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Saggio

Brevissime note in tema di effetti della pronuncia sulla domanda di omologa degli accordi di ristrutturazione dei debiti*

Massimo Montanari, Ordinario di diritto processuale civile nell’Università di Parma

21 Febbraio 2024

*Il presente lavoro costituisce il testo, debitamente integrato e arricchito delle note, della relazione presentata al convegno, sul tema “Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nel Codice della crisi: attualità e prospettive”, svoltosi a Reggio Emilia in data 20 ottobre 2023 e promosso dal centro Studi “Diritto della crisi e dell’insolvenza” in collaborazione con questa Rivista.
*Il saggio è stato sottoposto in forma anonima alla valutazione di un referee.
Il lavoro affronta alcune questioni poste dalla disciplina degli effetti che la pronuncia in tema di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti è idonea a produrre, con precipuo riferimento ai vincoli che possono derivare, dalla decisione che essa omologa abbia ricusato, nei confronti del giudice che sia parallelamente o successivamente adito con istanza di liquidazione giudiziale contro il medesimo debitore. 
Riproduzione riservata
1 . L’efficacia “specifica” dell’omologazione
Le presenti considerazioni debbono prendere logicamente le mosse da quella che rappresenta l’opinione comunemente recepita intorno all’argomento che mi è stato assegnato e, cioè, che l’efficacia propriamente negoziale degli accordi di ristrutturazione di cui agli artt. 182 bis L. fall. e, oggi, 57 ss. CCII – e si allude, in particolare, anche se non soltanto, all’efficacia lato sensu esdebitatoria dei medesimi, che nei confronti di fideiussori, coobbligati, soci illimitatamente responsabili della società debitrice, è soggetta a differente regolamentazione, a seconda si tratti degli accordi base oppure a efficacia estesa, a livello dell’art. 59 del Codice – vivrebbe, siffatta efficacia, “di vita propria” rispetto all’omologazione[1]. Con il che s’intende che essi accordi, non importa se valutati singolarmente oppure nel loro complesso, debbono reputarsi efficaci sin dalla loro stipulazione[2]; e, correlativamente, quello che la pronuncia di omologazione vien loro ad aggiungere, ossia il così definito quid pluris omologatorio, non sarebbe apprezzabile sul piano del diritto sostanziale - se non, al più, per quanto attiene al riscadenziamento dei pagamenti dovuti ai creditori estranei, quale delineato dall’art. 57, comma 3, CCII -, bensì, come efficacemente s’è detto, “si sostanzi in un fascio di prerogative proprio della concorsualità”[3], ossia legate all’ipotetica apertura di una successiva procedura concorsuale[4] e, quindi, rilevanti in via, almeno tendenzialmente, esclusiva in quella dimensione[5], come è a dirsi: a) dell’esenzione dalla revocatoria di atti, pagamenti e garanzie su beni del debitore posti in essere in esecuzione dell’accordo (art. 166, comma 3, lett. e, CCII; b) dell’esenzione dalla revocatoria di atti, pagamenti e garanzie legalmente posti in essere dal debitore dopo il deposito della domanda di omologa dell’accordo (ibidem)[6]; c) dell’attribuzione del regime della prededucibilità ai crediti professionali sorti in funzione della domanda di omologa dell’accordo (art. 6, comma 1, lett. b, CCII)[7]; d) della sottrazione all’area della punibilità per i reati di bancarotta preferenziale o bancarotta semplice dei pagamenti e delle operazioni compiuti in esecuzione degli accordi (art. 324 CCII)[8]. 
Ora, che gli accordi di ristrutturazione, in se considerati, siano in grado di sopravvivere al diniego giudiziale della relativa omologazione, salva, ovviamente, una diversa volontà delle parti, concretatasi in una clausola dell’accordo che ne subordini l’efficacia alla sopravvenuta declaratoria di omologa, al modo di vera e propria condizione, a seconda dei casi sospensiva o risolutiva[9], ecco, su tutto ciò ben si può convenire e non è certo mia intenzione, in questa sede, aprire una discussione al riguardo. Ciò di cui si può discutere viceversa, e che dà precipuamente un senso a queste riflessioni, sono alcuni svolgimenti di quella premessa, meritevoli di particolare interesse, almeno se si assume, come punto di vista, quello del cultore del diritto processuale. 
2 . L’autonomo rilievo degli accordi non omologati e le sorti della successiva domanda di apertura della liquidazione giudiziale: a) le dimensioni del problema
Il discorso avviato a conclusione del paragrafo che immediatamente precede si ricollega direttamente a una posizione a suo tempo professata da Massimo Fabiani[10] e di recente ribadita dallo stesso A. nel suo pregevole studio, apparso come fascicolo monografico della rivista Il Foro italiano, sulla tutela giurisdizionale nel sistema del Codice della crisi, dove, testualmente, si legge che “l’autonomia dell’accordo rispetto alla sua omologazione dovrebbe rilevare ai fini della delibazione sullo stato d’insolvenza, nel senso che la richiesta di liquidazione giudiziale può essere respinta pur quando un accordo fra i creditori vi sia e sia tale da liberare risorse sufficienti per pagare i creditori estranei, anche se per una qualunque ragione l’accordo non sia stato omologato”[11]. 
Il dato di partenza del ragionamento è senz’altro condivisibile: l’autonoma efficacia, in particolare esdebitatoria, di cui sono muniti gli accordi di ristrutturazione a prescindere da quella che ne sia la successivamente accordata, o negata, omologazione, fa sì che il giudice adito con domanda di apertura della liquidazione giudiziale, a séguito di un provvedimento che l’omologa medesima abbia rifiutato, non possa riguardare essi accordi, in sede di delibazione sullo stato di insolvenza, tamquam non essent. Ma tale autonomia dell’accordo rispetto all’omologa non può, a mio sommesso avviso, essere spinta sino al punto indicato dall’apprezzato Autore con l’inciso “per una qualunque ragione l’accordo non sia stato omologato”, ossia sino al punto di ammettere che la domanda di apertura della liquidazione giudiziale possa essere respinta indipendentemente dai motivi per i quali gli accordi intercorsi con il ceto creditorio si siano visti negata l’omologa. 
