Presupposto necessario per l’integrazione delle ipotesi di nullità, contestate dal curatore, è l’esistenza della conoscenza dello stato di dissesto al momento del perfezionamento del contratto.
Dunque, secondo la curatela, sarebbe stato possibile evincere la circostanza sulla scorta dei seguenti elementi:
(i) perfezionamento del mutuo in prossimità della dichiarazione di fallimento della società;
(ii) i dati relativi all’andamento economico, patrimoniale e finanziario della società desumibili dai bilanci depositati;
(iii) la ricezione, da parte della banca, di un atto di pignoramento presso terzi;
(iv) l’iscrizione di ipoteca giudiziale su beni della società poi fallita sulla scorta di un decreto ingiuntivo ottenuto da un creditore;
(v) la presenza di un’elevata percentuale di insoluti con riferimento alle fatture oggetto di anticipazione bancaria emergente dalle rilevazioni della centrale rischi della Banca d’Italia;
(vi) il mancato svolgimento di un’istruttoria seria da parte della banca al momento dell’erogazione del mutuo.
La banca contestava l’assunto della curatela, rilevando che ogni doglianza relativa alla correttezza dell’istruttoria spettava, semmai, all’ente gestore del fondo di garanzia e non al beneficiario del finanziamento e che, in ogni caso, la prova circa l’esistenza di una negligente istruttoria gravava sul fallimento.
Nella sentenza viene rilevato come, ai fini della valutazione in merito alla fondatezza delle rilevate nullità del contratto, la consapevolezza dell’istituto di credito in ordine alle condizioni di dissesto della società poi fallita “costituisce un dato che può essere provato anche per presunzioni e dunque sulla scorta del complessivo apprezzamento degli elementi a disposizione”.
Il Tribunale, infatti, ha rilevato come il negativo andamento economico patrimoniale della società fosse evidente dai dati pubblici di bilancio, oltre che desumibile in concreto dallo scambio epistolare tra banca e impresa.
L’assenza di una anche minima attività istruttoria appariva evidente poiché:
a) era mancante la compilazione, da parte della società, dei moduli necessari ad ottenere la garanzia statale, affidata integralmente alla banca, salva l’apposizione delle firme;
b) era assente il serio riscontro della società alle richieste della banca (un bilancio provvisorio ed un elenco dettaglio dei debiti e dei crediti), senza che ciò determinasse il rifiuto di erogare il finanziamento o la reiterazione delle richieste.
Il Tribunale giunge, quindi, a ritenere che la banca aveva consapevolmente concesso “una somma a mutuo ad un soggetto insolvente e non in grado di restituirla per estinguere un pregresso debito contando sulla garanzia assicurata dallo Stato”. Tale operazione “costituisce un complesso di negozi giuridici funzionalmente collegati la cui causa non è quella del contratto tipico di mutuo e neppure quella del patto di dilazionamento della scadenza del debito”. La funzione concreta del negozio, infatti, “non è l’erogazione immediata di una somma con assunzione del rischio circa la sua integrale restituzione a fronte dell’impegno del mutuatario al rimborso rateale e neppure la concessione di una dilazione negli obblighi restitutori di un finanziamento già erogato mediante stipulazione di nuove e più sopportabili condizioni”, in quanto, in entrambi i negozi, “è assente la stessa astratta possibilità che la restituzione avvenga”.
La causa concreta dell’operazione negoziale attuata dall’istituto bancario è, invece, l’assicurazione “della garanzia statale per una parte nettamente preponderante del già sussistente credito, nella consapevolezza che il debitore principale non potrà mai adempiervi ed a fronte di una non immediata esazione del precedente credito”.
Una simile causa, ad avviso del Tribunale astigiano, si pone in contrasto con le disposizioni normative di natura primaria e secondaria che regolano le modalità con le quali va condotta l’attività bancaria e l’accesso alle garanzie prestate dal fondo PMI di MCC citate nel precedente paragrafo.
Inoltre, l’operazione di finanziamento messa in atto dalla banca, in quanto “funzionale all’indebito conseguimento da parte dell’istituto di credito di un contributo consistente nella garanzia statale grazie all’omissione d’informazioni che in realtà avrebbero dovuto essere fornite all’ente preposto alla decisione circa l’erogazione dei finanziamenti e cioè l’informazione che il beneficiario del finanziamento era, in realtà, insolvente”, si pone in contrasto altresì con quanto disposto dall’art. 316 ter c.p. [11].
Del tutto irrilevante il fatto che il fondo di MCC aveva in concreto già erogato la garanzia sul finanziamento. La disposizione normativa, infatti, secondo il Tribunale si deve “ritenere violata quanto meno nella sua forma tentata che, in sé, costituisce dal punto di vista penalistico un delitto autonomo”.
Il Tribunale di Asti ha quindi dichiarato nullo il contratto anche ai sensi dell’art. 1418 c.c., poiché la disposizione penale in questione ha “carattere certamente imperativo, ancora una volta alla luce del rilievo pubblico degli interessi protetti”.