostro ordinamento con la modifica apportata alla legge fallimentare dal D.Lgs. n. 5/2006, che, riformulando gli articoli 142 e seguenti, aveva previsto che la persona fisica fallita, dopo la chiusura del fallimento, ricorrendo particolari requisiti soggettivi (non aver commesso atti di frode ai danni dei creditori, non aver commesso reati fallimentari o di tipo “economico” e l'aver cooperato con gli organi della procedura) e oggettivi (aver soddisfatto almeno in parte i propri creditori), potesse ottenere un provvedimento dichiarativo della non esigibilità dei debiti non soddisfatti nel corso della procedura fallimentare.
A seguito dell’entrata in vigore della Legge n. 3/2012, l’applicazione dell’istituto è stata estesa anche ai debitori persone fisiche non soggette a fallimento, come i consumatori, i professionisti e le imprese “sotto soglia”, nell'ambito della disciplina del sovraindebitamento, con l'art. 14 terdecies.
Con il passare degli anni, la iniziale concezione paternalistica dell’istituto è stata sostituita dall’idea che la concessione ai debitori “sfortunati ma onesti” di una seconda chance - consentendo il loro reinserimento nel tessuto economico e produttivo, anziché lasciarli in balia di fenomeni usurari o attività irregolari – avesse una importante utilità sociale, generando benefici generali (emersione del “sommerso”, incremento del PIL e del gettito fiscale e contributivo).
La concezione ha le radici anche nelle raccomandazioni europee che, sin da quegli anni[1], affermavano che: “gli imprenditori dichiarati falliti hanno maggiori probabilità di avere successo una seconda volta”, deducendone l'opportunità di: “adoperarsi per ridurre gli effetti negativi del fallimento sugli imprenditori, prevedendo la completa liberazione dei debiti dopo un lasso di tempo massimo”. 
La direttiva UE 2019/1023 del 20 giugno 2019 (c.d. Direttiva Insolvency) ha ulteriormente enfatizzato l’importanza dell’istituto, affermando che: “nelle procedure che non comprendono un piano di rimborso, i termini per l'esdebitazione dovrebbero decorrere al più tardi dalla data dell'adozione, da parte di un'autorità giudiziaria o amministrativa, della decisione di apertura della procedura o dalla data della determinazione della massa fallimentare[2]”, e che: “l'esdebitazione integrale (deve essere assicurata) dopo un periodo di tempo non superiore a tre anni”, pur consentendo delle deroghe: “quando il debitore è disonesto o ha agito in malafede”[3].
Recependo le indicazioni della direttiva, il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, nel dettare un corpus
unitario e sistematico degli strumenti per la risoluzione della crisi e dell'insolvenza, ha integrato la disciplina del sovraindebitamento, cui ha apportato significative modifiche, nel diritto concorsuale generale.
Nel nuovo codice della crisi, l’esdebitazione diviene un istituto di ordine generale, disciplinato nel Capo X del Titolo V, con importanti novità:
a) vengono ammesse alla esdebitazione anche le persone giuridiche e, fra queste, le società, la cui esdebitazione: “ha efficacia nei confronti dei soci illimitatamente responsabili” (art. 278, comma 5, CCII);
b) scompare l'esigenza del presupposto oggettivo costituito dal pagamento, almeno parziale, dei creditori da parte del debitore, presupposto, per vero, già molto svalutato dalla giurisprudenza, che lo riteneva di ostacolo alla concessione del beneficio solo se il soddisfacimento dei creditori fosse del tutto minimale[4];
c) viene introdotta l'esdebitazione “di diritto” a favore del soggetto sovraindebitato in liquidazione controllata dopo la chiusura o, se anteriore, allo scoccare di tre anni dalla sua apertura; 
d) si stabilisce, con una previsione decisamente orientata verso il favore per il c.d. “fresh start”, che: “con l'esdebitazione vengono meno le cause di ineleggibilità e di decadenza collegate all'apertura della liquidazione giudiziale” (art. 278, comma 1, CCII), con ciò superando, ad esempio, la ineleggibilità art. 2382 c.c., alla carica di amministratore (art. 2382 c.c.), ovvero le decadenze dalla possibilità di esercitare alcune professioni (avvocato, commercialista, ecc.);
 e) infine, viene potenziata l'esdebitazione della persona fisica “meritevole”, che non abbia alcuna utilità economica da offrire ai creditori, per una sola volta, purché non sussistano atti in frode e non vi sia stato dolo o colpa grave nella formazione dell'indebitamento.
2 . Le condizioni soggettive per conseguire l’esdebitazione
Il codice della crisi, per i soli soggetti esclusi dalla Liquidazione Giudiziale, subordina l’esdebitazione, oltre che alle condizioni previste dall’art. 280 CCII[5] per l’imprenditore dichiarato in liquidazione giudiziale, ad un ulteriore requisito soggettivo.