Nulla quaestio, ovviamente, allorché il rigetto della domanda di omologa sia stato disposto per ragioni d’ordine formale o, meglio, per ragioni non attinenti a quei profili della relativa fattispecie legittimante che gli accordi di ristrutturazione condividono con la liquidazione giudiziale (rectius, che la domanda di omologa dei primi condivide con la domanda di apertura della seconda), vale a dire, qualità di imprenditore soprasoglia del debitore e, sia pure a segno invertito nel passaggio da una procedura all’altra, sussistenza dello stato d’insolvenza: profili che perverrebbero al vaglio del giudice della procedura liquidatoria del tutto vergini e impregiudicati qualora l’omologa  fosse rifiutata, ad es., per mancato raggiungimento della soglia richiesta per legge di creditori aderenti all’accordo[12]; e proprio perché impregiudicate, il tribunale adito con la domanda di liquidazione potrebbe risolvere le relative questioni come meglio crede, senza vincoli promananti dalla sentenza di negata omologa e, dunque, con la piena facoltà di respingere l’istanza liquidatoria. 
Ma può valere lo stesso allorquando la richiesta di omologa dell’accordo sia stata disattesa per avere il giudice constatato l’inattuabilità dell’accordo e, dunque, l’inettitudine dello stesso a liberare le risorse sufficienti per far fronte alle pretese dei creditori non aderenti ? Esplicitando: la diagnosi di incapacità dell’accordo di rimuovere lo stato d’insolvenza in cui versa il debitore può essere completamente ribaltata dal giudice investito della domanda di liquidazione giudiziale innanzi al quale l’accordo, sul conclamato presupposto della sua ultrattività rispetto al diniego di omologazione, sia stato invocato a titolo di eccezione avverso l’esperita domanda liquidatoria ? 
Io direi di no, allo stesso modo e, soprattutto, sulla scorta delle stesse ragioni per cui direi di no a fronte dell’interrogativo, per certi versi speculare, se, dopo che l’omologa sia stata negata per avere il giudice rilevato che quella svolta dal debitore istante fosse attività professionale e non un’attività d’impresa, sia dato sconfessare questa valutazione in sede di giudizio di apertura della liquidazione controllata del sovraindebitato, così da mettere capo anche qui – beninteso, una volta acclarato anche il superamento di taluna o talaltra delle soglie dimensionali di cui all’art. 2, lett. d), CCII - al rigetto dell’istanza liquidatoria avanzata in via consequenziale al diniego dell’omologa degli accordi[13]. 
Quali siano dette ragioni, è mio dovere, ovviamente, spiegarlo: ma procediamo con ordine. 
3 . Segue: b) l’ipotesi del cumulo di domande (con excursus extra ordinem sui differenti problemi che la fattispecie genera)
La questione, testé affacciata, se gli accertamenti di merito sul cui fondamento la domanda di omologa dell’accordo di ristrutturazione sia stata respinta siano o meno in grado di spiegare un vincolo conformativo nei confronti del giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di apertura della liquidazione giudiziale avverso il medesimo debitore, non ha invero, tale questione, neppure motivo di porsi nei casi in cui, muovendo in conformità alle prescrizioni dell’art. 7, comma 1, CCII – consacrante il principio di trattazione unitaria delle domande di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza –, le contrapposte domande di omologa dell’accordo e di apertura della liquidazione giudiziale siano state oggetto di riunione entro l’involucro di un unico procedimento: dove l’armonia delle decisioni su quelli che costituiscono gli elementi a rilevanza comune delle due domande può dirsi assicurata per definizione, nella misura in cui essa armonia esprime la ragion d’essere più profonda dell’istituto del simultaneus processus, almeno dove previsto, come nelle ipotesi di cui alla norma ult. cit., per ragioni di connessione oggettiva tra le domande interessate[14]. 
A sollecitare l’attenzione del processualista nella fattispecie ora in considerazione può essere, semmai, un diverso problema, come quello inerente alle modalità di svolgimento del giudizio cumulativo scaturito dalla predetta operazione riunificatoria. Un approfondimento al riguardo rappresenta indiscutibilmente un fuor d’opera rispetto al dichiarato obiettivo di queste riflessioni; ma difficile è resistere alla tentazione di gettare almeno un fugace sguardo anche in quella direzione. 
L’occasione è infatti propizia per denunciare il carattere, se non improvvisato, certo non adeguatamente ponderato della soluzione dettata, seppure in termini generali, a quel fine dal secondo decreto correttivo della Riforma (D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, altrimenti noto come decreto attuativo della direttiva Insolvency), che ha disposto l’inserimento, in coda al predetto art. 7, comma 1, CCII, di un successivo, e secondo, periodo, a tenore del quale il giudizio cumulativo cui si verrebbe a far luogo ai sensi del precedente e primo periodo dovrebbe svolgersi nelle forme di cui agli artt. 40 e 41 del Codice, ergo nelle forme del giudizio di apertura della liquidazione giudiziale
Ecco, questa soluzione, palesemente fondata sulla ratio del superiore tasso di formalizzazione ed annesse garanzie di difesa che caratterizza l’iter di accesso alla liquidazione giudiziale, se ben si attaglia ai casi di riunione di questo giudizio con quello, drasticamente deformalizzato, di ammissione al concordato preventivo; assai meno si attaglia ai differenti casi in cui detta rifusione ad unitatem debba avvenire con i giudizi, decisamente più formalizzati, di omologazione del concordato preventivo o, appunto, degli accordi di ristrutturazione dei debiti[15]. 
