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Concordato preventivo e strumenti finanziari partecipativi quale mezzo di composizione del passivo: i principali “riflessi” tributari della conversione del debito in SFP

Emanuele Artuso, Renato Bogoni e Inge Bisinella, Dottori commercialisti in Padova

30 Settembre 2021

Lo scritto si sofferma sugli strumenti finanziari partecipativi. In specie, dopo avere tratteggiato alcuni elementi strutturali sul piano civilistico e contabile, il contributo indugia sulla disciplina fiscale della conversione del debito in SFP; ciò, al fine di valutarne le ricadute (e l’appetibilità) anche sul piano concorsuale. Gli spunti di riflessione vengono arricchiti tramite lo studio di alcuni recenti casi concreti, riscontrabili nella giurisprudenza e nella prassi erariale.
Riproduzione riservata
1 . Premessa
Tra le numerose novità recate dalla Riforma del diritto societario del 2003, l’introduzione degli “strumenti finanziari” di cui all’art. 2346 c.c. ha costituito da subito uno degli elementi maggiormente caratteristici e dibattuti in dottrina [1]: tale istituto, sulla scia di similari esperienze straniere, trova la sua ratio nell’agevolare la raccolta di capitali mediante canali di finanziamento nuovi, non “istituzionalizzati”, in altre parole auspicabilmente agili e flessibili [2].
Per il vero, proprio i tratti estremamente innovativi e talune difficoltà interpretative (anche dal punto di vista tributario) hanno in parte “frenato” la concreta applicazione di tale istituto: tuttavia, in tempi recenti esso pare aver riacquistato una rinnovata appetibilità proprio in seno alle procedure concorsuali.
Infatti, nella pratica professionale, sempre più di frequente si assiste ad operazioni di “riconversione” del debito in forme di “partecipazione” al patrimonio (latamente intese), al fine di rendere meno gravosa la posizione debitoria del soggetto in crisi e, per l’effetto, favorire il buon esito della procedura, massimizzando il “recovery” dei creditori.
Proprio nell’ottica (i) di analisi del dato giuridico e (ii) di valorizzazione delle esperienze in concreto riscontrate (anche dal punto di vista giurisprudenziale e della prassi amministrativa), l’odierno contributo cerca di scandagliare i principali profili tributari, ai fini delle imposte dirette, derivanti dalla conversione degli Strumenti Finanziari Partecipativi (SFP) in esame. 
Ciò, nel tentativo di mettere appunto meglio a fuoco la disciplina fiscale e poterne ponderare l’impatto positivo in seno alla procedura, delineandone vantaggi ed opportunità.
Come segue.
2 . Il necessario inquadramento civilistico e contabile
La disciplina fiscale è ancorata alla sostanza civilistica dello strumento finanziario partecipativo (SFP), stante il chiaro disposto letterale dell’art. 44, c. 2, Tuir: “Ai fini delle imposte sui redditi: a) si considerano similari alle azioni, i titoli e gli strumenti finanziari emessi da società ed enti di cui all'articolo 73, comma 1, lettere a), b) e d), la cui remunerazione è costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente o di altre società appartenenti allo stesso gruppo o dell'affare in relazione al quale i titoli e gli strumenti finanziari sono stati emessi. Le partecipazioni al capitale o al patrimonio, nonché i titoli e gli strumenti finanziari di cui al periodo precedente emessi da società ed enti di cui all'articolo 73, comma 1, lettera d), si considerano similari alle azioni a condizione che la relativa remunerazione sia totalmente indeducibile nella determinazione del reddito nello Stato estero di residenza del soggetto emittente; a tale fine l'indeducibilità deve risultare da una dichiarazione dell'emittente stesso o da altri elementi certi e precisi (…)”.
Di riflesso, sul piano civilistico, è opportuno muovere anzitutto dall’art. 2346, ultimo comma, c.c..
Esso, come noto, riconosce la possibilità alle società per azioni di emettere titoli finanziari – appunto, c.d. “strumenti finanziari partecipativi”– di natura “ibrida”, ossia contraddistinti da caratteristiche giuridiche ed economiche intermedie tra l’“azione” (capitale di rischio) e l’“obbligazione” (capitale di credito) [3]. 
In altri termini, se vogliamo più semplicistici, dal punto di vista sostanziale essi (SFP) costituiscono uno strumento “atipico”, una sorta di “tertium genus” rispetto alle (i) azioni e (ii) obbligazioni, presentando connotati peculiari vuoi delle une, vuoi delle altre. Nondimeno, gli stessi strumenti sono poi al loro interno variamente classificabili, peraltro risultando la stessa disciplina diversamente disseminata nel corpo del Codice Civile (oltre al già citato art. 2346, ultimo comma, c.c., rilevano infatti anche l’art. 2349, c. 2, con riguardo ai dipendenti, nonché l’art. 2411, c. 3, ed infine l’art. 2447 ter, c. 1, lett. e), relativamente al patrimonio destinato allo specifico affare).
Al fine di individuare correttamente la natura dello SFP – e per l’effetto anche le conseguenze tributarie – necessita una valutazione ad hoc delle singole fattispecie, mediante un approfondito esame dei peculiari diritti patrimoniali ed amministrativi previsti dagli specifici regolamenti, insomma inquadrando la sostanza economica dello strumento; ciò, per qualificarlo come un’operazione di equity (con variazione del patrimonio netto) ovvero di indebitamento (con appostazione del relativo importo tra le passività del bilancio). 
D’altro canto, come si vedrà, la stessa Amministrazione finanziaria, per valutare i profili tributari degli strumenti in esame, opera una disamina puntuale ed analitica dei requisiti sostanziali (ossia, i contenuti patrimoniali ed amministrativi) recati dagli SFP (di rischio, nel caso di specie, in quanto vedono la conversione dei debiti in equity).
In tale prospettiva, e comunque fermi i dettagli che saranno nel prosieguo forniti, vale da subito osservare che i parametri essenziali, individuati in letteratura per una corretta distinzione tra risorse di terzi e capitale di proprietà, sono sostanzialmente e principalmente riconducibili a due fattori, peraltro intimamente agganciati tra loro e rappresentati da: (i) grado di certezza della restituzione delle somme trasferite in azienda; e, parallelamente, (ii) livello di esposizione al rischio di impresa [4]. 
Per l’effetto, l’emissione di uno strumento finanziario contraddistinto da una certezza restitutoria e remuneratoria inciderà sull’ambito del capitale di prestito; al contempo, un apporto i cui conseguenti flussi in uscita risultino eventuali e meramente aleatori – perché saldamente ancorati ai risultati aziendali e dunque al rischio di impresa – interesserà il capitale di proprietà. 