In particolare, l’art. 282 CCII esclude l’operatività della esdebitazione di diritto per quei soggetti che abbiano causato il sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode. 
A sua volta, l’art. 283 CCII esclude dal beneficio il sovraindebitato incapiente che abbia versato in colpa grave o dolo nella formazione dell’indebitamento.
Analogamente, il consumatore non potrà accedere al piano di ristrutturazione ed ai conseguenti effetti estintivi dei suoi debiti, laddove abbia causato il sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode.
Dunque, al debitore non soggetto alla liquidazione giudiziale viene richiesta, per conseguire la esdebitazione, una condizione ulteriore rispetto al debitore soggetto alla liquidazione giudiziale, costituita dalla insussistenza di uno stato soggettivo che, variamente declinato (mala fede, frode, dolo, colpa grave) è sostanzialmente riconducibile al dolo o alla colpa grave.
3 . Considerazioni critiche sulle condizioni soggettive per conseguire l’esdebitazione
La imposizione di un ulteriore requisito, rispetto all’imprenditore sopra soglia, risulta solo apparentemente ragionevole e fa pensare che il legislatore abbia voluto riproporre il requisito della “meritevolezza” che ispirava la Legge n. 3/2012.
A prima vista, tale requisito parrebbe avere qualche ragionevole fondamento: difficilmente il consumatore o il professionista potranno essere ritenuti responsabili di bancarotta fraudolenta, di delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, o altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa con il conseguente “rischio” che le relative condotte fraudolente restino prove di sanzione.
Tuttavia, a ben guardare, si tratta di argomento piuttosto debole. 
Anzitutto, l’esigenza di non lasciare senza sanzione condotte fraudolente analoghe a quelle che, invece, per l’imprenditore, sono penalmente sanzionate, potrebbe giustificare l’esclusione del beneficio nei casi di dolo, mala fede o frode, ma non certo per la colpa grave, posto che le condanne ostative del beneficio, per l’imprenditore dichiarato in Liquidazione Giudiziale, parrebbero tutte riferibili a delitti dolosi: ed infatti viene richiamata la bancarotta fraudolenta e non quella semplice. 
Del resto, la direttiva UE 2019/1023 del 20 giugno 2019 (c.d. Direttiva Insolvency), all’art. 23, con riferimento all’imprenditore, ammette che gli stati membri possano mantenere o introdurre: “disposizioni che negano o limitano l'accesso all'esdebitazione o che revocano il beneficio di tale esdebitazione o che prevedono termini più lunghi per l'esdebitazione integrale dai debiti o periodi di interdizione più lunghi quando, nell'indebitarsi, durante la procedura di insolvenza o il pagamento dei debiti, l'imprenditore insolvente ha agito nei confronti dei creditori o di altri portatori di interessi in modo disonesto o in malafede ai sensi del diritto nazionale, fatte salve le norme nazionali sull'onere della prova.” 
Per quanto si possa estendere il perimetro concettuale della disonestà e della mala fede, appare evidentemente arduo farvi rientrare il concetto di colpa grave.
Sotto altro aspetto, se il debitore non soggetto a liquidazione giudiziale non risponde di bancarotta fraudolenta, nulla esclude che possa rispondere di altri e diversi delitti connessi alla formazione dell’indebitamento, alla gestione della propria impresa o professione o del suo patrimonio. Mendacio bancario, truffa, reati fiscali o altri delitti connessi alla professione o alla impresa del debitore “minore” ben possono essere denunciati dai creditori, o accertati dalla polizia giudiziaria, dalle agenzie fiscali, dal liquidatore e segnalati al Pubblico Ministero.
Tanto considerato, il fatto che, per escludere dal beneficio l’imprenditore sopra soglia sia richiesta una sentenza penale di colpevolezza passata in giudicato, mentre, per escluderne il debitore non soggetto a liquidazione giudiziale, sia sufficiente la sommaria valutazione della sussistenza di dolo, mala fede o colpa grave, svolta, incidenter tantum, nell’ambito di un procedimento camerale, costituisce, per il secondo, un compromesso al ribasso, sul piano delle garanzie e dei diritti, di dubbia compatibilità con i principi di uguaglianza e di tassatività oltre che con il diritto di difesa ed il giusto processo.
