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Brevi note sugli effetti della nullità dei mutui assistiti da garanzia statale e sull’ammissione al passivo del credito bancario (a seguito della sentenza del Tribunale di Asti)

Marcello Pollio, Dottore commercialista e Professore incaricato di Crisi e risanamento d’impresa Università Telematica Pegaso
Angelo Sica, Dottore Commercialista in Milano

30 Gennaio 2024

Visualizza: Trib. Asti, 6 dicembre 2023, Pres. Rampini, Est. Dagna

Il contributo si propone di analizzare i presupposti per l’ammissione al passivo del credito bancario assistito da garanzia statale a partire da una decisione del Tribunale di Asti dell’8 gennaio 2024, nella quale è stato dichiarato nullo un contratto di mutuo bancario supportato da garanzia pubblica sostenendo la consapevolezza da parte dell’istituto di credito, al momento dell’erogazione del prestito, dello stato di decozione in cui versava la società finanziata; in particolare, incentra l’attenzione sulle cause di nullità del contratto e, più in generale, sulla diligenza professionale richiesta al banchiere. 
La pronuncia apre molti scenari anche in ambito contenzioso e non solo in ambito concorsuale sia di accertamento del passivo sia di responsabilità per concorso in bancarotta. 
Riproduzione riservata
1 . Le premesse e le questioni sollevate
Con la sentenza dell’8 gennaio 2024 il Tribunale di Asti ha “scoperchiato” il vaso di pandora [1].  Dal 2020, infatti, a seguito della pandemia da Covid-19 e degli effetti sull’economia, nonché sulla stabilità del sistema Paese, sono state introdotte molte agevolazioni e concessi mutui “facili” alle imprese che hanno potuto così beneficiare di sovvenzioni finanziare finalizzate a superare il lockdown e il periodo lungo della pandemia. Molte di quelle imprese, tuttavia, rientravano tra le “imprese zombie”, cioè entità che continuavano a stare in piedi senza avere la vitalità che un’impresa sana deve avere [2]. 
Ciononostante, tali sovvenzioni hanno avuto un primario effetto: quello di sostenere le imprese e le banche poiché con i finanziamenti e le linee di credito in essere nel 2020 rischiavano il default per carenza di liquidità idonea a permettere alla clientela di ripagare correntemente i finanziamenti stessi. Le banche, quindi, hanno agevolato l’erogazione (e istruzione) delle operazioni di mutuo garantite dal Mediocredito centrale (MCC) [3], e sovente hanno sfruttato tali linee di credito trasformando quelle esistenti chirografarie in esposizioni assistite dal “collateral” per agevolare il proprio bilancio e evitare di dovere procedere ad accantonamenti richiesti dalla normativa di settore. 
Una situazione che già nel 2020 avevamo avuto modo di segnalare rilevando come “Le aziende devono prestare attenzione. Moltissimi imprenditori che valuteranno con favore la propria posizione anche grazie alle norme introdotte dal d.l. 23/2020, che congelano gli effetti del Coronavirus e permettono ad esempio il mancato automatico scioglimento delle società̀ e il rinvio delle perdite, porterà̀ gli stessi a sperare che le nuove linee di credito siano la cura sufficiente per superare la crisi. La situazione potrebbe, invece, risultare dopo e in concreto assai differente, qualora l’impresa anziché́ guarire manifesti sintomi di aggravamento.” [4]. 
Ebbene, il Tribunale di Asti accende il primo faro su queste situazioni più comuni di quanto si possa pensare, evidenziando come la condotta tenuta dalla banca sarebbe stata – secondo i giudici - talmente distante dalla diligenza professionale richiesta al banchiere da poterne desumere, in via presuntiva, la consapevolezza dello stato di insolvenza del soggetto finanziato. 
La vicenda esaminata dal Tribunale si innesta nell’ambito di un fallimento; tuttavia, ha effetti anche in ambito di ristrutturazione dei debiti o di contenzioso tra clienti e banche. Il caso specifico riguarda la verifica del credito in sede di stato passivo, da cui il curatore aveva escluso il credito vantato, concesso senza i presupposti e con aggravamento del dissesto. Il curatore aveva altresì proposto eccezione revocatoria osservando che l’erogazione costituiva un’operazione solutoria compiuta con mezzi anormali di pagamento entro l’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento. Il mutuo assistito dalla garanzia MCC, infatti, era stato erogato su un conto corrente dotato di apertura di credito in conto fino a revoca, estinguendone il saldo negativo. 