Questo, per quanto riguarda i profili civilistici sostanziali utili in questa sede, fermo restando che sussistono ulteriori, significativi temi; si pensi, a mero titolo esemplificativo: alla “fonte genetica” della possibilità di emettere gli strumenti (statuto, ecc.); alla competenza per la deliberazione degli strumenti, e così via [5].
Da quanto sin qui illustrato, discendono anche rilevanti profili contabili, in effetti strettamente connessi a quelli civilistici: ciò, a maggior ragione nell’ambito delle procedure concorsuali, se si pone mente – in primo luogo – al necessario conteggio dei voti dei creditori, che non può prescindere da una corretta qualificazione (anche contabile e bilancistica) delle poste passive del debitore e – in secondo luogo – alla necessità che la società, ad esito della ristrutturazione, recuperi il proprio patrimonio, in modo da non restare assoggettata agli obblighi legali derivanti dalla perdita del capitale. Ci si riferisce, in particolare, agli artt. 2446, 2447 2482-bis e 2482-ter, c.c., normativa di generale applicazione che è solo parzialmente derogata da disposizioni di carattere temporaneo (prevalentemente connesse all’esigenza di contenere gli effetti pandemici da Covid-19) o a discipline speciali di applicazione limitata a periodi ricompresi in particolari fasi della procedure di gestione della crisi – si veda da ultimo quanto previsto dall’art. 8, D.L 118 del 24 agosto 2021 [6].
Sotto tale versante, il dato da cui muovere è costituito dai principi contabili nazionali: essi, differentemente da quelli IAS/IFRS [7], contengono i principi generali che presiedono ad una corretta classificazione bilancistica degli strumenti finanziari ed alla distinzione tra capitale di rischio e capitale di finanziamento [8]. 
In particolare, l’OIC 19 (par. 26), così commenta la voce “Debiti verso soci per finanziamenti. La voce D3 contiene l’importo di tutti i finanziamenti concessi dai soci alla società sotto qualsiasi forma, per i quali la società ha un obbligo di restituzione. Non è rilevante ai fini della classificazione nella voce D3 la natura fruttifera o meno di tali debiti, né l’eventualità che i versamenti vengano effettuati da tutti i soci in misura proporzionale alle quote di partecipazione. L’elemento discriminante per considerare il debito un finanziamento e non un contributo va individuato esclusivamente nel diritto dei soci previsto contrattualmente alla restituzione delle somme versate (indipendentemente dalle possibilità di rinnovo dello stesso finanziamento). Infatti, per questa tipologia di versamenti il loro eventuale passaggio a patrimonio netto necessita della preventiva rinuncia dei soci al diritto alla restituzione, trasformando così il finanziamento in apporto di capitale”.
Ad evidenza, quindi, l’OIC 19 fissa come elemento discriminante per individuare la natura di capitale, piuttosto che di debito, il diritto alla restituzione dell’apporto. 
Sempre 1’OIC 19, al paragrafo 4, definisce i debiti nella seguente maniera: “I debiti sono passività di natura determinata ed esistenza certa, che rappresentano obbligazioni a pagare ammontari fissi o determinabili di disponibilità liquide, o di beni/servizi aventi un valore equivalente, di solito ad una data stabilita. Tali obbligazioni sono nei confronti di finanziatori, fornitori e altri soggetti”.
Tanto evidenziato, il principale filone dottrinale aggancia la classificazione nel bilancio dell’emittente degli strumenti finanziari partecipativi ex art 2346, c. 6, c.c. alla “partecipazione” – o meno – al rischio d’impresa. 
In tale ottica, un prezioso addentellato interpretativo è rappresentato dalle conclusioni del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti (cfr. “Profili contabili degli strumenti finanziari ex art. 2346, comma sesto, c.c.” Documento Aristeia n. 69, gennaio 2007), il quale stressa la causa del rapporto che si instaura tra sottoscrittore ed emittente ed individua il parametro distintivo tra strumenti finanziari partecipativi e non partecipativi nel concorso al rischio di impresa. Di talché, “qualora la sottoscrizione di un titolo comporti la piena partecipazione, da parte del possessore, al rischio economico sotteso all’attività aziendale, si perviene alla qualificazione di un’operazione appartenente al circuito del capitale di proprietà, assimilando così i1 titolo a quelli azionari; diversamente, laddove manchi tale esposizione, lo strumento rientra appieno nel circuito del capitale di prestito e, pertanto, è assimilato ad uno di debito. 
L’individuazione del circuito di appartenenza si rivela di estrema importanza per la corretta rappresentazione contabile della fattispecie in esame. Ne consegue che la qualificazione dello strumento non può prescindere dall’a priori logico rappresentato dalla modalità attraverso cui si sostanzia l’operazione: in tal senso, nel tentativo di adottare un parametro classificatorio che segni il confine di tali strumenti, appare plausibile ricorrere a quello relativo alla verifica del grado di certezza delta “restituzione”; e parallelamente, al livello di esposizione al rischio. 
In forza di quest’ultimo, in linea generale, qualora 1’emissione di uno strumento si caratterizzi per la certezza restitutoria e remuneratoria, a prescindere dal suo ammontare, essa appartiene alla categoria del capitale di prestito; diversamente, nel caso opposto, ovvero quando la restituzione e la remunerazione dell’apporto sono eventuali ed aleatori e, quindi, i fattori risultano vincolati alla gestione dell’impresa, ciò qualifica un’operazione quale appartenente alla categoria del capitale proprio, assimilando cosi lo strumento ad uno “finanziario di rischio””. 
L’appena citato Documento, al par. 3, approfondisce poi le varie ipotesi, proponendone le varie classificazioni contabili. 
Inoltre, un’utile ricostruzione è proposta anche dal Consiglio Notarile di Milano, secondo cui “Gli strumenti finanziari partecipativi emessi ai sensi dell’art. 2346, comma 6, c.c., possono prevedere o meno, a carico della società, l’obbligo di rimborso dell’apporto o del suo valore. Nel primo caso, l’obbligo di restituzione comporta 1’iscrizione di una voce di debito nel passivo dello stato patrimoniale; nel secondo caso, invece, l’apporto comporta 1’appostazione di una riserva nel patrimonio netto della società nella misura in cui esso sia iscrivibile nell’attivo dello stato patrimoniale o nella misura della riduzione del passivo reale” (così, testualmente, la Massima n. 164) [9].