Ancora: l’imprenditore “sopra soglia” che sia stato condannato per delitti ostativi all’esdebitazione, potrà comunque richiederla una volta conseguita la riabilitazione[6], mentre, volendo interpretare le norme di cui agli articoli 282, 283 (ma anche 69) del CCII in modo rigoroso, lo stigma della colpa grave, mala fede, frode o dolo nella formazione dell’indebitamento impedisce nunc et in perpetuum al debitore “minore” di accedere alla esdebitazione.
La portata delle criticità sopra evidenziate diviene conclamata se si approfondisce la natura dell’istituto dell’esdebitazione, ormai evolutasi da quella, originaria, di premio benevolmente concesso al debitore, purché meritevole, a quella di vero e proprio diritto, il cui riconoscimento costituisce adempimento degli obblighi comunitari e realizzazione del compito, che l’art. 3, comma 2, della Costituzione assegna all’ordinamento, di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono la partecipazione dei cittadini alla vita economica e sociale del paese.
Se partiamo da questo presupposto, non può sfuggire il carattere sostanzialmente moralistico - punitivo della negazione di tale diritto al soggetto, diverso dall’imprenditore soggetto alla Liquidazione Giudiziale, che si sia indebitato con grave colpa.
Oltretutto, è evidente la irragionevole disparità di trattamento tra l’accesso all’esdebitazione del debitore non soggetto a liquidazione giudiziale, al quale il beneficio è negato “a vita” se ha contratto i debiti con dolo, frode o colpa grave, e l’accesso al beneficio dell’imprenditore “sopra soglia”, al quale tale condizione non viene posta, nonostante la sua insolvenza abbia, di regola, un impatto sul tessuto economico assai più grave e dal quale, dunque, sarebbe lecito attendersi maggior diligenza nell’assunzione dei debiti.
Infine, appare difficile conciliare con il dovere di solidarietà e di rimozione degli ostacoli sociali alla partecipazione dei cittadini alla vita sociale ed economica, di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione, l’”eterno stigma”, riservato al debitore non soggetto a liquidazione giudiziale. 
Non si può infatti non cogliere l’ingiustizia del negare per sempre l’accesso alla esdebitazione ad un soggetto che, pur avendo commesso, in un periodo della sua vita, qualche grave errore di valutazione nel contrarre i debiti, in seguito abbia cambiato stile di vita e si sia adoperato in favore dei creditori e, contemporaneamente, concederla al bancarottiere che ha ottenuto la riabilitazione, agevolmente dimostrando di non aver capienza risarcitoria.
4 . I possibili rimedi
Nell’auspicio di un intervento legislativo che armonizzi la disciplina dell’esdebitazione, rendendola omogenea per tutti i soggetti, o che, in mancanza, la Corte costituzionale intervenga sulle criticità più evidenti, la giurisprudenza di merito ha già iniziato a farsi carico del problema sotto il profilo della determinazione del perimetro del “colpevole indebitamento”, rilevante al fine del diniego della esdebitazione (come anche della ammissibilità del piano del consumatore).
Sia pure con riferimento alla disciplina previgente, ma con principio applicabile, a maggior ragione, anche alla nuova disciplina del CCII, il Tribunale di Tempio Pausania, con ordinanza del 3.2.2023, ha affermato che: “l’art. 14 quaterdecies della legge n. 3/2012 va interpretato in maniera storico-evolutiva nel senso che il debitore, per essere considerato meritevole ai fini della concessione del beneficio dell’esdebitazione del soggetto incapiente, non deve versare nella situazione soggettiva della colpa grave, requisito che non può considerarsi integrato dal mero insuccesso non doloso di una attività imprenditoriale.”
Nella stessa pronuncia, il Tribunale afferma che l’art. 124 bis T.U.B., imponendo al finanziatore, prima della conclusione del contratto di credito, di valutare il merito creditizio del consumatore, è posto anche a tutela di quest’ultimo, il quale va posto in condizione di contrarre finanziamenti che abbia ragionevole possibilità di restituire, con la conseguenza che la errata valutazione del merito creditizio del debitore-consumatore rende il finanziatore corresponsabile del sovraindebitamento, ciò che esclude la mala fede del debitore e ne allevia la colpa che, pertanto, non è qualificabile come “grave”[7].
Pur apprezzabile sotto il profilo dell’aver colto la problematica dell’incidenza del concorso colposo del finanziatore sulla gravità della colpa del debitore, tuttavia tale filone giurisprudenziale non affronta quella che pare essere la vera criticità, costituita dalla impossibilità di emenda per il debitore originariamente affetto da dolo o colpa grave.
Per ovviare, in via interpretativa, all’incongruenza, occorre forse abbracciare una concezione dinamica dello stato soggettivo.