Secondo il Tribunale, il negativo andamento economico patrimoniale della società finanziata era facilmente desumibile a priori dall’analisi dei dati risultanti dai bilanci depositati al registro imprese, aventi natura pubblica e la corrispondenza intercorsa tra le parti e riferita alla stipula del contratto di mutuo dava evidenza dell’assenza di una anche minima attività istruttoria compiuta dall’istituto di credito prima di concedere il finanziamento. La banca, al contrario, avrebbe dovuto svolgere una reale e approfondita istruttoria circa la solvibilità della società, a maggior ragione considerate le risultanze dei bilanci e della centrale dei rischi della Banca d’Italia. Tale condotta dimostrerebbe la consapevolezza delle reali condizioni di solvibilità della società e la piena l’accettazione del rischio di erogazione del finanziamento. Così, dunque, la sentenza evidenzia che l’unica ragionevole spiegazione di tale condotta era stata la possibilità di accedere alla garanzia statale, pur nella consapevolezza che la società non avrebbe mai potuto far fronte al rimborso del finanziamento. Tale causa, diversa da quella tipica del contratto di mutuo, si pone in contrasto con le disposizioni normative di natura primaria e secondaria che regolano le modalità con le quali va condotta l’attività bancaria (l’art. 5 TUB e la circolare n. 285 del 17 dicembre 2013 della Banca d’Italia), nonché l’accesso alle garanzie prestate dal fondo. 
La pronuncia in esame ha dichiarato nullo il contratto di mutuo per illiceità della causa ai sensi dell’art. 1343 c.c. [5] ed in quanto negotium contra legem ai sensi dell’art. 1418 c.c. [6] Inoltre, ad avviso del Tribunale, l’operazione negoziale posta in essere dall’istituto di credito si pone in contrasto con il disposto di cui all’art. 217, comma 1, n. 4, L. fall.., in considerazione della sua idoneità a procrastinare la dichiarazione di fallimento dell’impresa e ad aggravarne il dissesto. 
2 . La diligenza professionale richiesta al banchiere
La pronuncia pone l’attenzione su un tema essenziale: la diligenza professionale richiesta nell’erogazione del credito bancario. Ciononostante, appare utile preliminarmente approfondire il tema delle norme che regolano l’attività bancaria, ponendo altresì l’attenzione sull’evoluzione dell’indebitamento finanziario delle realtà produttive italiane, al fine di comprendere quale sia l’effettivo impatto pratico della pronuncia, giacché nel periodo Covid-19 il legislatore ha emanato molte disposizioni che hanno prodotto il risultato di agevolare l’accesso al credito bancario [7]. 
In particolare, il 2020 è stato a livello creditizio l’anno della “corsa alla garanzia”. Nel 2020, infatti, le operazioni ammesse a beneficiare dell’agevolazione del Fondo Centrale di Garanzia per le PMI hanno registrato una crescita del 1.176,1% rispetto all’anno precedente, con un numero di domande accolte pari a 1.594.480 (124.950 nel 2019). Anche negli anni successivi le operazioni ammesse alla garanzia statale hanno registrato livelli di gran lunga superiori rispetto al 2019, ultimo anno paragonabile perché senza le misure per l’emergenza da Covid-19 (500.954 nel 2021, 283.056 nel 2022 e 235.895 nel 2023) [8]. 
In questi anni, pertanto, si è assistito alla strutturale riqualificazione dell’esposizione bancaria delle società, con un incremento sensibile nella cifra globale dei debiti assistiti da garanzia statale sull’intero ammontare dei debiti bancari, situazione che ha permesso anche al sistema creditizio di evitare di effettuare svalutazioni e accantonamenti sui crediti a rischio o non coperti da garanzie. 
Come accaduto nel caso esaminato dal Tribunale di Asti, il passivo di natura finanziaria delle società in crisi o insolventi negli ultimi anni si è trasformato da debito per finanziamenti o affidamenti avente prevalentemente natura chirografaria ab origine (cioè senza alcuna tutela), eventualmente assistito da garanzie personali dei soci, a debito supportato da garanzia dello Stato. In caso di default la garanzia può essere escussa dalla banca ed assume natura privilegiata di grado assai elevato ai sensi dell’art. 9, comma 5, D.Lgs. n. 123/1998 (trattasi di credito privilegiato che prevale su ogni altro diritto di prelazione ad eccezione del privilegio per le spese di giustizia e di quelli previsti dall'art. 2751 bis c.c.) [9]. Tale norma mira a garantire allo Stato, proprio grazie al privilegio di grado così elevato, il recupero delle somme impiegate per il sostegno all'economia. Una situazione che spesso non corrisponde al contesto reale delle imprese [10]. 