In estrema sintesi, giova quindi riepilogare che, sulla base dell’elaborazione dottrinale citata, gli SFP possono essere assoggettati al seguente trattamento contabile: 
• laddove, a fronte dell’apporto da parte del soggetto terzo, non sussista obbligo di restituzione da parte della società emittente e, pertanto, l’apporto stesso sia gravato dal rischio aziendale (essendo il rimborso solo eventuale o comunque aleatorio), l’emissione degli strumenti finanziari partecipativi interesserà le riserve di patrimonio netto;
• al contrario, laddove 1’apporto preveda un obbligo di restituzione da parte dell’ente emittente e non sia agganciato all’andamento societario, l’emissione dovrà essere categorizzata come un elemento di debito.
Alla luce di quanto qui offerto, non è dunque un caso se i maggiori interventi della prassi contabile, ad oggi sviluppatisi sugli SFP, hanno poggiato le proprie ponderazioni sui fattori sopra menzionati, ossia (i) l’assenza di un obbligo di restituzione, (ii) la partecipazione al rischio d’impresa, quest’ultima declinata come (iii) la remunerazione collegata all’andamento gestionale, e (iv) le perdite che possano determinarsi; per l’effetto, reputando che fosse la prevalenza di uno di tali parametri sull’altro a dover orientare il giudizio circa la natura dei tali strumenti (capitale di debito o capitale di proprietà) e la loro conseguente iscrizione nel bilancio delle società emittenti. 
In altre parole, l’individuazione delle corrette modalità di contabilizzazione degli strumenti finanziari partecipativi deve necessariamente essere fondata su un’analisi delle peculiarità e delle concrete caratteristiche della specifica singola emissione e deve riflettere la natura giuridica dello strumento finanziario e la concreta causa dell’apporto che si contrappone all’emissione dello stesso.
In definitiva, si parlerà di strumenti finanziari partecipativi “di rischio” (come si vedrà, assimilabili, sotto il profilo fiscale, alle azioni), laddove la combinazione dei diritti patrimoniali ed amministrativi ad essi associati – appositamente demandata dal Legislatore all’autonomia negoziale delle parti coinvolte – risponde prevalentemente alle esigenze tipiche di una raccolta di capitale di proprietà e risulta, dunque, strutturata al fine di disporre di risorse finanziarie senza alcun obbligo giuridico di restituzione, con una eventuale remunerazione legata alla partecipazione agli utili e, in ogni caso, subordinata al soddisfacimento dei legittimi interessi dei creditori. 
All’opposto, si parlerà di strumenti finanziari partecipativi “di debito” (dal punto di vista fiscale, similari alle obbligazioni), in presenza di operazioni di finanziamento caratterizzate dall’obbligo giuridico di rimborso a favore dei possessori degli strumenti finanziari secondo tempi e modalità predefinite.  
Quale ideale chiusura del percorso appena illustrato – che suggerisce di procedere, ai fini tanto civilistici quanto contabili, ad una indagine del caso concreto, rifuggendo da aprioristiche catalogazioni – si recuperano due recentissimi approdi della giurisprudenza di merito, aventi ad oggetto proprio il rapporto tra strumenti finanziari e procedure concorsuali:
i) Tribunale Bologna, decr. 1 ottobre 2020, che si è trovato a dirimere se gli strumenti finanziari partecipativi emessi da una società, successivamente dichiarata fallita, debbano computarsi, nella procedura, a titolo di debito o di capitale (in specie, dovendosi valutare l’opposizione allo stato di passivo proposta da una società alla quale era stato ceduto un pacchetto di questi strumenti finanziari). Ebbene, il Giudice bolognese ha stabilito che la soluzione va ricercata in concreto, dipendendo dallo statuto della società emittente e dall’eventuale regolamento adottato con riguardo ad ogni emissione, come segue: “La disciplina di tali strumenti, che hanno natura ibrida tra azioni e obbligazioni, è rimessa essenzialmente allo statuto e ad un eventuale regolamento, non valendo per essi le normali regole contrattuali. Quanto al diritto alla restituzione, la dottrina ha avuto modo di precisare come lo stesso debba essere oggetto di una espressa pattuizione tra le parti, non essendo implicita, vista la rimessione all’autonomia negoziale della disciplina di tale strumento. Corollario che deriva dalla previsione statutaria del diritto alla restituzione è la conseguente contabilizzazione a bilancio dell’apporto: se lo stesso si configura come un finanziamento, dovrà essere contabilizzato nel passivo; se invece partecipa al rischio d’impresa, con conseguente mancanza di un obbligo di restituzione, verrà contabilizzato nel patrimonio netto” [10];
ii) Tribunale Ravenna, decr. 29 maggio 2020, che ha affrontato il tema dell’ammissibilità di una proposta concordataria facente leva sulla categoria degli SFP quale modalità di soddisfacimento dei creditori, alternativa rispetto a quella prevista in forma monetaria (il tutto secondo lo schema dell’art. 1197 c. c.). Nello specifico, il Tribunale si è soffermato ad illustrare le ragioni di tale ammissibilità, richiamando in particolare l’art. 160 L.F., che come noto – in una prospettiva di estrema apertura verso il buon esito della crisi d’impresa – accoglie l’atipicità della proposta concordataria; così, ben consentendo che il piano concordatario venga realizzato anche mediante il compimento di operazioni di carattere straordinario (nel caso concreto, mediante l’emissione di SFP, sotto forma di datio in solutum a favore dei creditori o di singole classi di essi, per l’effetto dandosi luogo ad integrale esecuzione del concordato) [11]. 
3 . I profili fiscali e l’art. 88, Tuir
Ora, va sottolineato come risulti di non piana determinazione la disciplina tributaria derivante dalla conversione del debito postergato negli strumenti finanziari de quibus: ciò, sia a causa dell’ambigua formulazione letterale della disposizione di riferimento, ossia l’art. 88, Tuir, sia della già accennata incertezza esegetica finora registratasi. 
Proprio per dirimere tali criticità, si riattingerà agli elementi civilistici e contabili già esposti nei precedenti paragrafi per studiarne le ricadute nel campo fiscale (in specie, i casi vertono su SFP di rischio, che vedono la conversione dei debiti in equity).