Se non il dolo, quanto meno il grado della colpa nella formazione dell’indebitamento si dovrebbe ritener ridimensionato, assurgendo a colpa “non grave”, in funzione della diligenza con cui il debitore, successivamente all’indebitamento, abbia fatto ricorso agli strumenti di risoluzione della crisi al fine di offrire ai creditori la migliore soddisfazione possibile, ponendo in essere, al contempo, una adeguata disclosure della sua condotta, accompagnata da specifici comportamenti atti a dimostrare fattivamente una soluzione di continuità nel proprio atteggiamento.
Si tratta, in sostanza, di applicare principi analoghi a quelli che governano il concordato preventivo che, ormai da tempo, non costituisce più il rimedio riservato all’imprenditore "onesto ma sfortunato", dal momento che suoi eventuali atti “contra legem” non impediscono, di per sé soli, il proficuo esito della soluzione concordataria: “ciò nell'interesse non soltanto del debitore, ma anche - e soprattutto - dei creditori, atteso che sarebbe incongruo precludere loro il miglior soddisfacimento che il concordato sia in grado di assicurare (nella comparazione con l'alternativa fallimentare) per il mero fatto che, nel passato, il debitore abbia commesso atti ritenuti censurabili”[8].
Sotto questo profilo, quanto meno nell’ambito della proposta di ristrutturazione dei debiti del consumatore, potrebbe agevolmente essere adottata l’elaborazione giurisprudenziale ormai consolidata in materia concordataria, secondo la quale: "il minimo comune denominatore dei comportamenti di frode espressamente presi in considerazione dalla norma (occultamento o dissimulazione di parte dell'attivo, dolosa omissione dell'esistenza di crediti, esposizione di passività inesistenti) è dato dalla loro attitudine ad ingannare i creditori sulle reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione, sottacendo l'esistenza di parte dell'attivo o aumentando artatamente il passivo in modo da far apparire la proposta maggiormente conveniente rispetto alla liquidazione fallimentare, con la conseguenza che tale attitudine deve ricorrere anche per gli "altri atti di frode" non espressamente presi in considerazione dalla norma"[9]
In sostanza, le condotte pregresse dovrebbero restare ininfluenti, salvo che costituiscano fattori idonei a turbare il giudizio di omologa del piano, così adottando un concetto "funzionale" della frode[10], la quale in effetti non viene in evidenza per il disvalore in sé della condotta, bensì per l'idoneità a falsare la genuina formazione della decisione del magistrato in sede di omologa. 
Con riferimento, poi alla “colpa grave”, quale ostacolo alla esdebitazione dell’imprenditore “sotto soglia” o, comunque, non soggetto a liquidazione giudiziale, viene in rilievo il palese contrasto delle relative disposizioni con l’art. 23 della Direttiva Insolvency che, come si è visto, consente l’introduzione di limiti alla stessa solo nel caso di comportamenti assistiti da “disonestà” o “malafede” nella formazione dell’indebitamento.
Orbene, è noto che il diritto dell’Unione trova diretta applicazione in Italia[11] e che il contrasto tra norme statali e disciplina UE non dà luogo all'invalidità o all’illegittimità delle norme interne, ma comporta la loro disapplicazione o non applicazione al caso concreto[12], con la conseguenza che il giudice nazionale ha il potere-dovere di dare immediata applicazione alle norme dell’UE provviste di effetto diretto, con i soli limiti derivanti dai principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale o dei diritti inalienabili della persona. 
L’immediata applicazione riguarda non solo i Regolamenti, ma anche quelle direttive che abbiano efficacia diretta, nei limiti indicati dalla Corte di giustizia[13]. 
Come noto, la diretta applicabilità delle prescrizioni delle direttive non discende tanto dalla qualificazione formale dell’atto fonte, ma dalle sue caratteristiche sostanziali: occorre che la prescrizione sia incondizionata, e cioè che non lasci margine di discrezionalità agli Stati membri nella sua attuazione, e sufficientemente precisa, nel senso che la fattispecie astratta prevista e il contenuto del precetto a essa applicabile devono essere compiutamente determinati[14].
Con riferimento dunque all’art. 282 CCII, norma che subordina l’accesso alla esdebitazione all’accertamento della mancanza di colpa grave nella assunzione dei debiti, il rispetto della disciplina Europea dovrebbe implicarne la disapplicazione o, più semplicemente, una interpretazione dinamica, quale quella sopra proposta, che consenta di tenere conto del comportamento successivo del debitore ai fini della valutazione del grado della colpa.