Resta, tuttavia, il dovere di analisi del merito creditizio. L’accesso facilitato al credito post pandemia Covid-19 non ha comportato il venir meno, per le banche, del dovere di svolgere un’analisi del merito creditizio dei richiedenti. Tale condotta, così come viene riportato nella sentenza in rassegna, si porrebbe “in contrasto con le disposizioni normative di natura primaria e secondaria che regolano le modalità con le quali va condotta l’attività bancaria (anzitutto l’art. 5 TUB e contenuto integrativo di cui alla Circolare n. 285 del 17 dicembre 2013 [della Banca d’Italia]) e l’accesso alle garanzie prestate” dal Fondo Centrale come previsto dall’art. 2, comma 100, L. 662/96 e dal D.M. 31.05.99, n. 248 del Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato e, in particolare, in ordine alle condizioni in cui devono versare le PMI, ivi inclusa la ragionevole possibilità che siano in grado di restituire il finanziamento erogato (D.M. Ministero delle attività produttive del 20.06.2005 e allegati al D.M. Ministero delle attività produttive del 23.09.05). Inoltre, non si può dubitare che la banca (Cfr. Trib. Asti, 8 gennaio 2024) “abbia il dovere di comunicare lo stato d’insolvenza del beneficiario alla luce delle disposizioni normative di natura primaria e secondaria che regolano l’accesso alle garanzie prestate dal Fondo già richiamate (cfr. ancora in particolare allegati al D.M. Ministero delle autorità produttive 23/09/2005) e delle istruzioni specifiche fornite dalle autorità coinvolte (istruzioni MISE docc. 62-64 opposto e raccomandazioni Banca d’Italia docc. 47 e 48 opposto)”, pena la declaratoria di nullità del contratto di mutuo bancario. 
Tale aspetto denota la contrarietà dell’operazione di finanziamento alle norme che regolano l’attività bancarie, in virtù della conoscenza dello stato di insolvenza del soggetto finanziato. Le disposizioni operative del Fondo di garanzia per le PMI prevedono, infatti, che “Ai fini dell’ammissibilità della garanzia, i soggetti beneficiari finali: […] d) non devono presentare esposizioni nei confronti del soggetto finanziatore classificate come inadempiente probabili o scadute e/o sconfinanti deteriorate ai sensi del paragrafo 2, Parte B, della predetta circolare n. 272 del 2008 della Banca d’Italia”. 
Nel caso di specie, invece, il mutuo assistito dalla garanzia MCC era stato erogato su un conto corrente dotato di apertura di credito in conto fino a revoca ad un soggetto che presentava probabili elementi di default, estinguendone il saldo negativo per la banca (seppure l’istituto considerasse ancora in bonis la posizione). 
3 . Il presupposto: la declaratoria di nullità del contratto di mutuo
Presupposto necessario per l’integrazione delle ipotesi di nullità, contestate dal curatore, è l’esistenza della conoscenza dello stato di dissesto al momento del perfezionamento del contratto. 
Dunque, secondo la curatela, sarebbe stato possibile evincere la circostanza sulla scorta dei seguenti elementi: 
(i) perfezionamento del mutuo in prossimità della dichiarazione di fallimento della società; 
(ii) i dati relativi all’andamento economico, patrimoniale e finanziario della società desumibili dai bilanci depositati; 
(iii) la ricezione, da parte della banca, di un atto di pignoramento presso terzi; 
(iv) l’iscrizione di ipoteca giudiziale su beni della società poi fallita sulla scorta di un decreto ingiuntivo ottenuto da un creditore; 
(v) la presenza di un’elevata percentuale di insoluti con riferimento alle fatture oggetto di anticipazione bancaria emergente dalle rilevazioni della centrale rischi della Banca d’Italia; 
(vi) il mancato svolgimento di un’istruttoria seria da parte della banca al momento dell’erogazione del mutuo. 