Riducendo all’osso la questione sotto la lente del Tuir, ad avviso di chi scrive si pone una serie di quesiti “a cascata”, in cui la domanda nodale è se la conversione dei crediti negli SFP rientri nell’alveo di applicazione dell’art. 88, c. 4-bis, ultimo paragrafo, nella parte in cui si prevede che “nei casi di operazioni di conversione del credito in partecipazioni si applicano le disposizioni dei periodi precedenti e il valore fiscale delle medesime partecipazioni viene assunto in un importo parti al valore fiscale del credito oggetto di conversione, al netto delle perdite sui crediti eventualmente deducibili per il creditore per effetto della conversione stessa” (e, in conseguenza del richiamo operato dal c. 4-ter al c. 4-bis,  se si determini l’applicazione del principio di detassazione limitata recato dall’art. 88, c. 4-ter con riguardo alle sopravvenienze attive conseguenti alla riduzione dei debiti dell’impresa in sede di concordato). 
In caso di risposta positiva, va determinata la sopravvenienza attiva avente rilievo reddituale. 
In caso di risposta negativa, va indagato se risulta applicabile il regime di totale detassazione di cui all’art. 88, c. 4, secondo il quale non si considerano sopravvenienze attive gli apporti effettuati dai possessori di strumenti similari alle azioni.
La risoluzione del quesito impone di affrontare alcuni passaggi strettamente connessi, di seguito sintetizzati [12].
L’art. 88, c. 4-bis, primo periodo. In tale ottica, va preliminarmente osservato che il c. 4-bis, primo periodo, dell’art. 88 Tuir disciplina gli effetti impositivi in capo al debitore della rinuncia dei crediti effettuata dai soci. Il primo periodo qualifica sopravvenienza attiva imponibile in capo al debitore la rinuncia dei soci ai crediti “per la parte che eccede il relativo valore fiscale”. 
L’art. 88, c. 4-bis, secondo periodo. Proprio in ragione del collegamento con la posizione fiscale del socio/creditore, il secondo periodo richiede che il socio, con apposita dichiarazione sostitutiva di atto notorio, comunichi al soggetto partecipato tale valore, pena l’assunzione, in assenza di tale comunicazione, di un valore fiscale del credito pari a zero e la determinazione di una sopravvenienza attiva tassabile, in capo al soggetto partecipato, pari all’intero ammontare del credito.
Nella relazione illustrativa allo schema di d.lgs. n. 147/2015, che ha consistentemente modificato l’art. 88, viene rilevato che “il nuovo regime qualifica <fiscalmente> l’apporto la sola parte di rinuncia che corrisponde al valore fiscalmente riconosciuto del credito (..).. Nei limiti del valore fiscale del credito, il socio aumenta il costo della partecipazione e il soggetto partecipato rileva fiscalmente un apporto (non tassabile); l’eccedenza, invece, costituisce per il debitore partecipato una sopravvenienza imponibile. E ciò a prescindere dal relativo trattamento contabile, con la conseguenza che ciò può generare un fenomeno di tassazione da gestire con una variazione in aumento”. La ratio della disposizione è quella di porre rimedio ad una asimmetria presente nell’egida del precedente regime per cui, alle deduzioni fiscali, di svalutazioni o di perdite su crediti, effettuate dal creditore originario o attuale (acquirente o meno il credito) non corrispondeva una equivalente tassazione, bensì la detassazione riservata agli atti di apporti di capitale o patrimonio a favore del soggetto partecipato [13]. 
L’art. 88, c. 4-bis, terzo periodo. Tale norma stabilisce poi che il medesimo trattamento previsto per la rinuncia del socio al credito si applica alle “operazioni di conversione del credito in partecipazioni” e che il valore fiscale delle medesime partecipazioni viene assunto in un importo pari al valore fiscale del credito oggetto di conversione. 
Al riguardo, la relazione illustrativa al d.lgs. n. 147/2015 precisa che “Analogo trattamento viene previsto nei casi di operazioni di conversione del credito in partecipazioni, a prescindere dalla modalità seguita per il loro compimento (quindi, se realizzate sia mediante sottoscrizione dell’aumento di capitale con compensazione che mediante altre operazioni) e a prescindere dai regimi contabili adottati dai soggetti coinvolti. ..  Va da sé che l’aver previsto l’incremento del costo della partecipazione del creditore di un importo limitato al valore fiscale del credito comporta che l’operazione di rinuncia o conversione per il creditore non dà luogo alla differenza rispetto al valore nominale”.
Pertanto, la disposizione realizza la seguente, piena assimilazione a fini impositivi reddituali: conversione del credito in partecipazioni = rinuncia al credito; così, determinando in capo alla società debitrice che emette le partecipazioni l’emersione di una sopravvenienza tassabile, costituita dalla eventuale eccedenza del valore nominale del debito oggetto di conversione rispetto al valore fiscale del credito in capo al creditore, a nulla rilevando che lo stesso fosse già socio o che lo diventi per effetto dell’operazione di conversione. 
L’art. 88, c. 4-ter. Tale disposizione reca il regime fiscale di limitata detassazione per le sopravvenienze derivanti da riduzioni dei debiti (ossia, la falcidia) dell’impresa nell’ambito di procedure di composizione della crisi d’impresa, come segue: 
(i)       Per i casi di concordato fallimentare e preventivo di tipo liquidatorio, la disposizione prevede la non imponibilità integrale e incondizionata della falcidia del debito, per cui la riduzione dei debiti effettuata in applicazione di tali procedure non costituisce sopravvenienza attiva imponibile per il suo complessivo ammontare (cfr. art. 88, c. 4-ter, primo periodo). 
(ii)    Di contro, nel caso dei concordati di risanamento – a cui è senza dubbio assimilabile il concordato in continuità aziendale ai sensi dell’art. 186-bis della legge fallimentare (in tal senso si è espressa l’Agenzia delle Entrate nella Risposta n. 85 del 23 novembre 2018) – è contemplato un regime di non imponibilità “relativa”, in quanto le sopravvenienze attive da esdebitamento sono escluse da imposizione (solo) per la parte che eccede le perdite fiscali di periodo e pregresse (senza considerare il limite dell’ottanta per cento ed anche se apportate al consolidato qualora la società in crisi abbia optato per l’applicazione di tale regime di tassazione), la deduzione ACE di periodo e l’eccedenza eventualmente riportata, nonché gli interessi passivi di periodo e pregressi (cfr. art. 88, c. 4-ter, secondo periodo). 
Per effetto poi del richiamo operato dall’ultimo periodo del c. 4-ter, le disposizioni di quest’ultimo paragrafo si applicano anche alle operazioni di cui al c. 4-bis; con ciò, estendendo il descritto regime agevolativo di detassazione limitata alle sopravvenienze attive di cui al c. 4-bis e precisamente (i) alla rinuncia al credito effettuato dal socio e (ii) alle operazioni di conversione del credito in partecipazioni.