Note:

[1] 
Raccomandazione 2014/135/UE.
[2] 
Considerando n. 76.
[3] 
Considerando n. 78.
[4] 
Cfr. Cass. 12 maggio 2022, n. 15246, secondo cui il favor debitoris che caratterizza il beneficio ne comporta la necessaria concessione con il solo limite di una soddisfazione dei creditori nulla o in percentuale “affatto irrisoria”.
[5] 
“Art. 280 - Condizioni per l’esdebitazione - 1. Il debitore è ammesso al beneficio della liberazione dai debiti a condizione che: a) non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, o altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa, salvo che per essi sia intervenuta la riabilitazione. Se è in corso il procedimento penale per uno di tali reati o v’è stata applicazione di una delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, il beneficio può essere riconosciuto solo all’esito del relativo procedimento; b) non abbia distratto l’attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito; c) non abbia ostacolato o rallentato lo svolgimento della procedura e abbia fornito agli organi ad essa preposti tutte le informazioni utili e i documenti necessari per il suo buon andamento; d) non abbia beneficiato di altra esdebitazione nei cinque anni precedenti la scadenza del termine per l’esdebitazione; e) non abbia già beneficiato dell’esdebitazione per due volte.”.
[6] 
Con un minimo di accortezza, l’imprenditore incensurato potrebbe ottenere la riabilitazione in modo relativamente veloce. Infatti, patteggiando una pena condizionalmente sospesa in corso di indagini, immediatamente dopo la comunicazione della notizia di reato, sarebbe ammesso alla riabilitazione dopo tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza, agevolmente dimostrando, ai sensi dell’art. 179, comma 6, n. 2, c.p. di non essere in grado di adempiere le obbligazioni civili derivanti dal reato. Anche ipotizzando che passi circa un anno tra la dichiarazione di apertura della Liquidazione Giudiziale ed il patteggiamento e che l’istruttoria sulla riabilitazione duri un ulteriore anno, l’imprenditore potrebbe chiedere la esdebitazione dopo circa cinque anni dalla apertura della liquidazione giudiziale. Considerato che, nel 2021, la durata media di un fallimento era di 7 anni e 3 mesi, l’imprenditore incensurato ed accorto, che abbia commesso fatti non gravissimi, avrebbe buone chances di essere ammesso alla esdebitazione, nonostante una condanna per reati ostativi, mentre la procedura di liquidazione giudiziale è ancora in corso, così beneficiando, nel frattempo, del divieto di azioni esecutive individuali.
[7] 
Nello stesso senso si era già espresso il Tribunale di Messina, con ordinanza 20.12.2021, Est. Minutoli, il quale aveva affermato che: “Ai fini del giudizio di meritevolezza, sotto il profilo dell’avere contratto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere, può essere valutata come elemento rilevante la condotta di chi ha concesso credito, sicché l’assenza di colpa del consumatore nella determinazione del proprio sovraindebitamento può essere desunta dalla positiva valutazione, a monte, del c.d. merito creditizio da parte del soggetto finanziatore.” A conclusioni analoghe era giunto anche il Tribunale di Modena, con ordinanza 16.7.2021, Est. Salvatore: “Posto l’obbligo del soggetto finanziatore, tenuto conto delle sue specifiche competenze professionali e dei mezzi a sua disposizione, di valutare e verificare in sede di erogazione del credito le condizioni economiche e reddituali del richiedente con riferimento al merito creditizio, la valutazione evidentemente operata in quella sede positivamente, anche nella prospettiva di rientro della precedente esposizione debitoria, rende inammissibile ogni doglianza in sede di omologazione”. Nel senso dell’attribuire rilievo causale alla colpa del finanziatore va segnalata l’ordinanza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, 2 aprile 2022, Est. Castaldo: “Non ha causato il proprio sovraindebitamento con colpa grave, e può perciò accedere alla procedura di piano, né chi abbia contratto un mutuo confidando nella sufficienza