La banca contestava l’assunto della curatela, rilevando che ogni doglianza relativa alla correttezza dell’istruttoria spettava, semmai, all’ente gestore del fondo di garanzia e non al beneficiario del finanziamento e che, in ogni caso, la prova circa l’esistenza di una negligente istruttoria gravava sul fallimento. 
Nella sentenza viene rilevato come, ai fini della valutazione in merito alla fondatezza delle rilevate nullità del contratto, la consapevolezza dell’istituto di credito in ordine alle condizioni di dissesto della società poi fallita “costituisce un dato che può essere provato anche per presunzioni e dunque sulla scorta del complessivo apprezzamento degli elementi a disposizione”. 
Il Tribunale, infatti, ha rilevato come il negativo andamento economico patrimoniale della società fosse evidente dai dati pubblici di bilancio, oltre che desumibile in concreto dallo scambio epistolare tra banca e impresa. 
L’assenza di una anche minima attività istruttoria appariva evidente poiché: 
a) era mancante la compilazione, da parte della società, dei moduli necessari ad ottenere la garanzia statale, affidata integralmente alla banca, salva l’apposizione delle firme; 
b) era assente il serio riscontro della società alle richieste della banca (un bilancio provvisorio ed un elenco dettaglio dei debiti e dei crediti), senza che ciò determinasse il rifiuto di erogare il finanziamento o la reiterazione delle richieste. 
Il Tribunale giunge, quindi, a ritenere che la banca aveva consapevolmente concesso “una somma a mutuo ad un soggetto insolvente e non in grado di restituirla per estinguere un pregresso debito contando sulla garanzia assicurata dallo Stato”. Tale operazione “costituisce un complesso di negozi giuridici funzionalmente collegati la cui causa non è quella del contratto tipico di mutuo e neppure quella del patto di dilazionamento della scadenza del debito”. La funzione concreta del negozio, infatti, “non è l’erogazione immediata di una somma con assunzione del rischio circa la sua integrale restituzione a fronte dell’impegno del mutuatario al rimborso rateale e neppure la concessione di una dilazione negli obblighi restitutori di un finanziamento già erogato mediante stipulazione di nuove e più sopportabili condizioni”, in quanto, in entrambi i negozi, “è assente la stessa astratta possibilità che la restituzione avvenga”. 
La causa concreta dell’operazione negoziale attuata dall’istituto bancario è, invece, l’assicurazione “della garanzia statale per una parte nettamente preponderante del già sussistente credito, nella consapevolezza che il debitore principale non potrà mai adempiervi ed a fronte di una non immediata esazione del precedente credito”. 
Una simile causa, ad avviso del Tribunale astigiano, si pone in contrasto con le disposizioni normative di natura primaria e secondaria che regolano le modalità con le quali va condotta l’attività bancaria e l’accesso alle garanzie prestate dal fondo PMI di MCC citate nel precedente paragrafo. 
Inoltre, l’operazione di finanziamento messa in atto dalla banca, in quanto “funzionale all’indebito conseguimento da parte dell’istituto di credito di un contributo consistente nella garanzia statale grazie all’omissione d’informazioni che in realtà avrebbero dovuto essere fornite all’ente preposto alla decisione circa l’erogazione dei finanziamenti e cioè l’informazione che il beneficiario del finanziamento era, in realtà, insolvente”, si pone in contrasto altresì con quanto disposto dall’art. 316 ter c.p. [11]. 
Del tutto irrilevante il fatto che il fondo di MCC aveva in concreto già erogato la garanzia sul finanziamento. La disposizione normativa, infatti, secondo il Tribunale si deve “ritenere violata quanto meno nella sua forma tentata che, in sé, costituisce dal punto di vista penalistico un delitto autonomo”. 
Il Tribunale di Asti ha quindi dichiarato nullo il contratto anche ai sensi dell’art. 1418 c.c., poiché la disposizione penale in questione ha “carattere certamente imperativo, ancora una volta alla luce del rilievo pubblico degli interessi protetti”. 