Tanto per fare un esempio, pensiamo all’ipotesi in cui la domanda di omologazione dell’accordo sopravvenga nelle more tra deposito del ricorso per l’apertura della liquidazione e celebrazione della relativa udienza, quale fissata dal giudice con decreto in calce al ricorso medesimo. È ragionevole, in questa ipotesi, supporre che, disposta la riunione delle domande, si debba far luogo a un rinvio dell’udienza precedentemente fissata[16], in modo tale da concedere, ai soggetti interessati a proporre opposizione all’omologa, tra cui, presumo, lo stesso creditore istante per la liquidazione, i) la possibilità di fruire integralmente del relativo termine di trenta giorni dall’iscrizione della domanda nel registro delle imprese; ii) nonché il diritto alla trattazione in udienza di quell’opposizione medesima: ma è chiaro che, così procedendo, si fuoriesca dal binario tracciato dall’art. 41 del Codice, disattendendo la scelta legislativa di voler integralmente affidata a questa norma la regolamentazione del processo cumulativo derivante dalla riunione in discorso. 
E tutto questo a tacere di altre questioni collaterali. Ad esempio: se a chiedere la liquidazione giudiziale sia stato il pubblico ministero, esso pure è legittimato a proporre opposizione all’omologa? Oppure le sue contestazioni al riguardo possono essere diversamente veicolate ? E accogliendo quest’ultima opzione, si può in via generale assumere che quella dell’opposizione non sarebbe più la forma vincolata delle contestazioni avverso l’omologa degli accordi, allorché la relativa domanda sia stata svolta in seno al giudizio pendente di apertura della liquidazione e così, ad es., il predetto termine di trenta giorni non debba più, a quel punto, ricevere doverosa applicazione?
Il discorso ci potrebbe portare molto lontano, per cui è meglio chiudere immediatamente questo, invero non furtivo, intermezzo e tornare al filone principale del ragionamento.
4 . Segue: c) le ragioni della negata omologa dell’accordo e il vincolo che ne deriva nel separato giudizio di apertura della liquidazione giudiziale
Abbiamo appena visto che la riunione delle contrapposte domande di omologa dell’accordo di ristrutturazione e di apertura della liquidazione giudiziale nell’alveo di un simultaneus processus garantisce l’uniformità delle rispettive decisioni sui profili a rilevanza comune.
Il punto è, però, che a detta riunione non sempre è dato addivenire. L’istanza liquidatoria potrebbe sopravvenire quando il giudizio di omologazione già sia venuto a conclusione; così come potrebbe sopravvenire quando la causa già sia stata rimessa al collegio per la decisione, dunque oltre l’ultimo momento utile designato dall’art. 40, comma 9, CCII[17], perché alla riunione si possa provvedere. Ed altresì potrebbe accadere che, per una qualsivoglia ragione, alla riunione delle domande non si dia corso ancorché l’istanza liquidatoria sia stata tempestivamente presentata, tanto più, questo, ove si ritenga, in linea con quanto sostenuto da uno dei più attenti studiosi della figura di simultaneus processus di cui si sta discorrendo, che la pretermissione di quella misura non possa rilevare di per se stessa come causa d’invalidità delle successive attività processuali, ossia possa rilevare come tale solamente quando si sia tradotta in una violazione della regola di prioritaria trattazione delle istanze d’accesso agli strumenti alternativi alla liquidazione, posta dal comma 2 del predetto art. 7 del Codice[18]. 
Ebbene, tornando al quesito da cui siamo partiti e meglio puntualizzandolo in relazione alle eventualità che si sono appena tratteggiate di omessa riunione delle domande, possiamo effettivamente pensare che l’accertamento per cui l’accordo messo in campo dal debitore non sarebbe in grado di liberare le risorse necessarie per soddisfare i creditori estranei e, quindi, di porre rimedio alla denunciata situazione d’insolvenza, non abbia a spiegare effetti vincolanti nei confronti del giudice adito in separata sede con la domanda di liquidazione giudiziale del patrimonio di quel debitore medesimo? 
Indubbiamente, quell’accertamento è racchiuso nella parte motiva della pronuncia di negata omologa dell’accordo[19] ed è comune avviso che l’autorità del giudicato non copra la soluzione delle questioni via via affrontate dal giudice per arrivare alla decisione finale sulla domanda sottoposta al suo esame e, come tali, confinate nella motivazione del provvedimento medesimo. V’è, però, un non trascurabile particolare che occorre tenere presente e, cioè, che l’accertamento di cui si discorre, ben lungi dal rappresentare un mero passaggio intermedio dell’iter logico-giuridico che abbia condotto il giudice a decretare il rigetto della domanda di omologa, ne esprime al contrario, il fondamento, il sostegno necessario, nella fattispecie, in buona sostanza, incarnando quel “motivo portante” della decisione che, secondo una teoresi ormai largamente recepita nella dottrina processualistica[20], imprescindibilmente concorre alla definizione del giudicato e del perimetro oggettivo dei vincoli che, di volta in volta, ne scaturiscono[21]: in linea, peraltro, di sostanziale continuità, come è stato esattamente notato[22], con quel radicato insegnamento giurisprudenziale postulante l’estensione del giudicato al così definito antecedente logico necessario della sentenza finale[23]. 
Ma anche a voler prendere le distanze da questo modo di vedere le cose[24], le conclusioni, nella sostanza, non cambierebbero. 
Certo, il rifiuto delle impostazioni concettuali testé accennate implicherebbe dover prendere atto di ciò, che, nell’obiettiva divergenza intercorrente tra la decisione che non abbia concesso l’omologa all’accordo perché reputato inidoneo a rimuovere lo stato d’insolvenza in cui versa il debitore e quella che rifiuti l’apertura della liquidazione giudiziale nei suoi confronti assumendo che detta insolvenza, l’accordo, sarebbe in realtà idoneo a rimuoverla, non siano ravvisabili gli estremi del contrasto pratico di giudicati, bensì, al più, quelli del contrasto logico o teorico[25] se non, addirittura, del mero conflitto tra motivazioni[26]: situazioni notoriamente tollerate dall’ordinamento e reputate, per certi versi, come inerenti alla fisiologia del sistema. 