dell'ipoteca concessa a garanzia dello stesso, né chi abbia prestato fideiussione a un terzo senza ponderare attentamente le conseguenze del suo impegno; incide sulla valutazione della colpa la condotta del finanziatore e quindi la stessa è tanto più lieve quanto più gravemente il finanziatore sia venuto meno al suo dovere di valutare con accortezza la solvibilità dei propri debitori”. Non mancano tuttavia pronunce più restrittive, come l’ordinanza del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, 16.4.2021, Est. Di Sano, che, trattando del piano del consumatore, afferma che: “In tema di piano del consumatore, a seguito delle modifiche introdotte dal D.L. n. 137/2020, il debitore può usufruire della procedura di cui all’art. 12 bis L. n. 3/2012 qualora lo stato di crisi nel quale versa non sia allo stesso imputabile sulla base di condotte gravemente negligenti, in quanto, rispetto alla disciplina previgente, ad esser mutato non è il presupposto di accesso alla procedura di composizione della crisi (e cioè la sussistenza di un sovraindebitamento c.d. incolpevole), ma il parametro di valutazione del presupposto suddetto (l’accertamento di una colpa almeno grave), cosicché l’eventuale colpa del finanziatore non esclude necessariamente l’imputabilità di un sovraindebitamento colpevole”.
[8] 
S. Ambrosini, Gli atti di frode nel concordato preventivo: un tema sempre attuale (e scivoloso), Il Caso, 7.6.2019. 
[9] 
Cass., 23 giugno 2011, n. 13817, in Fallimento, 2011, pp. 933 e ss., con nota di Ambrosini, Il sindacato in itinere sulla fattibilità del piano concordatario nel dialogo tra dottrina e giurisprudenza.
[10] 
S. Ambrosini, Gli atti di frode... cit.
[11] 
Il fondamento della diretta applicazione del diritto del diritto dell’Unione in Italia si rinviene nell'art. 11 Cost., la cui seconda parte stabilisce che l'Italia «consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo» cui si è aggiunto l'art. 117 Cost., 1º comma, nel testo modificato dall'art. 3 l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, ove si specifica che «la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali».
[12] 
Corte cost. n. 168/91.
[13] 
«In tutti i casi in cui alcune disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, sia che questo non abbia tempestivamente recepito la direttiva nel diritto nazionale sia che l’abbia recepita in modo inadeguato» (sent. 22 giugno 1989, causa 103/88; sent. 20 settembre 1988, causa 31/87; sent. 8 ottobre 1987, causa 80/86; sent. 24 marzo 1987, causa 286/85, id., 1987, IV, 343). La Corte cost. (sentenza, 28 gennaio 2010, n. 28, in Foro it., 2010, I, 1109) ha precisato che «l'efficacia diretta di una direttiva è ammessa - secondo la giurisprudenza comunitaria e italiana - solo se dalla stessa derivi un diritto riconosciuto al cittadino, azionabile nei confronti dello Stato inadempiente. Gli effetti diretti devono invece ritenersi esclusi se dall'applicazione della direttiva deriva una responsabilità penale (ex plurimis, Corte di giustizia, ordinanza 24 ottobre 2002, in causa C-233/01, RAS; sentenza 29 aprile 2004, in causa C-102/02, Beuttenmuller; sentenza 3 maggio 2005, in cause C-387, 391, 403/02, Berlusconi e altri; Corte di cassazione, sentenza n. 41839 del 2008)».
[14] 
Secondo Corte cost. 25 luglio 2014, n. 226: «qualora si tratti di disposizione del diritto dell'Unione europea direttamente efficace, spetta al giudice nazionale comune valutare la compatibilità comunitaria della normativa interna censurata, utilizzando - se del caso - il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, e nell'ipotesi di contrasto provvedere egli stesso all'applicazione della norma comunitaria in luogo della norma nazionale». In caso di contrasto con una norma UE priva di efficacia diretta, nell'impossibilità di risolvere tale antinomia in via interpretativa, il giudice deve sollevare la questione di legittimità costituzionale, spettando alla Consulta valutare l'esistenza di un contrasto insanabile in via interpretativa e, eventualmente, annullare la legge incompatibile con il diritto dell'Unione”.