4 . La prosecuzione dell’attività d’impresa e l’aggravamento del dissesto
Un ulteriore elemento addebitato dalla curatela è stato l’aggravamento del dissesto, giacché l’erogazione del mutuo ha permesso la prosecuzione dell’attività aziendale in una condizione di assenza di redditività. L’eccezione è stata accolta dal Tribunale il quale ha rilevato come l’aggravamento fosse desumibile (i) dall’analisi del bilancio parziale relativo agli ultimi sei mesi di attività della società, che presentava un risultato economico negativo, nonché (ii) considerando gli oneri in termini d’interessi passivi derivanti dagli obblighi assunti con il mutuo, che non sarebbero maturati in caso di apertura della procedura fallimentare alla data di stipula del finanziamento ai sensi dell’art. 55 L. fall. 
Ne è quindi disceso che l’operazione negoziale attuata dall’istituto di credito si poneva in contrasto, altresì, con le disposizioni di cui all’art. 217, comma 1, n. 4, L. fall. [12], “attesa la sua idoneità a procrastinare la dichiarazione di fallimento dell’impresa”, “laddove ne sia conseguenza un aggravamento del dissesto”. 
La pronuncia, infine, evidenzia come la consapevolezza della banca in ordine alle condizioni reali di solvibilità della società mutuataria consentisse di ritenere sussistente l’esistenza del delitto anche sotto il profilo psicologico. 
La contrarietà a tale norma (art. 217 L. fall. citato) “avente carattere imperativo alla luce delle condivisibili considerazioni espresse da Cass. 16706/2020 e Tribunale di Torino sez. sesta civile 4.10.2022, (…) consistenti nel rilievo e nella natura collettiva degli interessi violati fondati sull’art. 41 Cost.”, fa derivare ulteriormente la nullità del contratto ai sensi dell’art. 1418 c.c.
Pertanto, in tutte le ipotesi di concessione di finanziamenti a società già in stato di crisi o addirittura di insolvenza, il curatore potrà facilmente tentare di dimostrare l’aggravio del dissesto anche solo considerando gli interessi passivi maturati dalla data di erogazione dei finanziamenti sino alla data di apertura della procedura di fallimento o liquidazione giudiziale.
5 . Gli effetti della pronuncia
Tutti i mutui erogati che hanno beneficiato della garanzia statale di MCC rischiano, seriamente, di essere nulli qualora l’istituto di credito erogante abbia omesso di svolgere gli opportuni e diligenti controlli di valutazione del merito creditizio dell’impresa finanziata e, soprattutto, qualora abbia approfittato della garanzia MCC per rientrare delle proprie esposizioni di credito prive di tutela.  
In particolare, la prova cardine di tali comportamenti non risiede solo nell’utilizzo delle risorse finanziarie erogate dalla banca al cliente, bensì e soprattutto sull’istruttoria eseguita in sede di stipula. Se è vero che durante il periodo di Covid-19 e a seguito della normativa agevolativa era possibile per la banca ottenere delle dichiarazioni autocertificative delle prospettive future dell’impresa e delle conseguenze che la pandemia aveva comportato sulla stessa, ciò non toglie che la banca abbia sempre avuto l’onere di verificare l’attendibilità e coerenza dei dati ricevuti. 
Così, dunque, nel caso in cui la banca si sia avvalsa esclusivamente delle autocertificazioni del cliente omettendo di svolgere la necessaria istruttoria, essa è incorsa in una duplice responsabilità: nell’assunzione del rischio proprio del finanziamento e del concorso con il cliente per bancarotta. 
L’ottenimento della garanzia MCC che permette, in caso di default del finanziato, l’escussione con ristoro fino ad un massimo dell’80%, con tempistiche più favorevoli rispetto ad una procedura concorsuale, rappresenta la causa dell’interesse della banca a “raggirare” le norme imperative che disciplinano la concessione dei mutui. 
Sulla base della giurisprudenza di merito del Tribunale astigiano, pertanto, si apre ora il dibattito tra imprese debitrici e istituti di credito. Da una parte coloro che hanno difficoltà di rimborsare integralmente i debiti e dall’altra coloro che hanno interesse a non perdere la garanzia. In mezzo si trova il Fondo di MCC, ovvero lo Stato, che ha certamente interesse a non mandare in default il sistema imprenditoriale e, tantomeno, quello delle banche, visti i notevoli volumi di credito garantito ed erogato. 
Certamente, qualora i mutui divengano oggetto di attenzione da parte dell’Autorità giudiziaria (in sede contenziosa o in sede concorsuale) sussisterebbe il reale effetto che MCC non sarebbe più onerata di corrispondere alle banche alcunché in base al principio pacta, quae turpem causam continent, non sunt observanda.