Attenzione, però. Quanto appena osservato può essere vero nell’ottica del contenzioso ordinario, ossia, con maggior precisione, nell’ottica di quello che è il sistema ordinario di tutela dichiarativa dei diritti soggettivi; e può esserlo perché quel sistema offre molteplici strumenti, dalle domande di accertamento incidentale alle domande riconvenzionali, dall’intervento volontario di terzi nel processo alla chiamata in causa di terzi, atti a prevenire o neutralizzare siffatte situazioni di contrasto logico tra i giudicati o tra le rispettive premesse o motivazioni, al punto da potersi dire che chi ne abbia a scontare le conseguenze pregiudizievoli, imputet sibi. Ed invero: i) costui ha avuto il mezzo per evitare quel contrasto di decisioni; ii) non ne ha profittato; iii) peggio per lui. 
Ma qui, nel settore giurisdizionale attualmente sotto la nostra lente d’osservazione, ammesso che taluno di quegli strumenti sia disponibile – come già s’è detto, in effetti, della domanda di apertura della liquidazione giudiziale esperita in via incidentale al giudizio di omologa degli accordi -, è obiettivamente difficile sostenere che chi non se ne avvalga meriti per ciò stesso di essere penalizzato nei termini, per l’appunto, del contrasto logico cui s’è or ora fatto riferimento. Perché se, come è possibile leggere in una recente pronuncia del Tribunale di Bologna[27], “a fronte della mancanza negli accordi di ristrutturazione di una procedura che importicomunicazione effettiva ai creditori e possibilità di esprimere un consenso informato, il mero rimedio dell’opposizione all’omologa potrebbe risultare insufficiente per la tutela dei propri interessi”, onde la necessità di sottoporre il merito dell’accordo a un vaglio officioso del giudice[28]; identicamente, e per le stesse ragioni – difetto di comunicazione effettiva -, la possibilità di agire per l’apertura della liquidazione in via incidentale/riconvenzionale al giudizio di omologa degli accordi non può apprezzarsi come garanzia sufficiente a mettere al riparo i creditori dal rischio che accordi giudicati inadeguati ai fini della rimozione dello stato d’insolvenza in sede di omologazione dei medesimi appaiano viceversa, a quello stesso fine, adeguati  al giudice conseguentemente chiamato ad aprire la procedura liquidatoria. 
Tirando le fila di questo complessivo ragionamento, ritengo, pertanto, di poter esprimere il convincimento che, negata l’omologa agli accordi di ristrutturazione suggellati dal debitore, un vincolo alle ragioni fondanti di quel diniego, ove si tratti di ragioni di merito, si debba necessariamente manifestare nelle sedi giudiziali che siano successivamente adite per la regolazione dell’insolvenza di quel debitore medesimo. E così, laddove, a determinare quel diniego, sia stata la reputata inidoneità degli accordi conclusi a generare le risorse necessarie per pagare i creditori estranei, la domanda di apertura della liquidazione che sia successivamente proposta potrà anche essere rigettata, ma giammai assumendo che grazie agli accordi, comunque rimasti sulla scena, quelle risorse in realtà vi sarebbero. Così come, respinta la domanda di omologa sul presupposto della natura non imprenditoriale dell’attività svolta dal debitore, l’accesso alla liquidazione giudiziale dovrebbe considerarsi definitivamente precluso, spazio residuando soltanto per strumenti di regolazione dell’insolvenza attinti dall’area delle procedure da sovraindebitamento. 
5 . L’immediata esecutività della pronuncia di omologazione
Dopo essermi soffermato con forse eccessiva diffusione sugli effetti promananti dalla sentenza che all’accordo di ristrutturazione dei debiti presente sulla scena abbia a negare la richiesta omologazione, doveroso è trascorrere, o, meglio, tornare, agli effetti della pronuncia che detta omologazione abbia viceversa concesso. 
Alla luce della previsione originariamente contenuta nell’art. 182 bis, comma 1, lett. a), L. fall., ed oggi puntualmente replicata a livello dell’art. 57, comma 3, ancora lett. a), CCII – a mente della quale il pagamento integrale dei creditori estranei agli accordi deve avvenire entro centoventi giorni dall’omologazione, ove si  tratti di crediti già scaduti a quella data -, e della circostanza che questo specifico termine di 120 giorni sia fatto decorrere dall’omologazione tout court e non, ad es., dall’omologazione definitiva, è approdo generalmente condiviso che la predetta pronuncia omologatoria godrebbe di un regime di immediata esecutività[29].   
Nulla da obiettare in proposito. Ma doverosa è l’avvertenza che il pratico rilievo di quel regime si esaurisce in corrispondenza al profilo appena evocato, considerato che i restanti effetti dell’omologa, siccome destinati ad esplicarsi nell’àmbito o in relazione a procedure concorsuali che si vengano successivamente ad aprire, non possono, tali restanti effetti, non presupporre l’avvenuto passaggio in giudicato di quella pronuncia, giacché, in pendenza dei termini per impugnare al riguardo o del giudizio di gravame effettivamente promosso, spazio per quelle distinte procedure di regolazione dell’insolvenza non vi dovrebbe essere[30]. 
6 . Le esenzioni dalla revocatoria: questioni superate e dubbi irrisolti sullo sfondo della nuova legislazione
La species più significativa e di maggior impatto pratico degli effetti che la legge vuole riannodati all’omologa giudiziale degli accordi di ristrutturazione dei debiti è senz’altro rappresentata dalla peculiare figura di esenzione dalla revocatoria disciplinata sub lett. e) dell’art. 166, comma 3, CCII: ed è proprio a questa categoria degli effetti de quibus che vorrei dedicare i cenni finali del mio intervento. 