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  • - nome dell'internet service provider (ISP);
  • - data e orario di visita;
  • - pagina web di provenienza del visitatore (referral) e di uscita;

Le suddette informazioni sono trattate in forma automatizzata e raccolte al fine di verificare il corretto funzionamento del sito e per motivi di sicurezza.

Ai fini di sicurezza (filtri antispam, firewall, rilevazione virus), i dati registrati automaticamente possono eventualmente comprendere anche dati personali come l'indirizzo IP, che potrebbe essere utilizzato, conformemente alle leggi vigenti in materia, al fine di bloccare tentativi di danneggiamento al sito medesimo o di recare danno ad altri utenti, o comunque attività dannose o costituenti reato. Tali dati non sono mai utilizzati per l'identificazione o la profilazione dell'utente, ma solo a fini di tutela del sito e dei suoi utenti.

I sistemi informatici e le procedure software preposte al funzionamento di questo sito web acquisiscono, nel corso del loro normale esercizio, alcuni dati personali la cui trasmissione è implicita nell'uso dei protocolli di comunicazione di Internet. In questa categoria di dati rientrano gli indirizzi IP, gli indirizzi in notazione URI (Uniform Resource Identifier) delle risorse richieste, l'orario della richiesta, il metodo utilizzato nel sottoporre la richiesta al server, la dimensione del file ottenuto in risposta, il codice numerico indicante lo stato della risposta data dal server (buon fine, errore, ecc.) ed altri parametri relativi al sistema operativo dell'utente.

Tempi di conservazione dei Suoi dati - I dati personali raccolti durante la navigazione saranno conservati per il tempo necessario a svolgere le attività precisate e non oltre 24 mesi.

Modalità del trattamento - Ai sensi e per gli effetti degli artt. 12 e ss. del GDPR, i dati personali degli interessati saranno registrati, trattati e conservati presso gli archivi elettronici delle Società, adottando misure tecniche e organizzative volte alla tutela dei dati stessi. Il trattamento dei dati personali degli interessati può consistere in qualunque operazione o complesso di operazioni tra quelle indicate all' art. 4, comma 1, punto 2 del GDPR.

Comunicazione e diffusione - I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati, intendendosi con tale termine il darne conoscenza ad uno o più soggetti determinati, dalla Società a terzi per dare attuazione a tutti i necessari adempimenti di legge. In particolare i dati personali dell’interessato potranno essere comunicati a Enti o Uffici Pubblici o autorità di controllo in funzione degli obblighi di legge.

I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati nei seguenti termini:

  • - a soggetti che possono accedere ai dati in forza di disposizione di legge, di regolamento o di normativa comunitaria, nei limiti previsti da tali norme;
  • - a soggetti che hanno necessità di accedere ai dati per finalità ausiliare al rapporto che intercorre tra l’interessato e la Società, nei limiti strettamente necessari per svolgere i compiti ausiliari.

Diritti dell’interessato - Ai sensi degli artt. 15 e ss GDPR, l’interessato potrà esercitare i seguenti diritti:

  • 1. accesso: conferma o meno che sia in corso un trattamento dei dati personali dell’interessato e diritto di accesso agli stessi; non è possibile rispondere a richieste manifestamente infondate, eccessive o ripetitive;
  • 2. rettifica: correggere/ottenere la correzione dei dati personali se errati o obsoleti e di completarli, se incompleti;
  • 3. cancellazione/oblio: ottenere, in alcuni casi, la cancellazione dei dati personali forniti; questo non è un diritto assoluto, in quanto le Società potrebbero avere motivi legittimi o legali per conservarli;
  • 4. limitazione: i dati saranno archiviati, ma non potranno essere né trattati, né elaborati ulteriormente, nei casi previsti dalla normativa;
  • 5. portabilità: spostare, copiare o trasferire i dati dai database delle Società a terzi. Questo vale solo per i dati forniti dall’interessato per l’esecuzione di un contratto o per i quali è stato fornito consenso e espresso e il trattamento viene eseguito con mezzi automatizzati;
  • 6. opposizione al marketing diretto;
  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

Dati di contatto - Società per lo studio del diritto della crisi con sede in via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN); email: ssdirittodellacrisi@gmail.com.

Responsabile della protezione dei dati - Il Responsabile della protezione dei dati non è stato nominato perché non ricorrono i presupposti di cui all’art 37 del Regolamento (UE) 2016/679.

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