Note:

[1] 
Per il primo commento di si veda il nostro Mutui garantiti da Mcc a rischio se sono stati omessi i controlli, in ItaliaOggi7 del 29 gennaio 2024, pag. 6, nonché Fondi sotto la lente del curatore, ibidem, pag. 7.
[2] 
 Sono diversi i documenti che supportano tale visione. Si veda, ex aliis, Cerved, Nessuna impresa deve fallire per il Covid-19, Aprile 2020; Marco Pelosi, Giacomo Rodano e Enrico Sette, Zombie firms and the take-up of support measures during Covid-19, Questioni di economia e finanza (Occasional paper), Banca d’Italia, Novembre 2021, n. 650; Cerved, Rapporto Cerved 2021; Cerved, Anatomia delle imprese zombie, Ricerca, Aprile 2023. 
[3] 
Il Fondo Centrale di Garanzia per le Piccole e Medie imprese è stato istituito “con lo scopo di assicurare una parziale assicurazione ai crediti concessi dagli istituti di credito a favore delle piccole e medie imprese”, come dispone della L. n. 662 del 23 dicembre 1996 art. 2, comma 100, lett. a), ed è gestito, per conto del Ministero dello Sviluppo Economico, da un Raggruppamento temporaneo di Imprese costituito da cinque banche. 
L’intervento del Fondo è assistito dalla Garanzia dello Stato ai sensi della L. n. 2 del 28 gennaio 2009, (Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. n. 185 del 29 novembre 2008, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anticrisi il quadro strategico nazionale) e del decreto M.E.F. del 25 marzo 2009. 
[4] 
Ci si riferisce a Marcello Pollio, Rischio bancarotta con il ricorso al credito dello stato, in ItaliaOggi del 10 aprile 2020, nonché a Marcello Pollio e Filippo Arata, Crisi da Covid con il bollino, ItaliaOggi 18 aprile 2020.
[5] 
L’art. 1343 c.c. rubricato “Causa illecita”, stabilisce che: “La causa è illecita quando è contraria a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume”. Il concetto di causa è dibattuto. Secondo la tesi ad oggi prevalente, deve adottarsi una nozione concreta di causa, nello specifico “Causa del contratto è lo scopo pratico del negozio la sintesi, cioè, degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare (c.d. causa concreta), quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato”. In questo senso la Cassazione civile, Sez. III, con la sentenza n. 10490 del 8 maggio 2006. 
[6] 
L’art. 1418 c.c. rubricato “Cause di nullità del contratto”, dispone che “Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente. 
Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall'articolo 1325, l'illiceità della causa [1343], l'illiceità dei motivi nel caso indicato dall'articolo 1345 e la mancanza nell'oggetto dei requisiti stabiliti dall'articolo 1346. 
Il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge [458, 778, 785, 788, 794, 1350, 1354, 1355, 1472, 1895, 1904, 1963, 1972, 2103, 2115, 2265, 2744]”. 
[7] 
Le diverse garanzie pubbliche, inizialmente delineate dal c.d. D.L. n. 18/2020 conv. con L. n. 27/2000 (c.d. “Decreto Cura Italia”), sono state successivamente regolate dal D.L. n. 23/2020 conv. con L. n. 40/2020 (c.d. “Decreto Liquidità”), modificato in parte dalla L. n. 322/2020 (Legge di bilancio 2021), dalla L. n. 322/2020 e, infine, dal D.L. n. 73/2021 (c.d. “Decreto Sostegni bis”). 
In particolare, il D.L. n. 23/2020 ha introdotto agli artt. 1 e 13 la possibilità per le banche finanziatrici di richiedere una garanzia da parte di SACE o di MCC su nuovi finanziamenti, sino a concorrenza di un ammontare variabile tra l’80% e il 100% dell’importo corrisposto. 
[8] 
Per una maggiore analisi in merito alle domande accolte, agli importi finanziati ed agli importi garantiti, si vedano i report annuali del Fondo di garanzia rilasciati a cura del Mediocredito Centrale. 
[9] 
L’art. 1, comma 4, del decreto M.E.F. del 25 marzo 2009 dispone che “Dopo l'avvenuta escussione della garanzia dello Stato di cui al comma 1, lo Stato è surrogato nei diritti del creditore nei confronti del debitore principale anche in relazione alle eventuali garanzie reali e personali acquisite a fronte dell'operazione assistita dall'intervento del Fondo. Il gestore del Fondo, in nome, per conto e nell'interesse dello Stato, cura le procedure di recupero anche mediante procedure coattive esattoriali di cui all'art. 17 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46”. 