Doveroso, in prima battuta, è dar conto dell’opportunità della scelta effettuata dai codificatori di pronunciare una parola definitiva sulla questione, che aveva visto diviso il fronte degli interpreti della legge fallimentare, se le esenzioni dalla revocatoria previste in relazione alla decretata omologa degli accordi dovessero valere soltanto per la revocatoria fallimentare[31] oppure anche per la revocatoria ordinaria[32], segnatamente, per quella esercitata dal curatore in via incidentale al fallimento ai sensi dell’art. 66 della stessa legge[33]: questione che il Codice ha risolto nella direzione più estensiva, esplicitamente ricomprendendo la revocatoria ordinaria entro il raggio operativo di quelle esenzioni[34]. 
A questa segnalazione deve, peraltro, associarsi il rammarico per non avere, il legislatore, colto l’occasione che gli era offerta dalla direttiva, veramente bonne à tout faire, di cui all’art. 2, lett. m), della legge delega (l. 19 ottobre 2017, n. 155) – “riformulare le disposizioni che hanno originato contrasti interpretativi, al fine di favorirne il superamento, in coerenza con i princìpi stabiliti”  da essa legge medesima – per intervenire e sciogliere il contiguo dilemma, di ancor maggiore rilievo pratico-applicativo, attinente al se, delle esenzioni dalla revocatoria di cui stiamo parlando, possano beneficiare anche i creditori estranei all’accordo e non solo quelli aderenti. 
Ed invero, ad onta delle diverse ragioni spese in passato a suffragio dell’impostazione più restrittiva, configurante quelle esenzioni come provvidenze riservate ai soli creditori aderenti - da quella, di cui è stato incisivo propugnatore Sido Bonfatti, per cui né le ipoteche giudiziali iscritte dai creditori estranei sui beni del debitore, a séguito del mancato pagamento delle loro spettanze, né, ancorché contemplati dal piano, i pagamenti eseguiti a favore di quei soggetti, possono riguardarsi come atti strumentali all’esecuzione dell’accordo[35]; a quella per cui un’esenzione così soggettivamente circoscritta fungerebbe da incentivo per l’adesione all’accordo, nel senso, per riprendere le parole di Ilaria Pagni, che s’imporrebbe “al creditore che non aderisce all’accordo di valutare se sia meglio accettare la ristrutturazione del proprio credito, e contare sull’esonero da revocatoria, oppure pretendere l’adempimento integrale, ma rinunciare alla protezione che il legislatore ha contemplato”[36] -, ecco, a dispetto di tutto ciò, si odono ancora voci a favore di un’estensione di quell’esonero anche a beneficio dei creditori estranei all’accordo[37], sì che un’esplicita presa di posizione sul punto da parte del legislatore, che valesse a sopire definitivamente la questione, sarebbe stato senz’altro auspicabile. Anche perché, è doveroso aggiungere, neppure la tesi estensiva di cui appena s’è detto manca di frecce al suo arco[38], in particolare quella per cui, essendo in gran parte rimessa al debitore la scelta dei soggetti con cui entrare in trattativa per la stipula dell’accordo di ristrutturazione, ammettere che siano i soli aderenti a fruire dell’esenzione da revocatoria significherebbe attribuire al debitore il potere di individuare i soggetti destinati a godere o meno di quell’esenzione medesima[39]. 
Un argomento che echeggia, per non dire in forte sintonia, con le considerazioni che, in precedenza, abbiamo visto svolte dal Tribunale di Bologna in ordine al deficit comunicativo e informativo insito alle dinamiche di formazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti ed al quale deficit gli interpreti debbono cercare di porre rimedio, mitigando in qualche modo gli oneri gravanti, in sede di omologa degli accordi, sui soggetti che ne siano coinvolti, onde per cui, allora: i) l’ammissibilità di un sindacato giudiziale sul merito degli accordi, i.e. sulla loro attuabilità, indipendentemente dallo spiegamento di eventuali opposizioni al riguardo; ii) la necessità di garantire la coerenza delle pronunce sulla domanda di omologa e su quella di apertura della liquidazione giudiziale, anche quando quest’ultima non sia stata proposta in via incidentale o, comunque, riunita alla prima; iii) e se si crede, appunto, l’estensione anche ai creditori estranei all’accordo del beneficio dell’esenzione dalla revocatoria, anche se, a questo fine, non sembra potersi prescindere, a fronte di un dato testuale decisamente ostativo, da un apposito intervento vuoi del giudice delle leggi vuoi, e forse sarebbe meglio, del legislatore stesso.

Note:

[1] 
Si riprende qui, e nel periodo immediatamente successivo, l’incisivo lessico di G. Carmellino, I giudizi di omologazione tra degiurisdizionalizzazione e contratto, Napoli, 2018, 118 ss. Nel senso dell’autonomia dell’efficacia negoziale degli accordi rispetto all’omologa giudiziale o, il che è sostanzialmente lo stesso, dell’ultrattività della prima rispetto all’eventuale diniego della seconda, v. pure M. Fabiani, «Competizione» fra processo per fallimento e accordi di ristrutturazione e altre questioni processuali, in Il Fall., 2010, 213; E. Frascaroli Santi, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti  a norma dell’art. 182 bis L. fall., in F. Vassalli – F.p. Luiso – E. Gabrielli (diretto da), Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, IV, Torino, 2014, 515; V. Zanichelli, La nuova disciplina del fallimento e delle altre procedure concorsuali dopo il D.Lgs. 12.9.2007, n. 169, Milanofiori Assago, 2008, 452; D. Manente, Non omologabilità degli accordi ex art. 182 bis legge fallim. e procedimento per dichiarazione di fallimento del debitore, in Dir. fall., 2008, II, 309 s.; C. Trentini, Piano attestato di risanamento e accordi di ristrutturazione dei debiti, Milanofiori Assago, 2016, 439; ed oggi, sullo sfondo del nuovo Codice, A. Nigro – D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali, 5a ed., Bologna, 2021, 472 s.; Al. di Majo, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti con intermediari finanziari, Torino, 2019, 31. Contra e, dunque, per la mancata omologa come evento atto a determinare l’automatica caducazione degli accordi e della loro intrinseca efficacia negoziale, P. Valensise, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge fallimentare, Torino, 2012, 460; S. Ambrosini, Diritto delle imprese in crisi, Pisa, 2022, 143, che, peraltro, ammette la possibilità di salvaguardare quell’efficacia attraverso un’apposita clausola dell’accordo.