La lettura coordinata dei commi 4-bis e 4-ter. La congiunta applicazione delle disposizioni contenute nei commi 4-bis (prima), e 4-ter (poi) dell’art. 88 Tuir, comporta che la sopravvenienza attiva, derivante dalla conversione del credito in partecipazioni, va comunque inclusa nel computo delle sopravvenienze attive da falcidia nell’ambito delle procedure concorsuali destinate alla continuazione dell’attività imprenditoriale di cui all’art. 88, c. 4-ter, secondo periodo, del Tuir, e la stessa vada determinata ai sensi del c. 4-bis, quale differenza tra il valore nominale e il valore fiscale del credito. 
Stante questa ricognizione, emerge chiaramente che, dal punto di vista meramente letterale, il Tuir pone riferimento alle sole “partecipazioni”, tuttavia non recando espresse previsioni riguardanti gli strumenti finanziari. 
4 . Verso un approccio “casistico”: alcuni recenti approdi dell’Amministrazione finanziaria
Secondo chi scrive, al fine di conseguire l’auspicato respiro anche “operativo” dell’odierno contributo, può risultare utile segnalare alcuni casi concreti di prassi erariale, confrontatisi con la conversione in SFP: infatti, sul tema sono di recente intervenute – a dimostrazione dell’attualità della materia – le inedite risposte ad Interpello (i) n. 902-15/2020, resa dalla Direzione Regionale della Valle d’Aosta, che contiene interessanti spunti ricostruttivi e sulla quale vale la pena spendere alcune riflessioni [14], nonché (ii) n. 956-1608/2020, resa dalla Direzione Regionale del Lazio.
Nel caso di specie recato dalla risposta n. 902-15/2020, il socio vantava un credito per finanziamento di rilevante entità. Al fine di “rafforzare” il patrimonio del soggetto in crisi, si procedeva a deliberare la conversione delle predette partite in apporto patrimoniale, a fronte della sottoscrizione di apposito strumento finanziario partecipativo (SFP). Vale osservare come l’emissione del predetto strumento fosse condizionata all’omologazione del concordato preventivo ai sensi dell’art. 180 della L.F. [15].
Alla luce del soprastante inquadramento generale, è stata presentata apposita istanza di interpello alla Direzione Regionale delle Entrate della Valle d’Aosta, per comprendere se la conversione in strumenti finanziari partecipativi del credito postergato fosse equiparabile ad una operazione di conversione del credito in partecipazioni (di cui all’ultimo periodo del comma 4-bis dell’art. 88 del Tuir); ovvero, rientrasse nell’alveo applicativo del c. 4 dell’art. 88.
Sul punto, va ribadito che la littera legis dell’art. 88, c. 4-bis, ultimo periodo, parrebbe riferirsi specificamente alle conversioni di crediti in “partecipazioni” e non richiama invece la diversa (ma sostanzialmente assimilabile) figura degli strumenti finanziari similari alle azioni, quale è appunto lo SFP. 
Vale notare che nelle varie disposizioni del Tuir la nozione di “partecipazioni” è distinta ed alternativa rispetto a quella di “strumento finanziario similare alle azioni” e mai la prima è impiegata in maniera generica, così da poter includere anche la seconda (ai fini esemplificativi si vedano gli artt. 44, 59, 67, 85, 87 del Tuir). 
Il dato parrebbe trovare ulteriore conferma nella circostanza che gli attuali commi 4, 4-bis e 4-ter sono stati introdotti dall’art. 13 del d.lgs. 14 settembre 2015, n. 147. Nel comma 4, il Legislatore si è premurato di specificare che “Non si considerano sopravvenienze attive …  gli apporti effettuati dai possessori di strumenti similari alle azioni”, relegando quindi la fattispecie della conversione dei crediti in SFP al solo comma 4. 
Al contrario, l’opposta ricostruzione estensiva – cioè quella di ricomprendere nell’alveo del c. 4-bis ultimo periodo anche la fattispecie della conversione dei crediti in SFP – trova il suo fondamento in una interpretazione logico-sistematica della disposizione che valorizza la relativa finalità di introdurre un regime unitario e coerente della rinuncia al credito e delle fattispecie assimilate, quali appunto la conversione del credito in partecipazioni e strumenti similari. 
Ciò, a ben vedere, in aderenza sistematica anche con i già ricordati intendimenti legislativi che la Riforma del diritto societario del 2003 intendeva perseguire (appunto, tra le novità si ricorda anche l’introduzione degli SFP). Vi sarebbe così una razionalità legislativa “trasversale”, idonea ad abbracciare in maniera armoniosa le varie branche del diritto. Inoltre, l’approccio estensivo risulterebbe coerente con quanto disposto dall’art. 113 del Tuir in punto di partecipazioni acquisite dagli istituti di credito per il recupero dei crediti bancari: al riguardo, l’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 42/2010 ha precisato che ai fini dell’art. 113 del Tuir (che tratta di “partecipazioni acquisite nell’ambito degli interventi finalizzati al recupero di crediti o derivanti dalla conversione in azioni di nuova emissioni di crediti verso imprese”) gli strumenti finanziari partecipativi sono assimilabili, sotto il profilo fiscale, alle azioni, sempre che siano rappresentati da certificati o titoli, purché idonei alla circolazione presso il pubblico e che la loro remunerazione sia costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente. 
Peraltro, in questa prospettiva, si segnala che l’Agenzia delle Entrate, seppure incidentalmente, nella risposta n. 85/2018 ha in conclusione evidenziato che il meccanismo di parziale detassazione previsto dal comma 4-ter – applicabile alle operazioni di cui al comma 4-bis in forza del rinvio contenuto nell’ultimo periodo dello stesso comma 4-tertrova applicazione per i “componenti positivi di reddito che emergono a seguito della conversione di crediti in strumenti partecipativi”.