[10] 
Sul punto merita di essere segnalato il principio di diritto affermato dalla Cassazione penale, sez. VI, con sentenza n. 28416 del 06.05.2022: “in tema di legislazione emergenziale volta al sostegno delle imprese colpite dalla pandemia da Covid-19, è configurabile il reato di cui all’art. 316-bis c.p., nel caso in cui, successivamente all’erogazione, da parte di un istituto di credito, di un finanziamento assistito dalla garanzia rilasciata dal Fondo per le PMI, ai sensi del D.L. n. 23 del 8 aprile 2020, art. 13, lett. m) (cd. “decreto liquidità”), convertito con modificazioni dalla L. n. 40 del 5 giugno 2020, gli importi erogati non vengano destinati alle finalità cui detto finanziamento è destinato per legge”. 
[11] 
L’art. 316 ter c.p., rubricato “Indebita percezione di erogazioni pubbliche”, dispone che “Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall'articolo 640 bis, chiunque mediante l'utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l'omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, sovvenzioni, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è della reclusione da uno a quattro anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso della sua qualità o dei suoi poteri. La pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni se il fatto offende gli interessi finanziari dell'Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a euro 100.000. 
Quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a euro 3.999,96 si applica soltanto la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da euro 5.164 a euro 25.822. Tale sanzione non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito”. 
[12] 
L’art. 217, comma 1, n. 4, L. fall., dispone che “È punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato fallito, l'imprenditore, che, fuori dai casi preveduti nell'articolo precedente: […] 4) ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa”. Per dissesto, secondo la giurisprudenza, deve intendersi una situazione di squilibrio economico patrimoniale progressivo, tale da comportare un inarrestabile aggravamento della situazione dell'impresa, fino alla totale insolvenza.

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Comunicazione e diffusione - I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati, intendendosi con tale termine il darne conoscenza ad uno o più soggetti determinati, dalla Società a terzi per dare attuazione a tutti i necessari adempimenti di legge. In particolare i dati personali dell’interessato potranno essere comunicati a Enti o Uffici Pubblici o autorità di controllo in funzione degli obblighi di legge.

I dati personali dell’interessato potranno essere comunicati nei seguenti termini:

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  • 2. rettifica: correggere/ottenere la correzione dei dati personali se errati o obsoleti e di completarli, se incompleti;
  • 3. cancellazione/oblio: ottenere, in alcuni casi, la cancellazione dei dati personali forniti; questo non è un diritto assoluto, in quanto le Società potrebbero avere motivi legittimi o legali per conservarli;
  • 4. limitazione: i dati saranno archiviati, ma non potranno essere né trattati, né elaborati ulteriormente, nei casi previsti dalla normativa;
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  • 7. revoca del consenso in qualsiasi momento, qualora il trattamento si basi sul consenso.

Ai sensi dell’art. 2-undicies del D.Lgs. 196/2003 l’esercizio dei diritti dell’interessato può essere ritardato, limitato o escluso, con comunicazione motivata e resa senza ritardo, a meno che la comunicazione possa compromettere la finalità della limitazione, per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell’interessato, al fine di salvaguardare gli interessi di cui al comma 1, lettere a) (interessi tutelati in materia di riciclaggio), e) (allo svolgimento delle investigazioni difensive o all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria)ed f) (alla riservatezza dell’identità del dipendente che segnala illeciti di cui sia venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio). In tali casi, i diritti dell’interessato possono essere esercitati anche tramite il Garante con le modalità di cui all’articolo 160 dello stesso Decreto. In tale ipotesi, il Garante informerà l’interessato di aver eseguito tutte le verifiche necessarie o di aver svolto un riesame nonché della facoltà dell’interessato di proporre ricorso giurisdizionale.

Per esercitare tali diritti potrà rivolgersi alla nostra Struttura "Titolare del trattamento dei dati personali" all'indirizzo ssdirittodellacrisi@gmail.com oppure inviando una missiva a Società per lo studio del diritto della crisi via Principe Amedeo, 27, 46100 - Mantova (MN). Il Titolare Le risponderà entro 30 giorni dalla ricezione della Sua richiesta formale.

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