[2] 
Ovvero, stando almeno alla lettera degli artt. 182 bis, comma 2, L. fall. e 40, comma 4, CCII, dalla relativa pubblicazione nel registro delle imprese: per la necessità di privilegiare questi dati letterali ai fini dell’identificazione del dies a quo di decorrenza degli effetti negoziali degli accordi, cfr., nella più recente letteratura, G. Ferri jr, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti: funzione, struttura ed effetti, in Id. – D. Vattermoli (a cura di), Accordi di ristrutturazione, piani di risanamento e convenzioni di moratoria. Dalla legge fallimentare al Codice della crisi, Pisa, 2021, 61 ss., ove anche la critica, in quanto, segnatamente, destinata a girare a vuoto alla luce della nuova figura, introdotta dal Codice, di esenzione dalla revocatoria di cui appresso, nel testo, sub b), dell’opposta tesi – per la quale v. A. Nigro – D. Vattermoli, op. cit., 472 s.; S. Ambrosini, op. cit., 134 s. – secondo cui le norme appena richiamate farebbero riferimento agli effetti specifici dell’omologazione (v. ancora in immediato prosieguo della trattazione), sancendone una sorta di retroattività.  
[3] 
G. Carmellino, op. cit., 118. 
[4] 
O, del caso, esecutiva: v. infra, alla successiva nt. 7. 
[5] 
L’impiego della formula prudenziale “almeno tendenzialmente” non si lega soltanto al dato di cui alla prec. nota 4 (e di cui più ampiamente sarà detto alla prossima nt. 7) ma anche al fatto che le esenzioni cui sarà riferimento, quali espressioni del c.d. quid pluris omologatorio, nell’immediato prosieguo della trattazione attengono pure, per tabulas, all’azione revocatoria ordinaria e non può aprioristicamente escludersi che la prescrizione debba valere anche per l’azione revocatoria che sia esercitata dai singoli creditori in sede extraconcorsuale: sul punto, v. anche alle successive note 33 e 34.  
[6] 
L’inserimento di questa esenzione nel presente elenco rispecchia l’orientamento assunto al riguardo da M. Fabiani, Sistema, principi e regole del diritto della crisi d’impresa, LaTribuna, 2023, 375 s., che all’omologa mostra di guardare come a condicio iuris dell’esenzione medesima, ancorché la norma non lo preveda espressamente; cfr. anche A. Nigro – D. Vattermoli, op. cit., 223. 
[7] 
Alla luce della previsione di cui al comma 2 dello stesso art. 6 CCII – alla stregua della quale il regime di prededucibilità che assiste i crediti presi in considerazione dal precedente comma 1 (inclusi, pertanto, quelli di cui s’è appena fatta menzione nel testo) è destinato a permanere anche nell’àmbito di successive procedure concorsuali o esecutive -, si spiega l’alternativo riferimento compiuto a quest’ultima tipologia di procedure nella trascorsa nota 4.
[8] 
Secondo A. Nigro – D. Vattermoli, Diritto della crisi, cit., 480 s., quelli che si sono appena enumerati andrebbero catalogati come effetti legali secondari della pronuncia di omologazione, il cui effetto primario o principale andrebbe, viceversa, individuato “nel formale riconoscimento e attestazione da parte dell’autorità giudiziaria [dell’] idoneità [dell’accordo] alla rimozione della crisi: il tutto in funzione, anche e proprio, della prevenzione della liquidazione giudiziale. Nel senso che, a fronte di una simile attestazione, il giudice eventualmente adito per l’apertura della procedura liquidativa a carico del debitore dovrebbe senz’altro respingere l’istanza per mancanza del presupposto dell’insolvenza”. In realtà, pare a chi scrive che le valutazioni circa l’idoneità degli accordi intervenuti con i creditori a rimuovere lo stato di crisi o insolvenza appartengano alla motivazione del provvedimento, il cui contenuto precettivo o dispositivo – considerato che la domanda di omologa degli accordi può concorrere con quella di apertura della liquidazione giudiziale (v. anche infra, § 3), sì che il contenuto precettivo della relativa decisione di accoglimento debba risultare in qualche modo equiparabile o comparabile a/con quello della pronuncia d’accoglimento della domanda concorrente – va necessariamente rimodulato nei termini dell’ammissione del debitore al beneficio della ristrutturazione convenzionale come strumento di regolazione della crisi, quale disposta, tale ammissione, in forza dell’accertamento di tutte le condizioni all’uopo richieste dalla legge, tra le quali, senz’altro, la disponibilità delle risorse necessarie tanto per far fronte agli impegni assunti con i creditori paciscenti che per soddisfare integralmente le pretese dei creditori estranei. Con la conseguenza che, diversamente da quanto opinato dai chiari studiosi, gli effetti impeditivi della liquidazione giudiziale che dalla pronuncia di omologa vengono a sprigionarsi non possano essere ricondotti ai vincoli conformativi promananti dall’accertamento racchiuso in quella pronuncia, bensì vadano intesi come il naturale portato dell’applicazione, nella fattispecie, del tradizionale divieto di coesistenza, nei confronti del medesimo soggetto e nel medesimo momento storico, di due distinte/i procedure o strumenti di regolazione dell’insolvenza. 