Tanto illustrato in via generale e ricognitiva, nel caso concreto dell’interpello n. 902-15/2020, Direzione Regionale della Valle d’Aosta, si evince che il regolamento dello SFP prevedeva inter alia quanto segue:
- che lo SFP non costituisce titolo di credito, è privo di valore nominale e non può essere trasferito;
- che l’apporto viene effettuato senza diritto di rimborso e viene contabilizzato in un’apposita riserva indisponibile del patrimonio netto;
- che la titolarità dello SFP, fatti salvi i diritti patrimoniali all’uopo disciplinati, non attribuisce alcun diritto alla restituzione di quanto oggetto di apporto, né di quanto confluito nella apposita riserva;
- che fino alla data di estinzione dello SFP, lo stesso attribuisce al suo titolare pro tempore il diritto di partecipare, su base paritaria rispetto ai titolari di azioni ordinarie della Società, a: (a) la distribuzione degli utili di cui l’assemblea dei soci della Società abbia accertato l’esistenza e deliberato la distribuzione; (b) la distribuzione delle riserve da utili o comunque di natura distribuibile di cui l’assemblea dei soci della Società abbia deliberato la distribuzione; (c) il riparto del residuo attivo di liquidazione della Società, quale risultante al netto del pagamento di tutti i creditori della Società, nonché al pagamento delle spese relative alla procedura di liquidazione e al compenso dei liquidatori;
- che, in riferimento alle perdite, l’apposita riserva dovrà essere utilizzata per ultima, prima della riserva legale, nell’assorbimento delle perdite stesse;
- che nel caso di riduzione volontaria del capitale sociale della Società che sia attuata senza annullamento di azioni e mediante il rimborso del capitale ai soci, lo SFP attribuisce, inoltre, al suo titolare pro tempore il diritto di ricevere un importo in denaro pari all’importo che avrebbe dovuto essere distribuito al titolare;
- che al titolare spetta il diritto di opzione in caso di emissione, da parte della Società, di ulteriori SFP, nonché, se del caso, in conformità e nel rispetto di quanto deliberato dalla deliberazione assembleare di emissione, il diritto di sottoscrizione su azioni, obbligazioni convertibili o altri strumenti finanziari;
- che lo SFP ha durata pari a quella della Società.
Alla luce di tali disposizioni, in definitiva, dal punto di vista sostanziale lo SFP del caso concreto può essere equiparato a tutti gli effetti ad uno strumento di equity, ciò in quanto i diritti patrimoniali riconosciuti pongono il sottoscrittore di tali strumenti al pari di un azionista, e pertanto lo stesso di qualifica, dal punto di vista fiscale, come “titoli o strumenti finanziari similari alle azioni” ex art. 44, c. 2, del Tuir (risulta così evidente l’utilità del substrato civilistico esposto in apertura del contributo).
In considerazione di quanto precede, l’istante ha offerto (e la Direzione Regionale abbracciato) le seguenti ricostruzioni: 
- gli SFP in esame recano caratteristiche del tutto analoghe a quelle delle partecipazioni, sotto il profilo sostanziale; è quindi ragionevole considerarli SFP assimilabili ad equity;
- pertanto, l’ultimo periodo del c. 4-bis dell’art. 88 del Tuir può trovare applicazione anche all’ipotesi di conversione di crediti in strumenti finanziari partecipativi, assimilabili ad equity;
- in considerazione di tale inclusione, ai fini della determinazione della sopravvenienza imponibile derivante dalla conversione del debito in SFP, trova applicazione il primo periodo del c. 4-bis dell’art. 88, del Tuir, di talché emerge una sopravvenienza attiva tassabile nei limiti della parte del valore nominale del debito che eccede il valore fiscalmente riconosciuto del credito oggetto di conversione in capo al creditore;
- nel caso in cui dall’applicazione del c. 4-bis emerga una sopravvenienza tassabile dalla conversione, questa va cumulata alle altre sopravvenienze da falcidia e va assoggettata alla disciplina del c. 4-ter dell’art. 88, del Tuir e per l’effetto al meccanismo di parziale detassazione ivi recato (scomputandovi le perdite pregresse e gli altri componenti negativi di reddito colà richiamati).  
La ricostruzione, proposta dall’istante ed imperniata su elementi logico-sostanziali più che su quelli squisitamente formali, è stata pienamente accolta dall’Amministrazione finanziaria, che ha confermato l’applicabilità dell’ultimo periodo del comma 4-bis dell’art. 88 del Tuir all’ipotesi di conversione dei crediti in strumenti finanziari partecipativi. Infatti, l’Amministrazione finanziaria ha osservato quanto segue: “lo strumento in oggetto presenta numerosi e concordi elementi riconducibili alla natura di equity. In particolare, la remunerazione degli SFP in questione appare esclusivamente collegata ai risultati economici della società come richiesto dall’articolo 44, comma 2, lettera a) del TUIR. Considerato, inoltre, che tali strumenti finanziari, come indicato nel Regolamento, rappresentano uno strumento di rischio, sono emessi senza obbligo di rimborso e conferiscono esclusivamente diritti patrimoniali specificamente indicati, si ritiene che gli SFP in esame possano essere assimilati alle azioni. 
In conclusione, si concorda con la soluzione prospettata dalla società istante di ritenere applicabile l’ultimo periodo del comma 4-bis e 4-ter dell’art. 88 TUIR, subordinatamente alla omologazione del concordato preventivo”. Di talché, l’eventuale sopravvenienza attiva derivante dalla conversione del credito in SFP, determinata quale differenza fra il valore nominale ed il valore fiscale del credito, va inclusa nel computo delle sopravvenienze attive da falcidia nell’ambito delle procedure concorsuali destinate alla continuazione dell’attività imprenditoriale di cui all’art. 88, c. 4-ter, secondo periodo, del Tuir. 
Giova poi evidenziare che la risposta n. 956-1608/2020, resa dalla Direzione Regionale del Lazio, risulta di tenore pressoché analogo a quella della Valle d’Aosta. 
Infatti, nel caso di specie (a fronte di una diversa interpretazione proposta dal contribuente), l’Amministrazione finanziaria ha chiarito quanto segue: “non si condivide l’opinione dell’Istante secondo la quale il caso in esame non rientrerebbe nell'ambito di applicazione del comma 4-bis dell’articolo 88, riferendosi il dato letterale della disposizione normativa a partecipazioni e non a strumenti similari alle azioni. Si ritiene al riguardo che il richiamo al comma 4-bis dell’articolo 88 TUIR deve essere interpretato, viceversa, nel senso di ricomprendere tutte le ipotesi di riduzione di debiti nell'ambito di procedure concorsuali, ivi compresi i casi in cui tale riduzione avvenga mediante conversione di crediti in strumenti finanziari che attribuiscano al detentore diritti sul patrimonio societario quindi, non solo alle azioni, ma anche agli strumenti finanziari similari alle azioni”.
5 . Osservazioni conclusive
Ad avviso di chi scrive, l’impostazione recentemente abbracciata dall’Amministrazione finanziaria, evidentemente curvata su elementi logico-sistematici prevalenti rispetto a quelli meramente letterali, risulta del tutto condivisibile, in quanto poggia su basi di equilibrio e di ragionevolezza.
Per l’effetto, ciò potrebbe contribuire a superare talune precedenti incertezze – riconducibili principalmente ad una non piana formulazione letterale della normativa –, così incentivando l’utilizzo alla conversione dei crediti in strumenti finanziari partecipativi, nei procedimenti di ricomposizione delle crisi d’impresa.    