[9] 
Sull’ammissibilità di questa clausola, cfr. M. Fabiani, «Competizione» fra processo per fallimento, cit., 213; A. Nigro – D. Vattermoli, Diritto della crisi, cit., 473. 
[10] 
Nel citato scritto «Competizione» fra processo per fallimento e accordi di ristrutturazione e altre questioni processuali, 213. 
[11] 
M. Fabiani, La tutela giurisdizionale nel Codice della crisi d’impresa, LaTribuna, 2023, 93. 
[12] 
 Per questo esempio v. lo stesso M. Fabiani, «Competizione» fra processo per fallimento, cit., 123, nt. 41. 
[13] 
Risponde probabilmente a uno scrupolo eccessivo rimarcare come soggette alla procedura di liquidazione controllata del sovraindebitato siano anche le cc.dd. imprese minori, qualificate come tali in virtù del possesso congiunto dei requisiti dimensionali di cui alla norma appena rammentata nel testo: con la conseguenza che, ai fini del rigetto della relativa domanda di apertura, non basti il ribaltamento della valutazione precedentemente compiuta dal giudice dell’omologa degli accordi in punto di natura dell’attività svolta dal debitore insolvente – tale da condurre semplicemente alla riclassificazione di quella come attività d’impresa – ma sia necessario altresì escludere che si tratti di impresa minore, in forza, per l’appunto, dell’accertato superamento di una delle soglie dimensionali di cui al menzionato art. 2, lett. d), CCII.
[14] 
Cfr., per ogni altro, C. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile. II. Il processo di primo grado e l’impugnazione delle sentenze, 13a ed., Torino, 2023, 7 ss. 
[15] 
Si rammenta, in proposito, l’inquadramento che in dottrina si è proposto di questi giudizi come riconducibili a un modello di rito camerale “ibrido”, idoneo ad offrire “maggior respiro e garanzie”: così C. Cecchella, Il diritto della crisi dell’impresa e dell’insolvenza, Milano, 2020, 520. 
[16] 
Senza escludere, naturalmente, che alla riunione si proceda direttamente a quell’udienza medesima. 
[17] 
Anche qui parliamo di una disposizione che non figurava nel testo primevo del Codice, bensì inserita nel corpo di quest’ultimo dal secondo decreto correttivo. 
[18] 
Così G. Rana, La trattazione congiunta di istanze liquidatorie e ricorsi per la soluzione negoziata nel Codice della Crisi e dell’Insolvenza, in Dir. fall., 2021, 525; Id., Le regole del procedimento unitario della crisi d’impresa dop il D. Lgs. n. 83/2022, in Il Fall., 2023, 156. 
[19] 
Per quanto non manchino, come sappiamo, opzioni dottrinali di segno divergente: v. retro, nt. 8. 
[20] 
Cfr., in particolare, S. Menchini, Diritto processuale civile, I, Torino, 2023, 425 ss.; E. Merlin, Elementi di diritto processuale civile, I, Torino, 2022, 99 ss. e 188 ss. 
[21] 
E a poco rileva, almeno ai presenti fini, che nel vincolo al motivo portante non si ravvisi una vera e propria forma di estensione dell’oggetto del giudicato, bensì una sorta di mera preclusione extraprocessuale, esclusivamente finalizzata ad evitare che il secondo processo, attraverso una rivalutazione dei presupposti comuni al primo processo, metta capo a risultati distonici, sul piano sostanziale, rispetto a quest’ultimo: così C. Consolo – F. Godio, Patologia del contratto e (modi dell’) accertamento processuale, in Corr. giur., 2015, 232 s., rileggendo altresì in questa chiave tanto l’originaria elaborazione germanica della teoresi in discorso, vale a dire la così definita Begründungstheorie di cui alla monografia di A. Zeuner, Die objektiven Grenzen des Rechtskraft im Rahmen rechtlicher Sinnzusammenhänge, Tübingen, 1959 (per un ampio excursus sui cui passaggi fondamentali e sull’influenza che essa avuto sulla giurisprudenza tanto italiana che, soprattutto, d’Oltralpe, si rinvia al rigoroso studio di S. Dalla Bontà, Una «benefica inquietudine». Note comparate in tema di oggetto del giudicato nella giurisprudenza alla luce delle tesi zeuneriane, in Giusto proc. civ., 2011, 891 ss.) che il richiamo operato a quella elaborazione da parte delle Sezioni Unite nelle non meno note (ovviamente soltanto da noi) sentenze “gemelle” del 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243, in Giur. it., 2015, 70, con nota di I. Pagni, Il “sistema” delle impugnative negoziali dopo le Sezioni Unite.    
[22] 
S. Menchini, Diritto processuale civile, cit., 426. 
[23] 
Tra le cui più recenti testimonianze si ricordano Cass., Sez. I, 17 maggio 2021, n. 13218; Cass., Sez. Lav., 17 aprile 2018, n. 9409; Cass., Sez. Lav., 28 novembre 2017, n. 28415; Cass., Sez. III, 20 aprile 2017, n. 9954; Cass., Sez. Lav., 12 aprile 2010, n. 8650; per analoga terminologia, in dottrina, F.P. Luiso, Diritto processuale civile, 11a ed., I, Milano, 2020, 171 s. 
[24] 
Cfr., ad es., G. Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, 5a ed., II, Bari, 2019, 309 ss. 
[25] 
Cfr. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile. I. Le tutele (di merito, sommarie ed esecutive) e il rapporto giuridico processuale, 13a ed., Torino, 2023, 133. 
[26] 
Così, in particolare, M. Gradi, Il contrasto teorico fra giudicati, Bari, 2020, 92, ove, in nota 98, ulteriori riferimenti di segno conforme. 
[27] 
Si allude alla sentenza del 28 giugno 2023, rel. A. Mirabelli, consultabile sul portale Ilcaso.it. 
[28] 
Analogamente, e a firma della stessa relatrice, Trib. Modena, 19 novembre 2014, in IUS Crisi d’impresa; per una giustificazione negli stessi termini della legittimità di tale sindacato officioso, cfr., in letteratura, V. Zanichelli, op. cit., 451. 
[29] 
P. Valensise, op. cit., 462 s.; F. Rolfi (- E. Staunovo-Polacco – R. Ranalli), Gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Autonomia negoziale e concorsualità, 2a ed., Milano, 2017, 167 e 171. 
[30] 
Questo spazio può viceversa crearsi a séguito della revoca dell’omologazione conseguente all’accoglimento del reclamo ex art. 51 CCII interposto nei suoi confronti. Ma difficile è immaginare che gli effetti di tenore sostanzialmente premiale che la legge ricollega all’omologa degli accordi di ristrutturazione si possano dispiegare sul fondamento di una pronuncia della quale, in quanto oggetto di un provvedimento di revoca, sia stata formalmente accertata l’illegittimità o ingiustizia. 
[31] 
Così M. Sciuto, Effetti legali e negoziali degli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Riv. dir. civ., 2009, I, 367 s.; C. D’Ambrosio, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in G. Fauceglia – L. Panzani (diretto da), Fallimento e altre procedure concorsuali, 3, Milanofiori Assago, 2009, 1825; E. Sabatelli, La revocatoria degli atti «anormali» nella riforma del diritto fallimentare, in Dir. fall.,2007, I, 1017; G. Limitone, sub art. 67, in M. Ferro (a cura di), La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, 3a ed., Padova, 2014, 853; G. Verna, I nuovi accordi di ristrutturazione (art. 182 bis, legge fallim.), in Dir. fall., 2007, I, 959; nel senso della irrealizzabilità, nella circostanza, delle condizioni richieste dall’art. 2901 c.c., cfr. G. La Croce, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Giur. it., 2010, 2467. 
[32] 
Cfr. S. Bonfatti, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori. Le azioni revocatorie, in A. Jorio – B. Sassani, Trattato delle procedure concorsuali, II, Milano, 2014, 254; L. Guglielmucci, Diritto fallimentare, 8a ed., a cura di F. Padovini, Torino, 2017; G. Racugno, Concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e transazione fiscale. Profili di diritto sostanziale, in V. Buonocore – A. Bassi (diretto da), Trattato di diritto fallimentare, I, Padova, 2010, 554, nt. 360; P. Valensise, op. cit., 492; G.B. Nardecchia, Le nuove esenzioni del terzo comma dell’art. 67 L. fall., in Il Fall., 2009, 19 s.; C. Trentini, op. cit., 431. 
[33] 
Laddove, con riguardo alla revocatoria ordinaria esperibile al di fuori del recinto del fallimento, si poneva non immotivatamente il problema relativo all’individuazione dei soggetti effettivamente legittimati a promuovere quell’iniziativa, concludendosi nel senso che tale legittimazione sarebbe in definitiva spettata ai soli creditori le cui ragioni fossero maturate in momento successivo all’omologazione, con annesso assoggettamento dei medesimi all’onere della probatio diabolica relativa a ciò, che un atto conforme all’accordo sarebbe stato, al contempo, dolosamente preordinato al fine di pregiudicare il soddisfacimento delle ragioni da essi vantate: cfr. F. Rolfi (- E. Staunovo-Polacco – R. Ranalli), op. cit., 174 s.. 
[34] 
Con l’esclusione, però, dei casi in cui l’azione, in quanto sia mancata l’apertura della liquidazione nei confronti del debitore, sia rimessa all’iniziativa dei singoli creditori pregiudicati: così M. Fabiani, Sistema, cit., 188. Resta inteso che anche nel contesto dell’ordinamento riformato tale iniziativa dovrebbe fare i conti con i problemi di cui s’è detto alla prec. nt. 33, ovviamente in quanto correttamente evocati sullo sfondo del previgente sistema. 
[35] 
S. Bonfatti (- P.F. Censoni), Manuale di diritto fallimentare, 4a ed., Padova, 2011, 659; analogamente A. Castiello D’Antonio, Riflessi disciplinari degli accordi di ristrutturazione e dei piani attestati, in Dir. fall., 2008,I, 611; A. Gentili, Accordi di ristrutturazione e tutela dei terzi, ivi, 2009, I, 649 ss. 
[36] 
I. Pagni, Contratto e processo nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti: analogie e differenze, in V. Buonocore – A. Bassi (diretto da), Trattato di diritto fallimentare, I, cit., 606, nt. 464; l’argomento è pressoché letteralmente ripreso da M. Fabiani, Sistema, cit., 187 s.; e che a fruire delle esenzioni in parola siano soltanto i creditori aderenti, in sostanza adducendo entrambi gli argomenti, d’ordine, rispettivamente, “letterale” e “logico” (così V. Zanichelli, I Concordati giudiziali, Milanofiori Assago, 2010, 620)  appena riportati nel testo, v. pure A. Patti, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli per i creditori, in G. Schiano di Pepe (a cura di), Il diritto fallimentare riformato, Padova, 2007, 200; C. Trentini, op. cit., 427 ss.; V. Zanichelli, ibidem
[37] 
A. Nigro – D. Vattermoli, op. cit., 481; E. Frascaroli Santi, sub art. 57 CCII, in A. Maffei Alberti, Commentario breve alle leggi su crisi d’impresa e insolvenza, 7a ed., Milano, 2023, 423.
[38] 
V., diffusamente, P. Valensise, op. cit., 489 ss., con estesi riferimenti di conforme dottrina.
[39] 
Così F. Rolfi (- E. Staunovo-Polacco – R. Ranalli), op. cit., 174, richiamandosi a G. Buccarella, I “nuovi” accordi di ristrutturazione dei debiti, Milano, 2013.

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