L’istituto degli SFP, infatti, proprio per le intrinseche caratteristiche di flessibilità e modellabilità, potrebbe ulteriormente trovare impiego nelle procedure concorsuali, promuovendone un buon esito.

Note:

[1] 
Con riguardo alla disciplina delle azioni e delle obbligazioni, la Legge Delega, n. 366/2001, indicava che tra gli obiettivi a cui era diretta la Riforma figurava il “prevedere, al fine di agevolare il ricorso al mercato dei capitali e salve in ogni caso le riserve di attività previste dalle leggi vigenti, la possibilità, i limiti e le condizioni di emissione di strumenti finanziari non partecipativi e partecipativi dotati di diversi diritti patrimoniali e amministrativi”.
[2] 
La relazione di accompagnamento al d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, al punto 3.4, è chiarissima nel motivare la scelta legislativa di introdurre gli strumenti finanziari de quibus: “sempre perseguendo l’obiettivo politico di ampliare la possibilità di acquisizione di elementi utili per il proficuo svolgimento dell’attività sociale, ma con soluzione necessariamente coerente con i vincoli posti dalla seconda direttiva comunitaria che imperativamente vieta il conferimento di opere e servizi, si è espressamente ammessa la possibilità che in tal caso, fermo rimanendo il divieto di loro imputazione a capitale, siano emessi strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o partecipativi: così nell’ultimo comma dell’art. 2346. Ovviamente si apre così un ampio spazio per l’autonomia statutaria per definire i diritti spettanti ai possessori dei suddetti strumenti finanziari, i quali potranno essere i più vari e comprendere pertanto anche il diritto di conversione in altri strumenti finanziari o in partecipazioni azionarie […] D’altra parte, al fine nuovamente di evitare problemi applicativi di non agevole soluzione, si è precisato che gli strumenti finanziari in questione possono conferire tutti i diritti partecipativi escluso quello del diritto di voto nell’assemblea generale degli azionisti. Ciò appare necessario in quanto, data la particolarità di tali strumenti finanziari, ne potrebbero derivare molteplici incertezze e conseguenti ragioni di instabilità per il funzionamento dell’assemblea; e ne potrebbero derivare ragioni di incertezza sistematica, fonti di imprevedibili esiti interpretativi, in merito alla stessa nozione di partecipazione azionaria. Mentre l’esplicita previsione che tra i diritti da essi conferiti può essere pure quello di nominare in assemblea separata un componente degli organi di amministra-zione e/o di controllo della società (così l’ultimo comma dell’art. 2351) sembra in effetti, piuttosto che diminuire, accrescere la loro appetibilità per gli operatori economici che intendano utilizzarli”. 
[3] 
Per comodità del Lettore, viene di seguito citato l’art. 2346, ultimo comma: “Resta salva la possibilità che la società, a seguito dell’apporto da parte dei soci o di terzi anche di opera o servizi, emetta strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell'assemblea generale degli azionisti. In tal caso lo statuto ne disciplina le modalità e condizioni di emissione, i diritti che conferiscono, le sanzioni in caso di inadempimento delle prestazioni e, se ammessa, la legge di circolazione”.
[4] 
Vastissima è la dottrina soffermatasi sugli SFP; senza nessuna pretesa di completezza, cfr. ex pluribus: F. Corsi, La nuova s.p.a.: gli strumenti finanziari, in Giur. Comm., 2003, I, 414 ss.; M. S. Spolidoro, Conferimenti e strumenti partecipativi nella riforma delle società di capitali, in Dir. banca merc. Fin., 2003, 205 ss.; F. Magliulo, Le categorie di azioni e strumenti finanziari nella nuova s.p.a., Milano, 2004, passim; M. Cian, Gli strumenti finanziari di s.p.a.: pluralità delle fattispecie e coordinamento delle discipline, in Giur. Comm., 2005, I, 382 ss.; A. Lolli, Gli strumenti finanziari, in A. Maffei Alberti (a cura di), Il nuovo diritto delle società. Volume I, Padova, 2005, 190 ss.; B. Libonati, I “nuovi” strumenti finanziari partecipativi, in Riv. dir. comm., 2007, I, 1 ss.; M. Notari – A. Giannelli, Commento al comma 6, in Azioni. Artt. 2346 – 2362 c.c. (a cura di M. Notari), in Commentario alla riforma delle società (diretto da P. Marchetti – Luigi A. Bianchi – F. Ghezzi – M. Notari), Milano, 2008, 52 ss.; G. Mignone, Commento art. 2346, c. 6, in N. Abriani – M. Stella Richter (a cura di), Codice commentato delle società. Artt. 2247 – 2483, Torino, 2010,  634 ss.;  C. Formica, Commento art. 2346 c.c., in A. Maffei Alberti (a cura di), Commentario breve al diritto delle società. Quarta edizione, Padova, 2017, 366 ss.;  E. Ginevra, Gli strumenti finanziari diversi da azioni e obbligazioni, in M. Cian (a cura di), Diritto commerciale. III. Diritto delle società, Torino, 2017, 382 ss.
Inoltre, in specie per la “calibrazione” dei vari diritti associati agli SFP, cfr. gli approfonditi studi del Notariato, Studio n. 5571/I, Strumenti finanziari “partecipativi” (art. 2346, ultimo comma, c.c.) e diritti amministrativi nella società per azioni, curato da U. Tombari e approvato dalla Commissione Studi d’Impresa il 25 febbraio 2005; Quesito di Impresa n. 5894/I, Società cooperative: emissione di obbligazioni e nomina del collegio sindacale, in CNN Notizie, 27.12.2005; nonché Assonime, Caso n. 6/2014, L’assegnazione di strumenti finanziari partecipativi ai dipendenti di società.
Infine, con riferimento all’utilizzo degli SFP nell’ambito del risanamento alla crisi d’impresa, cfr. A. Busani – M. Sagliocca, Gli strumenti finanziari partecipativi nelle operazioni di restructuring, in Società, 2011, 925 ss.; G. D’Attorre, Gli strumenti finanziari partecipativi nella crisi d’impresa, Il Diritto Fallimentare e delle Società Commerciali, 2017, 329 ss.; nonché, in tempi più recenti, L. Stanghellini – P. Rinaldi, Trasformazione dei prestiti Covid-19 in strumenti finanziari partecipativi (SFP). Un’idea per far ripartire il sistema delle imprese, in ilcaso.it Blog, pubblicato il 03/04/20.
[5] 
Per approfondimenti sui numerosi temi recati dalla disciplina in questione, si veda la letteratura di cui alla nota precedente.
[6] 
Per un commento a tale norma si rinvia, per tutti, a quanto autorevolmente evidenziato da L. Panzani, Il D.L “Pagni” ovvero la lezione (positiva) del covid, in questa Rivista, 25 agosto 2021, https://www.dirittodellacrisi.it/articolo/il-d-l-pagni-ovvero-la-lezione-positiva-del-covid nonché S. Leuzzi, Una rapida lettura dello schema di D.L. recante misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale, 5 agosto 2021, https://www.dirittodellacrisi.it/articolo/una-rapida-lettura-dello-schema-di-d-l-recante-misure-urgenti-in-materia-di-crisi-dimpresa-e-di-risanamento-aziendale
[7] 
Come noto, i principi IAS/IFRS sono fondati su regole provviste di significativo grado di dettaglio sulla contabilizzazione degli strumenti finanziari; su ciò, datane la ponderosità e la complessità, tuttavia non ci si intratterrà in questa sede.
[8] 
Sul punto, si vedano ad esempio M. Notari – A. Giannelli, Op. cit., 110 ss.; A. Lolli, Op. cit., 196-197; M. Turco, Aspetti giuridici e contabili degli strumenti finanziari partecipativi, in Quaderno monografico n. 34/2005, allegato a Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale n.7/8 del 2005, passim; M. Bussoletti, L’iscrizione in bilancio degli apporti non di capitale (titoli partecipativi e apporti di terzi nei patrimoni destinati), in Liber amicorum Campobasso, 2007, III, 187 ss.; M. Tarabusi, Strumenti finanziari partecipativi, diritto di recesso e principi contabili internazionali: esiste ancora il sistema del netto?, in Giur. Comm., 2007, I, 456 ss.; M. Venuti, Il principio “substance over form” nel bilancio Ias/Ifrs (II Parte), in Società, 2008, 428 ss.; C. Sottoriva – E. Amosi, La rappresentazione degli strumenti finanziari partecipativi nel bilancio di esercizio, in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, 2012, 157 ss.
[9] 
Il Consiglio Notarile di Milano ha emanato un ricco corpus di Massime, incentrato sugli SFP:
163. Competenza all’emissione degli strumenti finanziari partecipativi (art. 2346, comma 6, c.c.) [7 novembre 2017]
164. Diritti patrimoniali degli strumenti finanziari partecipativi (art. 2346, comma 6, c.c.) [7 novembre 2017]
165. Apporti dei sottoscrittori di strumenti finanziari partecipativi (artt. 2346, comma 6, e 2349, comma 2, c.c.) [7 novembre 2017]
166. Strumenti finanziari partecipativi convertibili in azioni (artt. 2346, comma 6, c.c.) [7 novembre 2017]
167. Diritto di voto degli strumenti finanziari (art. 2346, comma 6, e 2351, comma 5, c.c.) [7 novembre 2017]
168. Diritto di nomina di amministratori e sindaci da parte degli strumenti finanziari partecipativi (art. 2346, comma 6, e 2351, comma 5, c.c.) [7 novembre 2017]
[11] 
Cfr. http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/23715.pdf,  nonché in Fallimento, 2021, 83 e ss., con nota di commento di P. Rinaldi, Strumenti finanziari partecipativi come modalità satisfattiva principale nel concordato preventivo in continuità.
Nell’appena citato contributo, l’Autore esplora attentamente una tematica tutt’altro che trascurabile, ossia se nel caso di conversione del debito in SFP, in seno al concordato, trovi applicazione la stringente disciplina riguardante il prospetto informativo ex artt. 94 e ss., Tuf, evidenziando come possa risultare dirimente la vincolatività (o meno) della proposta. In altre parole, la coercizione della proposta parrebbe escludere la disciplina Tuf (ciò, anche sulla scorta di precedenti, autorevoli chiarimenti Consob, tra cui Comunicazione n. 12062850 del 26-7-2012).
[12] 
In generale, sulle disposizioni recate dall’art. 88, Tuir e concernenti le procedure concorsuali, cfr. G. Zizzo, Le vicende straordinarie nel reddito d’impresa, in G. Falsitta, Manuale di diritto tributario. Parte speciale, XIII edizione, Padova, 2021, 768 ss.; F. Padovani, Commento art. 88, in A. Fantozzi (a cura di), Commentario breve alle Leggi Tributarie - Tomo III: Tuir e leggi complementari, Padova, 2010, 448 ss.; M. Leo, Le imposte sui redditi nel Testo Unico. Tomo II, Milano, 2018, 1481 ss.              
Con riferimento, poi, agli strumenti finanziari, cfr. G. Andreani – G. Ferranti, Testo Unico Imposte sui Redditi, I Edizione, Milano, 2017, 1209 ss.; G. Andreani – A. Tubelli, Gli effetti fiscali  della conversione del credito in capitale, in Fisco, 2019, 4207 ss.; G. Andreani – A. Tubelli, La detassazione delle sopravvenienze attive da esdebitamento in  presenza di perdite, in Fisco, 2019, 2319 ss., nonché, se si vuole, E. Artuso – I. Bisinella, Concordato preventivo e conversione in SFP di finanziamenti postergati del socio, in NT Diritto Il Sole 24 Ore, 14 gennaio 2021, https://ntplusdiritto.ilsole24ore.com/art/sulla-conversione-sfp-finanziamenti-socio-postergati-ambito-concordato-preventivo-primo-chiarimento-circa-inclusione-tale-fattispecie-alveo-art-88-comma-4-bis-tuir-ADjjMUDB?utm_term=Autofeed&utm_medium=FBSole24Ore&utm_source=Facebook&refresh_ce=1
[13] 
Insomma, vi era una sorta di asistematica “doppia deduzione”.
In ipotesi in cui la società partecipante abbia svalutato con rilevanza fiscale il credito, stante il ricorrere di oggettive condizioni di inesigibilità, o il creditore originario in regime di impresa abbia ceduto a sconto il credito poi oggetto di rinuncia, si genera una differenza tra valore nominale e valore fiscale del credito; questa, a propria volta, fa emergere una sopravvenienza tassabile in capo alla società partecipata che beneficia della rinuncia che, simmetricamente, va a compensare la deduzione fiscale della svalutazione o della perdita su crediti realizzata da altro soggetto.
[14] 
In tema, se si vuole, sia consentito rinviare ad E. Artuso – I. Bisinella, Op. cit.
[15] 
Si badi: alla mera omologazione, non già alla definitività della stessa.

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Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

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